venerdì 3 ottobre 2014

1779 - FERRARI. Descrizione del modo, con cui sono formate le Bocche, che estraggono acqua dalli Navigli di Milano





Qualunque volta mi sovvengo della quistione agitata in vostra presenza Ornatiss. Sig. Conte, con quel dotto Gentiluomo forestiere vostro degno amico intorno alle bocche, per cui si estrae acqua da’ nostri Navigli, non posso a meno di non sentire in me un certo dovere di gratitudine verso di lui per essere egli stato la cagione dell’onore che ora io ho di prestarmi ad un vostro desiderio, che è per me un dolce comando. Io non dubito punto, che vi tornerà a memoria, come egli si mostrasse cotanto difficile a credere, che vi sia un modo, col quale si formi nelle sponde di un canale una luce, che tramandare possa una medesima quantità d’acqua per qualunque aumento d’altezza d’acqua succeda nel canale istesso: e come producesse in suo favore il comune principio d’Idrostatica, che un foro va sempre tramandando più acqua quanto più resta sotto la superficie dell’acqua contenuta, e simili altre ragioni particolari, che egli diceva essergli state comunicate da un valentissimo Matematico, colle quali si lusingava di poter dimostrare, che il metodo, con cui queste bocche sono formate sia di niun valore. Vi ricorderete pure, che final­mente conosciuta la fallacia del suo supposto, e pago delle ragioni addottegli restò persuaso dell’eccellenza, e dell’utilità dell’edificio delle bocche, e come non finisse mai di lodarlo, e si stupisse moltissimo, perchè di una cosa sì profittevole nessuno finora avesse data al pubblico una esatta descrizione, e ne desse rimpro­vero a’ Milanesi, perchè avessero trascurato di pubblicare al mondo una invenzione, che loro doveva tornare in gran lode: quasi che fosse per essere loro rubata. Voi, Gentilissimo Sig. Conte, ad una tale ammirazione del vostro amico non poteste a meno, rivolto a me, di dire: Voi siete in caso di supplire alle mancanze de’ vostri antecessori. A queste vostre parole dette con cordialità, e dolcezza, che è propria di Voi, io non potei esser ritroso dall’ubbidirvi, abbenchè conoscessi, che la vostra bontà vi faceva pensare molto più bene di me di quello, che io vaglia; onde subito mi sono posto a fare la esatta descrizione di questo edificio, la quale ora rispettosamente vi comunico, acciò vi degniate di esaminarla, e veggiate se in tutto sia vera, e giusta. E certamente Voi, che con tanto zelo, e con tanta lode presedete agli affari pubblici intorno alle acque, e particolarmente a’ nostri Naviglj, e conoscete appieno la costruzione, e l’uso delle bocche medesime, Voi, dico, avete, maggior ragione di esaminare questi miei sentimenti, e giudi­care quanto convengano colla verità.
L’oncia d’acqua milanese, come è noto ad ognuno, consiste in una luce rettangola larga tre once, ed alta quattro con due altre once di battente; cioè l’acqua deve coprire tutta la luce, e al di più alzarsi sopra di essa altre due once. Una tal luce si chiama Bocca di un’oncia non senza ragione, nè scioccamente come taluno ha scritto, ma col suo principio, cioè perchè da noi si suole dividere il braccio quadrato, che si chiama Quadretto superficiale in once, e punti come si fa del braccio lineare; laonde un’oncia d’un quadretto si trova essere una superficie rettangola lunga un braccio, e larga un’oncia, vale a dire di dodici once quadrate, quante ne contiene l’area della bocca di un’oncia. L’uso poi di così determinare il valore di un’ oncia col battente collante di due once è così antico nel nostro paese, che io non trovo alcuna memoria del suo principio.
Ma siccome conoscevano benissimo quegli antichi Architetti, che se cresceva il battente al di più delle due once la bocca estraeva maggior quantità d’acqua di quella, che dovuta le era: e medesimamente capivano, che era impossibile regolare acquedotti tanto grandi come li nostri naviglj in maniera che ogni bocca d’estrazione avesse un egual battente, accio estraessero almeno una proporzionata quantità d’acqua: si posero perciò a studiare il modo di poter sempre regolare il battente di due once a ciascuna bocca per qualsisia alzamento, che succedesse nell’acqua del fiume, o acquedotto somministrante, e lo trovarono col seguente edificio.
