Io mi persuado eruditissimo, e
gentilissimo Sig. Zanotti, che caro
vi possa riuscire qualunque nuova pruova del genio, e del sapere della nostra
comune nazione italiana nelle scienze più utili anche ne’ tempi passati, quando
meno erano coltivate; onde sia per piacervi anche quella, che ora io voglio
porvi avanti gli occhi. Nè per certo minor contento debbo sentire io stesso
avendo il piacere di dimostrarvi con ciò, che anche la mia Patria ne’ secoli,
in cui le scienze erano pochissime estese, ebbe uomini d’ingegno raro, e di
profondo sapere. A tal’effetto mi do l’onore di comunicarvi la descrizione di
un sostegno di straordinaria invenzione per un canale navigabile da me veduto,
ed esaminato, ed ora distrutto per occasione delle nuove fabbriche ultimamente
intraprese, e già quasi ultimate per lo stesso fine; onde mercè le sovrane
beneficenze, e le sollecitudini del R. Arciduca Ferdinando avrem tra poco
libera, e comoda navigazione dal Lago di Como a questa Capitale.
Al
principio del secolo XVI. erasi
egualmente intrapreso di rendere navigabile il fiume Adda; e per tal cagione si
doveva formare siccome ora s’è eseguito nel luogo più precipitoso, e pieno di
scoglj un canale di deviazione navigabile, parallelo al fiume, e lungo poco
meno di due miglia proposto dai due Ingegneri Milanesi Bartolomeo della Valle, e Benedetto
Massaglia, nel quale dovevano distribuirsi varj sostegni da noi chiamati Conche, che togliessero la caduta di
braccia 43, e dopo di essi ritornasse nel fiume in luogo sicuro. Ma appena si
pose mano all’opera, che venne abbandonata. Alla fine però dello stesso secolo
si riassunse l’impegno, e Giuseppe Meda
celebre Architetto, e Pittore Milanese propose una nuova idea dell’opera, e la
pose in esecuzione, la quale come poi non siasi perfezionata non occorre il
discorrerne. Tra le altre cose egli ripartì quasi tutta la caduta in soli
sostegni; il primo lo formò colla caduta di braccia 11., ed il secondo di
braccia 28, ma di una invenzione non mai più vista. Io farò la descrizione
solamente del secondo come quello, che è più grandioso e più difficile, non
essendo diverso dal primo, che nella profondità.
Questo
sostegno era per la maggior parte tutto scavato nella rocca; aveva il suo vaso,
ossia la conca lungo alla cima braccia 71., e sul fondo braccia 700 onc. 9
(tav. II. fig. 1. 2.), la sua
larghezza nella sommità era di braccia 12. 6, e nel fondo braccia 9. 6 perchè
le sponde erano formate con una scarpa di onc. 18. Il principio però della
vasca, ossia l’ingresso dove era la soglia, da cui doveva l’acqua cadere aveva
una larghezza solamente di braccia 10. Tutto il massiccio sotto la soglia aveva
parimenti una scarpa di onc. 18, ed al suo piede vi era come un grande scalino
concavo, si cui percuoteva l’acqua cadente. L’uscita da questa conca non era
tutta aperta, e libera, come ne’ comuni sostegni; ma ivi si era formata una
volta a foggia di ponte larga braccia 8, lunga braccia 9, ed alta nel mezzo
braccia 8. 6, e sopra di essa si alzava un grande parapetto fino sopra delle
sponde per un braccio. L’altezza delle sponde era di braccia 31; e perchè tutta
la caduta dalla soglia d’ingresso fino al fondo era di braccia 28, ne riusciva
l’altezza delle sponde sopra la medesima soglia di braccia 3. Sopra quella
soglia si doveva formare la soprasoglia triangolare di legno, che servisse di
battente alle imposte da noi chiamate portine;
ed ivi vicino nelle sponde era fatta una incassatura atta a contenere le
portine, allorchè fossero aperte. Il vano del ponte alla sortita doveva esser
chiuso con due altre imposte, o, come noi diciamo, con due portoni da chiudersi parimente in angolo: la qual cosa, come si
dovesse eseguire, dirò in seguito. Nella sponda sinistra di quella conca si
formò una scala larga onc. 18, per la quale comodamente discendere, ed ascendere
si potesse dalla cima al fondo, ed in fine di essa vi era un piano della
medesima larghezza, e lungo fino al ponte.
