Giuseppe CANELLA, Naviglio dal ponte di San Marco (1834) |
Giuseppe CODARA. I Navigli di Milano. Passato, presente e futuro. Milano, La Famiglia Meneghina, 1927; pp. 67-77.
IV
Origine della conca
e sue trasformazioni successive
L’arte di costruire canali navigabili, sarebbe poco progredita nei
secoli se non fosse intervenuta l’invenzione della conca, di questo organismo
che consente colla regolazione della pendenza dei canali, la loro migliore navigabilità,
vincendo con salti in località opportune i forti dislivelli del terreno,
trasformando, cioè un canale a pendenza continua, quale si addice bene per
condurre acque di irrigazione e di forza motrice, in un canale a gradinata,
ogni gradino del quale è precisamente una conca, cioè un bacino di limitate
dimensioni, compreso fra due chiuse mobili successive, dove è possibile il far
salire e scendere il livello delle acque e con esse i galleggianti che vi si
trovano. La conca, siccome la vediamo anche oggi giorno, dopo quasi cinquecento
anni, venne perfezionata, s’intende, nelle successive applicazioni che, gli
italiani prima e tutti i popoli civili poi, a cominciare dagli Olandesi, ne
fecero per grandi e piccoli canali di navigazione, migliorandola nei diversi
dettagli costruttivi, di alimentazione, di scarico, di manovra delle porte, ma
lasciando inalterati nei tempi, le strutture caratteristiche, quelle fissate
per la prima volta da Filippo degli Organi, da Fioravante da Bologna, ai quali
oramai va riconosciuta la paternità, già attribuita ad incogniti e superbi geni
stranieri, contestata agli italiani, more solito, trattandosi di una di quelle
invenzioni che veramente sono le pietre migliari del progresso umano.
Non sorprenda
dunque, se anche fra gli italiani, l’invenzione venne attribuita al genio di
Leonardo da Vinci.
Luca Beltrami,
ragionando dell’influenza attribuita a quel genio nel progresso dell’idraulica
nel XV secolo scrive che «pur
avviene anche oggi dì, che l’opinione popolare, ribelle a qualsiasi limite che
si tenti imporre al genio di Leonardo si compiaccia di attribuire a questo l’invenzione
delle conche ed una gran parte dei lavori della Martesana».
Da un dotto e
persuadente suo scritto tolgo quanto riguarda l’invenzione delle conche non potendosi
più sinteticamente e limpidamente discorrerne; molte invenzioni nacquero come
questa dalle necessità di sopperire a bisogni o a difficoltà contingenti e
naturali, od alla necessità di semplificare manovre faticose, o che disturbano,
ad altri interessi, cosicchè anche nelle opere idrauliche compiute in Lombardia
dal secolo XII al XIV si determinarono perfezionamenti e
disposizioni particolari.
«I vantaggi che
si sarebbero ottenuti da una comunicazione diretta fra il Verbano e il cuore
della città specialmente per riguardo alla Fabbrica del Duomo, che dal Verbano
riceveva i suoi marmi, suggerirono, sulla fine del XIV secolo, di collegare il Naviglio Grande col fossato, che
circuiva la città; ma per poter offrire alle barche il mezzo di superare la
difficoltà del dislivello che si verifica fra il Laghetto o Darsena del
Naviglio Grande a S. Eustorgio, e il Laghetto del fossato detto di S. Stefano,
dislivello di circa braccia 5, si doveva ricorrere ai provvedimenti di
aumentare la portata del canale di congiunzione, sospendendo ad ore determinale
tutte le estrazioni d’acqua, e di innalzare artificialmente il pelo d’acqua in
quella tratta di canale col mezzo di una chiusa temporanea al suo sbocco».
«Mediante tali
provvedimenti, i materiali della Fabbrica del Duomo, che nel 1387, venivano
consegnati al ponte della Catena, nel 1395 potevano arrivare per navigatium novum ad lagetum Sancti
Stefani in Brolio Mediolani».
