venerdì 3 ottobre 2014

1777 - FERRARI. Descrizione della Conca grande di Paderno




Io mi persuado eruditissimo, e gentilissimo Sig. Zanotti, che caro vi possa riuscire qualunque nuova pruova del genio, e del sapere della nostra comune nazione italiana nelle scienze più utili anche ne’ tempi passati, quando meno erano coltivate; onde sia per piacervi anche quella, che ora io voglio porvi avanti gli occhi. Nè per certo minor contento debbo sentire io stesso avendo il piacere di dimostrarvi con ciò, che anche la mia Patria ne’ secoli, in cui le scienze erano pochissime estese, ebbe uomini d’ingegno raro, e di profondo sapere. A tal’effetto mi do l’onore di comunicarvi la descrizione di un sostegno di straordinaria invenzione per un canale navigabile da me veduto, ed esaminato, ed ora distrutto per occasione delle nuove fabbriche ultimamente intraprese, e già quasi ultimate per lo stesso fine; onde mercè le sovrane beneficenze, e le sollecitudini del R. Arciduca Ferdinando avrem tra poco libera, e comoda navigazione dal Lago di Como a questa Capitale.
Al principio del secolo XVI. erasi egualmente intrapreso di rendere navigabile il fiume Adda; e per tal cagione si doveva formare siccome ora s’è eseguito nel luogo più precipitoso, e pieno di scoglj un canale di deviazione navigabile, parallelo al fiume, e lungo poco meno di due miglia proposto dai due Ingegneri Milanesi Bartolomeo della Valle, e Benedetto Massaglia, nel quale dovevano distribuirsi varj sostegni da noi chiamati Conche, che togliessero la caduta di braccia 43, e dopo di essi ritornasse nel fiume in luogo sicuro. Ma appena si pose mano all’opera, che venne abbandonata. Alla fine però dello stesso secolo si riassunse l’impegno, e Giuseppe Meda celebre Architetto, e Pittore Milanese propose una nuova idea dell’opera, e la pose in esecuzione, la quale come poi non siasi perfezionata non occorre il discorrerne. Tra le altre cose egli ripartì quasi tutta la caduta in soli sostegni; il primo lo formò colla caduta di braccia 11., ed il secondo di braccia 28, ma di una invenzione non mai più vista. Io farò la descrizione solamente del secondo come quello, che è più grandioso e più difficile, non essendo diverso dal primo, che nella profondità.
Questo sostegno era per la maggior parte tutto scavato nella rocca; aveva il suo vaso, ossia la conca lungo alla cima braccia 71., e sul fondo braccia 700 onc. 9 (tav. II. fig. 1. 2.), la sua larghezza nella sommità era di braccia 12. 6, e nel fondo braccia 9. 6 perchè le sponde erano formate con una scarpa di onc. 18. Il principio però della vasca, ossia l’ingresso dove era la soglia, da cui doveva l’acqua cadere aveva una larghezza solamente di braccia 10. Tutto il massiccio sotto la soglia aveva parimenti una scarpa di onc. 18, ed al suo piede vi era come un grande scalino concavo, si cui percuoteva l’acqua cadente. L’uscita da questa conca non era tutta aperta, e libera, come ne’ comuni sostegni; ma ivi si era formata una volta a foggia di ponte larga braccia 8, lunga braccia 9, ed alta nel mezzo braccia 8. 6, e sopra di essa si alzava un grande parapetto fino sopra delle sponde per un braccio. L’altezza delle sponde era di braccia 31; e perchè tutta la caduta dalla soglia d’ingresso fino al fondo era di braccia 28, ne riusciva l’altezza delle sponde sopra la medesima soglia di braccia 3. Sopra quella soglia si doveva formare la soprasoglia triangolare di legno, che servisse di battente alle imposte da noi chiamate portine; ed ivi vicino nelle sponde era fatta una incassatura atta a contenere le portine, allorchè fossero aperte. Il vano del ponte alla sortita doveva esser chiuso con due altre imposte, o, come noi diciamo, con due portoni da chiudersi parimente in angolo: la qual cosa, come si dovesse eseguire, dirò in seguito. Nella sponda sinistra di quella conca si formò una scala larga onc. 18, per la quale comodamente discendere, ed ascendere si potesse dalla cima al fondo, ed in fine di essa vi era un piano della medesima larghezza, e lungo fino al ponte.