In linea delle sponde vi sono due prismi di pietra rettangoli AT, posti verticalmente, e distanti fra di loro quanto deve essere la larghezza della bocca, e fra questi vi è la porta, o cateratta di legno, detta la Paradora, da alzarsi, ed abbassarsi ne’ suoi incastri fatti ne’ medesimi prismi: al piede di essi in T vi è una soglia di pietra non più bassa del fondo del naviglio. In seguito, ed unitamente vi è un canale, che si chiama la Trom­ba coperta, o Calice, o Castello formato colle sponde OP tutte di muro di lunghezza brac. 10 parallele, e distanti dall’apertura MM lo spazio MO di onc. 5, e di altezza secondo il bisogno: sopra queste sponde vi è la volta E, che copre tutto il canale. Dalla soglia T si tira un piano orizzontale TH fino al fine delle sponde, ed in H si forma un’alzata di muro in forma di gradino HG alto onc. 8: sul punto G si forma la bocca stabilita in una sola pietra colla luce dell’altezza GF sempre di onc. 4, e larghezza QQ = MM secondo la quantità d’acqua da estraersi: e questa luce chiamata il Modulo, o Modello deve essere contornata di ferro. Il suolo poi di questa Tromba coperta è tutto di muro, e fatto sul piano orizzontale TH, oppure si forma ascendente sulla linea TG, tralasciandosi così di formare il gradino GH. Di dietro della porta attraversa questo canale un pezzo di pietra N all’altezza di onc. 12, sulla soglia T, cioè a livello dell’orlo superiore F del Modulo, e sostiene un muro, che chiude tutto il vano della volta, lasciando però tra esso, e la porta un qualche spazio B tutto libero, ed aperto. Sotto la volta poi viene formata una soffitta CD o di lastre di pietra, o di tavole di legno bene unite all’altezza dalla soglia di onc. 14 esattamente orizzontale, cosicchè gli spazj FD, NC riescano di onc. 2, e quella soffitta si dice il Cielo morto. Finalmente anche sopra il Modulo si alza un altro muro, che chiude tutto il voto della volta.
Passato questo canale, e dopo il modulo seguita un altro canale che si chiama la Tromba scoperta, ed è tutto fabbricato di muro, e lungo brac. 9. Egli ha le sponde RS alzate verticalmente, e distanti in R dalla luce del modulo onc. 2, e divergenti ancora fino in S di altre once 3. Il suo fondo poi comincia in I un’oncia al di sotto dell’orlo inferiore G del modulo, e prosegue in piano fino al suo termine L colla inclinazione di un’altr’oncia: dopo il qual termine l’acqua entra in arbitrio de’ privati possessori.
Questa è la definizione materiale del modo, col quale sono formate le bocche, che estraggono acqua da’ nostri Naviglj; e parmi, che da essa facilmente si possa capire il loro merito, e come operino. Imperciocchè egli è chiaro, che essendo alzata la porta, l’acqua, che vi entra colla velocità dovuta all’altezza dell’acqua del naviglio incontra l’ostacolo dell’alzata di otto once sotto il modulo, e ivi si ammortisce, e si raffrena, e viene obbligata ad alzarsi per uscire dal modulo. Alzata poi che si sia l’acqua a riempire tutta la tromba coperta fin sotto al cielo morto, non vi essendo più al di dentro alcuno spazio voto, nè adito all’aria esterna non vi può essere neanche agitazione nell’acqua medesima, che rimane soffocata: e a questa non rimane altro spazio da alzarsi di nuovo fuorichè in B. Quindi egli è evidente, che è necessario che l’acqua sia alta sulla foglia, e nello spazio B onc. 14, acciocchè una bocca abbia quell’acqua, che le è dovuta, cioè acciò sia coperta tutta la luce del modulo con di più due once di battente; perchè onc. 8 dell’alzata sotto il modulo, onc. 4 altezza del modulo, ed onc. 2 di battente fanno onc. 14; laonde ora facilissimamente si capisce il modo di usare un tal edificio, e come con esso si dia alla bocca la sola sua ragione in qualunque alzamento d’acqua succeda nel naviglio. Imperciocchè se l’acqua nel naviglio è alta solamente le onc. 14 sulla soglia della bocca si leva la porta, e si lascia tutta aperta; ma se è di più si abbassa la porta tanto, finchè di dietro la medesima in B vi sia l’acqua alta solamente le onc. 14, e se di nuovo cala, o cresce l’acqua nel naviglio si ritorna ad alzare, o abbassare la porta fino che si abbiano in B le dovute onc. 14. Tutta la qual operazione si riduce a trovare praticamente nelle diverse altezze d’acqua del naviglio l’altezza della luce di larghezza data sotto la porta, da cui passi la quantità d’acqua dovuta: il che, a mio credere, si ottiene con facilità grandissima, e con tutta quella accuratezza, che mai si possa avere in simili cose. Che se succedesse, che anche levando del tutto la porta non si trovaste l’acqua in B dell’altezza di onc. 14, come succederebbe se il naviglio non avesse l’acqua alta onc. 14, allora sarebbe un male proveniente dalla natura, e senza rimedio, non vi essendo alcuno, che sappia far crescere i fiumi a suo piacere.
