giovedì 2 ottobre 2014

1599 - Discorso del signor Guido MAZENTA intorno il far navigabile il fiume Adda



Signor Vicario. Se la Villa mi toglie il gusto di godere V.S. presente, mi porge nondimeno occasione di ristorare il dãno dell’assenza, co’l guadagno, ch’ora faccio, scrivendole: percioche il luogo stesso, nel quale quasi ogni giorno, per diletto mi diporto, mi rinfaccia sovente la promessa, ch’io le hò fatta, & mi ricorda l’obligo mio di servire alla patria, & à V. S. insieme, co’l mettere in carta il ragionamento, il quale seco hebbi, sopra la Navigatione del fiume Adda. Ciò segue, perche passando puoco lungi dalla Villa, nella quale dimoro, il Naviglio grande spesso nelle rive di quello vò rimirãdo, che co’l corso del fiume continovamente contende un perpetuo profluvio di Barche, che verso Milano cariche di vettovaglie, quasi senz’arte navigando corrono, e di più m’accorgo, che l’acqua stessa, doppo l’havere servito un tempo in vece di sommiere, ò carro, portando nella Città infiniti carichi, tanto utili, quanti sono i cibi, i vini, & infinite merci, alla fine si risolse anch’ella di convertirsi in latte, mentre che in mille rivi spargendosi, per beneficio pure della medesima Città i campi vicini, & i lontani ancora và fecondando. Et quando poi le meraviglie di questo artificioso fiume, con molto stupore, hò qualche tempo contemplate, meritamēte dico tanta invidia ne portano gl’habitatori delle vaghe rive dell’Adda, & quelli, che lungo si bel fiume i suoi poderi tengono, & con gran ragione tentano di levare tutti gl’intoppi, gli quali un’altra simile navigatione, con grandissimo danno loro rendono impedita. Dunque quello, che mi ricorda il sito, mi sforza il debito ad essequire, e perciò le invio il presente discorso, non perche io non sappia, che à chi manco sà, meno si conviene, il consigliar persone di maggiore isperienza, e cognitione, ma più tosto, perche come giusto Giudice possa considerare le ragioni, ch’io adduco, & conoscere, che, se sono vuote di prudenza, elle almeno sono piene di affetto, e di zelo, verso la patria.
Primieramente dunque è necessario il sapere, che tutte le cause naturali, & accidentali, che possono far grande una Città, si veggono unitamente, anzi à garra concorrere, per aggrandire Milano, poscia che gran parte della felicità sua naturale nasce dal sito, nel quale è posto, godendo egli, non solamente aria temperatissimo, ma di più sedendo nel mezzo del più grande, del più bello, del più habitato, & del più fertile piano d’Italia, onde anco, per naturale commodità del sito suo, viene à servire, quasi per Centro, & per emporio commune all’Italia, alla Francia, & alla Germania. Se gl’accidenti poi, per gli quali Milano è fatto grandissimo si vogliono considerare, tralasciando il trattare, come in tranquillo, e sicuro stato maggiormente fiorisca, sotto l’impero d’un Rè, tanto buono, quanto grande, & perche sia Metropoli d’una nobilissima Provincia, oltre l’accrescimento che da queste cause riceve, miracoloso certo à tutti pare il sovvenimento del vivere, la facilità de commercij, la commodità delle ricchezze, l’occasione dell’acquistarle, la moltiplicatione de gl’habitatori, la copia di tutte le cose, & gl’altri infiniti, & inestimabili beneficij, che tutti sono alla Città apportati, per mezzo dell’acque artificiosamente à Milano condotte, per servigio della navigatione, & dell’irrigatione insieme, essendo, che i duoi fiumi maggiori d’Italia, che sono dopò il Pò, il Tesino, e l’Adda, mentre con amenissimi giri fanno vaga corona à questa fertilissima Insubria, sono con tale artificio alzati, derivati, e spinti fuori de’ proprij letti, che soccorrendo, con l’irrigatione alla sete, & aridità de Campi, tutte le parti della natura, e dell’arte, ricco tributo vengono à rendere à questa Provincia, di modo, che in breve spatio di terreno, si veggono nascere tutti quei frutti, che & ne gli asciutti, & ne gl’humidi paesi possono essere partoriti, e prodotti. Egitto dunque artificiosamēte irriguo è fatto il territorio di Milano, & tanto più, che oltre i fiumi, contiene ancora i più gran Laghi d’Italia circondati da infinite Valli piene di popoli, e d’armēti, & da quelli Laghi apunto, dalli quali, cavando Virgilio le lodi della stessa Italia scrisse.
Anne lacus tantos? te Lari? Maxime teq ;?
Questi sono il lago maggiore, e quello di Como, gli quali sono stati posti dalla natura, come due gran cataratte, over ricettacoli, e claustri d’acque sospese à Cavalliere di queste spatiosissime Campagne, accioche da quelli di tanto humore gravidi, & per vene sotterranee, dalle quali infinite fontane se ne cavano, & per euripi, overo fiumi navigabili fatti à mano abbundantissimi rivi concorressero, per inaffiare questo piano ad arbitrio de gli habitanti, e non del Nilo. Ma lasciando lo scrivere, come questi ruscelli, ò più tosto canali copiosissimi d’acque tal volta tre, e quattro in ischiera, tal volta l’un sormontando all’altro corrano à garra per giovare, e nodrire questa numerosissima natione, & seguendo il proposito mio, trattarò solamente di navigatione della quale Milano, benche mediterraneo sia, ne sente però grandissimo commodo, & maggior ancora ne potrebbe ricevere. Perciò riducendo tutto il Discorso à tre capi.
Il primo sarà, se possibile sia il far facile questa desiderata navigatione del fiume Adda.
Il secondo, se presuposta la facilità, debba esser utile.
Il terzo, se essendo l’opera riuscibile, & utile, possa il lavoro già fatto servire in tutto, ò in parte, per finir l’impresa, & che modo si potrebbe tenere, per rimediare alle rovine, che seguono alla giornata, & che per l’avvenire seguiranno.