Parallelo a questo sostegno era fabbricato unitamente il suo scaricatore. Veniva esso separato dalla conca per mezzo del gran muro, o argine, che formava la sponda sinistra di questa con uno sperone al suo principio lungo dalla sua punta fino alla caduta del sostegno braccia 17. 6, ed alto braccia 3, cioè al livello delle sponde, e grosso braccia 6. Il canale di questo scaricatore era largo al principio braccia 6. 9, ed alla fine braccia 7. 6, ma al fondo si restringeva alcune once, essendo le sue sponde fatte con qualche scarpa. All’entrata di questo canale vi era un gradino alto un braccio, il quale doveva servire di soglia ad una chiusa di varie porte, che secondo il bisogno si alzassero, ed abbassassero ne’ suoi incastri; dopo sette altre braccia vi era un altro gradino simile, e dopo altrettanto spazio se ne trovava un altro di onc. 6, indi seguitava in piano, e poi terminava in una precipitosa gradinata, che discendeva quasi al livello del fondo della conca. Ciascuno scalino di questa gradinata veniva nel mezzo incavato in maniera, che ne facesse due più piccoli, di modo tale, che ivi erasi fatta una scala sufficientemente comoda per gli operaj in caso di qualche ristaurazione. Passata questa gradinata vi era una volta, o ponte scavato sotto la rocca, per cui dovevano passare le acque, e scaricarsi nell’Adda.
Vediamo ora come in questo sostegno si fosse rimediato a quegl’inconvenienti, che succederebbero ne’ sostegni fatti secondo l’uso comune, quando fossero di una straordinaria caduta. Uno di tali inconvenienti si è il cadere dell’acqua da una grande altezza, che non solo produce qualche spavento a chi vi si trova vicino, ma può anche portare sconcerti reali o collo sconvolgere l’acqua stagnante, o collo scaricarsi troppo distante dalla sua caduta perpendicolare. Un altro disordine s’incontra nel collocare i portoni. Imperciocchè o si vogliono fare insteccati, ed alti fino alla cima delle sponde, e lasciare così tutta l’uscita aperta come al solito, ed in tal caso diventano essi di una mole tanto enorme, che devono dirsi impossibili; oppure si attraversa la sortita con un gran muro, sotto il quale vi sia un vano, o ponte per uscirne, come abbiam detto essersi fatto in questo sostegno, e allora i portoni chiusi in angolo sembrano impossibili per chiuderne il vano, e contenere l’acqua, perchè al disopra si trova lo spazio triangolare da essi formato sempre aperto. Che se il ponte si vuol chiudere con due portoni in piano si va ad incontrare una difficoltà di molto momento, che è la minore solidità, e troppa facilità di rompersi, o disgiungersi, e la maggiore difficoltà di aprirli. Un terzo disordine si incontrerebbe se un tale sostegno si avesse a votare come gli altri per mezzo di due usciuoli ne’ portoni. Imperciocchè la grande altezza dell’acqua stagnante genererebbe tanta velocità, e forza nell’acqua, che uscisse da quelli, che sarebbe capace a scompaginare, e rompere e i portoni, e la soglia, ed anche l’edificio; e quando ancora ciò non succedesse sarebbe impossibile, che non si eccitasse un furioso vortice nell’acqua contenuta con gran pericolo delle barche.
Per togliere dunque il primo male si doveva porre avanti la caduta dell’acqua un gran tavolato di legname ben connesso, e forte, il quale tutta da capo a fondo la coprisse. Questo tavolato si doveva porre distante dalla caduta in cima tre braccia, ed al fondo due braccia, e nove once, come viene marcato nelle figure 1. e 2., e doveva essere formato con otto travi di rovere incastrate per le teste nelle sponde, che ne dividessero tutta l’altezza in sette spazj eguali, in ciascuno de’ quali vi fossero due saette, o bracciuoli, che impedissero alle travi il curvarsi abbasso; e poi tutte queste travi dovevano essere ricoperte di dentro esattamente con tavole di rovere. Con un tale riparo si impediva all’acqua il cadere lontano, e venivano tolti i pericolosi sconvolgimenti. La figura 3, che è lo spaccato del sostegno verso l’ingresso sulla linea A B della fig. 2. spiegherà più chiaramente questo riparo.
