mercoledì 1 ottobre 2014

1858 - DOZIO. Notizie di Brivio e sua Pieve



NOVATE.

Novate è un piccolo paesello, nel quale al 1597 contavansi in tutto 120 anime: da prima fu membro della parochia di Merate, poi da quella separato e fatto parochia da sè sullo scorcio del secolo decimosesto. La sua chiesa è di antica data, ed avea a sè d’intorno il cimitero, come tutte l’altre anche de’ piccoli villaggi, siccome è ricordato ad ogni tratto negli Atti dette visite. Gottofredo accenna di più una chiesa di s. Michele de Platio in loco Novate; ma siccome nessun documento, nessun’altra memoria la ricorda, così io sospetto che Gottofredo siasi ingannato, mal leggendo su qualche carta e supponendo a Novate una chiesa che era piuttosto a Pianezzo, similmente in pieve di Brivio; dovendosi, credo, leggere Ecclesia s. Michaelis de Planetio.
Da questo villaggio assunse il cognome, verso il secolo decimo terzo, la illustre e ricca famiglia dei Novati o Medici di Novate, la quale ebbe ville e poderi a Merate, Vizzago, Pagnano, Robiate e Verderio: e forse in antico fu un suo castello nel sito della chiesa, or parochiale di santo Stefano a Novate.
Il Fagnani, ne’ suoi preziosi manoscritti sulle illustri Famiglie milanesi,[1] mostra di credere una stessa e sola famiglia i Novati ed i Medici di Novate: e l’erudito ed accurato padre Affò crede derivati così i Medici di Novate come i Medici di Seregno dagli antichi Medici di Milano: nobilissimo casato, cui resero illustre parecchi ragguardevoli personaggi, fra i quali mi basta accennare un Lotario, console milanese con Guido Landriani e Pinamonte Vimercati alla dieta di Costanza a’ tempi di Federico Barbarossa; il beato Orlando, vissuto santamente in austere penitenze nel secolo decimo quarto, il cui corpo è venerato in Busseto;[2] quel Giovanni Angelo, che fu poi papa Pio IV, zio di s. Carlo; ed il celebre Gian Giacomo, fratello di quel papa, arditissimo capitano, signore del castello di Musso, poi marchese di Melegnano.
Ai Novati o Medici di Novate vogliono appartenesse quel Bertòla da Nouà o Novati, abilissimo architetto a’ tempi dei duchi Sforza Francesco I e Galeazzo Maria, che con molto ingegno ideò e diresse i lavori del Naviglio Martesana verso l’anno 1457.[3] Vero è però che altri lo crede nato a Novate, terra presso al piano di Chiavenna nell’episcopato comense.[4] Che che ne sia del luogo di sua nascita, egli fu uomo di singolari talenti nell’arte sua. Già nel novembre del 1448, dopo morto il duca Filippo Maria Visconti, i capitani e difensori della libertà milanese aveano a lui affidata la costruzione di un carroccio, avuto riguardo al suo ingegno ed esperienza in simili lavori. Ma fu nella costruzione del Naviglio di Martesana che il Novati spiegò la gran potenza del suo ingegno. È un errore di quasi tutti gli Scrittori, massime oltramontani, che questo Naviglio fosse opera di Leonardo da Vinci ai tempi di Luigi XII e Francesco I di Francia: fu invece costrutto per la tratta di venti miglia verso il 1460 sotto il duca Francesco Sforza, come attesta Pietro Candido Decembrio da Vigevano nella vita di quel Duca, finita di scrivere nel 1462:[5] fu derivato dall’Adda sotto Concesa, e s’è condotto dall’incile all’ingiù per cinque miglia sopra una costa tagliata in diversi luoghi nel sasso, e si è dovuto sostenere con muraglioni di grossi macigni fino all’altezza di 40 e più braccia sopra il fondo dell’Adda, che gli scorre a lato con una caduta precipitosa: talchè a tutti quelli, che dal fondo della valle, per dove giù precipita l’Adda fra mezzo a dirupi, alzano all’insù gli occhi a questo Naviglio, fa meraviglia lo spettacolo delle barche decorrenti quasi sul ciglio dei colli, tirate da cavalli su per quelle alte arginature. Una costruzione così fatta è delle più ardite che si veggano in ogn’altro paese. - Ma io parlerò distesamente di questo Naviglio, se mi avvenga d’essere incoraggiato a publicare le Notizie di Pontirolo e Trezzo.
[…]

PADERNO.

[…] Poco sotto a Paderno, per calare al Naviglio, è una chiesuola de’ morti dedicata ai santi Rocco ed Elisabetta. Qui in lontani tempi fu il lazzaretto del Comune, dove raccoglievansi gli appestati, ed era una landa boschiva e deserta, cui cresceva mestizia il melanconico rumore dell’Adda volgente le sue onde fra i dirupi. La mano dell’uomo ha poi disboscato in parte que’ luoghi, ora lieti ed aperti per una comoda via che giù conduce al Naviglio, dove, se il naturalista avrà di che dilettarsi, studiando i massi tagliati e gli strati di pietra arenaria nella valle di Paderno,[6] più assai avrà a meditare ed ammirare in quel Canale gli ardimenti dell’ingegno italiano chiunque abbia anima colta e gentile.

IL NAVIGLIO DI PADERNO
ALLA ONORANDA MEMORIA
DI GIVSEPPE MEDA
INSIGNE ARCHITETTO MILANESE
DEL CVI FECONDO ED ARDITO INGEGNO
DEGNO DI TEMPI MIGLIORI
SE PERIRONO LE OPERE PIV PRECLARE
VIVE NEI POSTERI
NON PERITVRA L’AMMIRAZIONE.

1. Il Naviglio di Paderno è certo da annoverare fra le grandi opere che onorano l’ingegno, il coraggio e la perseveranza degli Italiani. Iniziato nel 1520 sotto il governo di Francia, compiuto nel 1777 sotto il governo d’Austria, chè così vollero i nostri fati, fu però pensiero ed opera nostra, fu intrapreso, proseguito e compiuto con mente e mano e denaro italiano.
Chi visita a diporto le felici e ridenti terre della Brianza abduana, o vi soggiorna nell’autunno, suol recarsi a vedere quest’opera insigne. E il diletto è maggiore in chi ne conosce un po’ la storia di due secoli e mezzo, narrata o piuttosto accennata in più libri, ed ha più vivo il senso del bello e dell’austero di natura, domata, ingentilita e avvivata dall’arte. È una solitaria passeggiata di quasi due miglia, fra i tranquilli silenzii d’una valle boscosa, ma ricreata ad ogni tratto, ora dall’iride che a sole splendente sorge nell’acquoso polverio delle onde riversantisi, gagliarde e spumanti, per gli scaricatori nell’Adda; ora dall’aspetto severo dei massi arenarii, altri in piè, altri orizzontali, intagliati dall’industria dell’uomo, fra i quali defluisce placida e indocilita l’onda del canale, ed ora dagli avanzi delle opere del Meda e d’altri ingegneri, che, impresse in que’ massi, attestano ancora un lavoro interrotto e ripreso più volte.
È per ciò che io pure ho voluto, dopo altri e dopo molta diligenza di studii su questo argomento, scriverne un breve ragguaglio, il qual rechi un qualche interesse a questo mio libro delle Pievi.
2. Ma innanzi tutto, perchè il lettore conosca meglio que’ luoghi e quelle scene pittoresche, debbo dargliene qualche contezza.