Parallelo
a questo sostegno era fabbricato unitamente il suo scaricatore. Veniva esso
separato dalla conca per mezzo del gran muro, o argine, che formava la sponda
sinistra di questa con uno sperone al suo principio lungo dalla sua punta fino
alla caduta del sostegno braccia 17. 6, ed alto braccia 3, cioè al livello
delle sponde, e grosso braccia 6. Il canale di questo scaricatore era largo al
principio braccia 6. 9, ed alla fine braccia 7. 6, ma al fondo si restringeva
alcune once, essendo le sue sponde fatte con qualche scarpa. All’entrata di
questo canale vi era un gradino alto un braccio, il quale doveva servire di
soglia ad una chiusa di varie porte, che secondo il bisogno si alzassero, ed
abbassassero ne’ suoi incastri; dopo sette altre braccia vi era un altro
gradino simile, e dopo altrettanto spazio se ne trovava un altro di onc. 6,
indi seguitava in piano, e poi terminava in una precipitosa gradinata, che
discendeva quasi al livello del fondo della conca. Ciascuno scalino di questa
gradinata veniva nel mezzo incavato in maniera, che ne facesse due più piccoli,
di modo tale, che ivi erasi fatta una scala sufficientemente comoda per gli
operaj in caso di qualche ristaurazione. Passata questa gradinata vi era una
volta, o ponte scavato sotto la rocca, per cui dovevano passare le acque, e
scaricarsi nell’Adda.
Vediamo
ora come in questo sostegno si fosse rimediato a quegl’inconvenienti, che
succederebbero ne’ sostegni fatti secondo l’uso comune, quando fossero di una
straordinaria caduta. Uno di tali inconvenienti si è il cadere dell’acqua da
una grande altezza, che non solo produce qualche spavento a chi vi si trova
vicino, ma può anche portare sconcerti reali o collo sconvolgere l’acqua
stagnante, o collo scaricarsi troppo distante dalla sua caduta perpendicolare.
Un altro disordine s’incontra nel collocare i portoni. Imperciocchè o si
vogliono fare insteccati, ed alti fino alla cima delle sponde, e lasciare così
tutta l’uscita aperta come al solito, ed in tal caso diventano essi di una mole
tanto enorme, che devono dirsi impossibili; oppure si attraversa la sortita con
un gran muro, sotto il quale vi sia un vano, o ponte per uscirne, come abbiam
detto essersi fatto in questo sostegno, e allora i portoni chiusi in angolo
sembrano impossibili per chiuderne il vano, e contenere l’acqua, perchè al
disopra si trova lo spazio triangolare da essi formato sempre aperto. Che se il
ponte si vuol chiudere con due portoni in piano si va ad incontrare una
difficoltà di molto momento, che è la minore solidità, e troppa facilità di
rompersi, o disgiungersi, e la maggiore difficoltà di aprirli. Un terzo
disordine si incontrerebbe se un tale sostegno si avesse a votare come gli
altri per mezzo di due usciuoli ne’ portoni. Imperciocchè la grande altezza
dell’acqua stagnante genererebbe tanta velocità, e forza nell’acqua, che
uscisse da quelli, che sarebbe capace a scompaginare, e rompere e i portoni, e
la soglia, ed anche l’edificio; e quando ancora ciò non succedesse sarebbe
impossibile, che non si eccitasse un furioso vortice nell’acqua contenuta con
gran pericolo delle barche.
Per
togliere dunque il primo male si doveva porre avanti la caduta dell’acqua un
gran tavolato di legname ben connesso, e forte, il quale tutta da capo a fondo
la coprisse. Questo tavolato si doveva porre distante dalla caduta in cima tre
braccia, ed al fondo due braccia, e nove once, come viene marcato nelle figure
1. e 2., e doveva essere formato con otto travi di rovere incastrate per le
teste nelle sponde, che ne dividessero tutta l’altezza in sette spazj eguali,
in ciascuno de’ quali vi fossero due saette, o bracciuoli, che impedissero alle
travi il curvarsi abbasso; e poi tutte queste travi dovevano essere ricoperte
di dentro esattamente con tavole di rovere. Con un tale riparo si impediva
all’acqua il cadere lontano, e venivano tolti i pericolosi sconvolgimenti. La
figura 3, che è lo spaccato del sostegno verso l’ingresso sulla linea A B della fig. 2. spiegherà più
chiaramente questo riparo.