La chiusa era ad
incastro, come risulta dalla nota della spesa, «pro ferratis et incastro et riparatione gorghi suprascritti incastri».
«L’artifizio
della chiusa però oltre alle necessità di sospendere le estrazioni d’acqua» il
che suscitava i reclami degli utenti, e segnatamente dei monaci di S. Celso e
di Chiaravalle, «richiedeva un periodo piuttosto lungo di tempo, con grave
discomodo del transito privato, per il quale veniva sempre più necessaria la rapidità
di servizio: questi inconvenienti condussero quindi al provvedimento di
limitare le variazioni di livello mediante due chiuse, a quella tratta di
canale che fosse strettamente sufficiente a contenere le barche che compivano
il servizio di transito. Erano queste le chiuse «pro facendo crescere et decrescere acquam» che fin dal tempo dei Visconti
vennero chiamate conche «acquis altiora
scadentibus machinarum arte quas conchas appellant» come riferisce il
Decembrio: e che vi fosse più di una conca, nel tratto di canale, o navigagium novum, di collegamento fra il
Naviglio Grande e la fossa della città, risulta da un documento del 1445 il
quale accenna ad una conca inferior navigii
ducalis noviter costructi».
La descrizione di
questo sistema di conche accoppiate la troviamo a quest’epoca, e cioè nel 1447,
fatta dall’architetto militare Francesco di Giorgio Martino, nel codice
membranaceo Saluzziano, a fol. 45 assieme al disegno di questi sostegni. Vi si
legge: «Ecchosj per tutto la longhezza del fiume chon dette porti, le sue
altezze partirai inele quali el Navili ho barcha hentrando serrato la porta,
per lacqua venente el navilio alzando subito si heleverà di poi drento a la sichonda
porta hentrare potrà. Esserato quella per lo simile modo si heleverà. Ecchosj
dall’una all’altra porta di mano in mano el navilio dove desideri chondur
porrai».
«Leonardo da Vinci,
non era ancor nato e già il principio altrettanto semplice quanto ingegnoso
delle conche era applicato, descritto, illustrato. Restano a vedere quali siano
i perfezionamenti che Leonardo vi può avere introdotto. Il Fumagalli nel Tomo II
delle sue “Antichità Longobarde”, attribuisce a Leonardo tre perfezionamenti: l’aver
fatto i portoni, la disposizione ad angolo di questi, e gli sportelli aperti
nei portoni per il deflusso d’acqua. In poche parole gli attribuisce l’invenzione
di tutto il sistema».
«Riguardo all’ultimo
perfezionamento, osserveremo anzitutto che non si possa, per verità ammettere,
che l’applicazione dello sportello, parte essenziale della chiusa, sia stata ritardata
sino alla fine del secolo XV; i documenti
del resto, fanno risalire alla prima metà del secolo anche questo
provvedimento. Infatti Leon Battista Alberti, nel suo trattato “De re aedificatoria”, pubblicato nel 1452,
ma scritto qualche anno prima, perchè il Biondo lo cita già nel 1450, dopo aver
descritto le cateratte, aggiunge «sed omnium
comodissima erit valva que medio sui habeat fusum statutum ad perpendiculum,
vertilibem. Fuso appingetur valva quadrungola ut pansa adsit: sed valvae istius
brachia crunt non coaequalia, altero enim paullo erit retractior ad digitos usque
ad tres. Nam fiet tunc quidem ut uno a puero reseretur ut rursum sponte
claudatur vincente ponderibus latere proloxiore». Le quali parole, non
solo descrivono esattamente il sistema dello sportello, ma danno le ragioni
sulle quali si basava la disposizione del perno verticale o della lieve differenza
delle due ali. Lo sportello non può quindi essere considerato come invenzione di
Leonardo. Venendo ora agli altri due perfezionamenti ammessi dal Fumagalli, i
quali, in fondo si riducono all’unico perfezionamento nella sostituzione
dell’incastro alle due porte verticali che si chiudono ad angolo, si potrà
osservare come, dai vari disegni di Leonardo, non si possa dedurre
categoricamente che tale sostituzione gli si debba attribuire. La parola conca
impiegata fin dal 1443 assieme alla parola incastro (vedi capitoli 25, giugno
l443) potrebbe accennare, fin da quell’epoca ad una disposizione nuova, diversa
da quella a saracinesca, già in uso. nel secolo precedente. Del resto, specialmente
nel Codice Atlantico, vediamo dei disegni di chiuse, tanto a sistema di porte
angolari, che a saracinesca, o sopra entrambe le disposizioni pare che Leonardo
abbia studiato dei perfezionamenti: anzi nel disegno 333 del Codice Atlantico,
la notevole differenza nella lunghezza delle ali dello sportello, contraria al
principio che vedemmo così ben descritto dall’Alberti, fa supporre che il
disegno sia semplicemente uno dei vari tentativi fatti dal Vinci per migliorare
quelle disposizioni che egli doveva aver già trovato applicate nelle conche».