Il primo tronco del Naviglio di contro al sasso di s. Michele, fu da poi cavato nel masso; ma dove in giù si stende dalle tre corna fino allo sbocco, era, prima del 1520, una stretta valle solinga e melanconica fra dirupi e coste boschive, detta prima di Paderno, poi più in giù della Rocchetta: perocchè la sua distesa tocca a due territorii, a quel di Paderno, indi a quello di Porto e Cornate.
Il sasso di s. Michele è un grosso scoglio, che sporge alquanto nell’Adda, alla sponda bergamasca: è detto di s. Michele perchè poco sopra quello scoglio, su un ripiano del monte, sorgeva in andati tempi una chiesuola dedicata a quell’Arcangelo, al quale la pietà del medio evo, più sovente che in castelli e monasteri, su pei monti eresse chiese in memoria dell’apparizion sua sul monte Gargano: ora v’ha solo una piccola capelletta.
I tre corni sono tre scogli, ritti in piè l’un presso l’altro, a guisa di corno o di guglia, lambiti dall’Adda.
All’ingiù del Naviglio, anzi presso al suo sbocco nell’Adda, sorge tra quello e questa il colle della Rocchetta. Di questa Rocchetta, alla quale era prossimo un castelletto ricordato distintamente in più scritture, vedonsi ancora sul vertice alcuni avanzi. Ed io ho per credibile, che un qualche signore longobardo o franco, in questo sito deserto ma forte alle difese, facesse rizzar quel castello ne’ tempi attorno al mille, e pel culto religioso facesse erigere l’oratorio dedicato all’Annunciata, la cui festa è di pratica antichissima come appare dai più vecchi codici della Liturgia.
Ai piè di quel colle della Rocchetta, a levante, in riva all’Adda era nel secolo decimosesto il Mulino del Travaglia, del quale è cenno nelle carte d’allora ed anco nelle Note di Leonardo da Vinci, delle quali parlerò più avanti in una nota.
Ai piè di quel poggio istesso, a ponente, nel fondo della valletta (dove ora è la conca delle fontane, ed ivi presso un alto tino o pozzo di legno, sporgente sopra il pelo dell’acqua del Naviglio, con acqua pura zampillante nel fondo da fessure della roccia) era un laghetto, formato appunto da quell’acque sorgenti. E poco in giù da quel medesimo monticello della rocchetta, sopra un piccol piano a destra dell’Adda era un’antichissima chiesa di s. Giovanni, abbandonata e cadente, giesa rotta, nel 1519.
Quel castellotto signorile, di cui verosimilmente era parte la rocchetta, posto in luogo così ermo e lontano dall’umano consorzio, fu poi abbandonato, e, non essendo riparato, andò grado grado in ruina. Ma, rimasta in piè la chiesuola con accanto alcune stanze della ròcca, in quelle, come avveniva di frequente nel medio evo, si annidarono l’un dopo l’altro alcuni Romiti, guardiani della chiesa, viventi di limosine, e, ad averle più facili, predicatori all’intorno di grazie e miracoli operati colà, visitati sovente da divoti, e, per uno strano contrasto, anche da banditi ed assassini, soliti accovacciarsi a nascondiglio in luoghi deserti e boscosi al confine: chè confine fu qui l’Adda, dal 1428 fino al cadere del passato secolo, tra il ducato di Milano e lo stato Veneto. Ai romiti, non so come nè quando, successero poi i Frati agostiniani di s. Marco a Milano nella custodia della chiesa della Rocchetta, i quai tenevano a Porto un di loro a sopraintendere alle possessioni del convento in quel territorio: ma la chiesuola dell’Annunciata non essendo a lungo curata, nel 1568 era divenuta in pessimo stato e senza paramenti: sicchè s. Carlo, coi pieni poteri di Visitatore apostolico, espulse di là quel frate rimandandolo al proprio convento, e nel 1570, salvi agli agostiniani i loro poderi, unì in perpetuo i luoghi di Porto e della Rocchetta alla parochia di Cornate: allora quei terrieri ristorarono la cadente chiesa dell’Annunciata.[7] Ciò basti di que’ luoghi al lettore, e forse per ispirazione di qualche bel capitolo ad un romanziere ricco di fantasia e d’ingegno.
3. Nel luglio del 1516 Francesco I re di Francia e duca di Milano, annuendo ai desiderii ed alle istanze di questa città di avere un terzo Naviglio, le rilasciò in dono l’annuo reddito di diecimila ducati d’oro sopra il Dazio della macina a condizione che dessa ne spendesse ogn’anno cinque mila nella costruzione del medesimo, dove fosse più opportuno, dopo i due del Ticino e della Martesana già prima costrutti: pensiero onesto e sapiente, se non al tutto generoso, in principe forastiero, e che rare volte fu imitato da poi, convertire in nostro prò almeno parte del nostro denaro.
Fu adunque ordinata una visita di tutto l’alto milanese, una livellazione generale ed un maturo esame di tutto ciò che poteva proporsi a fine di condurre un canale, comodo e facile, da qualcuno dei laghi superiori fino alla città. Qui è da leggere il curioso ed istruttivo libretto del Pagnani,[8] che, come buon matematico ed idraulico, intervenne a quelle visite e ci ha conservati i più minuti particolari de’ luoghi esplorati e delle misure prese a base del miglior progetto da valenti ingegneri di quel tempo: ed è insieme da ricordare che allora in Milano era un’eletta schiera d’uomini abilissimi nelle arti del disegno, stati allievi e discepoli del nostro Zenale da Treviglio, dei due Bramanti, l’un da Milano e l’altro da Urbino, oltre il Suardi o Bramantino, e, più che tutti, del grandissimo Leonardo da Vinci: i lavori del pari ammirabili dei nostri Navigli intervenivano allora a completare le opere e gli ardimenti dell’ingegno italiano, che qui già splendeva di bella luce nei molti edificii bramanteschi e nella vasta e stupenda mole del duomo.
Quegli studii adunque e quelle livellazioni furono allora fatte intorno ai laghi di Civate, di Sala e di Pusiano, alle tre-corna a Paderno, al Lambro ed alla Stresa, indi intorno ai laghi di Lugano e di Como, per veder di condurne l’acque nei letti dell’Olona o della Lura o del Seveso o della Molgora. A capo di que’ lavori erano Benedetto Missaglia e Bartolomeo della Valle, i quali in ciò consumarono il novembre e il dicembre del 1516 e buona parte del seguente.
Fra i progetti presi in esame fu pur quello di vedere se fosse possibile derivar dall’Adda un canale tra Brivio ed Airuno, precisamente conducendolo a ritroso della Bevera, non però sotto Calco, ma sibbene presso alla Canòva: ma trovaronla cosa impossibile, perchè dal pelo dell’Adda dove sbocca la Bevera, alla sommità della costa di Porchera è un ascendere di 162 braccia milanesi.[9] Si recarono anche a Brivio per simile esplorazione, ma avendo qui udito dagli abitanti, che già pochi anni prima, cioè a tempi di Lodovico il Moro, s’erano fatti studii e livellazioni allo scopo di aprirvi un Naviglio fino a Porto da un Giuliano Guasconi e da altri architetti,[10] e che le scritture e i lavori fatti si troverebbero a Milano, il Missaglia e il Della Valle coi colleghi senz’altro partirono tosto per colà, dove giunti e cercate con molta diligenza quelle scritture, non le trovarono.[11]
4. S’era intanto anche proposto dalla Città un premio di duecento ducati a chi suggerisse modo agevole e sicuro di derivar l’acque del lago di Como in ogni altro sito che a Brivio o in quelle vicinanze: ma nessuno comparve. Tornaron dunque a Paderno il Missaglia e Bartolomeo Della Valle nell’agosto del 1517, e fatte acconcie livellazioni alle tre-corna e nella valle della Rocchetta, decisero esser unico e savio spediente il cavar qui un canale parallelo all’Adda per la tratta di quasi due miglia, essendo qui l’alveo del fiume così irregolare, rapido e sparso di grossi scogli, che non si arriverebbe mai cogli ajuti ordinarii a renderlo navigabile. Con questo nuovo tronco di canale la navigazione dell’Adda, continuata poi pel Naviglio di Martesana, sarebbe libera e sicura dalla Valtellina e dalle grosse terre lariensi ed abduane a Milano.
