Sulla
navigazione dal Lago Maggiore a Milano
e da
Milano al Po.
Ripigliando
ora le notizie storiche dai primi tempi pacifici del lungo dominio spagunolo,
le idee, i progetti e le opere relative alla navigazione non si limitarono nel
Milanese al fiume Adda, al Naviglio di Paderno, al Naviglio della Martesana e
in generale alla comoda comunicazione per acqua dal Lago di Como a Milano sulla
linea di quel fiume e di questi canali. Essendo allora incerto e soggetto a
grandi variazioni la presa d’acqua del Naviglio Grande, trovandosi in totale
disordine il subalterno Naviglio di Bereguardo, e diretto a tutt’altr’uso che
alla navigazione l’antico Naviglio di Pavia, non mancavano nel Milanese imprese
di questo genere degne di essere favorite. Il primo di tali lavori mandato ad
effetto di que’ tempi è restato fino a noi ed è il canale Naviglio di
Bereguardo ricostruito nella sua forma attuale col distribuirvi undici sostegni
in tutta la sua lunghezza.[1]
Uno di questi sostegni così detto la conca
dell’inferno consta di tre mani consecutive di porte con due salti
intermedi ed è anche il primo e più. Antico esempio dei sostegni accollati che si conoscono, la cui idea
venne poscia generalizzata altrove col costruire i sostegni di otto e più
ordini di porte riavvicinati ed accoppiati insieme coi rispettivi salti
intermedi.
In
seguito a tale sistemazione del Naviglio di Bereguardo una parte del commercio
del Po dianzi passante per la strada di Pavia si rivolse subito al trasporto
per acqua procurato da quel canale di diramazione che tuttavia fa parte della
rete di navigazione-interna del Milanese; ma la necessità di traghettare per
terra i generi di quel commercio sull’alta costa del Ticino a Bereguardo, la
difficoltà di rimontare lo stesso Ticino da Pavia sino al piede di questa costa
al Pissarello e gli incomodi di un viaggio molto lungo ed indiretto per
arrivare dal Po a Milano e viceversa, toglievano troppo di quella parità di
circostanze che in commercio assicura la preferenza del trasporto per acqua
sopra quello di terra. Allorchè si è pensato poi seriamente di rimediare a
questo difetto della rete di navigazione del Milanese, deposta l’idea di fare
sforzi per condurre il Naviglio di Bereguardo sino in Ticino, tutti i pensieri
furono invece rivolti ai mezzi di rendere navigabile fra Milano e Pavia il
canale che prima dell’estero dominio aveva servito a un qualche barcheggio,
specialmente per il comodo dei Duchi di Milano. Nel coltivare di nuovo una
simile idea non si poteva più perdere di vista la convenienza che vi era di
estendere col tempo il Canale di Pavia sino al Ticino per ottenere dalla stessa
opera i vantaggi della desiderata libera, facile, comoda e continuata
navigazione da Milano al Po più compiutamente che non fosse sperabile per altre
vie. Ma a scuotere l’inerzia di quel Governo sopra simili materie dovettero
sorgere inoltre alcuni privati a formare progetti e riparti di spese adattati
alle critiche circostanze de’ tempi. Difatti si cominciò allora dal limitare i
desiderj alla ricostruzione del Naviglio da Milano a Pavia, differendo ad
altr’epoca il suo prolungameuto sulla costa di Ticino fino nel basso letto di
questo fiume presso la stessa città di Pavia; e si passò nel 1564 a proporre al
Governo il piano economico di ripartire la spesa dell’opera, in cui era
interessato tutto lo Stato, fra la Regia Camera, gli utenti dei canali
trasversali alla linea del naviglio ed i proprietari dei terreni laterali allo
stesso naviglio sino alla determinata distanza di quattro miglia. Tale strana
proposizione è anche stata fin da quell’epoca ben accolta dal Governatore dello
Stato e comunicata al Magistrato delle acque ed alle Città di Milano e di
Pavia; ma rese accorte queste ultime che si voleva indurle ad uno speciale
concorso nelle spese ad onta che non vi fosse un titolo plausibile, per
sottrarsi all’ingiusto contributo che non si ardiva di rifiutare apertamente,
sono passate a mendicare dei pretesti ed a spargere dei dubbi sulla possibilità
e sull’utilità dell’opera.