Nacque dunque la
conca come organismo completo in Milano e nei dintorni milanesi ebbe le più note
applicazioni, nei diversi tratti dei suoi Navigli, ma qui ancora ebbe
successivi perfezionamenti. Alla conca ricordata come primogenita venne
sostituita l’altra di Viarenna, laddove la si vede anche oggi a sostegno del
Laghetto degli Olocati, che rispecchia nelle sue tranquille, e non sempre terse
acque, la maestosa cupola della basilica di S. Lorenzo.
Se ne costruirono
numerose altre per vincere dislivelli d’acque sempre modesti, compreso quelle
delle Gabelle a Porta Nuova, e quella di S. Marco alle quali certo lavorò
Leonardo.
Ma la costruzione
del canale di Paderno, latistante all’Adda, ideato per superare colle barche le
rapide del fiume tra Tre Corna e la Rocchetta, impose lo studio di conche per
grandi dislivelli di pelo d’acqua, sommando il totale dislivello da vincere a
23,76 m.
Vi sopperì la
geniale invenzione dell’ingegnere e pittore Giuseppe Meda colla nuova conca da
lui stesso della “Castello” progettata per vincere il salto di 17,82 m con un’unica
costruzione, quando certo la scienza delle costruzioni idrauliche non aveva
raggiunto le possibilità odierne, rimanendo però in tutti i tempi simile
concezione arditissima. Anche il Meda, in un primo tempo, cogli idraulici suoi
contemporanei, non era del tutto favorevole ai salii straordinari, ritenendo
più conveniente il suddividere il dislivello in parecchi, di altezza non superante
2,30 m circa, il massimo raggiunto colle procedenti costruzioni: sarebbe quindi
occorso una scala di conche susseguentesi, temendosi dai più della stabilità
della costruzione in causa del grande tormento delle sue strutture, per essere
queste sempre scosse con maggior impeto, quanto è maggiore l’altezza di caduta
di acqua, con pericolo per le barche nonchè per la difficoltà della manovra e
conservazione dei portoni eccessivamente alti, sia per la tenuta che per la loro
verticalità. La Conca o Castello del Meda si differenzia da una ordinaria conca
a portine, per essere anzitutto il suo bacino diviso fra lo portine in due
bacini separati da un diaframma di legno (il parapetto): un bacino piccolo
verso monte in cui cadono le acque, che dove servire per usare la parola stessa
del Meda «a mortificare la cascata et a defendere che nel dare acqua per
empire detto Castello non bagni nè faccia alcun danno alle navi», ammorzandone
la forza viva nel sottostante cuscino d’acqua: questo bacino è anche noto come
camera dei vortici, pel tramestio violento delle acque.
