Signor Vicario. Se la Villa
mi toglie il gusto di godere V.S. presente, mi porge nondimeno occasione di
ristorare il dãno dell’assenza, co’l guadagno, ch’ora
faccio, scrivendole: percioche il luogo stesso, nel quale quasi ogni giorno,
per diletto mi diporto, mi rinfaccia sovente la promessa, ch’io le hò fatta,
& mi ricorda l’obligo mio di servire alla patria, & à V. S. insieme,
co’l mettere in carta il ragionamento, il quale seco hebbi, sopra la
Navigatione del fiume Adda. Ciò segue, perche passando puoco lungi dalla Villa,
nella quale dimoro, il Naviglio grande spesso nelle rive di quello vò rimirãdo,
che co’l corso del fiume continovamente contende un perpetuo profluvio di
Barche, che verso Milano cariche di vettovaglie, quasi senz’arte navigando
corrono, e di più m’accorgo, che l’acqua stessa, doppo l’havere servito un
tempo in vece di sommiere, ò carro, portando nella Città infiniti carichi,
tanto utili, quanti sono i cibi, i vini, & infinite merci, alla fine si
risolse anch’ella di convertirsi in latte, mentre che in mille rivi
spargendosi, per beneficio pure della medesima Città i campi vicini, & i
lontani ancora và fecondando. Et quando poi le meraviglie di questo artificioso
fiume, con molto stupore, hò qualche tempo contemplate, meritamēte dico tanta invidia ne portano
gl’habitatori delle vaghe rive dell’Adda, & quelli, che lungo si bel fiume
i suoi poderi tengono, & con gran ragione tentano di levare tutti
gl’intoppi, gli quali un’altra simile navigatione, con grandissimo danno loro
rendono impedita. Dunque quello, che mi ricorda il sito, mi sforza il debito ad
essequire, e perciò le invio il presente discorso, non perche io non sappia,
che à chi manco sà, meno si conviene, il consigliar persone di maggiore
isperienza, e cognitione, ma più tosto, perche come giusto Giudice possa
considerare le ragioni, ch’io adduco, & conoscere, che, se sono vuote di
prudenza, elle almeno sono piene di affetto, e di zelo, verso la patria.
Primieramente dunque è
necessario il sapere, che tutte le cause naturali, & accidentali, che
possono far grande una Città, si veggono unitamente, anzi à garra concorrere,
per aggrandire Milano, poscia che gran parte della felicità sua naturale nasce
dal sito, nel quale è posto, godendo egli, non solamente aria temperatissimo,
ma di più sedendo nel mezzo del più grande, del più bello, del più habitato,
& del più fertile piano d’Italia, onde anco, per naturale commodità del
sito suo, viene à servire, quasi per Centro, & per emporio commune
all’Italia, alla Francia, & alla Germania. Se gl’accidenti poi, per gli
quali Milano è fatto grandissimo si vogliono considerare, tralasciando il
trattare, come in tranquillo, e sicuro stato maggiormente fiorisca, sotto
l’impero d’un Rè, tanto buono, quanto grande, & perche sia Metropoli d’una
nobilissima Provincia, oltre l’accrescimento che da queste cause riceve,
miracoloso certo à tutti pare il sovvenimento del vivere, la facilità de
commercij, la commodità delle ricchezze, l’occasione dell’acquistarle, la
moltiplicatione de gl’habitatori, la copia di tutte le cose, & gl’altri
infiniti, & inestimabili beneficij, che tutti sono alla Città apportati,
per mezzo dell’acque artificiosamente à Milano condotte, per servigio della
navigatione, & dell’irrigatione insieme, essendo, che i duoi fiumi maggiori
d’Italia, che sono dopò il Pò, il Tesino, e l’Adda, mentre con amenissimi giri
fanno vaga corona à questa fertilissima Insubria, sono con tale artificio
alzati, derivati, e spinti fuori de’ proprij letti, che soccorrendo, con
l’irrigatione alla sete, & aridità de Campi, tutte le parti della natura, e
dell’arte, ricco tributo vengono à rendere à questa Provincia, di modo, che in
breve spatio di terreno, si veggono nascere tutti quei frutti, che & ne gli
asciutti, & ne gl’humidi paesi possono essere partoriti, e prodotti. Egitto
dunque artificiosamēte irriguo è fatto il territorio di Milano, & tanto più, che oltre i
fiumi, contiene ancora i più gran Laghi d’Italia circondati da infinite Valli
piene di popoli, e d’armēti, & da quelli Laghi apunto, dalli quali, cavando
Virgilio le lodi della stessa Italia scrisse.
Anne lacus tantos? te
Lari? Maxime teq ;?
Questi sono il lago
maggiore, e quello di Como, gli quali sono stati posti dalla natura, come due
gran cataratte, over ricettacoli, e claustri d’acque sospese à Cavalliere di
queste spatiosissime Campagne, accioche da quelli di tanto humore gravidi,
& per vene sotterranee, dalle quali infinite fontane se ne cavano, &
per euripi, overo fiumi navigabili fatti à mano abbundantissimi rivi
concorressero, per inaffiare questo piano ad arbitrio de gli habitanti, e non
del Nilo. Ma lasciando lo scrivere, come questi ruscelli, ò più tosto canali
copiosissimi d’acque tal volta tre, e quattro in ischiera, tal volta l’un
sormontando all’altro corrano à garra per giovare, e nodrire questa
numerosissima natione, & seguendo il proposito mio, trattarò solamente di
navigatione della quale Milano, benche mediterraneo sia, ne sente però
grandissimo commodo, & maggior ancora ne potrebbe ricevere. Perciò
riducendo tutto il Discorso à tre capi.
Il primo sarà, se possibile
sia il far facile questa desiderata navigatione del fiume Adda.
Il secondo, se presuposta la
facilità, debba esser utile.
Il terzo, se essendo l’opera
riuscibile, & utile, possa il lavoro già fatto servire in tutto, ò in
parte, per finir l’impresa, & che modo si potrebbe tenere, per rimediare
alle rovine, che seguono alla giornata, & che per l’avvenire seguiranno.