Sebbene però una tale invenzione debba sembrare a chicchessia bella, ed utile, e incontrastabile ne sia l’esattezza, e la verità, non crediate Gentilissimo Sig. Conte, che sia mancato anche fra gli uomini illustri chi abbia voluto censurarla, e son per dire metterla in ridicolo. Il celebre Autore delle Istituzioni di Meccanica, Idrostatica ec. pubblicate nell’anno 1777, si fa un dovere di esaminare un tale edificio, e dirne il suo sentimento, il quale è ben diverso dal mio che ho sin qui esposto e perciò, a mio giudizio, ben lontano dal vero. Non intendo però che mi si creda perchè lo dico: anzi conosco che prima è necessario che io sciolga le obbiezioni, che si fanno contro il metodo presso di noi usato nel determinare la quantità d’acqua che s’estrae da’ nostri Naviglj; sebbene, mio malgrado, poichè mi spiace mettere in chiaro gli abbagli altrui, e molto più quelli d’un chiaro mio concittadino, a cui professo la maggiore stima. Ma l’amor del vero, ed un vero che fa onore alla mia patria da me lo esige: come altresì lo vuole l’obbligo di ubbidirvi quanto più bene io possa.
Quest’illustre Autore nella citata opera al lib. 5 cap. 6 dopo aver fatta una descrizione che siami lecito dirla alquanto inesatta, e mancante dell’edificio delle Bocche, ne deduce le seguenti considerazioni.
I. “Ch’è un errore elementare di rapportare al fondo del canale la soglia della bocca da regolarsi, in vece di rapportarla alla superficie: mentre la sola elevazione dell’acqua sopra la soglia vi regola la velocità, e la pressione, niente importando che sotto alla stessa soglia abbia il canale una maggiore, o minore profondità”.
II. “Ch’è un altro errore consimile di misurare il battente, dall’altezza X (sua fig.), che ha il piano F sopra il labbro superiore del modello C, e non già dall’altezza della superficie del canale: mentre egli è certo, che se l’acqua nel canale si alzasse, per esempio di 3 once sopra del piano F, la vera altezza del battente sarebbe di once 5”.
III. “Che infino a tanto che la cateratta E non si abbassi al di sotto del labbro superiore dell’apertura C, essendo data l’altezza e della bocca, e del battente, non può variarsi la velocità, e la quantità dell’acqua: e che quando la cateratta resti più bassa, allora la quantità dell’acqua non deve misurarsi dal supposto modello C, ma dall’altezza libera, e dal battente della prima bocca A”.
IV.  “Che quando la superficie dell’acqua nel canale sia superiore al piano F, e l’apertura C abbia più di due once di battente, l’abbassare la cateratta in modo che si abbia la quantità s’acqua corrispondente all’altezza libera di 4 once, ed al battente intero di 2, quantunque sia un problema assai facile per un Idrometra, è però superiore alla capacità, ed intelligenza di tutti quelli, che restano alla custodia delle bocche”.
V.   “Che data la pressione delle acque superiori, e rimossi gli impedimenti inferiori, per provedere più copiosamente la bocca, è affatto indifferente la caduta di un’oncia in 9 braccia, ossia di 1/108 sotto alla stessa bocca: mentre solamente nelle maggiori cadute, come vedremo, l’acqua, che attualmente precipita, colla naturale adesione di tutte le particelle, può portare qualche accelerazione sensibile per qualche tratto al di sopra de’ luoghi delle cadute”.