Del promo capo, cioè se si possa ridurre à fine l’impresa, à me parrebbe superfluo il trattarne, essendo stato tãte volte deciso dalla Città, & dal Senato stesso, & in particolare l’anno 1519. doppo intese tante dispute, contradditioni, E giuditij de Periti, & finalmente doppo l’essersi à tempi nostri ridotto l’edificio al termine, che si trova, con il governo d’una particolare Congregatione, nella quale sono entrati, & entrano Senatori gravissimi, e Cavaglieri tali, che altro fine non hanno havuto mai, che far quanto potevano, acciò per publico bene, con ogni diligenza, e risparmio si essequisse quello, che non solamente da Architetto stimato molto prattico, & giuditioso, ma da molti altri ancora era stato approvato. Ma come che hora avenga à questo fiume, come à mol’altri à venire spesso suole, gli quali doppo lunghissime pioggie, tumidi, e gonfij, soverchiando gl’argini, & in più luoghi stracciandoli, per le rotture fatte à precipitarsi velocemente corrono, onde ciascuno, intesa la subita rovina, con molta fretta se ne vola, per riparare al danno ch’indi seguir ne deve, cosi intendendo anch’io dalle voci degl’altri il romore di quest’Adda, & che gonfiata anch’ella, e tutta irata, va rovinando le machine, che intorno se gli fabricano non è maraviglia, se al medesimo fiume rivolto, tento di sovvenire in parte alcuna al bisogno presente, & benche per debolezza dell’ingegno mio poco io speri, hò nondimeno voluto, mentre molte volte hò sentito V. S. tutta dubbiosa, discorrerne arditamente assicurla di quello di che il fatto parla, acciò essendo di molto maggior giuditio di me, possa ancora più dottamente trattarne, & risolvere. Accrescere dunque dobbiamo quanto più si può i beneficij concessi dalla natura alla patria nostra, con le medesime vie, che l’istessa natura, come maestra ci mostra facili, imitando in questo i nostri padri, gli quali per acquistare nuovo popolo, e nodrire l’acquistato, doppo l’haver tentato di sboccare il lago di Lugano sopra le Campagne del Seprio, di far navigabile il Lambro, di condurre nella Città il lago di Como per la Valle di Seveso, & anco di cavare un nuovo Naviglio dall’Adda poco sopra Brivio, il quale passando per Vimercato, doppo grande irrigatione s’inviasse verso Milano, elessero nondimeno, per negotio più facile, e manco dispendioso il rendere navigabile l’Adda in quel miglio solo, nel quale resta impedita la navigatione dal precipitio suo. Et quãdo l’auttorità, & essempio de nostri padri non ci movesse, movere ad ogni modo ci doverebbe la ragione, poiche se cosi gran corpo, com’è Milano, viene abbundantamente soccorso, e nodrito dal destro braccio che è il Tesino, il quale cõtinova rēde la navigatione, dal principio del lago maggiore fino à Milano per mezzo del naviglio grande, veramente patirebbe troppo danno, restando privo della utilità grande, che gli porgerebbe l’Adda, la quale hora quasi braccio sinistro debilitato, e manco, overo vena ostrutta non può fare l’officio suo. E benche di presente si mandino da Trezzo, verso Milano parte dell’acque d’Adda, le quali divertite nel Naviglio di Martesana entrano nella Città, resta nondimeno interrotta la navigatione dalla bocca del detto Naviglio, sino al lago di Como, per la via della stessa Adda, & viene per conseguenza chiusa la strada ad un grãdissimo commercio, che s’aprirebbe in questa parte fra la Germania e l’Italia.
Hora per conoscere la causa di tanto male, avanti che si affermi esser curabile, dico chiara cosa essere, che un solo miglio di rovinoso fiume interrompe la navigatione, dal principio del lago di Como, fino à Milano. E questo avviene, perche l’Adda, la quale quieta, piacevole, & senza tumulto alcuno scender si vede dal lago, fino à quelli tre scogli, gli quali per essere elevati molto sopra l’acqua, le tre corna si dimandano, passando poi nel mezzo di quelli, & essendo da loro molto ristretta, di mansueta fatta superba, e rapida, di balzo, & abbandonata, in una profonda bassezza, con furia tale si lancia, che ritrovando il letto tutto cavato nel massiccio di pietra viva, in quelle dure coti rotta, & spumante percuoter si vede, mutãdo il solito suo colore, non per malignità naturale del fiume, ma per ingiuria del luogo: & come che ottenghi vittoria, liberandosi da tale assedio, & uscendo da quelle angustie à lei troppo nemiche, con vasto, & horribile strepito quasi trionfante, non solo del vincer suo, avisa i monti, e le vicine valli, ma le assorda ancora. Caduto che è il fiume da questi aspri scogli, dentro de quali per longhezza d’un miglio và precipitandosi: frà balze horride, spaventevole si dimostra fin tanto, che pervenuto al piede del monte detto di Santa Maria della Rocchetta, doppo l’havere in questo miglio caduto quanto importa l’altezza di quarantadue braccia, quasi come in lago piano si riposa, e ripigliando l’ordinario, e piacevole suo corpo, verso il Castello di Trezzo s’invia per mandare indi parte dell’acque sue tributarie verso Milano.
Per la rovina donque, che fà il fiume dentro quei sassi, nello spatio d’un miglio, non solo viene turbato il corso dell’acque, ma ancora à naviganti il viaggio. Et per fuggire questo precipitio, & per temperare la violenza di questo corso, non è stata età alcuna, che non s’habbi persuaso ciò potersi fare, fabricando una chiusa nell’Adda, co’l mezzo della quale, tant’acqua si divertisse in un cavo, che bastante fosse, per sostenere le Barche, che in questo dovessero navigare, co’l fare, che il cavo, costeggiando andasse frà la costa Milanese, & l’Adda, fin’tanto, che ischifato il sassoso letto del fiume, ritornasse ad entrare nel medesimo fiume, puoco lungi dalla sopranominata Chiesa di Santa Maria della Rocchetta, dove aponto incomincia il fiume à rallentare il corso suo. Pensorno poi, che si potesse salire, e scendere la caduta delle quarantadue braccia, con l’aggiuto delle Conche, le quali altro non sono, che due chiuse poste puoco lõtano l’una dall’altra nel letto del fiume, acciò si serrino, & si aprino per empirle di acqua, ò per vuotarle, secondo che le Barche montare, ò smontare vogliono.