Del promo capo, cioè se si
possa ridurre à fine l’impresa, à me parrebbe superfluo il trattarne, essendo
stato tãte volte deciso dalla Città, & dal Senato
stesso, & in particolare l’anno 1519. doppo intese tante dispute,
contradditioni, E giuditij de Periti, & finalmente doppo l’essersi à tempi
nostri ridotto l’edificio al termine, che si trova, con il governo d’una
particolare Congregatione, nella quale sono entrati, & entrano Senatori
gravissimi, e Cavaglieri tali, che altro fine non hanno havuto mai, che far
quanto potevano, acciò per publico bene, con ogni diligenza, e risparmio si
essequisse quello, che non solamente da Architetto stimato molto prattico,
& giuditioso, ma da molti altri ancora era stato approvato. Ma come che
hora avenga à questo fiume, come à mol’altri à venire spesso suole, gli quali
doppo lunghissime pioggie, tumidi, e gonfij, soverchiando gl’argini, & in
più luoghi stracciandoli, per le rotture fatte à precipitarsi velocemente
corrono, onde ciascuno, intesa la subita rovina, con molta fretta se ne vola,
per riparare al danno ch’indi seguir ne deve, cosi intendendo anch’io dalle
voci degl’altri il romore di quest’Adda, & che gonfiata anch’ella, e tutta
irata, va rovinando le machine, che intorno se gli fabricano non è maraviglia,
se al medesimo fiume rivolto, tento di sovvenire in parte alcuna al bisogno
presente, & benche per debolezza dell’ingegno mio poco io speri, hò nondimeno
voluto, mentre molte volte hò sentito V. S. tutta dubbiosa, discorrerne
arditamente assicurla di quello di che il fatto parla, acciò essendo di molto
maggior giuditio di me, possa ancora più dottamente trattarne, & risolvere.
Accrescere dunque dobbiamo quanto più si può i beneficij concessi dalla natura
alla patria nostra, con le medesime vie, che l’istessa natura, come maestra ci
mostra facili, imitando in questo i nostri padri, gli quali per acquistare
nuovo popolo, e nodrire l’acquistato, doppo l’haver tentato di sboccare il lago
di Lugano sopra le Campagne del Seprio, di far navigabile il Lambro, di
condurre nella Città il lago di Como per la Valle di Seveso, & anco di
cavare un nuovo Naviglio dall’Adda poco sopra Brivio, il quale passando per
Vimercato, doppo grande irrigatione s’inviasse verso Milano, elessero
nondimeno, per negotio più facile, e manco dispendioso il rendere navigabile
l’Adda in quel miglio solo, nel quale resta impedita la navigatione dal
precipitio suo. Et quãdo l’auttorità, & essempio de nostri padri non ci
movesse, movere ad ogni modo ci doverebbe la ragione, poiche se cosi gran
corpo, com’è Milano, viene abbundantamente soccorso, e nodrito dal destro
braccio che è il Tesino, il quale cõtinova rēde la navigatione, dal principio del lago
maggiore fino à Milano per mezzo del naviglio grande, veramente patirebbe
troppo danno, restando privo della utilità grande, che gli porgerebbe l’Adda,
la quale hora quasi braccio sinistro debilitato, e manco, overo vena ostrutta
non può fare l’officio suo. E benche di presente si mandino da Trezzo, verso
Milano parte dell’acque d’Adda, le quali divertite nel Naviglio di Martesana
entrano nella Città, resta nondimeno interrotta la navigatione dalla bocca del
detto Naviglio, sino al lago di Como, per la via della stessa Adda, & viene
per conseguenza chiusa la strada ad un grãdissimo commercio, che s’aprirebbe in
questa parte fra la Germania e l’Italia.
Hora per conoscere la causa di tanto male,
avanti che si affermi esser curabile, dico chiara cosa essere, che un solo
miglio di rovinoso fiume interrompe la navigatione, dal principio del lago di
Como, fino à Milano. E questo avviene, perche l’Adda, la quale quieta,
piacevole, & senza tumulto alcuno scender si vede dal lago, fino à quelli
tre scogli, gli quali per essere elevati molto sopra l’acqua, le tre corna si
dimandano, passando poi nel mezzo di quelli, & essendo da loro molto
ristretta, di mansueta fatta superba, e rapida, di balzo, & abbandonata, in
una profonda bassezza, con furia tale si lancia, che ritrovando il letto tutto
cavato nel massiccio di pietra viva, in quelle dure coti rotta, & spumante
percuoter si vede, mutãdo il solito suo colore, non per malignità naturale del
fiume, ma per ingiuria del luogo: & come che ottenghi vittoria, liberandosi
da tale assedio, & uscendo da quelle angustie à lei troppo nemiche, con
vasto, & horribile strepito quasi trionfante, non solo del vincer suo,
avisa i monti, e le vicine valli, ma le assorda ancora. Caduto che è il fiume
da questi aspri scogli, dentro de quali per longhezza d’un miglio và
precipitandosi: frà balze horride, spaventevole si dimostra fin tanto, che
pervenuto al piede del monte detto di Santa Maria della Rocchetta, doppo
l’havere in questo miglio caduto quanto importa l’altezza di quarantadue
braccia, quasi come in lago piano si riposa, e ripigliando l’ordinario, e
piacevole suo corpo, verso il Castello di Trezzo s’invia per mandare indi parte
dell’acque sue tributarie verso Milano.
Per la rovina donque, che fà il fiume
dentro quei sassi, nello spatio d’un miglio, non solo viene turbato il corso
dell’acque, ma ancora à naviganti il viaggio. Et per fuggire questo precipitio,
& per temperare la violenza di questo corso, non è stata età alcuna, che
non s’habbi persuaso ciò potersi fare, fabricando una chiusa nell’Adda, co’l
mezzo della quale, tant’acqua si divertisse in un cavo, che bastante fosse, per
sostenere le Barche, che in questo dovessero navigare, co’l fare, che il cavo,
costeggiando andasse frà la costa Milanese, & l’Adda, fin’tanto, che
ischifato il sassoso letto del fiume, ritornasse ad entrare nel medesimo fiume,
puoco lungi dalla sopranominata Chiesa di Santa Maria della Rocchetta, dove
aponto incomincia il fiume à rallentare il corso suo. Pensorno poi, che si
potesse salire, e scendere la caduta delle quarantadue braccia, con l’aggiuto
delle Conche, le quali altro non sono, che due chiuse poste puoco lõtano l’una
dall’altra nel letto del fiume, acciò si serrino, & si aprino per empirle
di acqua, ò per vuotarle, secondo che le Barche montare, ò smontare vogliono.
