giovedì 2 ottobre 2014

1927 - CODARA. Origine della conca e sue trasformazioni successive

Giuseppe CANELLA, Naviglio dal ponte di San Marco (1834)

Giuseppe CODARA. I Navigli di Milano. Passato, presente e futuro. Milano, La Famiglia Meneghina, 1927; pp. 67-77.

IV
Origine della conca
e sue trasformazioni successive

L’arte di costruire canali navigabili, sarebbe poco progredita nei secoli se non fosse intervenuta l’invenzione della conca, di questo organismo che consente colla regolazione della pendenza dei canali, la loro migliore navigabilità, vincendo con salti in località opportune i forti dislivelli del terreno, trasformando, cioè un canale a pendenza continua, quale si addice bene per condurre acque di irrigazione e di forza motrice, in un canale a gradinata, ogni gradino del quale è precisamente una conca, cioè un bacino di limitate dimensioni, compreso fra due chiuse mobili successive, dove è possibile il far salire e scendere il livello delle acque e con esse i galleggianti che vi si trovano. La conca, siccome la vediamo anche oggi giorno, dopo quasi cinquecento anni, venne perfezionata, s’intende, nelle successive applicazioni che, gli italiani prima e tutti i popoli civili poi, a cominciare dagli Olandesi, ne fecero per grandi e piccoli canali di navigazione, migliorandola nei diversi dettagli costruttivi, di alimentazione, di scarico, di manovra delle porte, ma lasciando inalterati nei tempi, le strutture caratteristiche, quelle fissate per la prima volta da Filippo degli Organi, da Fioravante da Bologna, ai quali oramai va riconosciuta la paternità, già attribuita ad incogniti e superbi geni stranieri, contestata agli italiani, more solito, trattandosi di una di quelle invenzioni che veramente sono le pietre migliari del progresso umano.
Non sorprenda dunque, se anche fra gli italiani, l’invenzione venne attribuita al genio di Leonardo da Vinci.
Luca Beltrami, ragionando dell’influenza attribuita a quel genio nel progresso dell’idraulica nel XV secolo scrive che «pur avviene anche oggi dì, che l’opinione popolare, ribelle a qualsiasi limite che si tenti imporre al genio di Leonardo si compiaccia di attribuire a questo l’invenzione delle conche ed una gran parte dei lavori della Martesana».
Da un dotto e persuadente suo scritto tolgo quanto riguarda l’invenzione delle conche non potendosi più sinteticamente e limpidamente discorrerne; molte invenzioni nacquero come questa dalle necessità di sopperire a bisogni o a difficoltà contingenti e naturali, od alla necessità di semplificare manovre faticose, o che disturbano, ad altri interessi, cosicchè anche nelle opere idrauliche compiute in Lombardia dal secolo XII al XIV si determinarono perfezionamenti e disposizioni particolari.
«I vantaggi che si sarebbero ottenuti da una comunicazione diretta fra il Verbano e il cuore della città specialmente per riguardo alla Fabbrica del Duomo, che dal Verbano riceveva i suoi marmi, suggerirono, sulla fine del XIV secolo, di collegare il Naviglio Grande col fossato, che circuiva la città; ma per poter offrire alle barche il mezzo di superare la difficoltà del dislivello che si verifica fra il Laghetto o Darsena del Naviglio Grande a S. Eustorgio, e il Laghetto del fossato detto di S. Stefano, dislivello di circa braccia 5, si doveva ricorrere ai provvedimenti di aumentare la portata del canale di congiunzione, sospendendo ad ore determinale tutte le estrazioni d’acqua, e di innalzare artificialmente il pelo d’acqua in quella tratta di canale col mezzo di una chiusa temporanea al suo sbocco».
«Mediante tali provvedimenti, i materiali della Fabbrica del Duomo, che nel 1387, venivano consegnati al ponte della Catena, nel 1395 potevano arrivare per navigatium novum ad lagetum Sancti Stefani in Brolio Mediolani».
La chiusa era ad incastro, come risulta dalla nota della spesa, «pro ferratis et incastro et riparatione gorghi suprascritti incastri».
«L’artifizio della chiusa però oltre alle necessità di sospendere le estrazioni d’acqua» il che suscitava i reclami degli utenti, e segnatamente dei monaci di S. Celso e di Chiaravalle, «richiedeva un periodo piuttosto lungo di tempo, con grave discomodo del transito privato, per il quale veniva sempre più necessaria la rapidità di servizio: questi inconvenienti condussero quindi al provvedimento di limitare le variazioni di livello mediante due chiuse, a quella tratta di canale che fosse strettamente sufficiente a contenere le barche che compivano il servizio di transito. Erano queste le chiuse «pro facendo crescere et decrescere acquam» che fin dal tempo dei Visconti vennero chiamate conche «acquis altiora scadentibus machinarum arte quas conchas appellant» come riferisce il Decembrio: e che vi fosse più di una conca, nel tratto di canale, o navigagium novum, di collegamento fra il Naviglio Grande e la fossa della città, risulta da un documento del 1445 il quale accenna ad una conca inferior navigii ducalis noviter costructi».