Accettato un tal progetto dalla Città, il Missaglia, che n’era il principal autore, tornò ancora sotto Paderno nel 1519 con un Ambrogio Della Valle ed un Giovanni Lombardo de’ Patriarchi di Argeno architetto e pittore[12] ed altri periti: e qui, dopo aver ripetute a grande diligenza le livellazioni e meditato e discusso di nuovo sul difficile argomento, convennero nelle idee del Missaglia, di cominciare il canale quasi dicontro al sasso di s. Michele in una sezione larga dell’Adda, praticando obliquamente una chiusa di derivazione avente capo a quel masso, e di condurlo lunghesso la valle di Paderno e della Rocchetta fino all’esito della medesima, costruendo dieci conche di piccolo salto ad adeguare la rapida discesa del fiume, che in quella tratta sommava a 46 braccia milanesi. Un tal progetto era savio e sicuro, a giudicarne ora dal suo compimento, ma di lunga e dispendiosa esecuzione, massime perchè il primo tronco doveasi cavare nel vivo scoglio.
5. Si è allora (1520) messa mano all’opera, e fu eseguito lo sperone dei francesi, così detto, perchè fatto al tempo del governo loro: del qual lavoro così scrive il Frisi: «Allora non si fece altro che incominciare una specie di molo o chiusa, tirata obliquamente nell’Adda sotto al sasso di s. Michele per la lunghezza di circa 200 braccia e all’altezza di braccia 4 sopra il pelo basso».[13]
Ma a troncare ne’ suoi principii la grand’opera intervenne subito nel 1521 la guerra tra Francesco I e Carlo V, promossa da Leone X, con intendimento italiano, per rimettere in trono gli Sforza. Più anni durò la lotta fra i due contendenti, che dilaniarono con luride e ladre soldatesche le infelici terre del milanese. Di qui, oltre alla peste del 1524 ed alla non meno micidiale carestia del seguente, venne una lunga penuria di denaro ed una miseria del vivere, che han forse un solo riscontro nella storia dolorosa del pur sempre emunto Ducato. Non fu dunque per quel corso d’anni possibile il por mano ad opere dispendiose.
6. Solo al 1557 si ripigliò il pensiero del Naviglio. E fu a quei tempi (1562) che si fe’ innanzi certo Giovan Francesco Rizzi, nato nel territorio di Lecco e monaco olivetano a Civate, perito nelle matematiche e di spiriti audaci e intraprendenti, quali sogliono essere i progettisti. Era suo intendimento render navigabile e sicuro da pericoli il fiume dalle tre corna in giù, con tagliarvi gli scogli che fossero d’impedimento, costruire due grandi chiuse, l’una alle tre corna e l’altra alla molgorena per alzar l’acque ed annegare altri scogli sorgenti dal fondo, e praticare alcune conche per certe vallette contigue al fiume.[14] Ebbe dal Pescara governatore di Milano approvazione e privilegi al suo progetto nel 1563, ma poi non pose mano all’impresa: credo, per ciò, che nessuno abbia voluto prestar denaro a quel monaco.
Si fe’ innanzi verso il 1570 anche un Cesare Corio, ricco patrizio milanese, offerendosi a proprie spese, ma con utili privilegi a compenso, di render navigabile l’Adda, togliendone gli ingombri dov’erano, da Brivio fino allo sperone de’ Francesi, qui acconciare un traghetto per terra fin sotto la rocchetta nelle valle per cui scorre adesso il Naviglio, pel qual traghetto di circa due miglia le merci, scaricate allo sperone, si conducessero su carri fino ad esser rimesse su altre navi sotto la rocchetta.[15] Or sappia il lettore, che a que’ tempi le merci provenienti su barche dalle terre del lago di Como, come legna, carbone, barili di vino ecc., giunte a Brivio, di qui erano poi condotte per via di terra fino a Porto per una tratta di circa otto miglia, ed a Porto erano caricate su altre navi per a Milano sull’Adda e Naviglio della Martesana: il qual carico e trasporto e discarico dai carri avveniva con gravi spese e lentezza.
7. Il progetto del Corio non fu ricevuto. Ma nel 1574 compar sulla scena la grande figura di Giuseppe Meda, ingegnere e pittore milanese: egli in un suo memoriale anonimo, diretto al Consiglio della Città, prometteva di dar navigabile l’Adda e un canale di deviazione sotto Paderno, formato con sostegni di nuova invenzione, nello spazio di due anni o poco più, con la sola spesa di 50 mila scudi d’oro, ma con alcuni patti a suo favore.[16] Le solite lungherie d’esame, poi la peste del 1576 ritardarono le trattative fino al 1580, in cui il Meda, dichiaratosi autore del memoriale, spiegò i particolari del suo progetto ad una Commissione. Ma qui nuovi ostacoli si frapposero. Da un canto la città di Como, protestando il grave danno che avrebbe dal compiersi quella navigazione, supplicava il Governo ad impedirla: dall’altro, quel Cesare Corio, di cui abbiam detto, tornò in campo con una supplica al Governo, chiedendo di poter estrarre per sè, dai laghi e fiumi dello Stato, dove a lui paresse più opportune oncie 550 d’acqua, ed obbligandosi in compenso a costruire a proprie spese un Naviglio, che, derivato a Monza dal Lambro, fosse condotto ad unirsi al Naviglio di Martesana a cinque miglia da Milano, e, passando poi per la fossa della città, avesse fine a Melegnano.
8. Solo dopo atti e discussioni parecchie furono respinti i reclami della città di Como ed i progetti del Corio: e intanto sul finire del 1590 giunsero da Madrid l’approvazione ed i privilegi del re pel progetto del Meda, che, preso a nuovo esame, fu finalmente approvato dai Prefetti della navigazione (alcuni patrizii, eletti con questo titolo dal Consiglio dei 60) e da cinque ingegneri, un Mejazzo ed un Morsengio lodigiani, un Romusso pavese, ed un Seregno e un Campazzo milanesi: valenti uomini erano questi cinque, scevri da prevenzioni, e molto sperimentati per istudio e per uso nella scienza de’ canali, come si ha da cenni di que’ tempi.