Ridotto
allora in tal modo al silenzio il progetto del canale da Milano a Pavia, esso è
poi rinato alcuni anni dopo quando si trovarono ultimate le opere di
perfezionamento eseguite al canale Naviglio della Martesana per arricchirlo di
maggior copia d’acqua; ma siccome anche quella volta il Governo invece di
aggiudicare le spese a tutto lo stato lo ripropose alle due Città di Milano e
di Pavia per indurle ad uno speciale concorso, si misero in campo gli stessi
dubbi, e per la stessa ragione si dovette nuovamente abbandonare la speranza di
veder intrapresa una delle opere più utili per il Milanese in fatto di canali
di navigazione. L’idea però mantenuta viva dal Magistrato delle acque, che
nelle nuove concessioni per dispensare ai privati quelle del Naviglio Grande
apponeva sempre la condizione insino a
tanto che si farà il Naviglio di Pavia, venne ad ogni occasione favorevole
riproposta e rinnovata. Così è, che avendo un feudatario del Milanese nel 1584
progettato al Governo di far costruire un canal navigabile da Milano a
Melegnano presso il fiume Lambro, il progetto è stato dato da esaminare ad una
commissione d’ingegneri, alla quale appartenevano i due celebri amici Martin
Bassi e Giuseppe Meda. Il progetto fu dichiarato non meritevole d’approvazione
in confronto di tutti gli altri possibili onde aprire la diretta comunicazione
per acqua da Milano al Po, e massime del canale disegnato da Milano al Ticino
presso Pavia. Da ciò si prese occasione di far sentire al Governo la rilevanza
dei vantaggi sperabili da questo canale, e soggiungendo delle ovvie risposte
alle obbiezioni messe in campo altre volte dai Corpi delle Città di Milano e di
Pavia, si dichiarò che tali Città non avrebbero più avuto alcun ragionevole
motivo da produrre contro il progetto del canale, qualora la spesa di sua
costruzione si fosse fatta dal Governo per conto dello Stato intero.[2]
Ciò non
ostante un bisogno più urgente sopravvenuto a quell’epoca nel Milanese richiamò
a se tutte le risorse dell’arte dello stesso Stato e pose per qualche tempo in
dimenticanza il progetto del canale di Pavia. L’imboccatura del Naviglio Grande
formata nella prima infanzia dell’arte con un argine internato parallelamente
alle sponde del fiume Ticino a modo di semplice sperone aveva ancora gravi
difetti, che l’esperienza dimostrava ad ogni momento irremediabili con piccoli
e parziali provvedimenti e col ripiego di spingere sempre all’insù, nel letto
del fiume il vertice di quello sperone di mano in mano che l’attiguo incile del
Naviglio Grande andava interrandosi per le deposizioni delle materie fluviali.
Inoltre la presa d’acqua del Naviglio Grande non era abbastanza premunita
contro le irruzioni delle piene di Ticino, per cui nel 1585 una piena
straordinaria di questo fiume rovinò intieramente le opere di presidio alle sue
sponde superiormente allo sperone anzidetto e cagionò al corpo di questo
sperone uno squarcio assai grande. Quindi anche durante la piena il fiume tutto
inalveato per l’incile del canale ripassò nel proprio letto inferiore per il
luogo della seguita rottura e lasciò in perfetto asciutto tanto alla sinistra
dello sperone il Naviglio Grande, che alla destra la così detta bocca di Pavia, per la quale si
proseguiva la navigazione di Ticino.