A chiuse, argini, e conche si riduce dunque tutta l’opera, che si và facendo, per finire questa impresa, di modo che, provando tutte le parti, e membra, che concorrono à constituire il corpo di questa fabrica essere facili da ridursi à perfettione, & che ciascuna parte di loro, pureche sia concertata bene co’l suo tutto, e sia ben fatta, potrà servire all’uso, al quale sarà destinata, sarà necessario ancora conchiudere, & confessare, che essendosi di membra perfette ben constituito tutto il corpo dell’opera, si possa finalmente ancora far facile questa desiderata navigatione.
Che possibile sia il fare chiuse nell’Adda, è cosa tanto certa, che il trattarne reputo soverchio, posciache non solo se ne vede una fabricata nel Tesino fiume molto maggiore, mentre da quello si deriva, & sostiene il Naviglio grande, ma anco è chiusata l’Adda stessa à Trezzo, dove si cava il Naviglio di Martesana, & anco più basso à Cassano, dove esce la Muzza, per adacquare il Lodigiano, & ultimamente nel luogo, di cui trattiamo, è stato serrato à traverso il fiume medesimo, in modo tale, che pur troppo quelle gran moli de monti gettati nell’acqua fanno l’uffizio di alzare, e divertire l’Adda, come à suo luogo diremo.
Che gli argini si possano fare vicino alle ripe de fiumi grandi, ancorache i siti siano arenosi, ne fà fede la sperienza in mille luoghi, & particolarmente nel Lodigiano, dove infinite acque correre si veggono sostenute da argini fatti di sabbia, quasi fluvida, e sottile, che l’acqua stessa, e pure con l’aggiuto delle radici de gl’arbori abbarbicate insieme benissimo dentro di quelli si rinchiude, e sostiene l’acqua, per servigio di quelli, che la conducono. Che più? Il Naviglio di Martesana, il quale esce dall’Adda, non è egli portato quasi per aria da argini fatti di muro ben sottile? il cui piede è piantato, e fabricato nel maggior corrente del fiume, vedendosi per lo spatio di sette miglia, che sono da Trezzo, fino à Cassano, con maraviglia d’ogn’uno correre le Barche à mezzo il monte, come se il terreno solcassero, overo come se dal muro solo, & non dall’acqua, la quale non si vede, fossero sostenute. Nè con minore stupore, di chi lo mira il Naviglio grande và costeggiando lungo la falda d’un monte sostenuto anch’egli da un’argine di terra arenosa, acciò non trabocchi nella Valle del Tesino, benche il corpo dell’acqua sua sia d’ottocento oncie almeno, e pure nel cavo nostro basta sostenerne quãarta, poiche è cosa molto pericolosa, & fuori di proposito l’introdurvi maggior acqua di quello che basti, per sostenere una Nave, & empire una Conca, già che non fà bisogno quantità maggiore, per irrigatione alcuna. Se donque in altri luoghi, lungo le ripe del medesimo fiume, à mezzo i monti, con argini piantati nel maggior corrente della stessa Adda in alto si conducono acque dieci volte maggiori di corpo di quello che bisogni nel cavo nostro, niuno per certo dovrà ragionevolmente dubitare, che introducendo l’acqua regolarmente nel nuovo Naviglio, & essendo fabricati bene gl’argini non possa esser da quelli sostenuta, ancorche arenoso sia il fondo, percioche co’l tempo si serrarà insieme, si rassettarà, & si farà più sodo dall’acqua stessa. Questo si è visto seguire nel fondo del Naviglio grande, puoco sopra la Terra di Mazenta, dove affermano gli vecchi, che tutta l’acqua, la quale dentro di quel cavo era condotta, si perdeva, penetrando per i meati, e vene della terra, & uscendo puoco lungi nella vicina Valle del Tesino. Ma fattivi poi alcuni rimedij, gli quali hora è superfluo il raccontare si rassodò il fondo, di maniera che non penetrando più l’acqua, longo tempo, in segno d’allegrezza furono sonate le Campane di tutte le Terre vicine, dal che se ne trasse il nome il luogo che hoggidì si dimanda il guado delle Chiocche. E dunque chiaro, che con argini si potrà sostenere l’acqua divertita, vero è, che per assicurare meglio quelli argini, sarebbe bene nel cavo nostro non lasciare tanta altezza d’acqua verso l’Adda, quanta si dissegna, perche troppo sarebbe vicina al precipitare, ma più tosto si doverebbe far correre il corpo maggiore dell’acqua, sopra la radice del monte, sopra la quale restando il maggior peso, l’argine non correrebbe pericolo d’esser spinto, verso il fiume.