La descrizione di questo sistema di conche accoppiate la troviamo a quest’epoca, e cioè nel 1447, fatta dall’architetto militare Francesco di Giorgio Martino, nel codice membranaceo Saluzziano, a fol. 45 assieme al disegno di questi sostegni. Vi si legge: «Ecchosj per tutto la longhezza del fiume chon dette porti, le sue altezze partirai inele quali el Navili ho barcha hentrando serrato la porta, per lacqua venente el navilio alzando subito si heleverà di poi drento a la sichonda porta hentrare potrà. Esserato quella per lo simile modo si heleverà. Ecchosj dall’una all’altra porta di mano in mano el navilio dove desideri chondur porrai».
«Leonardo da Vinci, non era ancor nato e già il principio altrettanto semplice quanto ingegnoso delle conche era applicato, descritto, illustrato. Restano a vedere quali siano i perfezionamenti che Leonardo vi può avere introdotto. Il Fumagalli nel Tomo II delle sue “Antichità Lon­gobarde”, attribuisce a Leonardo tre perfezionamenti: l’aver fatto i portoni, la disposizione ad angolo di questi, e gli sportelli aperti nei portoni per il deflusso d’acqua. In poche parole gli attribuisce l’invenzione di tutto il sistema».
«Riguardo all’ultimo perfezionamento, osserveremo anzitutto che non si possa, per verità ammettere, che l’applicazione dello sportello, parte essenziale della chiusa, sia stata ritardata sino alla fine del secolo XV; i do­cumenti del resto, fanno risalire alla prima metà del secolo anche questo provvedimento. Infatti Leon Battista Alberti, nel suo trattato “De re aedificatoria”, pubblicato nel 1452, ma scritto qualche anno prima, perchè il Biondo lo cita già nel 1450, dopo aver descritto le cateratte, aggiunge «sed omnium comodissima erit valva que medio sui habeat fusum statutum ad perpendiculum, vertilibem. Fuso appingetur valva quadrungola ut pansa adsit: sed valvae istius brachia crunt non coaequalia, altero enim paullo erit retractior ad digitos usque ad tres. Nam fiet tunc quidem ut uno a puero reseretur ut rursum sponte claudatur vincente ponderibus latere proloxiore». Le quali parole, non solo descrivono esattamente il sistema dello sportello, ma danno le ragioni sulle quali si basava la disposizione del perno verticale o della lieve differenza delle due ali. Lo sportello non può quindi essere considerato come invenzione di Leonardo. Venendo ora agli altri due perfezionamenti ammessi dal Fumagalli, i quali, in fondo si riducono all’unico perfezionamento nella sostituzione dell’incastro alle due porte verticali che si chiudono ad angolo, si potrà osservare come, dai vari disegni di Leonardo, non si possa dedurre categoricamente che tale sostituzione gli si debba attribuire. La parola conca impiegata fin dal 1443 assieme alla parola incastro (vedi capitoli 25, giugno l443) potrebbe accennare, fin da quell’epoca ad una disposizione nuova, diversa da quella a saracinesca, già in uso. nel secolo precedente. Del resto, specialmente nel Codice Atlantico, vediamo dei disegni di chiuse, tanto a sistema di porte angolari, che a saracinesca, o sopra entrambe le disposizioni pare che Leonardo abbia studiato dei perfezionamenti: anzi nel disegno 333 del Codice Atlantico, la notevole differenza nella lunghezza delle ali dello sportello, contraria al principio che vedemmo così ben descritto dall’Alberti, fa supporre che il disegno sia semplicemente uno dei vari tentativi fatti dal Vinci per migliorare quelle disposizioni che egli doveva aver già trovato applicate nelle conche».
Nacque dunque la conca come organismo completo in Milano e nei dintorni milanesi ebbe le più note applicazioni, nei diversi tratti dei suoi Navigli, ma qui ancora ebbe successivi perfezionamenti. Alla conca ricordata come primogenita venne sostituita l’altra di Viarenna, laddove la si vede anche oggi a sostegno del Laghetto degli Olocati, che rispecchia nelle sue tranquille, e non sempre terse acque, la maestosa cupola della basilica di S. Lorenzo.
Se ne costruirono numerose altre per vincere dislivelli d’acque sempre modesti, compreso quelle delle Gabelle a Porta Nuova, e quella di S. Marco alle quali certo lavorò Leonardo.