Il bacino
seguente e maggiore è dimensionato per contenere le barche maggiori che
navigheranno sul canale. Il manufatto d’ingresso a monte aveva portine di forme
consuetudinali, ma quello di uscita a valle invece era costituito da un robusto
arcone in muratura, formante un’apertura appena sufficiente per il libero
passaggio delle barche, munita di portoni come nelle conche piccole: sull’arco
ne era costrutto il muro frontale del Castello atto a sostenere le acque, ed
era collegato saldamente alle strutture laterali da una piattobanda, detta arco
piatto, sporgente verso la facciata interna, all’infuori, fino a coprirvi lo
spazio vuoto triangolare lasciato dai portoni rinchiusi ad angolo, o per dare
loro sicuro appoggio.
Altra particolarità
della Conca Castello, era il canale di soccorso, lungo bacino a gradinate, disposto
parallelamente al bacino delle barche; il muro divisorio avrebbe dovuto
contenere alcuni finestroni detti scaricatori, praticati a diverse altezze per
ottenere in questo sostegno per salto straordinario il più pronto riempimento e
svuotamento dell’acqua del bacino, in soccorso agli altri mezzi precedentemente
adottati nelle conche.
Tanta genialità d’invenzione
non doveva però essere coronata dal successo: il Castello costruito quasi
nella totalità attraverso a vicissitudini continue, di uomini e di cose, non
giunse a compimento, e quando già si stavano per armare le portine, fu
definitivamente abbandonato e abbattuto, e in seguito furon venduti e dispersi
i materiali, per cui a chi oggi percorre quel tratto di Naviglio non è dato ammirare
l’opera superba che avrebbe travalicato i secoli, meravigliando: ma sopravvisse
nel tempo il “Castello” nelle sue più geniali particolarità.
Il diaframma o
parapetto, l’arcone ed il canale di soccorso vennero adottati largamente nei
sostegni esistenti in tutto il mondo, sia pure colle modificazioni di dettaglio
per lo svilupparsi della scienza delle costruzioni.
Gloria a Giuseppe
Meda, a cui la geniale invenzione non apportò che infinite delusioni, e lunghi
inenarrabili dolori morali: processato, infine, sotto l’imputazione di aver defraudata
la città di Milano nei progetti e nelle costruzioni delle opere per la navigazione
dell’Adda, per penosi malanni conseguenti alle sofferte prigionie, morì in
miseria nell’agosto del 1599.
«Possa almeno la
memoria del suo progetto per la navigazione dell’Adda farlo distinguere come
ingegnere, in faccia alla più remota posterità. E possa la rimembranza della
sua avversa sorte farlo annoverare fra quei molti italiani, che nei passati
secoli hanno sacrificato alla pubblica utilità ed alla Patria, e ingegno e beni
e vita!» così scrisse il Bruschetti, degnissimamente.
Avrebbe forse
cercato il Meda col suo Castello di realizzare un ardimentoso concetto di
Leonardo? Da studi e ricerche del Sen. Luca Beltrami, dalla sua pubblicazione “Leonardo
da Vinci negli studi per la navigabilità dell’Adda, memoria letta all’Istituto
Lombardo di Scienza e Lettere, illustrante alcuni disegni del Codice Atlantico,
si dedurrebbe che Leonardo avesse avuto in mente l’opportunità e la possibilità
di un canale nella località di Paderno; questo canale doveva far capo ad un
pozzo, posto in comunicazione col corso inferiore dell’Adda, mediante una breve
galleria scavata nella roccia; pozzo e galleria praticabili alle barche; la bocca
della galleria doveva essere munita di saracinesca destinata a chiusa, a far
risalire cioè le acque nel pozzo e ad elevare quindi i natanti fino al livello
del superiore canale.
Ma al grande Meda
dobbiamo ancora l’idea madre delle conche accollate, giacchè per temperare il
grande salto di 18 m del suo Castello, progettò a valle del sostegno una seconda
serie di porte da adoperarsi negli stati di magra del fiume e da porsi fuori
uso durante le piene.