Quanto alle Conche, le quali, come sopra si è detto, altro non sono, che ricettacoli d’acque sospese, dentro delle quali s’alzano, & s’abbassano le Navi, che salire, e scendere vogliono, tanto è pratticato l’uso de simili machine in questa Città, e fuori, che dubitare non si può di ciò, ch’esser si vede, poiche ogni giorno per mezzo loro si tempera il corso dell’acque, & si pareggiano, e concordano insieme due superficie inequali. Ma se nascesse dubio, per cagione dell’altezza non più veduta da noi della Conca, ò sia Castello, come la nominano le leggi, che hora si và riducendo al fine, il quale è alto 28. braccia: questo sarebbe un volere, che un’edificio non differente in altro, che nell’altezza, totalmente diverso fosse, e quanto alla forma, e quanto all’effetto, e pure ancorche sia maggiore di tutte le altre, senz’altra differenza, eccetto che di tempo, perche se un’altra Conca alta tre braccia, s’empie, ò vuota in un quarto d’hora, questa alta il doppio di tempo viene à far l’effetto suo, in doppio tempo, & oltre la sigurtà, che ne fanno gl’essempi di Conche grandi, e picciole, che à nostri giorni si veggono, si legge ancora, che grandissime ne furono poste in opra da gl’antichi, per temperare le cadute troppo rapide, e veloci de i fiumi. Chiarissimo testimonio ne rende Plinio, essortando Traiano Imperatore à far finire in un cavo incomminciato da un certo Rè dell’Asia, accioche per quello si puotesse navigare fino à Nicomedia da un lago lontano da quella Città trenta miglia, il qual cavo, tanta caduta scrive egli, che havea quanta apunto hà l’Adda nostra, in quel miglio di letto, dentro del quale ristretta dalle rupi, và precipitando frà sassi; ne altro rimedio maggiore insegna Plinio, per far facile la navigatione del cavo incominciato frà il lago, e Nicomedia, che quello delle Conche. Anzi da quelle epistole di Plinio credo io, che sia cavata l’inventione di tutta quest’opera, e forsi anco, perche egli pose à quel trattato il titolo .De lacu Nicomedēfium, fù equivocato da nostri vecchi, pensando loro, che egli volesse dire .De lacu Novo comensium. Ma comunque sia la cosa, oltre Plinio, Seneca ancora ammira l’inventione delle Conche del Nilo, il quale scrive egli, che rovinando da altissimi rupi, passato che hà l’Isola Phile, arriva ad un luogo molto nobile per lo spettacolo di queste Conche. Ragionevolmēte donque dovrà cessare ogni dubio, circa le Conche, perche se saranno in sito atto, & con buona calce fabricate, al sicuro serviranno alla navigatione, benche con maggior longhezza di tempo s’empino le grandi, che le picciole.
Hora presuposta la facilità di fabricare, & di metter in uso queste tre parti principali, le quali essendo insieme ben concertate, come sopra si è detto, constituiranno il corpo perfetto di tutta l’opra, poiche non approvate sono, con argomenti probabili, ma con essempi similissimi, anzi con la verissima demostratione, & con lo specchio della stessa sperienza, passiamo dalla possibilità di finire tal impresa à parlar dell’utilità, che apportarebbe la navigatione di questo fiume.
Questa è la principale, e la più importante consideratione, essendo che al publico, & al privato bene è drizzato il fine di opera tanto grande; Ne si può negare, cõfessandolo ogn’uno, che utilissima cosa sia ad una Città l’havere vicino un fiume navigabile, accioche cõ maggior facilità, e minor spesa di lõtano, e d’appresso si possano condurre vettovaglie, e merci. Con tale commodità molte Città d’Europa si sono fatte scale di traffico, nobilissime, & si sono arrichiti tutti i Cittadini suoi, havendo cavato, con molta agevolezza grandissimi Thesori da paesi lontani, & da vicini tutto quello, che si può desiderare, per il viver humano. Molto più felice è anco una Città, quãdo hà duoi fiumi vicini, che da diverse bande la soccorrono, perche se le radoppia il commodo, e l’utile, ma felicissimo, e incõparabile sito d’una Città si può dire, quando che havendo doi fiumi corrēti che la bagnano, di quelli gode, in maniera tale, che dal loro impeto, & innondatione rovina alcuna non può ricevere, il che à Milano avviene, il quale dentro di se gli conduce tanto regolati, che tutto il soverchio dell’acque precipitato in bassissime valli ne i letti ordinarij si scarica cosi lontano dalla Città, che ne l’aria, ne i terreni, ne gl’edificij alcuno incommodo sentono, restando la Città in sito elevato, & lontana da ogni pericolo d’offesa. Anzi dico di più, oltre che à Platone non piacciono le Città vicine al Mare, perche i quelle non si può conservare la purità de costumi, che maggior beneficio riceve Milano dalli due navigli, che non riceverebbe da duoi gran porti marittimi, perche i Navigli non consumano in acqua, come farebbe il Mare la metà del suo territorio ma con l’irrigatione lo fanno più fertile. Questi portando non levano cosa alcuna, come fà il Mare, il quale alle volte toglie più che non dà, & e per un poco di guadagno si veggono i Navigãti levare da una Città le cose necessarie al vivere di quella, e portarle ad un’altra, nella quale poco più vagliono, per non partirsi vuoti. Il Mare porta le Navi à tutte quelle Città, alle quali le inviano i Marinari. Ma gli Navigli di Milano finiscono il corso suo sempre nella Città medesima, & dentro vi cõducono per necessità, & non altrove tutto ciò che in 300. miglia di riviera navigabile si raccoglie, & tutto qllo ancora, che da lõghissime, & habitatissime Valli, che il lago maggiore circõdano, oltre il bisogno loro viene prodotto. Ne possono venti, ò tempeste impedire questo beneficio artificioso, ma in ogni tempo, e stagione, come sopra si è detto, quivi è sicuro il navigar senz’arte. Avvisati dunque da i commodi, che ci arreca la navigatione del lago maggiore continovata per mezzo del Tesino, co’l Naviglio grande, potremo fare una necessaria consequenza, che molto maggior utilità ci porgerà il lago di Como, per la via dell’Adda fatta navigabile, & del naviglio di Martesana, posciache il lago di Como è in sito più commodo, per il traghetto, e commercio frà la Germania, e l’Italia, hà il maggiore contorno di riviera, che non hà il maggiore, e