A chiuse, argini, e conche si riduce
dunque tutta l’opera, che si và facendo, per finire questa impresa, di modo
che, provando tutte le parti, e membra, che concorrono à constituire il corpo
di questa fabrica essere facili da ridursi à perfettione, & che ciascuna
parte di loro, pureche sia concertata bene co’l suo tutto, e sia ben fatta,
potrà servire all’uso, al quale sarà destinata, sarà necessario ancora
conchiudere, & confessare, che essendosi di membra perfette ben constituito
tutto il corpo dell’opera, si possa finalmente ancora far facile questa
desiderata navigatione.
Che possibile sia il fare chiuse
nell’Adda, è cosa tanto certa, che il trattarne reputo soverchio, posciache non
solo se ne vede una fabricata nel Tesino fiume molto maggiore, mentre da quello
si deriva, & sostiene il Naviglio grande, ma anco è chiusata l’Adda stessa
à Trezzo, dove si cava il Naviglio di Martesana, & anco più basso à
Cassano, dove esce la Muzza, per adacquare il Lodigiano, & ultimamente nel
luogo, di cui trattiamo, è stato serrato à traverso il fiume medesimo, in modo
tale, che pur troppo quelle gran moli de monti gettati nell’acqua fanno
l’uffizio di alzare, e divertire l’Adda, come à suo luogo diremo.
Che gli argini si possano fare vicino alle
ripe de fiumi grandi, ancorache i siti siano arenosi, ne fà fede la sperienza
in mille luoghi, & particolarmente nel Lodigiano, dove infinite acque
correre si veggono sostenute da argini fatti di sabbia, quasi fluvida, e
sottile, che l’acqua stessa, e pure con l’aggiuto delle radici de gl’arbori
abbarbicate insieme benissimo dentro di quelli si rinchiude, e sostiene
l’acqua, per servigio di quelli, che la conducono. Che più? Il Naviglio di
Martesana, il quale esce dall’Adda, non è egli portato quasi per aria da argini
fatti di muro ben sottile? il cui piede è piantato, e fabricato nel maggior
corrente del fiume, vedendosi per lo spatio di sette miglia, che sono da
Trezzo, fino à Cassano, con maraviglia d’ogn’uno correre le Barche à mezzo il
monte, come se il terreno solcassero, overo come se dal muro solo, & non
dall’acqua, la quale non si vede, fossero sostenute. Nè con minore stupore, di
chi lo mira il Naviglio grande và costeggiando lungo la falda d’un monte sostenuto
anch’egli da un’argine di terra arenosa, acciò non trabocchi nella Valle del
Tesino, benche il corpo dell’acqua sua sia d’ottocento oncie almeno, e pure nel
cavo nostro basta sostenerne quãarta, poiche è cosa molto pericolosa, &
fuori di proposito l’introdurvi maggior acqua di quello che basti, per
sostenere una Nave, & empire una Conca, già che non fà bisogno quantità
maggiore, per irrigatione alcuna. Se donque in altri luoghi, lungo le ripe del
medesimo fiume, à mezzo i monti, con argini piantati nel maggior corrente della
stessa Adda in alto si conducono acque dieci volte maggiori di corpo di quello
che bisogni nel cavo nostro, niuno per certo dovrà ragionevolmente dubitare,
che introducendo l’acqua regolarmente nel nuovo Naviglio, & essendo fabricati
bene gl’argini non possa esser da quelli sostenuta, ancorche arenoso sia il
fondo, percioche co’l tempo si serrarà insieme, si rassettarà, & si farà
più sodo dall’acqua stessa. Questo si è visto seguire nel fondo del Naviglio
grande, puoco sopra la Terra di Mazenta, dove affermano gli vecchi, che tutta
l’acqua, la quale dentro di quel cavo era condotta, si perdeva, penetrando per
i meati, e vene della terra, & uscendo puoco lungi nella vicina Valle del
Tesino. Ma fattivi poi alcuni rimedij, gli quali hora è superfluo il raccontare
si rassodò il fondo, di maniera che non penetrando più l’acqua, longo tempo, in
segno d’allegrezza furono sonate le Campane di tutte le Terre vicine, dal che
se ne trasse il nome il luogo che hoggidì si dimanda il guado delle Chiocche. E
dunque chiaro, che con argini si potrà sostenere l’acqua divertita, vero è, che
per assicurare meglio quelli argini, sarebbe bene nel cavo nostro non lasciare
tanta altezza d’acqua verso l’Adda, quanta si dissegna, perche troppo sarebbe
vicina al precipitare, ma più tosto si doverebbe far correre il corpo maggiore
dell’acqua, sopra la radice del monte, sopra la quale restando il maggior peso,
l’argine non correrebbe pericolo d’esser spinto, verso il fiume.
Quanto alle Conche, le quali, come sopra
si è detto, altro non sono, che ricettacoli d’acque sospese, dentro delle quali
s’alzano, & s’abbassano le Navi, che salire, e scendere vogliono, tanto è
pratticato l’uso de simili machine in questa Città, e fuori, che dubitare non
si può di ciò, ch’esser si vede, poiche ogni giorno per mezzo loro si tempera
il corso dell’acque, & si pareggiano, e concordano insieme due superficie
inequali. Ma se nascesse dubio, per cagione dell’altezza non più veduta da noi
della Conca, ò sia Castello, come la nominano le leggi, che hora si và
riducendo al fine, il quale è alto 28. braccia: questo sarebbe un volere, che
un’edificio non differente in altro, che nell’altezza, totalmente diverso
fosse, e quanto alla forma, e quanto all’effetto, e pure ancorche sia maggiore
di tutte le altre, senz’altra differenza, eccetto che di tempo, perche se
un’altra Conca alta tre braccia, s’empie, ò vuota in un quarto d’hora, questa
alta il doppio di tempo viene à far l’effetto suo, in doppio tempo, & oltre
la sigurtà, che ne fanno gl’essempi di Conche grandi, e picciole, che à nostri
giorni si veggono, si legge ancora, che grandissime ne furono poste in opra da
gl’antichi, per temperare le cadute troppo rapide, e veloci de i fiumi.