Ecco in breve, pe’ miei lettori, il progetto del Meda: ma se qualcuno dell’arte volesse averne una notizia adequata ne’ più minuti particolari, legga e consideri i Capitoli dell’impresa della nova navigatione dell’Adda, che sono a stampa, e furono redatti da lui. Il progetto era dunque: render libero alle navi da qualsiasi ostacolo il corso dell’Adda da Brivio fino a Concesa, costruendovi anche l’alzaja, o strada, larga almeno due braccia, pei cavalli che tirassero in su le navi: piantar la chiusa sotto le tre corna, obliqua, lunga braccia 120 all’incirca, intestata nel vivo masso alle due ripe, a doppia scarpa e per ciò larga alla base 90 braccia, un po’ a cuna nel mezzo del fiume pel più facile scarico delle piene: l’imboccatura del cavo o Naviglio alquanto in giù dalle tre corna, larga braccia 25, e di pari larghezza il canale pel tratto di 80 braccia all’ingiù, poi largo solo 12; con pendenza di once due ogni braccia 500: un travacatore poco in giù dall’incile, da farsi ad un’apertura tra due monti o scogliere a canto all’Adda, lungo 50 braccia ed alto un braccio e mezzo dal fondo del Naviglio; e più in giù, ad un luogo detto il ceppo piatto, uno scaricatore con otto porte di salda rovere e ben guarnite in ferro, da alzarsi od abbassarsi all’uopo, e ciascuna porta larga un braccio e mezzo: dal principio del ceppo piatto all’ingiù, una lunga tratta del canale, che fosse larga, non dodici, ma prima 18, poi 16 braccia, per lo scambio e fermata delle navi: finalmente dopo uno scaricatore a quattro porte posto alla molgonera, costruir due conche o sostegni di nuova invenzione, discosti l’un dall’altro poco più di 260 braccia, con l’intermedio canale largo braccia 16; il primo di que’ sostegni con 11 braccia di salto, con 28 il secondo; i congegni e i minuti dettagli di quelle conche son descritti ne’ Capitoli del Meda, e con molta accuratezza anco nella modesta e dotta lettera del Ferrario, che ha dato i disegni della conca maggiore ed ha confutato ad evidenza qualche erronea opinione del Lecchi, che pur tentò descrivere quella conca.[17]
Non è de’ miei studii nè del proposito di questi cenni storici il riassumere le vive discussioni, fatte allora e dapoi, massime attorno al 1776 sul progetto del Meda: queste posson vedersi nelle opere citate del Frisi, del Lecchi, del Ferrario e del Bruschetti. Dirò solo, che, dopo avere attentamente considerato dall’un canto il tenore dei Capitoli del Meda e dall’altro ciò che hanno scritto di lui i sudetti autori, parmi che in più d’un luogo di que’ libri sia a lui attribuita qualche idea o dettaglio ch’ei non ebbe in mente. Ben è a dolere che il diligente e sagace Ferrario, che in quella sua Descrizione mise in chiaro i concetti e le parti della conca maggiore, non abbia anche preso a dichiarare tutto per filo il piano del valente architetto: chè forse allora svanirebbero da sè alcune obbiezioni od accuse state fatte al grand’uomo, contro il quale parvero sorger nemiche anche tante cause esterne, sicchè ne andò fallita l’impresa e cancellato quasi ogni vestigio di quell’opera grandiosa tentata sotto Paderno. - Ma ripigliamone la storia.
9. Sul finir di gennajo del 1591 un Francesco Valezzo bergamasco, dato per mallevadore del contratto l’ingegnere milanese Pietro Antonio Barca, assunse l’impresa di costruir quel Naviglio giusta i capitoli a stampa, per la somma di 36 mila scudi d’oro, da pagarglisi in più rate dalla città di Milano. E presto si diè mano all’opera e con ardore su quasi tutta la linea del canale, lavorando a subappalti parziali da 500 in 400 uomini al giorno. Ma i lavori rallentarono poi nel 92: e cominciò allora quella serie di male venture, che impedì il compimento d’una grand’opera ed accelerò al Meda la morte. A me basti accennarle in fascio al lettore. Esecutori di subappalti parziali che mancavano agli assunti impegni: opere addizionali, consigliate nel corso de’ lavori da nuove e più felici idee del Meda, non riconosciute nè pagate al Valezzo dalla Città, perchè non comprese ne’ Capitoli, ma più veramente perchè dessa era povera di denaro; il Barca, che, vedute quelle lentezze e le sempre nuove difficoltà, per sottrarsi all’assunta responsabilità e fors’anche per mal animo incagliava l’avvanzamento delle opere, finchè ne fu liberato: poi i geli straordinarii de’ primi mesi del 93 che recarono rilevanti guasti ai muri e produssero nelle ripe scoscendimenti e ruine: la strada dell’alzaja, disegnata in parte, a maggiore risparmio, sulla sponda bergamasca, e non voluta poi dal governo veneto: tumulti e delitti fra quegli operai indisciplinati, in que’ tempi ribaldi e non frenati e in quel sito di confine, talchè al Meda istesso ed al Bisnati, direttori delle opere, fu d’uopo assistervi colle armi indosso per propria difesa: poi sedimenti e fessure nei muri degli argini per la natura infida del suolo cavernoso e dei massi arenarii cedevoli; infine una universale e ferma diffidenza del buon esito di quel canale, sòrta nel publico e fomentata da ingegneri ostili al Meda, fra i quali il Barca ed un Rinaldi romano, venuto qui a tentar fortuna, i quali andavan gridando in ogni canto esser egli al tutto fuori di solco: questi erano gli infortunii che, aggravati dal mal animo di colleghi dell’arte, avversavano al Meda i progressi e il compimento del canale di Paderno.
Ma egli, uomo di alto sentire e di fermissima tempra, rimaneva saldo in mezzo a quella tempesta, e, ritiratosi il Valezzo dall’impresa, l’assumeva solo a proprio conto e andava innanzi nell’opere col proprio denaro e coll’altrui procuratosi a prestito, non da altro confortato che dalla cooperazione amica e generosa del Bisnati e dalla piena fiducia di un buon esito, non mai deposta: finchè ammalatosi più d’una volta per patimenti d’animo e disagi di corpo, ed avvolto in liti con privati per debiti contratti, e fatto imprigionare due volte perchè compensasse alla Città i danni a lei recati per cattiva direzione e per difetti di esecuzione dell’opere convenute, e profondamente ed a lungo amareggiato nell’animo per la tristizia degli emuli suoi, morì nell’agosto del 1599, lasciando di poco incompiuta la grande conca, che fu poi distrutta, ed era tale, che pari nè prossima per ardimento e grandiosità non fu mai concepita da nessuno. Di quella conca, arditissima e senza esempio nell’architettura idraulica, scrive il Lecchi d’aver più volte considerato con alto stupore la pianta e l’artificio, maravigliando quanto innanzi si fosse condotta l’arte dei canali navigabili in Lombardia: ed aggiunge, che il Bisthoven, celebre architetto fiammingo, venuto qui a studiare le più belle invenzioni idrostatiche de’ nostri canali, quando vide ed esaminò la pianta di quella conca e l’uso nuovo della ideata minore vasca, o canale di soccorso, fu compreso da ammirazione all’eccellenza di quel trovato a rendere navigabile un canale di straordinaria caduta, e giudicò che quella conca, nel suo insieme, fosse un capo d’opera nel genere de’ sostegni.[18]
Dalla morte del Meda fin verso il 1750 la storia di questo Naviglio manca d’interesse: e certo fastidiosa a me, più fastidiosa al lettore sarebbe la minuta esposizione delle visite ripetute più volte a Paderno nel secolo decimo settimo, e de’ varii tentativi o piuttosto velleità mostrate dalla città di Milano a ripigliare i lavori per compiere quel canale. La Città era senza denari, e n’era scarso l’avaro governo spagnuolo: e perciò nulla s’è fatto di rilevante nè dalla Città a Paderno, nè dal governo rispetto al nuovo canale da Milano a Pavia intrapreso similmente a’ tempi del Meda e sopra un suo disegno, poi sospeso nel 1611.
Solo mi piace ricordare due uomini, che si mescolarono a questa storia, per dire di ciascun di loro diversamente, secondo il merito ed i fatti.