circondato da Valli molto più lunghe, che in quelle sboccano, frà le quali è la Valle Tellina longa sessanta miglia, la Valle di Chiavenna, la Valle Sassina, & altre piene di tanto popolo, che hora fervono p seminario d’artefici à tutte le Città d’Italia, si come credo, che anticamēte in quelle si ritirassero i popoli, fugendo dalle pianure le guerre, & altre turbulēze d’Italia. Quanta abbondanza donque s’apportarebbe à Milano, col mezzo di tal navigatione, di vini, d’ogli, di carni, di pesci, di casci, & d’infiniti altri frutti? Quanti ferri lavorati? Quanti legnami dalle selve piene d’Abeti, di faggi, di pini, di quercie, & di larici si manderebbono da lontane Valli, per gli Torrenti nel lago, & poi à Milano si condurrebbero in carboni, in travi, & in asse ad ogni uso? Quanta quantità di marmi bianchi, neri, e misti, & di perfettissima calce abbonderebbe in Milano? le Terre del lago tanto mercantili condurrebbono le lane, & Le ricondurrebbono fabricate in panni, con grandissima facilità, & con le merci i popoli intieri scenderebbono alla Città, con le famiglie, come fanno, per il naviglio grande, cioè padri, madri, figli, anco nelle culle, servi, & non solamente nella medesima Barca il mobile di tutta la casa, ma ancora la provigione del vivere, per tutto l’anno. Mãderebbe Milano, per questa via in Germania drappi d’oro, d’argento, di seta, di lana, ricami, pietre pretiose lavorate, oro, argento, rame tirato, filato, & battuto, armi diverse, odori, drogherie, infinite merci di Levante, & finalmente tutto quello, che havesse di soverchio. Dalla Germania verrebbono condotte non solo à questa Città, ma anco à tutte le altre di Lõbardia (pure che si alzasse il Ponte di Lodi, in modo che le Barche grosse potessero salire, e scendere dall’Adda nel Pò) rami, stagni, bronzi, oricalchi lavorati, & in massa, minierali diversi, pietre pretiose, christalli da lavorare, libri, cuoi, pelli pretiose, tapezzarie, tele, cavalli, animali minuti alpini, animali grossi da lavoro, & infinite altre sorti di mercantie. Con questa commodità tanto importante del navigare crescerebbono gli Datij di S. Maestà, il che molto caro doverebbe essere alla Città, perchè l’abondanza de danari cavati dal transito delle merci riflette tutta in utile, commodo, & sicurezza maggiore de popoli. La gabella, che riscuoterà la Città, farebbe ancora di tãto emolumēto, che non solo con quella si potrebbe supplire alle reparationi necessarie per mantenere gli edificij, ma servirebbe ancora ad altri bisogni. In somma se gl’antichi non contentandosi, che Roma restasse soccorsa nel mezzo di due Porti fatti à mano, uno nel Mare Adriatico in Ancona, & l’altro ad Hostia nel Thirrenno, tentorono ancora di congiongere co’l Mare mediterraneo, l’oceano, orientale, & l’occidentale, facendo un’taglio, ch’entrasse nel Mare Rosso, & unendo insieme duoi fiumi della Francia, & di più volsero con grandissima spesa tirare da Napoli à Roma una fossa per facilitare la navigatione, da tali essempi mosso non doverebbe restar Milano di seguitare un’impresa tanto utile, necessaria, honorevole, di tanta quiete, & contento à gl’animi, & alle conscienze, quandoche vedessero d’haver spesi i danari con tanto beneficio della patria. Conchiudo dunque, che il metter in prattica questa navigatione sarà cosa utilissima, che quando sarà fatta facile, si farà anco tanto famigliare, & che per questa porta verranno condotte à Milano, & saranno forzate ad entrare in Italia tutte le mercantie, che hora per diverse strade portate vengono. Milano s’aggrãdirà ancora più, haverà traffico maggiore, & in fine servirãno al popolo, & alla nobiltà per giardini, i poderi che ne i monti di Brianza come troppo lontani rare volte hora sono visti, e goduti.
Il terzo capo è quello del quale meglio sopra il luogo, con la vera dimostratione si trattarebbe, pure divisandone in iscritto è necessario, ch’io dentro i confini della modestia confessi di conoscere la mia poca isperienza, & dimandi l’agiutto di V. S. accioche s’io resterò intricato, ella mi sviluppi, con dire, che la opinione mia non è messa in carta, perch’io pretēda, che tutti à quella appigliar si debbano, ma perche altri introdotti à discorrere, s’ella sia buona, ò nò, cerchino d’abbatterla, in modo che quasi frà pietra, e ferro insieme percossi scintilli finalmente la luce, & la verità ricercata, & ciascuno possa dire. Video meliora, proboq.
Ne l’havere di sopra detto, che l’impresa riuscirà, & che sarà utile, mi mette in necessità di approvare tutti gl’edificij sin’hora fabricati, poiche altro non hò conchiuso fuori che dire, che argini, chiusa, & Conche possono dar compimento à questa utile impresa, pure che in tal modo siano fabricate, che possano conversarsi, & far l’ufficio suo.
E per cominciare dalla chiusa, la quale è stata la cagione delle rovine seguite l’anno passato, & il presente ancora, perche ribatte tanta quãtità d’acqua, oltre il bisogno, nel Naviglio, che quando l’Adda cresce, rovina, & distrugge tutti gl’edificij, che per sostenerla si fanno; E necessario per sapere il modo di rimediarvi essaminare prima la forma usata dalli antichi nel fabricare le chiuse nell’Adda, & nel Tesino, per divertire il Naviglio grande, & quello di Martesana, le quali, con tanta facilità, e quiete sostengono, e imboccano ne i detti Navigli la parte bisognevole dell’acqua, scaricando, in un tempo medesimo la superflua, nel letto de i fiumi, che le navi, con un pendente soave declinando con l’acqua divertita, entrano nella bocca de’ Navigli, come se non in acqua corrente, ma il lago piano navigassero. Questo si vede avvenire, perche le dette chiuse non sono fabricate, dove il fiume è più stretto, ma dove è più largo; accioche in lungo tratto, havendo largo campo da dilatarsi l’acqua cresciuta straordinariamente, meno si possi alzare, & si trabocchi à puoco à puoco, soverchiando la chiusa, con puoca alteratione della supercie sua. Furono ancora dalli antichi fabricate queste chiuse, per dar più campo alli fiumi di scarcarsi, & con maggior facilità, non per linea transversa, ma diagonale, come quà sotto si è disegnato.