Chiarissimo testimonio ne rende Plinio, essortando Traiano Imperatore à far
finire in un cavo incomminciato da un certo Rè dell’Asia, accioche per quello
si puotesse navigare fino à Nicomedia da un lago lontano da quella Città trenta
miglia, il qual cavo, tanta caduta scrive egli, che havea quanta apunto hà
l’Adda nostra, in quel miglio di letto, dentro del quale ristretta dalle rupi,
và precipitando frà sassi; ne altro rimedio maggiore insegna Plinio, per far
facile la navigatione del cavo incominciato frà il lago, e Nicomedia, che
quello delle Conche. Anzi da quelle epistole di Plinio credo io, che sia cavata
l’inventione di tutta quest’opera, e forsi anco, perche egli pose à quel
trattato il titolo .De lacu Nicomedēfium, fù equivocato da nostri vecchi,
pensando loro, che egli volesse dire .De lacu Novo comensium. Ma comunque sia
la cosa, oltre Plinio, Seneca ancora ammira l’inventione delle Conche del Nilo,
il quale scrive egli, che rovinando da altissimi rupi, passato che hà l’Isola
Phile, arriva ad un luogo molto nobile per lo spettacolo di queste Conche.
Ragionevolmēte donque dovrà cessare ogni dubio, circa le Conche, perche se
saranno in sito atto, & con buona calce fabricate, al sicuro serviranno
alla navigatione, benche con maggior longhezza di tempo s’empino le grandi, che
le picciole.
Hora presuposta la facilità di fabricare,
& di metter in uso queste tre parti principali, le quali essendo insieme
ben concertate, come sopra si è detto, constituiranno il corpo perfetto di
tutta l’opra, poiche non approvate sono, con argomenti probabili, ma con
essempi similissimi, anzi con la verissima demostratione, & con lo specchio
della stessa sperienza, passiamo dalla possibilità di finire tal impresa à
parlar dell’utilità, che apportarebbe la navigatione di questo fiume.
Questa è la principale, e la più
importante consideratione, essendo che al publico, & al privato bene è
drizzato il fine di opera tanto grande; Ne si può negare, cõfessandolo ogn’uno,
che utilissima cosa sia ad una Città l’havere vicino un fiume navigabile,
accioche cõ maggior facilità, e minor spesa di lõtano, e d’appresso si possano
condurre vettovaglie, e merci. Con tale commodità molte Città d’Europa si sono
fatte scale di traffico, nobilissime, & si sono arrichiti tutti i Cittadini
suoi, havendo cavato, con molta agevolezza grandissimi Thesori da paesi lontani,
& da vicini tutto quello, che si può desiderare, per il viver humano. Molto
più felice è anco una Città, quãdo hà duoi fiumi vicini, che da diverse bande
la soccorrono, perche se le radoppia il commodo, e l’utile, ma felicissimo, e
incõparabile sito d’una Città si può dire, quando che havendo doi fiumi corrēti
che la bagnano, di quelli gode, in maniera tale, che dal loro impeto, &
innondatione rovina alcuna non può ricevere, il che à Milano avviene, il quale
dentro di se gli conduce tanto regolati, che tutto il soverchio dell’acque
precipitato in bassissime valli ne i letti ordinarij si scarica cosi lontano
dalla Città, che ne l’aria, ne i terreni, ne gl’edificij alcuno incommodo
sentono, restando la Città in sito elevato, & lontana da ogni pericolo
d’offesa. Anzi dico di più, oltre che à Platone non piacciono le Città vicine
al Mare, perche i quelle non si può conservare la purità de costumi, che
maggior beneficio riceve Milano dalli due navigli, che non riceverebbe da duoi
gran porti marittimi, perche i Navigli non consumano in acqua, come farebbe il
Mare la metà del suo territorio ma con l’irrigatione lo fanno più fertile.
Questi portando non levano cosa alcuna, come fà il Mare, il quale alle volte
toglie più che non dà, & e per un poco di guadagno si veggono i Navigãti
levare da una Città le cose necessarie al vivere di quella, e portarle ad
un’altra, nella quale poco più vagliono, per non partirsi vuoti. Il Mare porta
le Navi à tutte quelle Città, alle quali le inviano i Marinari. Ma gli Navigli
di Milano finiscono il corso suo sempre nella Città medesima, & dentro vi
cõducono per necessità, & non altrove tutto ciò che in 300. miglia di
riviera navigabile si raccoglie, & tutto qllo ancora, che da lõghissime,
& habitatissime Valli, che il lago maggiore circõdano, oltre il bisogno
loro viene prodotto. Ne possono venti, ò tempeste impedire questo beneficio
artificioso, ma in ogni tempo, e stagione, come sopra si è detto, quivi è
sicuro il navigar senz’arte. Avvisati dunque da i commodi, che ci arreca la
navigatione del lago maggiore continovata per mezzo del Tesino, co’l Naviglio
grande, potremo fare una necessaria consequenza, che molto maggior utilità ci
porgerà il lago di Como, per la via dell’Adda fatta navigabile, & del
naviglio di Martesana, posciache il lago di Como è in sito più commodo, per il
traghetto, e commercio frà la Germania, e l’Italia, hà il maggiore contorno di
riviera, che non hà il maggiore, e circondato da Valli molto più lunghe, che in
quelle sboccano, frà le quali è la Valle Tellina longa sessanta miglia, la
Valle di Chiavenna, la Valle Sassina, & altre piene di tanto popolo, che
hora fervono p seminario d’artefici à tutte le Città d’Italia, si come credo,
che anticamēte in quelle si ritirassero i popoli, fugendo dalle pianure le
guerre, & altre turbulēze d’Italia. Quanta abbondanza donque s’apportarebbe
à Milano, col mezzo di tal navigatione, di vini, d’ogli, di carni, di pesci, di
casci, & d’infiniti altri frutti? Quanti ferri lavorati? Quanti legnami
dalle selve piene d’Abeti, di faggi, di pini, di quercie, & di larici si