11. Il primo è Guido Mazenta, patrizio milanese. Vedendo egli alla morte del Meda caduti gli animi, si recò a Paderno nell’autunno di quell’anno stesso 1599, e come buon intendente di idraulica considerò i lavori fatti e i guasti avvenuti, e studiò sul da farsi a compiere il Naviglio, esponendo le sue idee in una lettera o discorso, ch’è di molto interesse. In quello mira a rianimare gli spiriti della Città a condur a fine quell’impresa, che un cittadino suo solo, il Meda, con le private sue forze voleva compiere: accenna in quale stato erano rimasti i lavori alla morte di lui, e le ingenti spese fino allora sostenute, le qual sommavano a circa 200 mila scudi d’oro, essendone costata poco meno di 40 mila la sola costruzione della chiusa[19] con l’aver dirupato 73 mila quadretti cubi di pietra viva, anzi alcune rupi (che in parte vedonsi ancora ai nostri dì colà rovesciate): dice essersi finito quasi tutto il letto del canale, e levato da quello a forza di scalpelli una quantità infinita di macigni: ma doversi quel letto restringere, ingrossando piuttosto gli argini verso il fiume, anzi facendoli di muro con fondamento parallelo al fondo dell’Adda e con calce di Lecco migliore d’ogn’altra: doversi anche allungare la tratta del canale all’insù sopra le tre corna, e, rovesciando la chiusa del Meda, formarne un’altra in sezione del fiume più larga a meglio scaricar l’acque nelle piene: doversi in fine dividere in due, ciascuna di 14 braccia di salto, la conca maggiore. Il libro del Mazenta, che cospirava in parte colle idee del Missaglia, ravvivò gli spiriti, ma per poco ed alla fin senza frutto.[20] Perocchè la Città mandò primamente il Bisnati, poi con esso nel 1600 anco gli ingegneri Dionigi Campazzo ed Ercole Turati perchè presentassero una descrizione e stima delle opere di ristauro e di compimento al naviglio, per renderlo utile dopo le tante spese già fatte. Ma questi, non tenuto conto delle idee del Mazenta, proposero solo alcune lievi modificazioni al già fatto dal Meda, e fra queste fu pensiero felice del Bisnati il disegnare all’incile del naviglio una conca-piana con a fianco un canale di soccorso con alcuni paraporti, ad impedirvi un soverchio ingresso dell’acque in tempo delle piene: ma di ciò fu nulla eseguito.
12. Il secondo è un conte Onofrio Castelli, del quale io avrei taciuto, se il Bruschetti, che studiò le cose e non le persone, non ne avesse parlato come d’un valentuomo, scrivendo del Naviglio di Pavia.[21] Io dirò chi fosse costui, togliendone le notizie da alcuni luoghi degli opuscoli suoi, meritamente andati in dimenticanza. Nato a Terni nello Stato pontificio, fornito di qualche ingegno, aveva studiato a Roma, poi fatti viaggi quasi per tutta la christianità, dice egli, per vedere quanto fu messo in opera a fiumi e ad altre acque, e per rilevarne le imperfetioni et suggerire i rimedii et scrivere sull’architettura de’ fiumi. Venuto a Milano verso il 1627, questo semidotto, spacciando e vantando imperterrito un gran sapere, riusciva ad imporre a molti ed a guadagnarsi la fiducia e la grazia d’alcuni patrizj di buon cuore e fra questi del conte Galeazzo Arconati, che gli diè a vedere ed esaminare i molti disegni autografi di Leonardo da Vinci, ch’ei possedeva e donò poi all’Ambrosiana nel 1657: colpito dalla pestilenza del 1650, ne guarì, e ripigliò le sue millanterie e le sue adulazioni ad inorpellare i galantuomini: publicò alcuni meschini opuscoli, e seppe farli lodare: principale fra questi è la Distributione universale dell’Architettura de’ fiumi, il quale non è che uno strano abbozzo o delineatione di una grand’opera, ch’ei diceva di voler comporre, giovandosi specialmente dei tesori dell’Ambrosiana: lo dedicò all’arcivescovo Borromeo, di cui mirava ad acquistarsi l’autorevole protezione. Fattosi anche amico ad un Giuseppe Barca architetto e buon matematico milanese, nipote al Pietro Antonio ed erede delle sue animosità, parlò molto sugli sbagli commessi dai passati architetti ai canali di Paderno e Pavia, e spacciò sui medesimi non so quali progetti che svanirono in fumo. Ciò ch’ei scrisse sul canal di Paderno lo mostra male istrutto, petulante ed affatto superficiale, e il poco vero gli era, cred’io, suggerito dal Barca. Tale fu cotesto Castelli, del quale ho voluto qui scrivere anche a far meglio conoscere que’ poveri tempi del Governo spagnuolo, in cui erano caduti così in basso gli studii e il sapere, e perchè non è raro che ancora ai dì nostri di fuori ci capiti o ci sia regalato per le scuole e per l’accademia di belle arti qualcuno di cotali semidotti millantatori.
15. Poco prima del 1749, specialmente per le cure d’un nostro Pallavicini governator di Milano, si ripigliò il pensiero di compiere il Naviglio di Paderno a spese dello Stato. Ed essendone corsa voce, il Comune di Como, che credeva perniciosa quell’opera al proprio commercio, tentò declinarne l’esecuzione: e per questo ad istanza sua un Pietro Banfi disegnò un Naviglio da Como a Milano pel letto del fiume Aperto e del Seveso: credevasi non impossibile, solo ardua l’impresa pel profondo scavamento da farsi per la tratta di circa tre miglia dal pelo del lago in giù verso Milano: la spesa si calcolò a due millioni e 400 mila lire: il disegno fu mandato a Milano, e quei di Como si dolsero che non si fece nulla.[22] Ma, oltre che già nel 1518 quei nostri periti architetti con a capo il Missaglia, aveano giudicato un tal progetto non meritare un serio esame per le sue difficoltà gravissime e forse insuperabili per la natura de’ luoghi, adesso il valentissimo Lecchi domandava ai rinnovatori di un tal progetto, a qual punto mai, dato più volte fra l’anno l’abbassarsi od alzarsi del pelo del lago, potrebbero stabilire l’incile od apertura dell’ideato naviglio, ed a quale profondità, acciocchè in ogni tempo vi si introducesse copia costante d’acque dal lago? in qual parte si sfogherebbero le piene nelle annuali escrescenze del lago, e come si alimenterebbe il naviglio nelle basse decrescenze, mentre nei canali derivati da fiumi la chiusa tien raccolte l’acque nelle decrescenze, e nelle grandi piene l’acqua si scarica e dalla cresta della chiusa giù pel fiume e dai parapetti e sfogatoi dello stesso naviglio: il che non potrebbe praticarsi al lago di Como. Queste erano le più ovvie considerazioni che il Lecchi opponeva a quell’imaginario progetto del naviglio di Como, oltre l’altre insormontabili difficoltà di attraversare col canale coste altissime di monti e di moderarne la precipitosa caduta, già vedute nel 1518 dai nostri architetti idraulici.[23]
Poco dopo, nel 1758, massime ad istanza de’ nostri Fermieri d’allora che vi aveano un grande interesse, un Francesco Antonio Rusca da Lugano disegnò pel Naviglio di Paderno un progetto, che in sostanza era quello del Mazenta, proponendo la chiusa di derivazione e l’incile del canale di contro al sasso di s. Michele, con tre sole conche, la minore del Meda, l’istaurata e compiuta, e la conca maggiore divisa in due separate, ciascuna di 14 braccia di salto: la spesa di un tal progetto era valutata a 577 mila fiorini. Un secondo, ed era quello del monaco Rizzi, ne propose poi il tedesco Roberto Spalart, ed un terzo, quello però del Meda, l’ingegnere milanese Dionigi Maria Ferrari, il quale nel 1761, dopo avere, per ordine del ministro Firmian, disegnato esattamente il fiume Adda e l’abbandonato naviglio di Paderno, proponeva essere da ristaurare e compiere tutte l’opere ideate e condotte innanzi dal Meda; al quale intento mandava al Ministro autentiche copie delle principali scritture e dei disegni originali relativi a quell’opere, conservati nell’archivio di sua famiglia: doleva a questo savio ed abilissimo ingegnere, che avessero a distruggersi e perire per sempre i nuovi ed arditi concepimenti del Meda.