Et affine che l’argine istesso continuato con la chiusa, servisse anch’egli per scaricare, fin’tãto che traboccata tutta l’acqua superflua restasse poi quietamente introdotta solo la bisognevole, tanto in tempo di piena, quanto di siccità. Volsero ancora, che le chiuse, e buon pezzo dell’argine à quelle congiõto più basso fosse della superficie dell’acqua, che divertire voleano, accioche, come sopra si è detto, in qual si voglia stato del fiume, l’acqua soverchia più facilmēte precipitasse.
Dunque tutte queste diligenze, & artificij di piantar le chiuse, dove il fiume fosse più largo, di formar le diagonali, continuate con l’argine, & più basse dell’acqua divertita, si sono ritrovate, & usate per mantenere un corso piacevole, & navigabile, nell’imboccature de’ navigli, & anco per non introdurvi maggior acqua del bisogno, ne’ tempi dell’accrescimento de’ fiumi, la quale, quando in tanta copia entra ne i cavi à guisa di nemico entrato in casa, quanto più è potente, tanto maggior danno, e rovina seco mena, quando si vuole cacciare.
Fatte queste premesse strana cosa parerà forsi à molti, e la terranno per paradosso, se si dirà, che necessario sia il rompere, e spiantare la chiusa fabricata con tante spese, e stenti frà le angustie di quelle due sponde di pietra viva, dalle quali viene ristretto il letto del fiume, in modo tale, che non essendo più largo di ottanta braccia, segue, che quãdo l’Adda cresce, cresca molto più alta sopra la chiusa, per non potersi dilatare, che non farebbe, se le ripe fossero molto lontane, l’una dall’altra, poiche cresciuto che è il fiume, per le pioggie, & per le nevi, che dileguano, viene maggiormente ad alzarsi l’acqua nel sito, dove s’imbocca il Naviglio, & per queste cause mantiene la superficie sua più alta del naturale suo pelo, almeno la metà dell’anno. La medesima altezza d’acqua, che si ritrova poi esser sopra la chiusa viene ringorgata dalla stessa chiusa, dentro il Naviglio, nel quale havea presuposto l’Architetto, che in ogni tempo entrar dovesse un corpo d’acqua sempre limitato d’altezza di oncie 18. ma ciò non seguendo, anzi imboccandosi alle volte un corpo d’acqua alto due, tre, e quattro braccia più delle oncie 18. limitate; tanta quantità d’acqua soverchia non può ricadere nel fiume, se non con grandissimo danno, e disordine, perche non essendo l’argine basso, ne meno continuato con la chiusa, anzi essendo la bocca del Naviglio cavata con lo scalpello nel massiccio d’un’alto monte, è necessario, che tutta l’acqua imboccata frà due altissime pendici tutta unita camini sin tanto, che arrivata à due scaricatori distanti dalla bocca del Naviglio braccia centocinquanta, e larghi più che non è il letto dell’Adda, per quelli venghi precipitosissimamente, e con grandissima furia à ricadere nel fiume.
Questo avviene, perche dilatandosi l’acqua sopra la soglia de i scaricatori più larghi assai del letto del fiume, non solo s’abbassa l’altezza del corpo suo, ma anco perche il moto violento del precipitio suo è consumatore anch’egli della stessa altezza del corpo dell’acqua, di maniera che dove l’acqua p forza doverebbe essere intromessa, e sostenuta, hora corre per elettione invitata, anzi incitata, con tanta velocità, che nel nuovo cavo entrando tutta turbata, e fluttuante, cosi impetuosamente ferisce in quelle due rupi, che le fanno spõda, che l’occhio abbhorisce il vederla, non che in cosi sfrenato corso venghi in pensiero ad alcuno di navigarla.
Dunque gli disordini nascono dalla strettezza del sito, nel quale è fabricata la chiusa, poiche il fiume ristretto dalle ripe maggiormente si alza anco nella bocca del Naviglio, & introduce maggior acqua del bisogno, & la larghezza grande de i travaccatori è poi causa, che l’acqua, mentre da quelli precipita si abbassi di corpo, & per conseguenza acquisti un pendente tanto inclinato, e precipitoso, che in nissun modo dentro vi si può navigare.
Le quali propositioni, benche verissime siano, non paiono però convenirsi, in modo tale con la professione di legista, ch’io arditamente possa affermarle per vere; nondimeno, oltre l’haver io spesse volte sentito il Presidente mio padre ragionare di simili moti dell’acque, mentre che sedeva nel Magistrato, che ne hà cura, & giuridditione in tutto lo Stato, dico ancora, che meglio non si può imparare la causa di questa sregolata altezza, & impeto dell’acqua introdotta nella bocca del Naviglio, che da una bellissima legge di Ulpiano, la quale è la prima, sotto il titolo de fluminibus, ne i digesti, dove si legge. Proinde si aqua derivetur, ut exiguvior facta minus sit navigabilis, vel si dilatetur, ut diffusam aquam brevem faciat, vel contra si coangustetur, ut rapidius flumen faciat, vel si quid aliut fiat, quod navigationem incommodam, difficilioremue faciat, vel prorsus impediat, interdicto locus erit.
Dunque il caso formato ne i termini nostri non altrove meglio si può ritrovare, che nelle leggi, e questa verità si può confirmare ancora con un’essempio facilissimo da intendere di una roggia, la quale uscendo dall’uno de i duoi Navigli, mentre che passa per bocca, ò modello, il quale sia per figura alto un braccio, e largo un braccio, conserva la medesima altezza, e larghezza di corpo, che hà la bocca, ond’esce, ma uscita poi, subito che corre sopra la soglia della tromba molto più larga della bocca; all’hora dilatandosi il corpo suo, e precipitandosi dalla soglia, non più conserva l’altezza e larghezza d’un braccio, che havea uscēdo ristretta dal modello, ma si riduce ben’spesso ad un quarto di braccio, & anco à minore altezza, di modo che dalla bocca, ond’esce, sino alla soglia di dove si precipita viene ad acquistare un pendente di tre quarti di braccio, & insieme un corso rapidissimo.