manderebbono da lontane Valli, per gli Torrenti nel lago, & poi à Milano si
condurrebbero in carboni, in travi, & in asse ad ogni uso? Quanta quantità
di marmi bianchi, neri, e misti, & di perfettissima calce abbonderebbe in
Milano? le Terre del lago tanto mercantili condurrebbono le lane, & Le
ricondurrebbono fabricate in panni, con grandissima facilità, & con le
merci i popoli intieri scenderebbono alla Città, con le famiglie, come fanno,
per il naviglio grande, cioè padri, madri, figli, anco nelle culle, servi,
& non solamente nella medesima Barca il mobile di tutta la casa, ma ancora
la provigione del vivere, per tutto l’anno. Mãderebbe Milano, per questa via in
Germania drappi d’oro, d’argento, di seta, di lana, ricami, pietre pretiose
lavorate, oro, argento, rame tirato, filato, & battuto, armi diverse,
odori, drogherie, infinite merci di Levante, & finalmente tutto quello, che
havesse di soverchio. Dalla Germania verrebbono condotte non solo à questa
Città, ma anco à tutte le altre di Lõbardia (pure che si alzasse il Ponte di
Lodi, in modo che le Barche grosse potessero salire, e scendere dall’Adda nel
Pò) rami, stagni, bronzi, oricalchi lavorati, & in massa, minierali
diversi, pietre pretiose, christalli da lavorare, libri, cuoi, pelli pretiose,
tapezzarie, tele, cavalli, animali minuti alpini, animali grossi da lavoro,
& infinite altre sorti di mercantie. Con questa commodità tanto importante
del navigare crescerebbono gli Datij di S. Maestà, il che molto caro doverebbe
essere alla Città, perchè l’abondanza de danari cavati dal transito delle merci
riflette tutta in utile, commodo, & sicurezza maggiore de popoli. La
gabella, che riscuoterà la Città, farebbe ancora di tãto emolumēto, che non
solo con quella si potrebbe supplire alle reparationi necessarie per mantenere
gli edificij, ma servirebbe ancora ad altri bisogni. In somma se gl’antichi non
contentandosi, che Roma restasse soccorsa nel mezzo di due Porti fatti à mano,
uno nel Mare Adriatico in Ancona, & l’altro ad Hostia nel Thirrenno,
tentorono ancora di congiongere co’l Mare mediterraneo, l’oceano, orientale,
& l’occidentale, facendo un’taglio, ch’entrasse nel Mare Rosso, &
unendo insieme duoi fiumi della Francia, & di più volsero con grandissima
spesa tirare da Napoli à Roma una fossa per facilitare la navigatione, da tali
essempi mosso non doverebbe restar Milano di seguitare un’impresa tanto utile,
necessaria, honorevole, di tanta quiete, & contento à gl’animi, & alle
conscienze, quandoche vedessero d’haver spesi i danari con tanto beneficio
della patria. Conchiudo dunque, che il metter in prattica questa navigatione
sarà cosa utilissima, che quando sarà fatta facile, si farà anco tanto
famigliare, & che per questa porta verranno condotte à Milano, &
saranno forzate ad entrare in Italia tutte le mercantie, che hora per diverse
strade portate vengono. Milano s’aggrãdirà ancora più, haverà traffico
maggiore, & in fine servirãno al popolo, & alla nobiltà per giardini, i
poderi che ne i monti di Brianza come troppo lontani rare volte hora sono
visti, e goduti.
Il terzo capo è quello del quale meglio
sopra il luogo, con la vera dimostratione si trattarebbe, pure divisandone in
iscritto è necessario, ch’io dentro i confini della modestia confessi di
conoscere la mia poca isperienza, & dimandi l’agiutto di V. S. accioche
s’io resterò intricato, ella mi sviluppi, con dire, che la opinione mia non è
messa in carta, perch’io pretēda, che tutti à quella appigliar si debbano, ma
perche altri introdotti à discorrere, s’ella sia buona, ò nò, cerchino
d’abbatterla, in modo che quasi frà pietra, e ferro insieme percossi scintilli
finalmente la luce, & la verità ricercata, & ciascuno possa dire. Video
meliora, proboq.
Ne l’havere di sopra detto, che l’impresa
riuscirà, & che sarà utile, mi mette in necessità di approvare tutti
gl’edificij sin’hora fabricati, poiche altro non hò conchiuso fuori che dire,
che argini, chiusa, & Conche possono dar compimento à questa utile impresa,
pure che in tal modo siano fabricate, che possano conversarsi, & far
l’ufficio suo.
E per cominciare dalla chiusa, la quale è
stata la cagione delle rovine seguite l’anno passato, & il presente ancora,
perche ribatte tanta quãtità d’acqua, oltre il bisogno, nel Naviglio, che
quando l’Adda cresce, rovina, & distrugge tutti gl’edificij, che per
sostenerla si fanno; E necessario per sapere il modo di rimediarvi essaminare
prima la forma usata dalli antichi nel fabricare le chiuse nell’Adda, & nel
Tesino, per divertire il Naviglio grande, & quello di Martesana, le quali,
con tanta facilità, e quiete sostengono, e imboccano ne i detti Navigli la
parte bisognevole dell’acqua, scaricando, in un tempo medesimo la superflua, nel
letto de i fiumi, che le navi, con un pendente soave declinando con l’acqua divertita,
entrano nella bocca de’ Navigli, come se non in acqua corrente, ma il lago
piano navigassero. Questo si vede avvenire, perche le dette chiuse non sono
fabricate, dove il fiume è più stretto, ma dove è più largo; accioche in lungo
tratto, havendo largo campo da dilatarsi l’acqua cresciuta straordinariamente,
meno si possi alzare, & si trabocchi à puoco à puoco, soverchiando la
chiusa, con puoca alteratione della supercie sua. Furono ancora dalli antichi
fabricate queste chiuse, per dar più campo alli fiumi di scarcarsi, & con
maggior facilità, non per linea transversa, ma diagonale, come quà sotto si è
disegnato.