14. Incerto tra quei progetti il Firmian pose gli occhi ad un Pietro Nosetti comasco, espertissimo ne’ lavori d’acque e coraggioso intraprenditore, invitandolo ad assumere l’impresa di quel Naviglio. E il Nosetti, associatosi un Fè luganese ed alcuni altri, vi si offerì pronto, ma rigettando i progetti altrui, e stendendo egli stesso un abbozzo conforme al suo modo di vedere. Il Nosetti ed il Fè eran uomini di naturale avvedimento e di pratica più che di teoria, che eredi del retto sentire e delle industrie tradizionali della scuola comacina, fra le discussioni dei periti sapean cogliere prontamente il punto giusto con vista fina e sicura.
Inspirato anche, cred’io, dalle savie e pratiche osservazioni del Lecchi, il Nosetti, non architetto inventore, ma cauto e provido imprenditore, non si arrischiando agli ardimenti del Meda, si attenne invece ad idee più sicure, che in fondo eran quelle del Missaglia. E per questo, essendosi poi dopo varie discussioni a lui affidata l’intera opera per la somma di 650 mila fiorini e posta mano ai lavori nel 1773, la chiusa[24] fu costrutta più all’insù allo sperone dei francesi, dove ora si vede, in una sezione del fiume larga 205 braccia, di alveo piano e di corso temperato; comecchè così operando, si avesse a tagliare per notevole tratto il fianco del monte, le cui scogliere si avanzavano a lambire l’Adda, e tutto quel primo tronco di canale fosse da scavarsi, come fu fatto, nel duro ceppo. E quella pendenza dell’Adda di 46 braccia, dall’incile del Naviglio al suo sbocco, fu ragguagliata con sei conche: io toccherò di ciascuna.
La prima che tu incontri è la conchetta, intagliata nel masso: ma questa fu costrutta, più all’insù d’un’altra, nel 1779 due anni dopo ultimato il Naviglio: perocchè la prima, ch’era più in giù, nella notte del 9 al 10 gennajo di quell’anno s’era guasta con varie screpolature per un grande cedimento del terreno, attribuito ad un vacuo sotterraneo. La seconda, dopo l’andare di quasi un miglio, è detta la conca vecchia, perchè è la minor conca del Meda, ma ridotta e compiuta. Vien terza la conca delle fontane, così detta per alcuni zampilli che vi scaturiscono da fessure del masso nel quale è scavato il Naviglio, e, quando a questo vien tolta l’acqua per le occorrenti riparazioni, dessa non asciuga. La quarta, ch’è sotto la chiesa della Rocchetta e dicesi la conca grande, è la maggiore del Meda, ma alzata nel fondo e decapitata alla cresta e ridotta ora a circa un terzo: tale ancora nullameno, che nessun’altra l’agguaglia in tutti i canali navigabili d’Europa. Chi la vede e considera, imagini qual fosse l’antica, e quanto sia stato l’ardimento dei concetti di quell’uomo, il quale avea trovato modo che la barca, risalente il Naviglio, giù in quel profondo di 28 braccia si alzasse grado grado e quieta, perchè l’acque del canale di soccorso da fianco defluenti nella conca per alcune fenestrelle, l’una sopra l’altra, s’alzavano tranquille fin quasi al piano del Naviglio:[25] dia anche un’occhiata e un pensiero agli avanzi di quei gradini, or corrosi dal tempo, pei quali scendeva giù, quasi al fondo della conca, il custode ad aprire o chiudere i portoni, sotto alla gran parete di mezzo per l’ingresso o l’uscita delle barche: e dopo queste considerazioni dica se non è da onorare altamente la memoria del nobile intelletto del Meda. Vengono poi, quinta la conca di mezzo, ed ultima la conca in Adda.
15. Nel 1777 erano terminati il canale, lo sgombro dei massi caduti nell’Adda tra Porto e Trezzo, e tutta la strada dell’alzaja del canale della Martesana fino a Brivio, qui imbarcatosi l’undici ottobre di quell’anno l’arciduca Ferdinando governatore, inaugurò solennemente la navigazione, scendendo fino a Vaprio: e fu coniata una medaglia coll’iscrizione: MEDIOLANVM LARIO IVNCTVM EVRIPO NAVIBVS APERTO MDCCLXXVII.[26]

Notizia di alcuni Libri e Scritti e Disegni
intorno al Naviglio di Paderno.

Allo scopo di questo mio libro, in cui prendo, ad illustrare in qualche modo la antica Pieve di Brivio, basta, come io stimo, e forse è d’avanzo il breve cenno storico che ho dato a’ miei lettori intorno al Naviglio di Paderno. Ma la vera storia di questo Naviglio, piena di un alto interesse per gli studiosi delle cose patrie non fu data finora, comecchè alcuni anche valenti n’abbiano scritto, e più di tutti largamente il Bruschetti con circostanze assai particolarizzate. Perocchè nè il Frisi , nè il valentissimo Lecchi, a cagion d’esempio, conobbero appieno i progetti del Meda; nè il Bruschetti conobbe le molte carte dell’archivio nostro municipale, delle quali fece un sunto il Lualdi, nè, come pare a me, seppe tener conto abbastanza e far capitale, per la storia dei Periti idraulici vissuti in quel periodo, di tutti gli opuscoli così inediti che stampati, i quali si riferiscono al nostro Naviglio e ch’egli ha potuto consultare a tutt’agio mercè la generosa liberalità dell’ingegnere Francesco Bernardino Ferrario. Tale è la ferma opinione in che io venni dopo studii e raffronti su quei libri e quegli opuscoli: di questi io mi son valso utilmente a scrivere su questo argomento, nè sarà forse indarno che qui li ricordi agli studiosi.
1. Pagnani Carlo, patrizio milanese: il suo libro o Relazione comincia = Decretum super flumine Abduae reddendo navigabili, etc. Mediol. 1520. Ne furon fatte in quell’anno due edizioni, l’una latina e più ricca che è rara a trovarsi: l’altra italiana e più breve ch’è rarissima, in cui leggesi = Componuto da Carlo Pagnano, ecc. Avvi anche un’edizione, imitante l’antica, fatta io credo verso il 1590 a’ tempi del Meda, ed una terza, ch’è senza l’incisione del frontispizio, e fu fatta verso il 1760 a spese d’uno de’ celebri nostri Fermieri, al quale pe’ suoi interessi stava a cuore assaissimo, che fosse compiuto il Naviglio di Paderno, ed aperto così per acqua il comodo e celere corso delle merci dai Grigioni e dalla Valtellina a Milano. - Il libretto del Pagnano è di un’alta importanza per la storia degli studii idraulici fatti per tutto l’alto milanese ne’ principii del secolo decimosesto.