Queste sono le considerazioni che fa il Ch. Scrittore. Ma fatte probabilmente non le avrebbe, se avesse con maggiore pazienza esaminato un tale edificio, e si fosse meglio informato del modo di usarlo; perocchè, omettendo alcune piccole diversità di misure, che non sono di massima, ma di solo costume, egli nella sua descrizione non dice nulla della distanza B, che vi è tra la porta, e la volta, la quale è una parte essenzialissima dell’edificio; ma suppone, che la porta sia unita, anzi incassata nella volta medesima, come si vede nella sua figura, e vuole, che il battente si creda formato dalla sola soffitta CD: la qual cosa quanto sia dal vero lontana si vede dalla descrizione da me fatta, e chiunque può conoscerla facilmente col fatto, e Voi stesso, Nobilissimo Sig. Conte, ne siete un testimonio superiore ad ogni eccezione. E di fatti se fosse vero l’esposto dal lodato Scrittore sarebbe inutile il mettere la cateratta all’ingresso, e sarebbe una solenne pazzia il custodire cotanto gelosamente le bocche, e mantenervi le serrature; e basta domandare a qualunque possessore, o coltivatore de’ terreni irrigati colle acque provenienti da’ Naviglj, se la porta alzata quattro once gli serve come se fosse alzata sei[1] per restarne assicurati.
Ciò posto, se io non m’inganno, riescono di nessun valore le accennate considerazioni. Imperciocchè riguardo alla prima, io non so, che mai stato vi sia alcuno, il quale abbia pensato di rap­portare la soglia della bocca al fondo del canale per regolarne la velocità; nè posso immaginarmi dove il lodato Scrittore abbi preso un tal supposto, mentre ognuno sa, che quell’altezza dalla soglia al labbro inferiore del modulo si fa solamente per rompere la velocità, con cui l’acqua entra dalla bocca, ed è stabilita di once 8, acciò coll’altezza del modulo, e del battente si formi un’altezza di once 14, che è la minore che mai si possa avere per mantenere la navigazione del Naviglio; e parimente ognuno sa, che per la soglia non vi è punto fisso dove collocarla, e basta solo, che non sia più bassa del fondo del Naviglio per non interrompere le accennate once 14.
Della seconda ciascuno ne può conoscere la insussistenza. Imperciocchè il battente non si misura dall’altezza del cielo morto, ma dall’altezza dell’acqua contenuta nello spazio B sopra il labbro superiore del modulo, la quale per essere giusta deve essere a livello del cielo morto, ed è quella che imprime colla sua pressione la velocità, che esce dal modulo: siccome dice anco Daniele Bernoulli nella Idrodinamica Sez. 8 §. 19, e come prova l’esperienza medesima, somministrando più acqua il modulo a occhi vedenti, se coll’alzare la cateratta si fa crescere l’altezza in B, e minore se si abbatta: sebbene l’altezza del Naviglio sia sempre la medesima. Nè il cielo morto si suol mettere per altro fine, se non per frenare l’ondulazione dell’acqua avanti il modulo, e soffocare colla privazione dell’aria l’agitazione, che avrebbe l’acqua per la velocità, con la quale entra dalla bocca, e per le ripercussioni nelle sponde, e nel fondo, o nel gradino sotto il modulo, e in tal modo formare, quanto è possibile un battente cosstante, e come di acqua stagnante.
Nella terza poi tutto è verissimo quello, che si dice, e succede così di fatti; perciocchè se l’acqua del Naviglio è più alta di onc. 14 sulla soglia della bocca, allora colla cateratta conviene lasciare un’ingresso all’acqua più basso delle onc. 4. del modulo per avere in B la sola altezza di onc. 14. Ed in quello caso se si misurerà l’altezza della luce lasciata dalla cateratta, e l’altezza dell’acqua nel Naviglio sopra il labbro inferiore del modulo, e si faranno i convenienti calcoli per sapere la quantità d’acqua che passa, come si dice in questa considerazione; e indi si faranno li calcoli per la luce del modulo col battente di due once, si troverà un risultato eguale, come io stesso ho provato facendo a bella porta qualche sperimento, che spero non vi rincrescerà, che io riferisca qui in seguito.
Rispetto poi alla quarta considerazione, io credo che ciascuno saprebbe rispondere, che il problema è superiore alla capa­cità, ed intelligenza di quelli, che restano alla custodia delle bocche, qualora se ne pretenda la risoluzione, come fanno i Matematici; ma non nel caso pratico, in cui si trovano que’ custodi; perocchè non fa bisogno nè capacità, nè intelligenza particolare per misurare l’altezza dell’acqua dietro la porta, e se è maggiore di onc. 14. abbassare la porta, e se è minore alzarla fin a tanto che vi resti la voluta altezza.