Sospesa
così a un tratto la comunicazione per acqua dal Lago Maggiore a Pavia, a
Bereguardo ed a Milano, interrotto il movimento de’ principali opifici del
Milanese e cessata un’immensa irrigazione de’ suoi terreni, la crisi per la
provincia si fece più terribile, essendo nato il timore della possibilità di
mai più riacquistare tutte queste ricchezze. Questo timore fu principalmente
promosso dacchè chiamati gli ingegneri e periti presso il Magistrato delle
acque a suggerire il più pronto e più efficace rimedio, mille progetti diversi
si esibirono, i quali fluirono di gettare l’allarme nel pubblico, che nel conflitto
delle opinioni non vedeva speranza di salvamento. Ma per singolare combinazione
si trovarono nel numero di quei proponenti alcuni uomini dotati di straordinari
talenti che non la perdonarono a studio ed a fatica per riuscire utili in
quella grave circostanza. Fra tutti si distinse maggiormente anche in ciò
l’ingegner Meda, il cui valore nell’arte era a quell’epoca già riconosciuto ed
invidiato. Quest’uomo superiore non ardì però allora di sostenere in faccia a’
suoi competitori il progetto di sua invenzione per sistemare la presa d’acqua
del Naviglio Grande; e compreso da ragionevole timore di suscitare la rivalità,
la gelosia ed altre ignobili passioni in chi poteva far rovinare la buona
causa, si determinò a battere quella volta una strada meno aperta e meno
diretta ma di effetto più sicuro per arrivare al suo scopo. Difatti il Meda
ricorse allora al lodevole stratagemma di comunicare segretamente al Magistrato
delle acque il suo progetto da proporsi alla discussione dei periti come un
ovvio pensamento dello stesso Magistrato, adottabile soltanto come un ripiego
provvisorio e non già come l’ultimo risultato delle più mature riflessioni di
un uomo dell’arte. Accettato il partito dal Magistrato, che fu abbastanza
saggio da persuadersi dell’utilità del progetto del Meda sopra tutti gli altri
che si trovavano in campo, il trionfo della ragione negli affari d’acque del
Milanese fu quella volta solenne, e la provincia ebbe a sentirne i più salutari
effetti. Facendosi accompagnare dagli ingegneri Francesco Pirovano, Bernardino
Lonati, Pellegrino de Pellegrini, Martin Bassi, Giuseppe Meda e Giovan Ambrogio
Lonati, non che da molti altri intendenti e pratici dell’indole del fiume e del
canale, tutto in corpo il Magistrato delle acque si trasferì prontamente sopra
il luogo della rotta, ove, fatte precedere le visite e misure necessarie, si
diede principio ad un’aperta discussione fra gli astanti sul provvedimento da
prendersi a preferenza. Furono quindi proposti uno dopo l’altro per principali
rimedi opportuni; 1.° di trasportare l’imboccatura del Naviglio Grande in luogo
alquanto superiore allo sperone rovinato, e segnatamente nella sezione del
fiume detta l’oggetto; 2° di inalveare parte del fiume nell’abbandonata bocca di Pavia onde allegerire il corpo
d’acqua al luogo della rottura per poter riparare ad ogni guasto dello sperone
e delle sponde del fiume e rimettere quella presa d’acqua nello stato anteriore
del disordine; 3.° di adottare quest’ultima massima lasciando intatta la
vecchia bocca di Pavia e dando lo
sfogo al fiume durante il ristauro dello sperone per un canale diversivo da
ottenersi con un taglio nella sponda destra superiore del fiume stesso; 4.° di
servirsi della sezione della rottura dello sperone in cui erasi inalveato il
fiume per formarvi a destra una chiusa trasversale di derivazione per la presa
d’acqua del Naviglio Grande, ed a sinistra una nuova bocca di Pavia per la continuazione del barcheggio sul fiume Ticino
al dissotto di quella chiusa. La discussione fu viva per ognuno di questi progetti,
ma alla fine il quarto, proposto dal Magistrato, a norma dell’intelligenza
segreta col Meda, la vinse sopra gli altri, e venne distesa sul luogo di comune
accordo dei periti la relazione delle opere più indispensabili per l’esecuzione
della massima adottata onde ridonare allo Stato nel più breve tempo possibile i
vantaggi procurati dal fiume Ticino, dal Naviglio Grande e dal Naviglio di
Bereguardo. Immediatamente di seguito si è data mano al lavoro coll’abbassare
la soglia del nuovo incile del Naviglio Grande sino a ridurla tanto depressa
sotto il pelo d’acqua del fiume discorrente per la rottura dell’antico sperone,
che un primo corpo d’acqua s’incanalasse da sè medesimo nel Naviglio Grande. La
risultante diminuita pendenza del fondo nella prima tratta di questo canale fu
un altro buon miglioramento del suo sistema, che se pecca tuttora su di un tale
riguardo, lo fa per eccesso e non per difetto. La fabbrica della chiusa di
derivazione sopra il fondo naturale del fiume Ticino nel luogo di quella rottura
è stata fondata in acqua e celeremente eretta in forma di prisma a base molto
estesa e colle facce poco inclinate all’orizzonte. Appena che fu intestata la
chiusa, sulla sua destra, all’argine del Naviglio Grande ed internata alquanto,
sulla sinistra, nel fiume in direzione obbliqua al filone e sotto un angolo
acuto colla sponda sinistra superiore del fiume medesimo, le acque di questo,
trovandosi in quella località tenute in collo dalla chiusa, si avviarono da una
parte in maggior copia per il nuovo incile del Naviglio Grande, e dall’altra
parte per la nuova bocca di Pavia che
restava formata naturalmente dalla grande apertura lasciata sulla destra del
fiume nella sezione della chiusa. Contemporaneamente le due sponde del fiume
superiori alla chiusa si sono armate per lunga tratta con opportuni lavori.
