Il desiderio di
toglierci, anche per poco, alle monotone occupazioni giornaliere, per respirare
a proprio agio in ambiente più puro che non sia quello di un’afosa metropoli,
fece sì che l’alba del 21 luglio 1904 ci trovasse pronti ad intraprendere un
viaggietto di piacere. D’altra parte un articolo letto poco prima sul Corriere della Sera a proposito di un
progetto di navigazione fluviale che dovrebbe congiungere Milano e i Laghi a
Venezia, e l’allettamento di compiere cosa, se non nuovissima certo poco
comune, ci decise per una gita in barca da Lecco a Venezia. Il corso impetuoso
dell’Adda, la laguna eventualmente agitata esigevano un’imbarcazione solida e
capace; ma, a queste due doti, era necessario aggiungerne una terza, con esse
non troppo compatibile «la leggerezza», dato che eravamo solo in due a
manovrarla ed, eventualmente, a trasportarla. Corrispose benissimo al nostro
scopo una comune lancia da passeggio, quali usano abitualmente nei nostri
laghi, avente chiglia non molto pronunciata colle dimensioni seguenti: m. 6 per
m. 1,30 per m. 0,70 e del peso complessivo di 200 chilogrammi, 4 remi e una
vela.
Partimmo da Lecco
il 21 mattino alle ore 5. Imboccata l’Adda e passato il ponte Azzone Visconti
il fiume si allarga tosto formando il lago di Pescarenico che noi si attraversa
a vela, indi si restringe di nuovo e ingolfato fra canneti si stende queto e
melanconico fino a Brivio. Sostati per informarci, ci fu consigliato seguire la
scia di un grosso barcone carico di pietre che prendeva in quel punto le mosse
per Paderno. Appena passate le prime case di Brivio il fiume scende con
dislivello fortissimo ed acque impetuose incassate fra rive ripide e rocciose.
La nostra barchetta presa nel filone della corrente non corre più, vola,
sobbalzando da tutti i lati, imbarcando acqua e spume. Tutti i nostri sforzi sono
diretti a tenere la scia della nostra guida che malgrado il carico e la mole
fila come un diretto (figure 1,3, 4).
In pochi minuti siamo al ponte di Paderno (fig. 5) ed alle Conche
(fig. 6). A questo punto sorgono difficoltà, necessitando un permesso che noi non
avevamo. Ci aggiustiamo alla meglio col padrone del burchiello che ci fa
passare al suo seguito. Però dobbiamo fare i suoi comodi e non ci muoviamo che
dopo cinque noiose ore di attesa! Passato il naviglio di Paderno che
sostituisce il fiume, in quel punto impraticabile (fig. 2), si rientra nell’Adda
che qui corre con minore dislivello, ma non meno veemente. Si giunge in vista
del castello di Trezzo (fig. 7). Qui è giuocoforza chinare il capo e
rassegnarsi a mettere la nostra lancia nel burchiello il quale, malgrado sia
cinque volte più grande del nostro, abbisogna di parecchie corde e di una
ventina di uomini che dalla riva, con non poca fatica, lo immettono nel
naviglio sulla riva destra impedendogli che la forza della corrente, qui impetuosissima
e formante un angolo retto, non lo butti sugli scogli dell’opposta riva o lo
sprofondi in un salto di parecchi metri. Rimessa in acqua l’imbarcazione si
rema di lena fino a Cascina Volta tra sponde ombrose e cosparse di ville. Qui è
d’uopo levare nuovamente la barca, caricarla su un carro e con un tragitto di
pochi minuti scendere a Cassano d’Adda e rimetterla nel fiume. L’Adda è in
magra ed il passare il ponte di Cassano presenta qualche difficoltà.
Imbocchiamo la seconda arcata a sinistra quasi ad angolo retto e per poco non
saltiamo sui prismi del pilone. La corrente si mantiene rapida, difficile il
percorso, data la poca acqua che minaccia di rovesciarci sui bassifondi
ghiaiosi. Passiamo il ponte di Rivolta alla destra; un mulinello ci prende e
per uscirne spacchiamo un remo. Alle 7,45 siamo alla diga del Canal Marzano ed
affidata la barca al custode della diga pernottiamo a Spino d’Adda.
Il 22 alle 6 saltiamo felicemente la diga in cemento del canale e
scendiamo rapidamente fra rive boscose fino a Lodi passando la prima arcata a
sinistra del ponte. Ricevuti cordialmente dalla Società Fanfulla ci fermiamo fino alle 12. Presso Cavenago troviamo un
trasbordo di barche. Di questi trasbordi se ne trovano parecchi, tutti simili,
anche in Po. Una barca è fissa nel mezzo del fiume: da questa, parte un lungo
cavo metallico che poggiando su altre barche si annoda ad un pontone di legno
ancorato ad una riva. Appena reso libero, il pontone cerca seguire la corrente,
ma trattenuto dal capo fisso, facendo perno su di esso, descrive un semicerchio
toccando la riva opposta. L’Adda si è fatta meno impetuosa e il suo letto più
largo. Si arriva a Pizzighettone dopo aver preso un temporalone indiavolato.