Et affine che l’argine istesso continuato
con la chiusa, servisse anch’egli per scaricare, fin’tãto che traboccata tutta
l’acqua superflua restasse poi quietamente introdotta solo la bisognevole,
tanto in tempo di piena, quanto di siccità. Volsero ancora, che le chiuse, e
buon pezzo dell’argine à quelle congiõto più basso fosse della superficie
dell’acqua, che divertire voleano, accioche, come sopra si è detto, in qual si
voglia stato del fiume, l’acqua soverchia più facilmēte precipitasse.
Dunque tutte queste diligenze, &
artificij di piantar le chiuse, dove il fiume fosse più largo, di formar le
diagonali, continuate con l’argine, & più basse dell’acqua divertita, si
sono ritrovate, & usate per mantenere un corso piacevole, & navigabile,
nell’imboccature de’ navigli, & anco per non introdurvi maggior acqua del
bisogno, ne’ tempi dell’accrescimento de’ fiumi, la quale, quando in tanta
copia entra ne i cavi à guisa di nemico entrato in casa, quanto più è potente,
tanto maggior danno, e rovina seco mena, quando si vuole cacciare.
Fatte queste premesse strana cosa parerà
forsi à molti, e la terranno per paradosso, se si dirà, che necessario sia il
rompere, e spiantare la chiusa fabricata con tante spese, e stenti frà le
angustie di quelle due sponde di pietra viva, dalle quali viene ristretto il
letto del fiume, in modo tale, che non essendo più largo di ottanta braccia,
segue, che quãdo l’Adda cresce, cresca molto più alta sopra la chiusa, per non
potersi dilatare, che non farebbe, se le ripe fossero molto lontane, l’una
dall’altra, poiche cresciuto che è il fiume, per le pioggie, & per le nevi,
che dileguano, viene maggiormente ad alzarsi l’acqua nel sito, dove s’imbocca
il Naviglio, & per queste cause mantiene la superficie sua più alta del
naturale suo pelo, almeno la metà dell’anno. La medesima altezza d’acqua, che si
ritrova poi esser sopra la chiusa viene ringorgata dalla stessa chiusa, dentro
il Naviglio, nel quale havea presuposto l’Architetto, che in ogni tempo entrar
dovesse un corpo d’acqua sempre limitato d’altezza di oncie 18. ma ciò non
seguendo, anzi imboccandosi alle volte un corpo d’acqua alto due, tre, e
quattro braccia più delle oncie 18. limitate; tanta quantità d’acqua soverchia
non può ricadere nel fiume, se non con grandissimo danno, e disordine, perche
non essendo l’argine basso, ne meno continuato con la chiusa, anzi essendo la
bocca del Naviglio cavata con lo scalpello nel massiccio d’un’alto monte, è
necessario, che tutta l’acqua imboccata frà due altissime pendici tutta unita
camini sin tanto, che arrivata à due scaricatori distanti dalla bocca del
Naviglio braccia centocinquanta, e larghi più che non è il letto dell’Adda, per
quelli venghi precipitosissimamente, e con grandissima furia à ricadere nel
fiume.
Questo avviene, perche dilatandosi l’acqua
sopra la soglia de i scaricatori più larghi assai del letto del fiume, non solo
s’abbassa l’altezza del corpo suo, ma anco perche il moto violento del
precipitio suo è consumatore anch’egli della stessa altezza del corpo
dell’acqua, di maniera che dove l’acqua p forza doverebbe essere intromessa, e sostenuta,
hora corre per elettione invitata, anzi incitata, con tanta velocità, che nel
nuovo cavo entrando tutta turbata, e fluttuante, cosi impetuosamente ferisce in
quelle due rupi, che le fanno spõda, che l’occhio abbhorisce il vederla, non
che in cosi sfrenato corso venghi in pensiero ad alcuno di navigarla.
Dunque gli disordini nascono dalla
strettezza del sito, nel quale è fabricata la chiusa, poiche il fiume ristretto
dalle ripe maggiormente si alza anco nella bocca del Naviglio, & introduce
maggior acqua del bisogno, & la larghezza grande de i travaccatori è poi
causa, che l’acqua, mentre da quelli precipita si abbassi di corpo, & per
conseguenza acquisti un pendente tanto inclinato, e precipitoso, che in nissun
modo dentro vi si può navigare.
Le quali propositioni, benche verissime
siano, non paiono però convenirsi, in modo tale con la professione di legista,
ch’io arditamente possa affermarle per vere; nondimeno, oltre l’haver io spesse
volte sentito il Presidente mio padre ragionare di simili moti dell’acque,
mentre che sedeva nel Magistrato, che ne hà cura, & giuridditione in tutto
lo Stato, dico ancora, che meglio non si può imparare la causa di questa
sregolata altezza, & impeto dell’acqua introdotta nella bocca del Naviglio,
che da una bellissima legge di Ulpiano, la quale è la prima, sotto il titolo de
fluminibus, ne i digesti, dove si legge. Proinde
si aqua derivetur, ut exiguvior facta minus sit navigabilis, vel si dilatetur,
ut diffusam aquam brevem faciat, vel contra si coangustetur, ut rapidius flumen
faciat, vel si quid aliut fiat, quod navigationem incommodam, difficilioremue
faciat, vel prorsus impediat, interdicto locus erit.
Dunque il caso formato ne i termini nostri
non altrove meglio si può ritrovare, che nelle leggi, e questa verità si può
confirmare ancora con un’essempio facilissimo da intendere di una roggia, la
quale uscendo dall’uno de i duoi Navigli, mentre che passa per bocca, ò
modello, il quale sia per figura alto un braccio, e largo un braccio, conserva
la medesima altezza, e larghezza di corpo, che hà la bocca, ond’esce, ma uscita
poi, subito che corre sopra la soglia della tromba molto più larga della bocca;
all’hora dilatandosi il corpo suo, e precipitandosi dalla soglia, non più
conserva l’altezza e larghezza d’un braccio, che havea uscēdo ristretta dal
modello, ma si riduce ben’spesso ad un quarto di braccio, & anco à minore
altezza, di modo che dalla bocca, ond’esce, sino alla soglia di dove si
precipita viene ad acquistare un pendente di tre quarti di braccio, &
insieme un corso rapidissimo.