Quanto
al secondo inconveniente si era stabilito veramente di chiudere il ponte
all’uscita con due portoni insteccati; lo che per poter fare il seguente
ripiego si pensò. Sopra dell’arco, che serviva d’uscita si formò un’altro arco,
il quale sporgesse in fuori come una volta circa onc. 15. (fig. 1. e 4.). Sotto
questo arco si doveva formare una volta piana, la quale al di sotto fosse un
poco più alta della sommità del ponte, e tanto sporto avesse, quanto bastasse a
coprire tutto il triangolo formato dalli portoni chiusi, e doveva essere
rinforzata col sostegno di una grossa stanga di ferro fitta nel muro in ambedue
le teste, e ritenuta da due catene, o tiranti di ferro attaccate al superiore
arco. Sotto poi alla medesima volta piana si doveva porre il battente per i
portoni come quello della soglia formato con travi in parte incastrate nella
stessa volta per mezzo di una adattata incassatura a tal’effetto tagliata nelle
pietre componenti, e trattenute da varie figure, e ritegni di ferro. La figura
4., che è lo spaccato verso l’uscita sulla linea C D della fig. 2. dimostrerà
maggiormente il tutto; ivi si è disegnato un portone chiuso, e l’altro aperto
per far vedere anche il ponte dell’uscita; vi si è anche disegnato lo spaccato
dello scaricatore come nella fig. 3. colla volta, sotto cui dovevano passare le
acque a scaricarsi nell’Adda.
Per
levare il terzo disordine si pose in opera il seguente rimedio. Oltre i
portelli da farsi ne’ portoni nella sponda sinistra della conca, che
corrisponde allo scaricatore, si formarono cinque aperture, o finestre alte
braccia 2 ½, e larghe onc. 18 quasi corrispondenti alla gradinata dello
scaricatore, le quali si potessero aprire, e chiudere con una porta ne’ suoi incastri
stando sulla cima della sponda con un tornello, o con una leva, o altro simile
ordigno, e per esse si doveva di mano in mano scaricare l’acqua contenuta nella
conca senza alcun pericolo.
Ora
parmi, che non solamente a Voi, ornatissimo Sig. Eustachio, ma a chiunque altro anche di mediocre talento riuscirà
facile l’intendere qual metodo si dovesse tenere per fare uso di un tale
sostegno, che è ciò, che rimane da spiegare. Se la conca era vota, e si aveva
da riempire, il portinajo, chiuse le portine secondo il solito, doveva chiudere
tutt’i cinque sfoghi laterali; poi discendendo per la scala dentro la conca,
andava a chiudere i portoni, ed il loro portello. Ciò fatto tornava di sopra, e
doveva serrare tutte le porte della chiusa dello scaricatore. Allora tutta
l’acqua del naviglio entrava nella conca cadendo dalle portine, e dalla soglia
posteriormente al descritto tavolato: onde prestissimamente, e senza alcun
pericolo veniva tutto il gran vaso riempito; il quale pieno poi che fosse
doveva il portinajo aprire di nuovo lo scaricatore, acciò tutta l’acqua del
naviglio passasse per esso a scaricarsi nel fiume senza che una minima parte ne
entrasse nel sostegno; la qual cosa però, abbenchè non venisse eseguita,
secondo pare, che indichi una buona regola; ciò non ostante non sarebbe tanto
facilmente successo alcun male, perchè l’acqua surpassando l’argine si sarebbe
placidamente scaricata nello scaricatore.
Se
poi essendo pieno il sostegno si voleva votare, doveva allora il portinajo
aprire dapprima lo scaricatore, se di già non era aperto, indi passare sulla
sponda intermedia, ed aprire il primo sfogo superiore, e poi aspettare fin a
tanto, che si fosse abbassata tutta, o quasi tutta quell’acqua, che per esso
potesse scaricarsi. Ciò fatto apriva il secondo sfogo, e scaricata l’acqua ad
esso appartenente di mano in mano nello stesso modo apriva anche gli altri tre,
ed abbassatasi l’acqua fino alla soglia dell’ultimo sfogo, discendendo la scala
dovea andare il portinajo ad aprire il portello de’ portoni, per cui terminasse
di scaricarsi l’acqua contenuta nella conca, ed in seguito aprire i portoni;
tutto che mi sembra che dovesse seguire con prestezza, e facilità, e senza
alcun sconcerto, quando si fosse operato regolarmente.
Egli
è inutile per Voi l’avvertire, che in questo sostegno lo scaricatore sboccava
nell’Adda, perchè con esso terminava il naviglio, e comunicava collo stesso
fiume; altrimenti doveva trasmettere le acque nello stesso naviglio di sotto
del sostegno, come era nell’altro più piccolo enunciato al principio.
