giovedì 12 febbraio 2015

1905 - SONCINI e VIGORELLI, Da Lecco a Venezia in barca


Il desiderio di toglierci, anche per poco, alle monotone occupazioni giornaliere, per respirare a proprio agio in ambiente più puro che non sia quello di un’afosa metropoli, fece sì che l’alba del 21 luglio 1904 ci trovasse pronti ad intraprendere un viaggietto di piacere. D’altra parte un articolo letto poco prima sul Corriere della Sera a proposito di un progetto di navigazione fluviale che dovrebbe congiungere Milano e i Laghi a Venezia, e l’allettamento di compiere cosa, se non nuovissima certo poco comune, ci decise per una gita in barca da Lecco a Venezia. Il corso impetuoso dell’Adda, la laguna eventualmente agitata esigevano un’imbarcazione solida e capace; ma, a queste due doti, era necessario aggiungerne una terza, con esse non troppo compatibile «la leggerezza», dato che eravamo solo in due a manovrarla ed, eventualmente, a trasportarla. Corrispose benissimo al nostro scopo una comune lancia da passeggio, quali usano abitualmente nei nostri laghi, avente chiglia non molto pronunciata colle dimensioni seguenti: m. 6 per m. 1,30 per m. 0,70 e del peso complessivo di 200 chilogrammi, 4 remi e una vela.
Partimmo da Lecco il 21 mattino alle ore 5. Imboccata l’Adda e passato il ponte Azzone Visconti il fiume si allarga tosto formando il lago di Pescarenico che noi si attraversa a vela, indi si restringe di nuovo e ingolfato fra canneti si stende queto e melanconico fino a Brivio. Sostati per informarci, ci fu consigliato seguire la scia di un grosso barcone carico di pietre che prendeva in quel punto le mosse per Paderno. Appena passate le prime case di Brivio il fiume scende con dislivello fortissimo ed acque impetuose incassate fra rive ripide e rocciose. La nostra barchetta presa nel filone della corrente non corre più, vola, sobbalzando da tutti i lati, imbarcando acqua e spume. Tutti i nostri sforzi sono diretti a tenere la scia della nostra guida che malgrado il carico e la mole fila come un diretto (figure 1,3, 4).
In pochi minuti siamo al ponte di Paderno (fig. 5) ed alle Conche (fig. 6). A questo punto sorgono difficoltà, necessitando un permesso che noi non avevamo. Ci aggiustiamo alla meglio col padrone del burchiello che ci fa passare al suo seguito. Però dobbiamo fare i suoi comodi e non ci muoviamo che dopo cinque noiose ore di attesa! Passato il naviglio di Paderno che sostituisce il fiume, in quel punto impraticabile (fig. 2), si rientra nell’Adda che qui corre con minore dislivello, ma non meno veemente. Si giunge in vista del castello di Trezzo (fig. 7). Qui è giuocoforza chinare il capo e rassegnarsi a mettere la nostra lancia nel burchiello il quale, malgrado sia cinque volte più grande del nostro, abbisogna di parecchie corde e di una ventina di uomini che dalla riva, con non poca fatica, lo immettono nel naviglio sulla riva destra impedendogli che la forza della corrente, qui impetuosissima e formante un angolo retto, non lo butti sugli scogli dell’opposta riva o lo sprofondi in un salto di parecchi metri. Rimessa in acqua l’imbarcazione si rema di lena fino a Cascina Volta tra sponde ombrose e cosparse di ville. Qui è d’uopo levare nuovamente la barca, caricarla su un carro e con un tragitto di pochi minuti scendere a Cassano d’Adda e rimetterla nel fiume. L’Adda è in magra ed il passare il ponte di Cassano presenta qualche difficoltà. Imbocchiamo la seconda arcata a sinistra quasi ad angolo retto e per poco non saltiamo sui prismi del pilone. La corrente si mantiene rapida, difficile il percorso, data la poca acqua che minaccia di rovesciarci sui bassifondi ghiaiosi. Passiamo il ponte di Rivolta alla destra; un mulinello ci prende e per uscirne spacchiamo un remo. Alle 7,45 siamo alla diga del Canal Marzano ed affidata la barca al custode della diga pernottiamo a Spino d’Adda.
Il 22 alle 6 saltiamo felicemente la diga in cemento del canale e scendiamo rapidamente fra rive boscose fino a Lodi passando la prima arcata a sinistra del ponte. Ricevuti cordialmente dalla Società Fanfulla ci fermiamo fino alle 12. Presso Cavenago troviamo un trasbordo di barche. Di questi trasbordi se ne trovano parecchi, tutti simili, anche in Po. Una barca è fissa nel mezzo del fiume: da questa, parte un lungo cavo metallico che poggiando su altre barche si annoda ad un pontone di legno ancorato ad una riva. Appena reso libero, il pontone cerca seguire la corrente, ma trattenuto dal capo fisso, facendo perno su di esso, descrive un semicerchio toccando la riva opposta. L’Adda si è fatta meno impetuosa e il suo letto più largo. Si arriva a Pizzighettone dopo aver preso un temporalone indiavolato.