Quanto al secondo inconveniente si era stabilito veramente di chiudere il ponte all’uscita con due portoni insteccati; lo che per poter fare il seguente ripiego si pensò. Sopra dell’arco, che serviva d’uscita si formò un’altro arco, il quale sporgesse in fuori come una volta circa onc. 15. (fig. 1. e 4.). Sotto questo arco si doveva formare una volta piana, la quale al di sotto fosse un poco più alta della sommità del ponte, e tanto sporto avesse, quanto bastasse a coprire tutto il triangolo formato dalli portoni chiusi, e doveva essere rinforzata col sostegno di una grossa stanga di ferro fitta nel muro in ambedue le teste, e ritenuta da due catene, o tiranti di ferro attaccate al superiore arco. Sotto poi alla medesima volta piana si doveva porre il battente per i portoni come quello della soglia formato con travi in parte incastrate nella stessa volta per mezzo di una adattata incassatura a tal’effetto tagliata nelle pietre componenti, e trattenute da varie figure, e ritegni di ferro. La figura 4., che è lo spaccato verso l’uscita sulla linea C D della fig. 2. dimostrerà maggiormente il tutto; ivi si è disegnato un portone chiuso, e l’altro aperto per far vedere anche il ponte dell’uscita; vi si è anche disegnato lo spaccato dello scaricatore come nella fig. 3. colla volta, sotto cui dovevano passare le acque a scaricarsi nell’Adda.
Per levare il terzo disordine si pose in opera il seguente rimedio. Oltre i portelli da farsi ne’ portoni nella sponda sinistra della conca, che corrisponde allo scaricatore, si formarono cinque aperture, o finestre alte braccia 2 ½, e larghe onc. 18 quasi corrispondenti alla gradinata dello scaricatore, le quali si potessero aprire, e chiudere con una porta ne’ suoi incastri stando sulla cima della sponda con un tornello, o con una leva, o altro simile ordigno, e per esse si doveva di mano in mano scaricare l’acqua contenuta nella conca senza alcun pericolo.
Ora parmi, che non solamente a Voi, ornatissimo Sig. Eustachio, ma a chiunque altro anche di mediocre talento riuscirà facile l’intendere qual metodo si dovesse tenere per fare uso di un tale sostegno, che è ciò, che rimane da spiegare. Se la conca era vota, e si aveva da riempire, il portinajo, chiuse le portine secondo il solito, doveva chiudere tutt’i cinque sfoghi laterali; poi discendendo per la scala dentro la conca, andava a chiudere i portoni, ed il loro portello. Ciò fatto tornava di sopra, e doveva serrare tutte le porte della chiusa dello scaricatore. Allora tutta l’acqua del naviglio entrava nella conca cadendo dalle portine, e dalla soglia posteriormente al descritto tavolato: onde prestissimamente, e senza alcun pericolo veniva tutto il gran vaso riempito; il quale pieno poi che fosse doveva il portinajo aprire di nuovo lo scaricatore, acciò tutta l’acqua del naviglio passasse per esso a scaricarsi nel fiume senza che una minima parte ne entrasse nel sostegno; la qual cosa però, abbenchè non venisse eseguita, secondo pare, che indichi una buona regola; ciò non ostante non sarebbe tanto facilmente successo alcun male, perchè l’acqua surpassando l’argine si sarebbe placidamente scaricata nello scaricatore.
Se poi essendo pieno il sostegno si voleva votare, doveva allora il portinajo aprire dapprima lo scaricatore, se di già non era aperto, indi passare sulla sponda intermedia, ed aprire il primo sfogo superiore, e poi aspettare fin a tanto, che si fosse abbassata tutta, o quasi tutta quell’acqua, che per esso potesse scaricarsi. Ciò fatto apriva il secondo sfogo, e scaricata l’acqua ad esso appartenente di mano in mano nello stesso modo apriva anche gli altri tre, ed abbassatasi l’acqua fino alla soglia dell’ultimo sfogo, discendendo la scala dovea andare il portinajo ad aprire il portello de’ portoni, per cui terminasse di scaricarsi l’acqua contenuta nella conca, ed in seguito aprire i portoni; tutto che mi sembra che dovesse seguire con prestezza, e facilità, e senza alcun sconcerto, quando si fosse operato regolarmente.
Egli è inutile per Voi l’avvertire, che in questo sostegno lo scaricatore sboccava nell’Adda, perchè con esso terminava il naviglio, e comunicava collo stesso fiume; altrimenti doveva trasmettere le acque nello stesso naviglio di sotto del sostegno, come era nell’altro più piccolo enunciato al principio.