2. Capitulatione tra li Deputati della città di Milano e Giuseppe Meda per ridurre l’Adda navigabile, ecc., Milano, Pontio, 1580.
3. Raccolta di Disegni relativi al Naviglio di Paderno: è un prezioso Codice o volume, donato dal Ferrari all’Ambrosiana con altri molti, e segnato S. 152, sup. Contiene alcuni disegni ed abbozzi originali del Meda: un disegno di Martino Bassi, grande amico suo, che presenta un progetto diverso, cioè una linea di canale più breve, perchè lo sbocco è allo stesso luogo, ma l’imboccatura è più inferiore e più alta che quella del Meda, e la seconda conca è fatta in due accollate, ma con i congegni e le idee del medesimo.
4. Capitoli dell’impresa della nova navigatione del fiume Adda, Milano, Pontio, 1591. Furono redatti dal Meda e sono documento di suprema importanza a conoscere gli studii e i progetti suoi in questa opera: e per ciò era forse opportuno che il Bruschetti li avesse aggiunti ai documenti illustrativi della sua Storia dei Navigli del milanese.
5. Relazione degli ingegneri Barca e Rinaldi circa i lavori al Naviglio di Paderno, 1598.
6. Relazione dell’ingegnere Romussi sullo stesso argomento, 1599.
7. Mazenta Guido, patrizio milanese: Intorno il far navigabile il fiume Adda, Milano, 1599. È un Discorso diretto al Vicario di provisione, scritto qua e colà collo stile bizzarro del tempo, ma con cognizioni pratiche e con molto acume e buon senso.
8. Capitoli per la costruzione del Traghetto nella valle della rocchetta, del 1622.
9. Frisi Paolo, Dei Canali navigabili, Milano, 1770: al parag. 27 e segg. - - Istituzioni di Meccanica, ecc. Milano, 1777: v. nel libro ottavo Dell’architettura dei Canali navigabili, pag. 387 e segg.
10. Lecchi Antonio, Dei Canali navigabili, Milano, 1776: questo trattato, nel quale in più luoghi si parla del Naviglio di Paderno, ebbe più ristampe: è scritto di molta dottrina, grave e limpido anche pei lettori che non sono dell’arte: tuttavia nel Lecchi come anche nel Frisi sono alcune inesattezze storiche riguardo al Naviglio di Paderno. - Il Lecchi nacque in Milano da cospicua famiglia nel 1702, morì ai 24 agosto 1776.
11. Ferrari Francesco Bernardino, Descrizione del grande Sostegno, ora distrutto, chiamato la Conca grande di Paderno, Milano, 1777, con tav. È un pregevole opuscolo, ristampato poi nella Scelta d’opuscoli interessanti, Milano, Galeazzi, 1784, e nella Raccolta di Autori ital. che trattano del moto delle acque, Bologna, 1824.
12. Lualdi, Relazione compendiosa della nuova navigazione dell’Adda a Paderno, compilata nel 1783 sulle carte dell’Archivio municipale di Milano: Manoscritto che si conserva nell’Ambrosiana, nella Trivulziana ed in privati archivii a Milano.
13. Bruschetti Giuseppe, Storia dei progetti e delle opere per la navigazione interna del milanese, Milano, 1821. È libro commendevole per lo scopo suo, abbastanza raggiunto, di presentare la storia dei Canali artefatti del milanese, la quale, mostrando anche in questo ramo ammirabili opere dell’ingegno italiano, attesta l’antica nostra civiltà e ci fa riveriti presso i savii stranieri: ma poteva essere scritto meglio: perocchè è giudicato troppo diffuso e minuto nei dettagli, mentre dall’altro canto non fa conoscere abbastanza i valenti uomini che operarono, nè riassume con bastevole sagacia le pezze e i documenti: il che sia detto specialmente riguardo al Naviglio Grande ed ai due della Martesana e di Paderno: chè riguardo a quel di Pavia la sua storia è condotta con maggiore accuratezza.






[1] Son otto grossi volumi in foglio, e contengono innumerevoli copie di documenti, tutti di mano di un Rafaele Fagnani, patrizio milanese: furon donati all’Ambrosiana nel 1845 dal marchese Federico Fagnani con altra ricca e sceltissima supellettile di libri impressi, di disegni e di incisioni.
[2] Affò Ireneo, vita del b. Orlando.
[3] Bruschetti, Istoria dei Canali navig. del Milanese, 1821, pag. 7-13. - Rampoldi, Corografia, articolo Novate.
[4] Monti, Storia di Como, II, 328.
[5] In Muratori, Script. R. Ital., XX, col. 1046
[6] Nel 1844 alcuni distinti Geologi visitarono la valle dell’Adda sotto Paderno e la loro Relazione fu stampata negli Atti della sesta Riunione degli Scienziati a pag. 557.
[7] Da carte nell’archivio arcivescovile. - Porto e la Valle della Rocchetta in rimoti tempi appartennero alla Pieve di Pontirolo, di rito romano o piuttosto patriarchino: Cornate, arcipretura con sette canonici, fondata da Cuniberto e soggetta in antico non a Pontirolo ma a Milano, teneva il rito ambrosiano: e quei di Porto, come più loro accomodava, ora stavano col lontano Pontirolo ed ora col vicino Cornate, uiuendo un po’ a lor modo col far, per esempio, il carneuale romano et anco l’ambrosiano. S. Carlo mise poi ordine a tutto.
La antichissima e vasta pieve di Pontirolo, che comprendeva le attuali di Verdello nella diocesi di Bergamo, di Treviglio e di Trezzo in quella di Milano, tenne (come il tennero Monza, Como, Pavia e qualche chiesa di Bergamo) il rito patriarchino. Del qual fatto è da accagionare con somma probabilità l’aver essa aderito, attorno ai tempi di Teodolinda e di s. Gregorio magno, allo scisma dei tre Capitoli, capitanato dai Patriarchi di Aquileja. Io ne ho già fatto cenno nel libro II degli Opuscoli Liturgico-Ambrosiani, e ne parlerò più diffusamente nelle Notizie di Pontirolo ecc., che desidero poter publicare.
[8] Vedi in fine nella Notizia di Libri e Scritti e Disegni sul Naviglio di Paderno.
[9] Mi par cosa degna d’esser qui registrata che di quel tentativo e di quelle misure per fare un Naviglio si è per tre secoli conservata finora in paese la orale tradizione senza che nessuno conoscesse o sapesse del rarissimo libro del Pagnano, in cui è registrata. E ciò prova che la savia critica deve pur fare qualche conto delle popolari tradizioni di semplici fatti per chiamarle ad esame.
Ecco in proposito le parole del Pagnano: «Deinde proposita alia via incipiendi buccam dicti Navilii, in canali Beverae subtus Ayrunum: et sequendo planum dictae Beverae coeperunt dicti Architecti librare per costam Porcherae, et invenerunt, ascendendo ad Domum novam (Canòva) in cacumine dictae costae sitam, esse brachia centosexanta dui ascensus: qua de re tum propter tantam altitudinem et tum propter caliginosum aerem (nebbia) ab opere destiterunt». Questo avveniva nel novembre del 1516. - Nel seguente 1517, dopo visite e misure fatte in altri luoghi, «venerunt ad locum Ugloni, ut viderent si per vallem Magrerae poterat fieri Navilium transeundo per planum Ugloni et veniendo versus locum Rovegnati vel versus Lambrum: nullum invenerunt ordinem. Postea reversi sunt ad dictam Domum novam in summitate costae Porcherae sitam, in quo loco finiunt prima visio et libratio, et in quo loco inventa fuerunt brachia cento sexantadui ascensus et altitudinis, ut supra dictum est. Et a dicta Domo, librando versus Mediolanum, per vallem Planezarum (Pianezzo) pertransierunt inter castellum Cernusculi et Terram, et deinde per Prata roxa, dimittendo terram Usmate, a manu dextra eundo semper per loca magis depraessa, et applicuerunt terram Archori».