Ma la costruzione del canale di Paderno, latistante all’Adda, ideato per superare colle barche le rapide del fiume tra Tre Corna e la Rocchetta, impose lo studio di conche per grandi dislivelli di pelo d’acqua, sommando il totale dislivello da vincere a 23,76 m.
Vi sopperì la geniale invenzione dell’ingegnere e pittore Giuseppe Meda colla nuova conca da lui stesso della “Castello” progettata per vincere il salto di 17,82 m con un’unica costruzione, quando certo la scienza delle costruzioni idrauliche non aveva raggiunto le possibilità odierne, rimanendo però in tutti i tempi simile concezione arditissima. Anche il Meda, in un primo tempo, cogli idraulici suoi contemporanei, non era del tutto favorevole ai salii straordinari, ritenendo più conveniente il suddividere il dislivello in parecchi, di altezza non superante 2,30 m circa, il massimo raggiunto colle procedenti costruzioni: sarebbe quindi occorso una scala di conche susseguentesi, temendosi dai più della stabilità della costruzione in causa del grande tormento delle sue strutture, per essere queste sempre scosse con maggior impeto, quanto è maggiore l’altezza di caduta di acqua, con pericolo per le barche nonchè per la difficoltà della manovra e conservazione dei portoni eccessivamente alti, sia per la tenuta che per la loro verticalità. La Conca o Castello del Meda si differenzia da una ordinaria conca a portine, per essere anzitutto il suo bacino diviso fra lo portine in due bacini separati da un diaframma di legno (il parapetto): un bacino piccolo verso monte in cui cadono le acque, che dove servire per usare la parola stessa del Meda «a mortificare la cascata et a defendere che nel dare acqua per empire detto Castello non bagni nè faccia alcun danno alle navi», ammorzandone la forza viva nel sottostante cuscino d’acqua: questo bacino è anche noto come camera dei vortici, pel tramestio violento delle acque.
Il bacino seguente e maggiore è dimensionato per contenere le barche maggiori che navigheranno sul canale. Il manufatto d’ingresso a monte aveva portine di forme consuetudinali, ma quello di uscita a valle invece era costituito da un robusto arcone in muratura, formante un’apertura appena sufficiente per il libero passaggio delle barche, munita di portoni come nelle conche piccole: sull’arco ne era costrutto il muro frontale del Castello atto a sostenere le acque, ed era collegato saldamente alle strutture laterali da una piattobanda, detta arco piatto, sporgente verso la facciata interna, all’infuori, fino a coprirvi lo spazio vuoto triangolare lasciato dai portoni rinchiusi ad angolo, o per dare loro sicuro appoggio.
Altra particolarità della Conca Castello, era il canale di soccorso, lungo bacino a gradinate, disposto parallelamente al bacino delle barche; il muro divisorio avrebbe dovuto contenere alcuni finestroni detti scaricatori, praticati a diverse altezze per ottenere in questo sostegno per salto straordinario il più pronto riempimento e svuotamento dell’acqua del bacino, in soccorso agli altri mezzi precedentemente adottati nelle conche.
Tanta genialità d’invenzione non doveva però essere coronata dal suc­cesso: il Castello costruito quasi nella totalità attraverso a vicissitudini continue, di uomini e di cose, non giunse a compimento, e quando già si stavano per armare le portine, fu definitivamente abbandonato e abbattuto, e in seguito furon venduti e dispersi i materiali, per cui a chi oggi percorre quel tratto di Naviglio non è dato ammirare l’opera superba che avrebbe travalicato i secoli, meravigliando: ma sopravvisse nel tempo il “Castello” nelle sue più geniali particolarità.
Il diaframma o parapetto, l’arcone ed il canale di soccorso vennero adottati largamente nei sostegni esistenti in tutto il mondo, sia pure colle modificazioni di dettaglio per lo svilupparsi della scienza delle costruzioni.
Gloria a Giuseppe Meda, a cui la geniale invenzione non apportò che infinite delusioni, e lunghi inenarrabili dolori morali: processato, infine, sotto l’imputazione di aver defraudata la città di Milano nei progetti e nelle costruzioni delle opere per la navigazione dell’Adda, per penosi malanni conseguenti alle sofferte prigionie, morì in miseria nell’agosto del 1599.
«Possa almeno la memoria del suo progetto per la navigazione dell’Adda farlo distinguere come ingegnere, in faccia alla più remota posterità. E possa la rimembranza della sua avversa sorte farlo annoverare fra quei molti italiani, che nei passati secoli hanno sacrificato alla pubblica utilità ed alla Patria, e ingegno e beni e vita!» così scrisse il Bruschetti, degnissimamente.