Il
chiariss. Ab. Lecchi nel suo Trattato de’
canali navigabili cap. 6. asserisce due cose contrarie a ciò, che ho
esposto. Una si è, che i portoni non dovevano chiudersi in angolo, ma dovevano
essere posti in piano, e disposti in guisa da alzarsi perpendicolarmente cogli
argani. L’altra si è, che il riempimento della conca non doveva farsi
scaricando il naviglio dalla cresta delle portine, ma introducendo l’acqua per
que’ medesimi cinque sfoghi, che ho detto dover servire al votamento, e ciò col
chiudere lo sbocco dello scaricatore, e facendo entrare tutto il naviglio nel
medesimo. Ma io credo, che non faccia bisogno di gran discorso per conoscere la
verità della mia descrizione. Imperciocchè quanto al primo la posizione de’
portoni secondo che dice quell’illustre Scrittore era impossibile in questo
sostegno primieramente, perchè o erano più di uno, e allora era necessario che
fosse posta avanti al ponte una grossa trave in piedi, o altro simil corpo, in
cui vi fossero gl’incastri da contenere le porte; e allora, domando io, dove
dovevano passare le barche? Se era poi una sola porta, qual macchina doveva
alzarla? Dov’era la facilità, e la sicurezza necessaria? Secondariamente poi
basta averne osservata la costruzione per restarne convinto. Come si dovevano
alzare questi portoni, se sopra il ponte sporgeva in fuori un arco in forma di
volta, che lo impediva? Se poi a queste riflessioni si aggiugnerà, che vi erano
le incassature nelle sponde per collocarvi i portoni quando erano aperti: che
nell’arco superiore vi erano già posti gli occhi di ferro per attaccarvi le
catene, che dovevano sostenere l’arco piano, e cose simili, la cosa sarà non
solo chiara, ma evidentissima.
Lo
stesso si dica del secondo. In qual maniera si doveva chiudere lo sbocco dello
scaricatore? Certamente, che in altro modo non si poteva che con una, o più
porte. Ma oltre il non esservi stato di ciò alcun indizio nè nella costruzione,
nè nelle carte rimasteci ove anzi il tutto indica l’opposto, qual sodezza
d’edificio era mai capace di resistere all’impeto di un’acqua uscente sotto la
pressione di tanta altezza? qual forza mai poteva aprire tali porte quando era
piena tutta la vasca? Vi volevano ben altro, che i barcajuoli, e i portinaj.
E
ciò non solo non era quello, che ebbe di mira l’Autore di un tal sostegno nella
sua costruzione, ma in oltre, se alcuno mai pensasse, che fosse meglio, si
dimostra, che tira seco incomodi rimarchevoli. Imperciocchè volendolo eseguire
è indispensabile il formare un altro canale, per cui possa scaricarsi tutto il
naviglio quando la conca è piena; e questo non è di piccolo incomodo
principalmente se l’acqua deve tornare di nuovo nel naviglio, ed è quasi
impossibile, se come nel caso nostro, lo spazio è ristretto. Di più oltre il
riempire, e votare tutta la conca è necessario empire ancora, e votare tutto il
vaso dello scaricatore; la qual cosa richiede molto tempo di più, quando tutto
lo studio deve essere di ottenerne l’effetto colla maggiore prestezza
possibile.
Per
altro chiunque può restar sicuro della esattezza, e della verità della mia
descrizione, avendola io fatta sull’esame dell’edificio stesso moltissime volte
da me osservato quando era esistente, e de’ disegni, e d’altri documenti
originali, non solo del descritto sostegno, ma di tutte le operazioni allora
stabilite per rendere navigabile il fiume Adda, che si ritrovano presso di me.
Se l’invenzione sia grandiosa, e bella, e degna di essere conservata come pare
a me, ciò è quello, che Voi dovete giudicare, nè io voglio più prolungarvi il
tedio con altri discorsi, essendo anche troppo quello, che finora vi ho dato.
Vi prego a non riflettere al mio ardire di disturbarci con uno scritto mal
composto; ma bensì ad accettare questo come un effetto di quella stima, che in
me verso di Voi produce il vostro sapere, e la vostra gentilezza già molte
volte da me stesso sperimentata. Che se al contento di essere da Voi aggradito
potessi anche lusingarmi che fosse pur letto questo mio scritto dal vostro Sig.
Zio, vero lume della nostra Italia, confesso, che avrei un onore, ed una
consolazione delle più grandi. Che io mai possa desiderare. Vivete felice.
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