Finalmente quello, che si dice nella quinta mi sembra che non abbia relazione alcuna al sostanziale. Avvegnachè però fosse indifferente l’oncia di caduta asserita dall’Autore, o le due che realmente vi sono, cioè un’oncia di caduta immediata sotto il modulo, e l’altra di pendenza nella tromba scoperta di brac. 9, è altresì vero, che qualunque essa si fosse deve essere eguale in tutte le bocche, essendo notissimo quanto muti l’emissione di un fluido la ineguaglianza de’ tubi applicati al foro, colli quali ha molta similitudine la tromba scoperta.
Sciolte così le obbiezioni del Ch. Scrittore, ora riferirò alcuni esperimenti, che io feci assieme del Sig. Pietro Canziani Regio Commissario de’ Naviglj Grande, e di Bereguardo, sotto la di cui inspezione sono tutte le bocche di que’ due Navigli. Scelsimo dunque una bocca, la quale non soggiacesse ad alcun inconveniente, e fosse esatta nella sua costruzione, e libera del tutto nella sortita, e questa fu quella chiamata il Bocchello Molinari situata vicino a Corsico; ed ivi estendo andati il giorno 17 di dicembre dell’anno scorso 1778 feci abbassare la porta del tutto, cosicchè non passasse acqua in niuna parte, e marcai con un segno dove arrivava la sommità della porta in quella posizione. Indi feci alzare la porta, finchè posteriormente alla medesima in B l’acqua fosse alta le solite onc. 14, che è, come si dice, mettere la bocca a battente, e poi misurai quanto per ciò si fosse alzata la porta, e la trovai alzata onc. 2.
Feci di nuovo alzare la porta finchè in B l’acqua fosse alta onc. 15, e la trovai alzata once 2, e punti 2.
Si alzò ancora la porta fino a che si ebbe in B l’acqua alta onc. 18, e si trovò alzata dal segno fatto once 2, e punti 9.
Finalmente misurai l’altezza dell’acqua nel Naviglio sulla soglia della bocca, ed era di once 25, e punti 9.
Che se con questi esperimenti faremo li necessarj calcoli troveremo tanta uniformità della quantità d’acqua, che esce da queste bocche colla teoria, quanta mai si possa in cose simili desiderare. E in prova della verità permettetemi, Gentiliss. Sig. Conte, che io vi prolunghi il tedio col porvi sotto gli occhi anche li calcoli da me fatti.
Calcolai dunque la bocca d’altezza onc. 4, e del battente onc. 2 colla tavola parabolica, e trovai, che la sua quantità d’acqua si esprime con un trapezio parabolico di punti quadrati 329, tralasciando d’introdurvi la larghezza per essere costante. Calcolai di poi l’acqua, che secondo la medesima teoria doveva uscire dall’apertura lasciata dalla porta per l’alzamento fattone di onc. 2, cioè calcolai l’acqua per una luce d’altezza onc. 2, e col battente di onc. 15. 9, perchè dall’altezza trovata di onc. 25. 9 dell’acqua nel Naviglio si devono levare onc. 8 dell’alzata sotto il modulo, che annulla altrettanta altezza dell’acqua del Naviglio come succede nel sortire che fa l’acqua da un sifone di braccia ineguali; perlocchè di battente non vi rimane che onc, 15. 9. In tal modo trovai la quantità d’acqua espressa da un trapezio parabolico di punti quadrati 339; laonde teoricamente sarebbero le quantità d’acqua come 329 a 339. Nell’istesso modo si troveranno i risultati nel secondo speromento come 369 a 367, e nel terzo come 468 a 461. Nè io credo, che maggiore approssimazione, e maggiore esattezza desiderare si possa quando con tutta la diligenza, ed attenzione di valenti Matematici si riduce al pratico esperimento un qualche ritrovato della teoria.