La Bevera, seguendone il corso a ritroso dalla sua foce in su verso le due sorgenti, giunta nella valle di Porchera, a un certo punto si bipartisce in due piccoli rami. L’un d’essi viene da Vallicella, ed è detto l’acqua de’ morti, perchè defluisce presso ad un antico lazzaretto: fu questa la linea misurata da que’ milanesi architetti nel 1516. L’altro ramo, che vien giù tra Vascuria e la recente strada provinciale, ha la sua sorgente in capo al Calendone, a mezzodì della Chiesa parochiale di Calco: questo ramo, che alla sorgente è forse più depresso che il piano di Casanuova, non fu considerato da quegli antichi ingegneri: eppure questa sorgente della Bevera là in capo al Calendone è tale, che, mentre una parte ne defluisce a nord verso la valle di Porchera per poi volgere a scaricarsi nell’Adda tra Brivio ed Airuno, l’altra, defluendo a mezzodì giù pel Calendone, va a congiungersi colla Molgora.
[10] Che il Guasconi con altri colleghi, per commissione di Lodovico il moro, abbia fatto studii per questo Naviglio da Brivio a Trezzo sul declinare del secolo decimoquinto, è da aversi per cosa indubitata, narrandola il Pagnani, scrittore di que’ tempi ed erudito di queste materie. Ma che Lodovico incaricasse di quest’opera Leonardo da Vinci, come scrive l’Amoretti, Memorie ecc., pag. 187, non v’ha ragione di crederlo. Il Vinci fece solo un qualche studio su questo argomento, e gittò su d’un piccolo foglietto un disegno o piuttosto abbozzo dell’Adda da Brivio fino a Concesa, corredandolo d’alcune note di misure e di calcoli, dal complesso delle quali non è agevole il comprendere qual fosse il pensiero o progetto di lui.
Questo foglio è il 528 del Codice atlantico dei disegni del Vinci, raccolti già da Pompeo Leoni e conservati nell’Ambrosiana: su quel foglio, a fianco al disegno dell’Adda condotto con semplici linee, sta scritto: Il chauo del Naviglio è miglia 6 e 2/5 dal mulin di Briuio al porto di Trezzo. Da Briuio al mulin del Trauaglia è miglia 5 2/5: e da esso mulino al ponte di Trezzo è miglia 2 2/3. Adunque il chauo sarà la metà di 8/10 …. Questo sia per saggio, e veda il curioso lettore le restanti note di Leonardo presso l’Amoretti nelle Memorie di Leonardo già citate.
Fatto buon conto di quell’abbozzo dell’Adda e di quelle note, e considerato il genio di Leonardo di occuparsi delle imprese più grandi e difficili, e l’uso di lui di gettar sovente sulla carta alcuni suoi pensieri e schizzi non finiti, parmi verosimile il credere, che per genio, non per incarico avuto, ei si occupasse di quel progetto di render navigabile l’Adda da Brivio a Trezzo, ed avesse in animo di cavar appunto un Naviglio dal mulino di Brivio fino presso al mulino del Travaglia allo sbocco della valle della Rocchetta: il che principalmente appare dal canale da lui tracciato, parallelo all’Adda, sul già detto foglietto. Ed io sto volentieri coll’Amoretti nel credere che Leonardo abbia fatto cotali studii allor quando era ospitato a Vaprio in casa di Francesco Melzi dopo la prigionia di Lodovico il moro.
[11] Pagnani, opusc. cit.
[12] Ecco un abile uomo dell’episcopato comense: perocchè Argeno è villaggio di quella diocesi. È poi da sapere che fuor di Lombardia, nel medio evo ed anche un po’ dopo, a molti de’ Maestri Comacini era dato comunemente il sopranome di Lombardi.
[13] Frisi Paolo, Dei Canali navigabili.
[14] Settala Gio. Battista, Relaz. del Naviglio Martesana, capo ultimo, Milano, 1603. - Lualdi, Relaz. mss. - Bruschetti, Storia citata, pag. 244.
[15] Lualdi, Relazione citata.
[16] Lualdi, Relazione citata.
[17] Anche il Bruschetti ne ha dato la descrizione nella sua Storia dei Canali del Milanese. - Del resto vedi la Notizia di Libri ecc.
[18] Dei Canali nav., pag. 185 e 197.
[19] Sospetto che sia qualche esagerazione in queste cifre: dai calcoli da me fatti sulle carte d’allora di appalti, di stime, di ristauri ecc. risulterebbe una somma di 160 mila scudi all’incirca. È però da sapere che nel compiersi poscia il Naviglio si è tratto gran pro dagli scavi e dalle opere fatte ai tempi del Meda.
[20] Persuaso il Mazenta che la Città di Milano avesse allora a compiere il Naviglio di Paderno, in calce al suo Discorso publicò la seguente iscrizione, che verosimilmente fu fattura sua: perocchè egli era uomo di molto sapere e di molte lettere e distinto lume del patriziato milanese.
ABDVAE . NAVIGATIONEM
E . LARIO . LACV . AD . VRBEM
AMNIS . PRAECIPITI . LAPSV . IMPEDITAM
EXCISIS . DEJECTISQ . MONTIBVS
SVSPENSO . DEDVCTOQ . FLVMINE
RAPIDISSIMO . CVRSV
CLAVSTRIS . ET . CATARRIIACTIS . TEMPERATO
MEDIOLAINENSIS . CIVITAS
AD . PVBLICAM . ITALIAE . ET . GERMANIAE . VTILITATEM
IMMENSO . SVMPTV
COMMEANTIBVS . FACILEM . REDDIDIT
[21] Bruschetti. Storia della Navig. del milan., 1821, pag. 68.
[22] Monti, Storia di Como, II, 828 e 884.
[23] Lecchi, Dei Canali navig., Milano 1776, pag. 224.
[24] A quel tempo la gran chiusa del Meda ai tre corni non esisteva più: che, non essendo riparata, era poi stata disfatta dall’impeto delle piene: ed ancora se ne vedono colà alcuni avanzi di massi giù stesi orizzontalmente.
[25] Il Meda, per accelerare il votamento od il riempimento della gran vasca della conca pel passaggio delle barche, imaginò un’altra vasca laterale, ch’ei chiamò il canale di soccorso. Un consimile artificio fu pure eseguito, circa un secolo dopo, dagli architetti francesi alle conche del celebre canale di Linguadocca. Lecchi, Canali navig., pag. 20.
[26] Nel 1810 ai 14 giugno un gran masso, che a foggia di alta guglia sorgeva tra il Naviglio e l’Adda, rovinò, distendendosi attraverso il fiume e percuotendo anche la riva opposta e smovendovi altri scogli, sicchè il fiume, impedito da cotanto ingombro, si alzò per modo, che il rigurgito si propagò fin sopra la riva di Imbersago: avvenne allora che non solo un tratto della sponda sinistra del Naviglio si rovesciò nell’Adda, ma si aprì eziandio sotto il suo fondo una caverna, talmente che fu d’uopo e trasportare più addentro le sponde del Naviglio, tagliando a destra la roccia, e ricostruirvi l’argine sinistro con un nuovo scaricatore.

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