Il chiariss. Ab. Lecchi nel suo Trattato de’ canali navigabili cap. 6. asserisce due cose contrarie a ciò, che ho esposto. Una si è, che i portoni non dovevano chiudersi in angolo, ma dovevano essere posti in piano, e disposti in guisa da alzarsi perpendicolarmente cogli argani. L’altra si è, che il riempimento della conca non doveva farsi scaricando il naviglio dalla cresta delle portine, ma introducendo l’acqua per que’ medesimi cinque sfoghi, che ho detto dover servire al votamento, e ciò col chiudere lo sbocco dello scaricatore, e facendo entrare tutto il naviglio nel medesimo. Ma io credo, che non faccia bisogno di gran discorso per conoscere la verità della mia descrizione. Imperciocchè quanto al primo la posizione de’ portoni secondo che dice quell’illustre Scrittore era impossibile in questo sostegno primieramente, perchè o erano più di uno, e allora era necessario che fosse posta avanti al ponte una grossa trave in piedi, o altro simil corpo, in cui vi fossero gl’incastri da contenere le porte; e allora, domando io, dove dovevano passare le barche? Se era poi una sola porta, qual macchina doveva alzarla? Dov’era la facilità, e la sicurezza necessaria? Secondariamente poi basta averne osservata la costruzione per restarne convinto. Come si dovevano alzare questi portoni, se sopra il ponte sporgeva in fuori un arco in forma di volta, che lo impediva? Se poi a queste riflessioni si aggiugnerà, che vi erano le incassature nelle sponde per collocarvi i portoni quando erano aperti: che nell’arco superiore vi erano già posti gli occhi di ferro per attaccarvi le catene, che dovevano sostenere l’arco piano, e cose simili, la cosa sarà non solo chiara, ma evidentissima.
Lo stesso si dica del secondo. In qual maniera si doveva chiudere lo sbocco dello scaricatore? Certamente, che in altro modo non si poteva che con una, o più porte. Ma oltre il non esservi stato di ciò alcun indizio nè nella costruzione, nè nelle carte rimasteci ove anzi il tutto indica l’opposto, qual sodezza d’edificio era mai capace di resistere all’impeto di un’acqua uscente sotto la pressione di tanta altezza? qual forza mai poteva aprire tali porte quando era piena tutta la vasca? Vi volevano ben altro, che i barcajuoli, e i portinaj.
E ciò non solo non era quello, che ebbe di mira l’Autore di un tal sostegno nella sua costruzione, ma in oltre, se alcuno mai pensasse, che fosse meglio, si dimostra, che tira seco incomodi rimarchevoli. Imperciocchè volendolo eseguire è indispensabile il formare un altro canale, per cui possa scaricarsi tutto il naviglio quando la conca è piena; e questo non è di piccolo incomodo principalmente se l’acqua deve tornare di nuovo nel naviglio, ed è quasi impossibile, se come nel caso nostro, lo spazio è ristretto. Di più oltre il riempire, e votare tutta la conca è necessario empire ancora, e votare tutto il vaso dello scaricatore; la qual cosa richiede molto tempo di più, quando tutto lo studio deve essere di ottenerne l’effetto colla maggiore prestezza possibile.
Per altro chiunque può restar sicuro della esattezza, e della verità della mia descrizione, avendola io fatta sull’esame dell’edificio stesso moltissime volte da me osservato quando era esistente, e de’ disegni, e d’altri documenti originali, non solo del descritto sostegno, ma di tutte le operazioni allora stabilite per rendere navigabile il fiume Adda, che si ritrovano presso di me. Se l’invenzione sia grandiosa, e bella, e degna di essere conservata come pare a me, ciò è quello, che Voi dovete giudicare, nè io voglio più prolungarvi il tedio con altri discorsi, essendo anche troppo quello, che finora vi ho dato. Vi prego a non riflettere al mio ardire di disturbarci con uno scritto mal composto; ma bensì ad accettare questo come un effetto di quella stima, che in me verso di Voi produce il vostro sapere, e la vostra gentilezza già molte volte da me stesso sperimentata. Che se al contento di essere da Voi aggradito potessi anche lusingarmi che fosse pur letto questo mio scritto dal vostro Sig. Zio, vero lume della nostra Italia, confesso, che avrei un onore, ed una consolazione delle più grandi. Che io mai possa desiderare. Vivete felice.

Milano 20. Agosto 1777.


© Fotografie di Giancarlo Mauri 




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