Che se vi fosser di quelli, che non si mostrassero contenti di questo mio modo di calcolare; ma volessero in vece, che trovato il trapezio parabolico spiegante la quantità d’acqua, che esce dal modulo secondo la teoria sotto le tre diverse poste altezze, si cercasse poi quale dovesse essere l’altezza dell’apertura da lasciarsi sotto la porta perchè vi passi quell’acqua calcolata per il modulo; allora la cosa bensì un poco più astrusa sarebbe, ma proverebbe ancora il medesimo. Imperocchè supponiamo in ciascun esperimento la quantità d’acqua che deve sortire dal modulo eguale m, l’altezza dell’acqua del naviglio sopra il labbro inferiore del modulo eguale a, e la parabola corrispondente a quella altezza 2/3 a √ a = n, e l’alzamento della porta sia x. Quindi il trapezio parabolico dell’altezza x sarà n-2/3 a-x √ a-x = m, e perciò x = a-√ 3/2 (n-m).[2] Che se si riduranno queste quantità attratte ne’ suoi rispettivi numeri di ciascun esperimento, si troverà finalmente l’altezza x nel primo esperimento di punti 23. 25, nel secondo di punti 26. 19, e nel terzo di punti 33. 71. Dove si vede, che tutta la maggiore differenza dal calcolo all’esperimento si riduce a tre quarti di un punto del nostro braccio: quantità troppo difficile, per non dire impossibile a fissarsi esattamente in esperimenti di tal natura.
Una prova più evidente dell’eccellenza di questo nostro edificio, ed una dimostrazione più palpabile degli addotti sperimenti, che ciascuno può rifare quando gli piace, io penso che trovare non si possa, e il cercarla sia inutile; e voglio credere, che anche Voi ne sarete contento. Ma se è così, come è veramente, cosa ne riuscirà di quel problema, che’l Ch. Autore propone antecedentemente alla descrizione da lui fatta dell’edificio delle bocche? Quì; Gentilissimo Sig. Conte, è necessario che soffriate, che io vi prolunghi ancora per poco la noja con questa mia scrittura per sciogliere un tal problema, che forse alli meno accorti, o non pratici della cosa potrebbe imprimere de’ dubbj, ovvero sembrare una stravaganza indissolubile.
Dice adunque il celebre Scrittore alla pag. 225: “Negli ultimi tronchi dei due Navigli, dove non è più sensibile la velocità superficiale, per calcolare più esattamente le quantità d’acqua, vi vorrebbe di più l’avvertenza di prendere due sezioni, che non fossero ringorgate dalle porte, e dagli altri impedimenti inferiori. Nel Naviglio Grande prendendo una sezione a Gozano (vorrà dire Gaggiano, come dicono tutti a’ nostri dì, Gozano esistendo nel Novarese superiore), dove restano ancora più di due braccia di caduta di fondo prima di arrrivare a Milano, e dove per conseguenza il fondo è superiore all’orizzontale tirata per la sommità delle ultime chiaviche; la larghezza di braccia 25, e l’altezza ordinaria di once 20 di un braccio darebbero 752 ½ once d’acqua. E nel Naviglio della Martesana a Cresenzago, dove la sezione può istessamente riguardarsi come del tutto libera, prendendo la larghezza di braccia 18, e l’altezza di 18 once, sarebbe la portata intera, di 462 ½ once d’acqua. E così i due ultimi tronchi dei due Navigli presi insieme si potrebbero valutare d’once 1215, cioè circa tre volte di più di quella quantità d’acqua, che si crede comunemente di estrarne con tutte le bocche d’irrigazione, che si ritrovano variamente ripartite nei suddetti due tronchi, e nel circondario della Città. Una differenza tanto grande di calcolo forma un problema non meno curioso, che interessante: e un Professore d’Idrometria si deve fare presentemente un dovere di svilupparlo, e discioglierlo in maniera tale, che non vi resti più nissun dubbio”. E questo problema fu il motivo, per cui il lodato Scrittore ha pensato di dover ragionare delle bocche.
Egli ha per avventura creduto di sciogliere il problema attribuendo la differenza di cattivo metodo di formar le bocche d’estrazione; ma intorno a queste, siccome s’è fin quì dimostrato, egli ha preso abbaglio; onde il problema resterebbe da sciogliersi ancora. Anzi dirò di più, che abbenchè le bocche fossero formate quali da lui vengono supposte, e descritte, pure non potrebbon mai estrarre tanto di più di quello, che comunemente si crede; poichè facendosi i calcoli senz’altra riflessione, supponendo l’acqua nel Naviglio alta egualmente dappertutto once 20, si troverà che le bocche estrarrebbero più acqua in ragione di 629 a 396; e supponendo l’acqua nel Naviglio alta once 18, si troverà che estrarrebbero in ragione di 563 a 396; oppure anche secondo il calcolo da lui posto nel primo caso come 1 3/5 a 1, e nel secondo come 1 3/7 a 1: proporzione molto lontana dalla sua proposta nel problema. Per la qual cosa se egli avesse tenuto di determinare la vera cagio­ne della differenza, invece d’indicarne la supposta sorgente, e più attentamente avesse esaminato il suo assunto, avrebbe conosciuto che il suo problema si risolveva in niente, perchè fondato su di un supposto non vero.