Venne adattato inoltre il terreno a lato della chiusa e della nuova bocca di Pavia a far l’ufficio di ampio
travacatore del fiume, onde restasse provveduto allo sfogo innocuo delle sue
massime piene, qualora non lo avessero sufficiente sopra la cresta della chiusa
stessa o attraverso alla bocca di Pavia
o finalmente per mezzo dei travacatori, diversivi e scaricatori del Naviglio
Grande. L’esito poi sortito da tutti questi lavori eseguiti in breve tempo
intorno all’attuale imboccatura del Naviglio Grande non poteva essere più
felice.
Ripresa
quindi la non interrotta navigazione dal Lago Maggiore a Pavia ed al Po pel
fiume Ticino, riattivata quella dei canali Naviglio Grande e Naviglio di
Bereguardo, ridonate come prima le loro acque agli usi della irrigazione, del
movimento di opifici e simili, è rimasto un corpo d’acqua rilevante a
disposizione del Governo nell’accrescimento della portata del Naviglio Grande
ottenuto colla nuova sistemazione della sua imboccatura. Ciò non ostante gli
ulteriori perfezionamenti di questa grand’opera del Meda dovevano essere il
frutto di osservazioni e di esperienze continuate per alcuni anni, onde
scoprire meglio per ogni stato d’acque l’indole delle variazioni del fiume
Ticino e del Naviglio Grande alla nuova presa di questo canale. E difatti in
capo a qualche anno si fecero desiderare parecchie aggiunte e ripieghi diretti
a preservare sempreppiù il Naviglio Grande dalle temibili emergenze delle
massime magre e delle massime piene. In riguardo al modo di evitare le prime si
sarebbe potuto prolungare successivamente la chiusa, ristringendo innocuamente
la bocca di Pavia, e ciò non senza
ottenere per qualche tempo l’effetto desiderato di una maggior derivazione di
acque dal fiume. Ma poi sussistendo una tendenza del fiume più verso la bocca di Pavia che verso l’incile del
Naviglio Grande, in proporzione della maggior caduta libera che si trova al
piede di essa, l’effetto di questi successivi prolungamenti della chiusa non
poteva essere guari stabile, come non lo era mai stato quello consimile della
continua protrazione dello sperone all’antica imboccatura dello stesso canale;
anzi esso sarebbe ben presto venuto compensato da uno scavamento più e più
maggiore che si sarebbe fatto indispensabilmente alla bocca di Pavia. Riconosciuta pertanto l’insufficienza di questo
ripiego, e reso palese dalle osservazioni del Meda l’errore di chi lo avesse
rinnovato, il fondo della bocca di Pavia
al nuovo distacco del Naviglio Grande dal Ticino venne definitivamente
assicurato dallo stesso Meda con una soglia fissa detta traversino e disposta a
un livello tale che permettesse costantemente la continuazione del barcheggio
per Pavia sul Ticino, non che lo sfogo delle piene di questo fiume senza
perdere la competenza d’acque del Naviglio Grande in tempo delle massime magre.