Simile causa, simile effetto produce,
poiche nell’uscire, che fà il Naviglio nuovo dall’Adda, se il fiume sarà
cresciuto due braccia di più del solito, due braccia ancora d’altezza
straordinaria di acqua entrarà nella bocca del cavo, la quale è larga braccia
diciotto, & scaricandosi poi tutta l’acqua superflua per gli duoi
scaricatori poco lõtani dalla bocca del Naviglio, & larghi più che non è il
letto d’Adda stessa; dilatandosi l’acqua, e cadēdo dalla soglia di quei
scaricatori acquista nella superficie sua più di centocinquãta braccia di
lõghezza di cavo, dentro del quale più furiosa scende à precipitarsi, che non
fà per l’Adda stessa.
Intesa la causa dell’infermità, è cosa
facile ritrovare il rimedio, il quale è tale, che essendo approvato già dalla
sperienza, & dalla ragione, non fà bisogno, che per dargli maggior credito,
testimovio, ò d’argomento alcuno si apporti. Questo è il fare un’altra chiusa,
non co’l dirupare nell’Adda setttãtatre mille quadretti cubi di pietra viva,
& i monti intieri, con spesa de quaranta mille scudi, ò puoco meno, ma
solamente co’l fabricare una chiusa, puoco sopra i tre scogli, nel modo stesso,
che le sogliono fabricare nell’Adda i molinari, per tirar l’acqua à loro
molini, overo quasi come le fanno i pescatori del Tesino, per la presa de’
pesci, le quali sono formate da loro, con la linea diagonale, & sostengono
il fiume, rompendolo, e scaricandolo à puoco à puoco, senza molta alteratione
della superficie sua. Cominciare dunque si potrebbe una chiusa dallo scoglio
più vicino alla ripa Milanese, andãdo allo in sù, verso la riva Bergamasca, ma
perche l’acqua soverchia non finirebbe di scaricarsi tutta sopra la chiusa
sola. Continuandola poi con un’argine basso, sopra la superficie di quello
ricadrebbe il soverchio nell’Adda, di modo che dove, hora imboccata che è
l’acqua nel Naviglio, non può frà quelle balze ristretta scaricarsi, ivi sempre
si trovarebbe d’un’altezza medesima, & regolata ad una misura tanto certa,
& inalterabile, che ne anco ne gl’accrescimenti notabili del fiume
riceverebbe mutatione alcuna.
L’aggionta di questo argine nuovo si
potrebbe incominciare dove s’imbocca di presente il Naviglio, & si potrebbe
fare di sassi messi lungo la ripa Milanese, & se pur fosse necessaria la
palificata, dovrebbe esser simile ad uno de’ pennelli, che hoggidì si veggono à
Cassano. Questa forma di chiusa levarebbe tutte le difficoltà, e danni, che
hora apporta lo straordinario accrescimento del fiume, perche avanti che l’acqua
soverchia arrivasse, dove hora s’imbocca il Naviglio, invitata sarebbe à
precipitarsi dalla chiusa, & dall’argine insieme continuati, senza danno di
alcuna parte dell’opra, fin’tanto, che tutta scaricata fosse nel fiume, purche
si levasse la chiusa già fatta, essendo necessario abbassare in quella parte il
fondo del fiume, accioche in quella profondità s’inviti l’acqua soprabondante à
ricadere, avanti che s’imbocchi nel Naviglio.
Conchiuso in somma, che la forma delle
chiuse de gl’antichi è la buona, perche essi molto migliore l’hanno ritovata,
nell’imboccare i Navigli, più tosto guidati dalla sperienza, & dalla
necessità, che dalla bella occasione di gettare in Adda quelle rupi pendenti,
le quali mostrano nel caso nostro, che più tosto si è previsto il modo di fare
una chiusa stabile, e forte, che l’effetto, che da quella ne dovea seguire.
Quanto à gli argini, & al cavo;
infinita opera fatta intorno di quelli potrà con molta facilità servire,
essendo finito quasi tutto il letto, nel quale à forza di scalpelli una
quantità infinita de sassi, che dentro vi erano, sarà perciò necessario
restringerlo almeno la metà, accioche non s’introduca maggior acqua del
bisogno, & affine che gl’argini venghino ad haver minor peso da sostenere,
che possibile sia, lasciando però il letto alquanto più largo della metà, in
due, ò più luoghi, accioche le Barche, incontrandosi, possano iscambiarsi,
& seguire il loro viaggio. Ristringendosi questo cavo l’argine verrà ad
ingrossarsi, verso il fiume, sarà più forte, haverà minor peso da portare,
& il corpo maggiore dell’acqua si ritirarà, verso il piede del monte, dove
verrà ad essere più lontana dal periglio di spignere l’argine, & di
precipitarsi nell’Adda.
L’argine ancora sentirà manco il peso,
& l’impulsione dell’acqua, se il cavo si farà più profondo, sopra la radice
del monte, che verso l’argine, & aggiungendovi un difensivo di sassi nel
piede verso l’Adda, l’opra sarà molto più sicura, e perfetta. Essempio di ciò
chiarissimo si vede nell’argine di terra, benche arenosa del Naviglio grande,
il quale lo spalleggia, e sostiene frà il colle, & la Valle del Tesino, e
pure come soprà hò detto il Naviglio grande porta una quãtità di 800. oncie
d’acqua, e più, co’l mezzo di detti argini di terra arenosa ne però mai gli
rompe, seco tirando la rovina del fondo stesso, come nel nuovo Naviglio accader
suole.
Non nego però, che più sicuro rimedio non
sia il fare gl’argini di muro, volendosi far la spesa di fondarli sopra il
piano del fondo dell’Adda, perche quelli, che hora si veggono sono senza
fondamento alcuno, & si può dire, che più tosto fabricati siano in aria,
che in Terra, essendo tanto più pericolosi di rovinare, quanto che in quelli
non si è fatto scaricatore alcuno, per le acque piovane, che scenderanno dal monte.