Se ne fece la
prima applicazione concreta nella ricostruzione del Naviglio di Bereguardo,
disponendovi ben undici sostegni, di cui uno con tre coppie di portine regolanti
due salti intermedii, sostegno detto la Conca dell’Inferno: l’idea venne in
seguito generalizzata altrove, col costruire i sostegni di otto e più ordini di
portine ravvicinati ed accoppiati insieme con rispettivi salti intermedii.
Tulle le ricordate
invenzioni trovarono la loro più brillante e più completa applicazione nel
canale navigabile di Pavia, opera del principio del 1800, con una magnifica
sede di quattordici conche per salti medii di circa 4 m, salti che l’idraulico
francese Prouny, chiamato da Napoleone a riferire sul progetto redatto dal
matematico Brunacci e dagli ingegner Ferranti Giussani e Angelo Giudici, italianissimi
tutti, dichiarava, sarebbero giudicati in Francia troppo forti, proponendo di
ridurre i salti alla metà e al terzo della progettata altezza, per non allontanarsi
in ciò, dai precedenti sparsi nei libri e messi in pratica nei canali di Francia,
per quanto fino dal secolo XVI la
Conca dell’Inferno del Naviglio di Bereguardo fosse costrutta e funzionasse
ottimamente; come oggi ancora funziona.
Che sia questa la
sorte delle invenzioni italiane boicottate spesso dallo sciovinismo estero e francese
in specie?
Voglio qui
ricordare il manufatto, iniziatosi colla Conca di Porta Cairoli a Pavia, che fa
discendere le barche nel Ticino, e la ammirabile serie di conche accollate ed
accoppiate per un salto complessivo di quasi 23 m, aperte al traffico nella
solenne cerimonia del 16 agosto 1819: altra delle date da iscriversi a lettere
d’oro nella storia delle opere idrauliche d’Italia.
Con diverse
modalità, si costruirono le 39 conche dei Navigli di Milano (14 pel Naviglio di
Pavia, nessuna pel Naviglio Grande, 5 per la Fossa Interna, una per la
Martesana, 7 pel Naviglio di Paderno, e 12 pel Naviglio di Bereguardo) conche
con o senza canali scaricatori laterali, con o senza utilizzazione industriale
della forza idraulica dei salti, conche note con nomi svariati, per lo più
derivati dalle località dove esistono, alcune celebri nel mondo, come quella
della Certosa, quella della Botanica (Pavia), quella di S. Marco col suo tetro
Tombone, quella di Viarenna (Fossa Interna) delle Cascine dei Pomi (Martesana).
di Morimondo e Fallavecchia (Naviglio di Bereguardo). altre rinomate per le
dimensioni o per la difettosa costruzione (Conca Grande, Conca Fallata,
Conchetta) ed altra, detta dell’Inferno sul Naviglio di Bereguardo, nome dovuto
alla fantasia popolare dell’epoca in cui venne costrutta, ma tutte insieme
costituenti il maggiore monumento ai loro ideatori e costruttori noti ed
ignoti, famosi o denigrati, agli esecutori umili ma tenaci, ai martiri oscuri
della idraulica italiana!
Per la rete di
canali navigabili con natanti di 600 tonn. di portata utile, che la città di
Milano iniziava fra il 1918 ed il 1922, e di cui è cenno in seguito, venne
progettato un particolare tipo di sostegno, costituito da due conche complete,
accoppiate parallelamente, conche gemelle, con modalità di alimentazione e di
scarico, di manovra, di porte secondo gli ultimi dettami della scienza
idraulica.
Angelo INGANNI, Naviglio di Porta Venezia (1850) |
A. INGANNI, Naviglio dal ponte di San Marco (1834) |
A. INGANNI, Naviglio di San Marco (1835) |
Giuseppe ELENA, Piazza della Vetra (1833) |
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