Simile causa, simile effetto produce, poiche nell’uscire, che fà il Naviglio nuovo dall’Adda, se il fiume sarà cresciuto due braccia di più del solito, due braccia ancora d’altezza straordinaria di acqua entrarà nella bocca del cavo, la quale è larga braccia diciotto, & scaricandosi poi tutta l’acqua superflua per gli duoi scaricatori poco lõtani dalla bocca del Naviglio, & larghi più che non è il letto d’Adda stessa; dilatandosi l’acqua, e cadēdo dalla soglia di quei scaricatori acquista nella superficie sua più di centocinquãta braccia di lõghezza di cavo, dentro del quale più furiosa scende à precipitarsi, che non fà per l’Adda stessa.
Intesa la causa dell’infermità, è cosa facile ritrovare il rimedio, il quale è tale, che essendo approvato già dalla sperienza, & dalla ragione, non fà bisogno, che per dargli maggior credito, testimovio, ò d’argomento alcuno si apporti. Questo è il fare un’altra chiusa, non co’l dirupare nell’Adda setttãtatre mille quadretti cubi di pietra viva, & i monti intieri, con spesa de quaranta mille scudi, ò puoco meno, ma solamente co’l fabricare una chiusa, puoco sopra i tre scogli, nel modo stesso, che le sogliono fabricare nell’Adda i molinari, per tirar l’acqua à loro molini, overo quasi come le fanno i pescatori del Tesino, per la presa de’ pesci, le quali sono formate da loro, con la linea diagonale, & sostengono il fiume, rompendolo, e scaricandolo à puoco à puoco, senza molta alteratione della superficie sua. Cominciare dunque si potrebbe una chiusa dallo scoglio più vicino alla ripa Milanese, andãdo allo in sù, verso la riva Bergamasca, ma perche l’acqua soverchia non finirebbe di scaricarsi tutta sopra la chiusa sola. Continuandola poi con un’argine basso, sopra la superficie di quello ricadrebbe il soverchio nell’Adda, di modo che dove, hora imboccata che è l’acqua nel Naviglio, non può frà quelle balze ristretta scaricarsi, ivi sempre si trovarebbe d’un’altezza medesima, & regolata ad una misura tanto certa, & inalterabile, che ne anco ne gl’accrescimenti notabili del fiume riceverebbe mutatione alcuna.
L’aggionta di questo argine nuovo si potrebbe incominciare dove s’imbocca di presente il Naviglio, & si potrebbe fare di sassi messi lungo la ripa Milanese, & se pur fosse necessaria la palificata, dovrebbe esser simile ad uno de’ pennelli, che hoggidì si veggono à Cassano. Questa forma di chiusa levarebbe tutte le difficoltà, e danni, che hora apporta lo straordinario accrescimento del fiume, perche avanti che l’acqua soverchia arrivasse, dove hora s’imbocca il Naviglio, invitata sarebbe à precipitarsi dalla chiusa, & dall’argine insieme continuati, senza danno di alcuna parte dell’opra, fin’tanto, che tutta scaricata fosse nel fiume, purche si levasse la chiusa già fatta, essendo necessario abbassare in quella parte il fondo del fiume, accioche in quella profondità s’inviti l’acqua soprabondante à ricadere, avanti che s’imbocchi nel Naviglio.
Conchiuso in somma, che la forma delle chiuse de gl’antichi è la buona, perche essi molto migliore l’hanno ritovata, nell’imboccare i Navigli, più tosto guidati dalla sperienza, & dalla necessità, che dalla bella occasione di gettare in Adda quelle rupi pendenti, le quali mostrano nel caso nostro, che più tosto si è previsto il modo di fare una chiusa stabile, e forte, che l’effetto, che da quella ne dovea seguire.
Quanto à gli argini, & al cavo; infinita opera fatta intorno di quelli potrà con molta facilità servire, essendo finito quasi tutto il letto, nel quale à forza di scalpelli una quantità infinita de sassi, che dentro vi erano, sarà perciò necessario restringerlo almeno la metà, accioche non s’introduca maggior acqua del bisogno, & affine che gl’argini venghino ad haver minor peso da sostenere, che possibile sia, lasciando però il letto alquanto più largo della metà, in due, ò più luoghi, accioche le Barche, incontrandosi, possano iscambiarsi, & seguire il loro viaggio. Ristringendosi questo cavo l’argine verrà ad ingrossarsi, verso il fiume, sarà più forte, haverà minor peso da portare, & il corpo maggiore dell’acqua si ritirarà, verso il piede del monte, dove verrà ad essere più lontana dal periglio di spignere l’argine, & di precipitarsi nell’Adda.
L’argine ancora sentirà manco il peso, & l’impulsione dell’acqua, se il cavo si farà più profondo, sopra la radice del monte, che verso l’argine, & aggiungendovi un difensivo di sassi nel piede verso l’Adda, l’opra sarà molto più sicura, e perfetta. Essempio di ciò chiarissimo si vede nell’argine di terra, benche arenosa del Naviglio grande, il quale lo spalleggia, e sostiene frà il colle, & la Valle del Tesino, e pure come soprà hò detto il Naviglio grande porta una quãtità di 800. oncie d’acqua, e più, co’l mezzo di detti argini di terra arenosa ne però mai gli rompe, seco tirando la rovina del fondo stesso, come nel nuovo Naviglio accader suole.