Di più la calce, che in quelli si è adoperata è puoco atta à simile Impresa,
anzi è fatta d’un sasso cosi tenero, che non fà presa alcuna, dovendosi in
fabrica tanto importante usare la calce di Lecco facilissima da condurre per
l’Adda, & migliore di qual si voglia altra d’Italia, di modo che nel lago
di Como serve per coperta de i muri, in vece de coppi, & resistendo cõtra i
geli, & l’ingiurie del verno, s’indurisce, come marmo allo scoperto. Non ci
deve sgomentare la puoca spesa della condotta, perche facendo muri con quella
calce servirebbono tutte le pietre, benche picciole, incerte, senz’angoli,
& non squadrate, di modo che con gran risparmio, e perpetuità dell’opra, si
darebbe bando all’intollerabile spesa, che si fa, nel cavare, squadrare, e metter
à lavoro pezzi grandissimi di pietra, ancorche insieme non faccino presa
alcuna.
Quanto alle Conche, delle quali la minore
non patisse oppositione alcuna, fuoriche per rispetto della calce, poiche è
fabbricata d’altezza conveniente, pure molto vantaggio sarebbe, se si fosse
situata alquanto più lontana dalla conca maggiore, acciò nell’avenire restasse
libera la facoltà, restãdogli lo spatio, per puoter riportare la metà della
conca maggiore più in sù, cioè fra l’una, e l’altra, in modo che la grãde la
quale è alta vintiotto braccia, fosse divisa in due di quattordeci l’una. Et
questo dico, perche domesticandosi questa navigatione, verrà ad esser troppo
noiosa, & di molto impedimento, per il troppo tempo, che si consumarà nello
salire, e scendere dentro una tanta machina, la quale, se in due hore, essendo
alta braccia vintiotto, farà montare due Barche, essendo smezzata in due Conche
di quattordeci braccia l’una, si alzarebbero otto navi nello stesso spatio di
due hore, il qual ponto è di grandissima cõsiderazione, perche se nel naviglio
grande à pena è passata una nave, che puoco lungi se ne scopre un’altra, che
segue: quale impedimēto sarebbe, frequentandosi anco in questa nuova
navigatione il commercio, se questa machina ritardando tanto il passo non fosse
per supplire al numero delle Barche, che traghetassero. Ma perche di questo
dubio il tempo, e la sperienza n’apporterà la rissolutione, non mi voglio più
trattenere dentro i limitari di queste Conche, solamente dico, che alla mala
qualità della calce solo, ma debole rimedio sarà il rimettere frà le commissure
delle pietre la calce di Lecco, in vece della cattiva, la quale caderà per il
gelo, quando che le Conche, si comminciaranno ad usare.
Queste cose mal ordinate di scrivere mi
sarei astenuto, s’io havessi potuto chiudere gl’orecchi alle nove de
gl’infortunij fin’quì à quest’opera accaduti, & non vedere il pericolo, al
quale hora sottogiace l’impresa, poiche in luogo di aggiustarla, procurano
alcuni, di far correre un naufragio generale, non à Milano solo, ma à tutta la
Lombardia, cercando, che si abbãdoni tanta opera fatta, & che una spesa di
200V. scudi resti inutile, e derelitta. Ne in questo naufragio si perderebbe
solo l’utilità del commercio, ma anco la ributatione presso à i posteri, gli
quali vedēdo l’opra puoco lungi dal fine, direbbono, che per disgratia nostra,
e loro havessimo cessato di servire à i commodi publici, e privati, e voltando
l’ordine del concetto di Plinio, mentre che parla della navigatione del lago di
Nicomedia, direbbero. Dùm servare bono
voluerunt, quod impedendum erat, malè perdiderunt quod impensum erat. Non
si deve dunque gettar à male il molto, che si è speso per risparmiare quel
puoco, che s’hà à spendere. Ne Milano tutto unito si deve sgomentare ad
essequire quello, che un Cittadino suo solo con le private sue forze hà voluto
ridurre à perfettione, poiche questo non è un volere unire Mari, e fiumi lontani,
per delitia, ma è un’avvicinare alla casa di ciascuno i suoi poderi, alla Città
i laghi, i monti, le valli, i popoli, & le Provincie intiere, agevolando un
solo miglio d’interrotto viaggio. Chi dubita, che la natura ottima proveditrice
di tutte le cose, non havesse potuto con un picciolo suo scommodo temperare il
corso à questo fiume, ma si come per destare gl’ingegni, & invitargli alle
fatiche, hà voluto nascondere l’oro, e l’argento nelle profonde viscere della
terra, cosi hà voluto ancora, che Milano pieno di ben mille sollecitudini si
affatichi, e spenda, per cercare occasione di ritrovare nove commodità, &
nove ricchezze, ne tanto frutto, quanto è l’accrescere notabimente la patria
sua, cosi facilmente si acquista, ma bene spesso, hor l’uno, hor l’altro
accidente contrario nelle grandi imprese si suole fraponere, & travagliare,
accioche maggiormente affaticati, e desti alla fine ritroviamo la vera maniera
di ridurre à perfettione l’incominciata impresa. In somma questa è opera, nella
quale si serve, non solamente al Rè nostro Signore, & alla patria, ma à noi
medesimi, alla posterità nostra, à i popoli vicini, & à i lontani ancora, è
sicura, ma difficile, perche sollevare, & accrescere un popolo come s’è
detto, è una delle grandi attioni, che far si possa, & è degna della
grandezza di Milano. Et benche io puoco degnamēte ne habbi scritto, come che di
mia professione non sia, nondimeno riceverà qualche dignità questa scrittura,
se V. S. leggendola le leverà molte cose di puoco momento, accioche si diminuisca
la fatica al lettore, & à me il biasimo. Sperarò donque, e viverò sicuro,
che si come ella hà un estremo desiderio di giovare, con le fatiche sue l’anno
seguente alla commune patria, cosi verrà ancorache le parole mie habbino fatto
qualche beneficio à cui molto, & debbo, di V. S. mi raccomando con tutto il
cuore.
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