Infatti, avrete osservato, Ornatissimo Sig. Conte, che il Ch. Autore dice, che nel Naviglio Grande da Gaggiano a Milano, che sono otto miglia, vi è la caduta di più di due braccia. Questo termine di più di due braccia, in tal luogo, io credo che non significherà molto più di due braccia, meno poi tre braccia, ma solamente qualche cosa di più delle due (benchè in realtà fu meno); ma le cateratte delle ultime chiaviche, cioè del residuo sono alte tre braccia; dunque il fondo del Naviglio a Gaggiano è quasi un braccio sotto l’orizzontale tirata dalla sommità di quelle chiaviche. Così nel Naviglio della Martesana, due miglia al di sotto di Cresenzago, dove egli ha preso la sua sezione, vi è il sostegno, ossia la conca della Cassina de’ pomi, il quale ha le porte superiore alte più di due braccia, e per conseguenza l’orizzontale tirata dalla sommità di queste porte deve essere molto più alta del fondo del Naviglio a Cresenzago. Dunque le sezioni prese dall’illustre Autore non sono libere, ma molto rigurgitate, e conseguentemente per esse non può passare tutta l’acqua da lui calcolata. A tutto ciò si potrebbero aggiungere altre riflessioni, che sembra dovessero aversi in un negozio di tanta importanza; ma io le ometto per non abusarmi della bontà vostra, bastando quelle, che io addussi per dimostrare l’insussistenza del proposto problema.
Taluno potrebbe altresì dolersi d’alcune espressioni del medesimo rinomato Autore in questo proposito, le quali sembrano far torto al sapere di chi le acque dirigge, o le ha in altri tempi regolate. Alla pag. 224, a cagion d’esempio, così parla: “L’errore del vecchio calcolo procedeva da un altro errore, che non è ancora bastantemente sciolto, e corretto nelle volgari pratiche de’ giorni nostri, che la quantità d’acqua debba misurarsi dall’area semplice delle sezioni libere senza farvi entrare l’elemento della velocità”. Io non saprei indovinare dove mai egli abbia prese codeste volgari pratiche dei giorni nostri, e ove abbia trovato, che in tal maniera si pensasse anche negli anni addietro. Se egli intende di parlare delle pratiche de’ custodi delle acque, e de’ contadini forse avrà ragione di parlare così; ma, se io non m’inganno, sarà fuori di proposito. Ma se intende parlare delle pratiche de’ Professori, io vorrei che sapesse, che queste non sono tanto materiali, e grossolane come egli crede, e che da essi nello stabilire, e distribuire le acque, si usano cautele diligentissime, e fondate sulla vera teoria, e soda pratica. E l’edificio da me descritto, e il modo di misurare le acque comunemente usato, e descritto anche dal Barattieri al Cap. 4 Lib. 1 Par. 2, e il quale l’illustre Scrittore crede di combattere alla pag. 230, e l’antica legge stabilita, che le bocche abbiano sempre il battente costante di due once, sono un segno chiarissimo, che anco ne’ tempi passati, e prima che venisse al mondo il P. Ab. Castelli, nella nostra provincia si aveva riguardo alla velocità.
Non vorrei però, Gentilissimo Sig. Conte, che credeste che con quello, che finora vi ho esposto io voglia sostenere, che il corpo d’acqua de’ due Navigli infallibilmente non possa mai essere in alcun modo maggiore della quantità dovuta alle bocche d’estrazione. Questo io non asserirò così facilmente, perchè ciò solo può dipendere da un’esatta esperienza, e da una minuta osservazione; sebbene però mi pare, che sempre sarà una differenza di poco valore; nè conviene a me l’interessarmivi di più; ed io ho creduto di dover esporre quel tanto solo, che bastava a dimostrare l’eccellenza dell’edificio da me descritto, ed a far vedere, che in queste materie per conoscere bene una cosa, e ragionarne a dovere non basta guardarla colla sola mente, e colla sola teorica; ma bisogna osservarla attentamente anche cogli occhi del corpo, cioè coll’esperienza, e colla pratica: essendo certissimo ciò, che dice Vitruvio al Lib. 1 Cap. 1: Architecti, qui sine litteris contenderunt, ut manibus essent exercitati non potuerunt efficere, ut haberent pro laboribus auctoritatem, qui autem ratiocinationibus, & litteris solis confisi fuerunt, umbram non rem persecuti videntur.... Quare videtur utraque parti exercitatum esse debere qui se Architectum profitetur.