Il 23 si parte alle 6 da Pizzighettone e poco dopo siamo a Castelnuovo Bocca d’Adda. Il fiume sbocca in Po formando un immenso ghiaieto sul quale, malgrado i consigli dei barcaiuoli di tenerci alla destra, ci areniamo. Il Po è calmo e maestoso; scorre tra rive boscose e piane. Si sente il bisogno di un timoniere, visto che il fiume, essendo scarso d’acqua, troppo spesso ci arena quietamente sui sabbioni. Si decide di remare un’ora per ciascuno e regolarmente ci diamo il cambio. Alle 9 siamo a Cremona cortesemente ricevuti dalla Società Canottieri Baldesio. Alle 12 si riparte.
Qui la vita di bordo diventa molto metodica e il panorama un po’ noioso. Il caldo è terribile; al sole siamo a 55 gradi, il costume di canottieri è già pesante ed adottiamo la... camicia da notte. Fortunatamente le acque delle fontane e dei poggi lungo la riva si mantengono buone. La magra del Po, mettendo allo scoperto le sabbie, ci obbliga a giri viziosi, lunghi e noiosi. Arriviamo alle 7 a Casalmaggiore (fig. 10) grossa borgata sulla destra del fiume.
Ripartiamo il 24 mattina alle temporale ci ferma dalle 6 alle 8. Siamo al principio dell’Emilia. Si rema fino alle 2 4 e si giunge a Borgoforte; fatta colazione si riprende e alle 7 siamo alle foci del Mincio. Si crede dover dormire all’aperto; ma giunge in buon punto un rimorchiatore del servizio fluviale Mantova-Venezia. Con un po’ di buona volontà lo abbordiamo e gettatagli una corda risaliamo con esso il Mincio fino a Governolo che dista 5 chilometri dalla foce e qui pernottiamo. Il Po fino a questo punto è larghissimo con parecchi rami. È bene tenere sempre il maggiore e la riva più alta. Da Borgo forte cominciano i mulini galleggianti (figure 8 e 9) che ci indicano dalla loro ubicazione il luogo di maggior acqua e più forte corrente. Questi mulini, così bene illustrati da Sezanne, poggiano su chiatte ancorate alla riva e spesso il Po in piena ne trascina parecchi nei suoi gorghi.
Si parte da Governolo il 25 mattina e si riprende il Po che qui comincia ad essere incanalato da alti margini al di là dei quali numerosi paeselli fanno capolino col rosso dei tetti. Le rive sono animate ed offrono spettacolo vario ed attraente. Il nostro costume preadamatico suscita i lazzi e le risate delle belle lavandaie sparse numerose sulle rive. Passiamo successivamente Ostiglia, Massa, Ficarolo, Occhiobello (fig. 11) e alla sera siamo a Pontelagoscuro, a pochi chilometri da Ferrara. In questo tratto le acque del sottosuolo sono fortemente ferruginose e pesanti. Si parte il 26 mattina da Ponte e alle 15 siamo a Cavanella di Po (fig. 12). L’unica cosa noiosa di questo tratto ultimo di Po sono gli innumeri ponti di chiatte che, non aprendosi per piccole imbarcazioni, siamo costretti a passare fra una chiatta e l’altra. Meglio passarli alla sponda. A Massa la nostra barca presa dalla corrente è gittata di traverso sotto una chiatta. Degli scricchiolii ci mettono in pensiero, ma arriva in buon punto il guardiano che con un rampone ci rimette sulla diritta via. Passata la conca di Cavanella entriamo nel monotono canale di Loreo poco largo e pieno di erbe e giunchi. Pernottiamo a Loreo e il 27 mattina si riprende il canale di Loreo e si raggiunge il sostegno di Tornovo. Una conca ci rimette nell’Adige, che corre tranquillo fra verdi rive. Dopo un paio di chilometri si tocca Cavanella d’Adige e un’altra conca ci porta in canale di Valle (fig. 13) più stretto di quel di Loreo e più monotono, che ci rimette nel Brenta a Porta di Brondolo (fig. 14). Tutti questi canali sono percorsi da numerose barche da trasporto, che fanno servizio da Venezia per Mantova. Notiamo che da Pontelagoscuro il poter bere dell’acqua possibile diventa un problema difficile.
A Porta di Brondolo una conca ci rimette nella Valle di Brenta unitamente a moltissime barche cariche delle più belle frutta e verdure che mi sia stato dato vedere. Lasciamo queste barche e arriviamo circa a mezzogiorno nel tratto di laguna tra Sottomarina e Chioggia. A Chioggia ci rifocilliamo (fig. 15 e 16). A mezzogiorno si salpa da Chioggia. Il primo tratto di mare aperto ci fa danzare un poco; ma poi la verde laguna ci indica la via coi suoi pali. A Malamocco alziamo la vela, avendo vento in favore e così veleggiando passiamo a fianco l’isola di San Giorgio mentre i mori della torre dell’orologio battono le quattro e Venezia si svolge come una visione d’oro e di azzurro davanti ai nostri occhi rapiti da tanta festa di luce e di colori. Sbarchiamo alla Società Bucintoro che ci fa segno delle più gentili accoglienze. Abbiamo percorso circa 550 chilometri.
emilio soncini.
augusto vigorelli.