Non nego però, che più sicuro rimedio non sia il fare gl’argini di muro, volendosi far la spesa di fondarli sopra il piano del fondo dell’Adda, perche quelli, che hora si veggono sono senza fondamento alcuno, & si può dire, che più tosto fabricati siano in aria, che in Terra, essendo tanto più pericolosi di rovinare, quanto che in quelli non si è fatto scaricatore alcuno, per le acque piovane, che scenderanno dal monte. Di più la calce, che in quelli si è adoperata è puoco atta à simile Impresa, anzi è fatta d’un sasso cosi tenero, che non fà presa alcuna, dovendosi in fabrica tanto importante usare la calce di Lecco facilissima da condurre per l’Adda, & migliore di qual si voglia altra d’Italia, di modo che nel lago di Como serve per coperta de i muri, in vece de coppi, & resistendo cõtra i geli, & l’ingiurie del verno, s’indurisce, come marmo allo scoperto. Non ci deve sgomentare la puoca spesa della condotta, perche facendo muri con quella calce servirebbono tutte le pietre, benche picciole, incerte, senz’angoli, & non squadrate, di modo che con gran risparmio, e perpetuità dell’opra, si darebbe bando all’intollerabile spesa, che si fa, nel cavare, squadrare, e metter à lavoro pezzi grandissimi di pietra, ancorche insieme non faccino presa alcuna.
Quanto alle Conche, delle quali la minore non patisse oppositione alcuna, fuoriche per rispetto della calce, poiche è fabbricata d’altezza conveniente, pure molto vantaggio sarebbe, se si fosse situata alquanto più lontana dalla conca maggiore, acciò nell’avenire restasse libera la facoltà, restãdogli lo spatio, per puoter riportare la metà della conca maggiore più in sù, cioè fra l’una, e l’altra, in modo che la grãde la quale è alta vintiotto braccia, fosse divisa in due di quattordeci l’una. Et questo dico, perche domesticandosi questa navigatione, verrà ad esser troppo noiosa, & di molto impedimento, per il troppo tempo, che si consumarà nello salire, e scendere dentro una tanta machina, la quale, se in due hore, essendo alta braccia vintiotto, farà montare due Barche, essendo smezzata in due Conche di quattordeci braccia l’una, si alzarebbero otto navi nello stesso spatio di due hore, il qual ponto è di grandissima cõsiderazione, perche se nel naviglio grande à pena è passata una nave, che puoco lungi se ne scopre un’altra, che segue: quale impedimēto sarebbe, frequentandosi anco in questa nuova navigatione il commercio, se questa machina ritardando tanto il passo non fosse per supplire al numero delle Barche, che traghetassero. Ma perche di questo dubio il tempo, e la sperienza n’apporterà la rissolutione, non mi voglio più trattenere dentro i limitari di queste Conche, solamente dico, che alla mala qualità della calce solo, ma debole rimedio sarà il rimettere frà le commissure delle pietre la calce di Lecco, in vece della cattiva, la quale caderà per il gelo, quando che le Conche, si comminciaranno ad usare.
Queste cose mal ordinate di scrivere mi sarei astenuto, s’io havessi potuto chiudere gl’orecchi alle nove de gl’infortunij fin’quì à quest’opera accaduti, & non vedere il pericolo, al quale hora sottogiace l’impresa, poiche in luogo di aggiustarla, procurano alcuni, di far correre un naufragio generale, non à Milano solo, ma à tutta la Lombardia, cercando, che si abbãdoni tanta opera fatta, & che una spesa di 200V. scudi resti inutile, e derelitta. Ne in questo naufragio si perderebbe solo l’utilità del commercio, ma anco la ributatione presso à i posteri, gli quali vedēdo l’opra puoco lungi dal fine, direbbono, che per disgratia nostra, e loro havessimo cessato di servire à i commodi publici, e privati, e voltando l’ordine del concetto di Plinio, mentre che parla della navigatione del lago di Nicomedia, direbbero. Dùm servare bono voluerunt, quod impedendum erat, malè perdiderunt quod impensum erat. Non si deve dunque gettar à male il molto, che si è speso per risparmiare quel puoco, che s’hà à spendere. Ne Milano tutto unito si deve sgomentare ad essequire quello, che un Cittadino suo solo con le private sue forze hà voluto ridurre à perfettione, poiche questo non è un volere unire Mari, e fiumi lontani, per delitia, ma è un’avvicinare alla casa di ciascuno i suoi poderi, alla Città i laghi, i monti, le valli, i popoli, & le Provincie intiere, agevolando un solo miglio d’interrotto viaggio. Chi dubita, che la natura ottima proveditrice di tutte le cose, non havesse potuto con un picciolo suo scommodo temperare il corso à questo fiume, ma si come per destare gl’ingegni, & invitargli alle fatiche, hà voluto nascondere l’oro, e l’argento nelle profonde viscere della terra, cosi hà voluto ancora, che Milano pieno di ben mille sollecitudini si affatichi, e spenda, per cercare occasione di ritrovare nove commodità, & nove ricchezze, ne tanto frutto, quanto è l’accrescere notabimente la patria sua, cosi facilmente si acquista, ma bene spesso, hor l’uno, hor l’altro accidente contrario nelle grandi imprese si suole fraponere, & travagliare, accioche maggiormente affaticati, e desti alla fine ritroviamo la vera maniera di ridurre à perfettione l’incominciata impresa. In somma questa è opera, nella quale si serve, non solamente al Rè nostro Signore, & alla patria, ma à noi medesimi, alla posterità nostra, à i popoli vicini, & à i lontani ancora, è sicura, ma difficile, perche sollevare, & accrescere un popolo come s’è detto, è una delle grandi attioni, che far si possa, & è degna della grandezza di Milano. Et benche io puoco degnamēte ne habbi scritto, come che di mia professione non sia, nondimeno riceverà qualche dignità questa scrittura, se V. S. leggendola le leverà molte cose di puoco momento, accioche si diminuisca la fatica al lettore, & à me il biasimo. Sperarò donque, e viverò sicuro, che si come ella hà un estremo desiderio di giovare, con le fatiche sue l’anno seguente alla commune patria, cosi verrà ancorache le parole mie habbino fatto qualche beneficio à cui molto, & debbo, di V. S. mi raccomando con tutto il cuore.
Di Mazenta alli 3. Novembre 1599.



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