Ora io m’immagino, Pregiatissimo Sig. Conte, che brame­rete sapere chi sia stato quel valente Architetto, che seppe ideare un così bell’edificio, e sì utile da me descritto. Vi debbo dunque dire, che per saperlo dovetti fare molte ricerche e ne’ libri stampati, e ne’ manoscritti, e dagli amici, perchè il nome di un tale inventore si trovava sepolto in una profonda obblivione. Finalmente il Sig. Giuseppe Maria Robecco Ingegnere collegiato, e regio camerale mi comunicò alcuni manoscritti del suo archivio, e da essi conobbi, che l’inventore fu un certo Giacomo Soldati Ingegnere milanese di molto merito, lodato anche da Martino Bassi nella sua opera de’ Dispareri,[3] il quale pose in esecuzione il suo ritrovato fra gli anni 1570, e 1580 in varie volte per i molti ostacoli che s’incontrarono. Dal che potete scorgere quante belle invenzioni si siano fatte nella mia Patria anche nella materia idrostatica, e tanto più degne di lode, quanto fatte in tempi sì lontani, in cui non vi erano quelle molte cognizioni, che si hanno a’ nostri giorni.
Ma ormai questa mia leggenda pare che trapassi il segno della moderazione, e piucchè abbastanza vi abbia annojato. Resta dunque, Gentilissimo Sig. Conte, che io vi prieghi, che riguardo all’assunto mio ne siate un giudice imparziale, e ad ognuno la verità de’ miei sentimenti qualunque ella si sia testifichiate; ma riguardo al mio modo di scrivere non vogliate occupare il vostro generoso animo in cercare i difetti di una scrittura, che troppo ne abbonda, e solo vi ricordiate, che io la feci per soddisfare al vostro desiderio; poichè di ciò ricordandovi, spero che ne sarete contento, comunque io me l’abbia scritta, e piaceravvi la mia volontà. Sono ecc.
Milano 20 Marzo 1779.








[1] NOTA di Giancarlo Mauri. Nella copia a mia disposizione “sei” è cancellato e sopra, a penna, è scritto “due”. Nella riedizione 1824 rimane “sei”.
[2] NOTA di Giancarlo Mauri. Sebbene non manchino i programmi per scrivere le formule (Math-o-mir, Equation editor), qui propongo la fotografia del testo originale:

[3] NOTA di Giancarlo Mauri. Preciso: a pag. 13 dell’editio princeps di questo libro - il cui titolo completo suona Dispareri in materia d’Architettura, et Perspettiva, con pareri di Eccellenti, et Famosi Architetti, che li risolvono. Di Martino Bassi Milanese. In Bressa M. D. LXXI. [1571] Per Francesco, et Pie. Maria Marchetti Fratelli - si legge: ... chele cose proposte s’havessero à decidere alla presenza di tutto esso Capitolo: & fù detto il giorno; ma non hebbe effetto, perche all’Architetto non era acconcio. nè si sà qualfosse la cagione; basta che fù differita la cosa ad’un’altro dì; & in quel mezo furono dati per compagni al Signor Caimo, gli Illustri Signori Pietr’Antonio Lonato, & Barone Sfondrato, come Cavalieri nella nostra Città molto intendenti; & M. Barnaba mathematico, publico, & eccellente. in oltre furono proposti da particolari di esso Capitolo, due Pittori l’uno da Crema, l’altro di Valsoldo: & di più hebbe libertà di poter menar’seco M. Giacopo Soldato, uno de gli ingegnieri di questa Città, persona di molto spirito, & valore. Parole, queste, inserite dal Bassi in un contesto d’architettura (il Duomo di Milano) e non idraulico.
Le stesse si leggono a pag. 25 della ristampa, intitolata: Dispareri in materia d’Architettura, e Prospettiva di Martino Bassi Architetto Milanese. Coll’aggiunta degli Scritti del medesimo intorno all’Insigne Tempio di S. Lorenzo Maggiore di Milano. Dati in luce con alcune sue Annotazioni da Francesco Bernardino Ferrari Ingegnere, ed Architetto Collegiato della stessa Città. In Milano MDCCLXXI. [1771] Appresso Giuseppe Galeazzi Regio Stampatore.

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