Avrebbe forse cercato il Meda col suo Castello di realizzare un ardimentoso concetto di Leonardo? Da studi e ricerche del Sen. Luca Beltrami, dalla sua pubblicazione “Leonardo da Vinci negli studi per la navigabi­lità dell’Adda, memoria letta all’Istituto Lombardo di Scienza e Lettere, illustrante alcuni disegni del Codice Atlantico, si dedurrebbe che Leonardo avesse avuto in mente l’opportunità e la possibilità di un canale nella località di Paderno; questo canale doveva far capo ad un pozzo, posto in comunicazione col corso inferiore dell’Adda, mediante una breve galleria scavata nella roccia; pozzo e galleria praticabili alle barche; la bocca della galleria doveva essere munita di saracinesca destinata a chiusa, a far risalire cioè le acque nel pozzo e ad elevare quindi i natanti fino al livello del superiore canale.
Ma al grande Meda dobbiamo ancora l’idea madre delle conche accollate, giacchè per temperare il grande salto di 18 m del suo Castello, progettò a valle del sostegno una seconda serie di porte da adoperarsi negli stati di magra del fiume e da porsi fuori uso durante le piene.
Se ne fece la prima applicazione concreta nella ricostruzione del Naviglio di Bereguardo, disponendovi ben undici sostegni, di cui uno con tre coppie di portine regolanti due salti intermedii, sostegno detto la Conca dell’Inferno: l’idea venne in seguito generalizzata altrove, col costruire i sostegni di otto e più ordini di portine ravvicinati ed accoppiati insieme con rispettivi salti intermedii.
Tulle le ricordate invenzioni trovarono la loro più brillante e più completa applicazione nel canale navigabile di Pavia, opera del principio del 1800, con una magnifica sede di quattordici conche per salti medii di circa 4 m, salti che l’idraulico francese Prouny, chiamato da Napoleone a riferire sul progetto redatto dal matematico Brunacci e dagli ingegner Ferranti Giussani e Angelo Giudici, italianissimi tutti, dichiarava, sarebbero giudicati in Francia troppo forti, proponendo di ridurre i salti alla metà e al terzo della progettata altezza, per non allontanarsi in ciò, dai precedenti sparsi nei libri e messi in pratica nei canali di Francia, per quanto fino dal secolo XVI la Conca dell’Inferno del Naviglio di Bereguardo fosse costrutta e funzionasse ottimamente; come oggi ancora funziona.
Che sia questa la sorte delle invenzioni italiane boicottate spesso dallo sciovinismo estero e francese in specie?
Voglio qui ricordare il manufatto, iniziatosi colla Conca di Porta Cairoli a Pavia, che fa discendere le barche nel Ticino, e la ammirabile serie di conche accollate ed accoppiate per un salto complessivo di quasi 23 m, aperte al traffico nella solenne cerimonia del 16 agosto 1819: altra delle date da iscriversi a lettere d’oro nella storia delle opere idrauliche d’Italia.
Con diverse modalità, si costruirono le 39 conche dei Navigli di Milano (14 pel Naviglio di Pavia, nessuna pel Naviglio Grande, 5 per la Fossa Interna, una per la Martesana, 7 pel Naviglio di Paderno, e 12 pel Naviglio di Bereguardo) conche con o senza canali scaricatori laterali, con o senza utilizzazione industriale della forza idraulica dei salti, conche note con nomi svariati, per lo più derivati dalle località dove esistono, alcune celebri nel mondo, come quella della Certosa, quella della Botanica (Pavia), quella di S. Marco col suo tetro Tombone, quella di Viarenna (Fossa Interna) delle Cascine dei Pomi (Martesana). di Morimondo e Fallavecchia (Naviglio di Bereguardo). altre rinomate per le dimensioni o per la difettosa costruzione (Conca Grande, Conca Fallata, Conchetta) ed altra, detta dell’Inferno sul Naviglio di Bereguardo, nome dovuto alla fantasia popolare dell’epoca in cui venne costrutta, ma tutte insieme costituenti il maggiore monumento ai loro ideatori e costruttori noti ed ignoti, famosi o denigrati, agli esecutori umili ma tenaci, ai martiri oscuri della idraulica italiana!
Per la rete di canali navigabili con natanti di 600 tonn. di portata utile, che la città di Milano iniziava fra il 1918 ed il 1922, e di cui è cenno in seguito, venne progettato un particolare tipo di sostegno, costituito da due conche complete, accoppiate parallelamente, conche gemelle, con modalità di alimentazione e di scarico, di manovra, di porte secondo gli ultimi dettami della scienza idraulica.


Angelo INGANNI, Naviglio di Porta Venezia (1850)
A. INGANNI, Naviglio dal ponte di San Marco (1834)
A. INGANNI, Naviglio di San Marco (1835)


Giuseppe ELENA, Piazza della Vetra (1833)





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