Il 23 si parte alle 6 da Pizzighettone e poco dopo siamo a
Castelnuovo Bocca d’Adda. Il fiume sbocca in Po formando un immenso ghiaieto
sul quale, malgrado i consigli dei barcaiuoli di tenerci alla destra, ci
areniamo. Il Po è calmo e maestoso; scorre tra rive boscose e piane. Si sente
il bisogno di un timoniere, visto che il fiume, essendo scarso d’acqua, troppo
spesso ci arena quietamente sui sabbioni. Si decide di remare un’ora per
ciascuno e regolarmente ci diamo il cambio. Alle 9 siamo a Cremona cortesemente
ricevuti dalla Società Canottieri Baldesio. Alle 12 si riparte.
Qui la vita di bordo diventa molto metodica e il panorama un po’
noioso. Il caldo è terribile; al sole siamo a 55 gradi, il costume di
canottieri è già pesante ed adottiamo la... camicia da notte. Fortunatamente le
acque delle fontane e dei poggi lungo la riva si mantengono buone. La magra del
Po, mettendo allo scoperto le sabbie, ci obbliga a giri viziosi, lunghi e
noiosi. Arriviamo alle 7 a Casalmaggiore (fig. 10) grossa borgata sulla destra
del fiume.
Ripartiamo il 24 mattina alle temporale ci ferma dalle 6 alle 8.
Siamo al principio dell’Emilia. Si rema fino alle 2 4 e si giunge a Borgoforte;
fatta colazione si riprende e alle 7 siamo alle foci del Mincio. Si crede dover
dormire all’aperto; ma giunge in buon punto un rimorchiatore del servizio
fluviale Mantova-Venezia. Con un po’ di buona volontà lo abbordiamo e
gettatagli una corda risaliamo con esso il Mincio fino a Governolo che dista 5
chilometri dalla foce e qui pernottiamo. Il Po fino a questo punto è
larghissimo con parecchi rami. È bene tenere sempre il maggiore e la riva più
alta. Da Borgo forte cominciano i mulini galleggianti (figure 8 e 9) che ci
indicano dalla loro ubicazione il luogo di maggior acqua e più forte corrente.
Questi mulini, così bene illustrati da Sezanne, poggiano su chiatte ancorate
alla riva e spesso il Po in piena ne trascina parecchi nei suoi gorghi.
Si parte da Governolo il 25 mattina e si riprende il Po che qui
comincia ad essere incanalato da alti margini al di là dei quali numerosi paeselli
fanno capolino col rosso dei tetti. Le rive sono animate ed offrono spettacolo
vario ed attraente. Il nostro costume preadamatico suscita i lazzi e le risate
delle belle lavandaie sparse numerose sulle rive. Passiamo successivamente
Ostiglia, Massa, Ficarolo, Occhiobello (fig. 11) e alla sera siamo a
Pontelagoscuro, a pochi chilometri da Ferrara. In questo tratto le acque del
sottosuolo sono fortemente ferruginose e pesanti. Si parte il 26 mattina da
Ponte e alle 15 siamo a Cavanella di Po (fig. 12). L’unica cosa noiosa di
questo tratto ultimo di Po sono gli innumeri ponti di chiatte che, non
aprendosi per piccole imbarcazioni, siamo costretti a passare fra una chiatta e
l’altra. Meglio passarli alla sponda. A Massa la nostra barca presa dalla
corrente è gittata di traverso sotto una chiatta. Degli scricchiolii ci mettono
in pensiero, ma arriva in buon punto il guardiano che con un rampone ci rimette
sulla diritta via. Passata la conca di Cavanella entriamo nel monotono canale
di Loreo poco largo e pieno di erbe e giunchi. Pernottiamo a Loreo e il 27
mattina si riprende il canale di Loreo e si raggiunge il sostegno di Tornovo.
Una conca ci rimette nell’Adige, che corre tranquillo fra verdi rive. Dopo un
paio di chilometri si tocca Cavanella d’Adige e un’altra conca ci porta in
canale di Valle (fig. 13) più stretto di quel di Loreo e più monotono, che ci
rimette nel Brenta a Porta di Brondolo (fig. 14). Tutti questi canali sono
percorsi da numerose barche da trasporto, che fanno servizio da Venezia per
Mantova. Notiamo che da Pontelagoscuro il poter bere dell’acqua possibile
diventa un problema difficile.
A Porta di Brondolo una conca ci rimette nella Valle di Brenta
unitamente a moltissime barche cariche delle più belle frutta e verdure che mi
sia stato dato vedere. Lasciamo queste barche e arriviamo circa a mezzogiorno
nel tratto di laguna tra Sottomarina e Chioggia. A Chioggia ci rifocilliamo
(fig. 15 e 16). A mezzogiorno si salpa da Chioggia. Il primo tratto di mare
aperto ci fa danzare un poco; ma poi la verde laguna ci indica la via coi suoi pali.
A Malamocco alziamo la vela, avendo vento in favore e così veleggiando passiamo
a fianco l’isola di San Giorgio mentre i mori della torre dell’orologio battono
le quattro e Venezia si svolge come una visione d’oro e di azzurro davanti ai
nostri occhi rapiti da tanta festa di luce e di colori. Sbarchiamo alla Società
Bucintoro che ci fa segno delle più
gentili accoglienze. Abbiamo percorso circa 550 chilometri.
emilio soncini.
augusto vigorelli.
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