La stessa soglia venne anche costruita in una direzione non continuativa a
quella dell’attigua chiusa ma ripiegante all’insù di questa, talchè l’imbocco
delle acque in canale fosse per essa maggiormente favorito in tempo delle dette
massime magre. In riguardo finalmente alla maniera di schivare i pericoli
temuti pei tempi delle massime piene di Ticino, oltre all’aumento dei
travacatori e scaricatori a paraporti lungo la linea del Naviglio Grande,
un’altra provvidenza è pur suggerita fin d’allora all’ingegno prestantissimo
del nostro Meda, e fu quella di cavare un ramo d’acqua nella sponda sinistra
superiore del fiume per farlo sboccare in vicinanza del nuovo incile del canale
a ribattere all’uopo il filone della piena verso la bocca di Pavia; ma però il cavo artefatto per quest’ultimo oggetto
si è forse del tutto risparmiato o si è lanciato andare presto in abbandono,
dacchè si è potuto assicurarsi della possibilità di farne senza col buon uso di
tutte le altre opere componenti il sistema di quella grandiosa imboccatura.[3]
Essendo
divenuto di questa maniera il Naviglio Grande stabilmente più pingue di acque,
non ha tardato a rinascere l’idea di tentare la costruzione di nuovi canali da
quello diramati per farli servire alla libera continuata navigazione da Milano
al Po. Una delle linee indicate per quest’oggetto si disegnava a quell’epoca da
Porta Ticinese di Milano sino al Lambro meridionale presso Pieve di Locate, da
dove per il letto di questo fiume e del canale d’irrigazione detto la Roggia di
S. Angelo si prolungava sino al congiungimento dei due Lambri per passare di là
al fiume Po. Una seconda linea proposta in quella occasione si distaccava
invece dal Naviglio Grande al luogo di S. Cristoforo situato a qualche miglio
di distanza da Milano, ed entrando subito nel Lambro meridionale di là dove
questo fiume ha origine, vi si manteneva sino al suo sbocco nel Lambro
settentrionale, da cui dirigevasi ancora al Po nel Lambro grande. I progetti presentati
al Governo nel 1588 sopra queste linee o sulle altre due succennate, della
traccia dell’antico Naviglio di Pavia esteso sino in Ticino presso questa città
e del prolungamento ideato del Naviglio di Bereguardo, furono rimessi
successivamente al Magistrato delle acque che li diede da esaminare agli
ingegneri Lonati, Meda e Bassi coll’ordine di riferire il proprio sentimento e
di additare il più convenevole che meritava la preferenza nell’esecuzione.
Allora pertanto l’idea del Canale di Pavia tornò a trionfare di tutti i
confronti istituiti sopra ogni altra consimile diretta alla comunicazione per
acqua da Milano al Po; e siccome questa era anche divenuta più interessante
dacchè la navigazione dell’Adda formava il grande oggetto delle cure e degli sforzi
dell’ingegner Meda, così il Magistrato delle acque non ha più oltre differito
di ordinare le operazioni preliminari e le pratiche necessarie per avere nelle
mani un qualche progetto regolare del canale da Milano al Ticino presso Pavia.
L’incombenza
di sopraintendere alla formazione del progetto fu data al Provinciale delle
acque Francesco Cid, coll’ordine di servirsi dell’opera di ingegneri della
Regia Camera. Fra questi si trovava nominato a quell’epoca anche il Meda, che
dopo le prove date all’Adda ed al Ticino del suo valore nell’arte, non poteva
più essere dal Cid risparmiato in un affare d’acque si importante per il
Milanese come il Canale di Pavia. I primi studi del Meda sul progetto regolare
del Canale di Pavia sono della fine dell’anno 1595, e furono diretti
principalmente ad assicurarsi della possibilità di disporre a Milano di un
grosso corpo d’acqua per il bisogno del nuovo canale progettato, non tanto per
sostenervi la navigazione quanto per distribuirla verso Pavia per uso di
irrigazione, movimento d’opifici e simili. Il Meda ha pure deciso fin dalle
prime visite alla linea del Canale di Pavia, che dall’uno all’altro de’ suoi
estremi vi sarebbero abbisognati in tutto sei od otto sostegni della forma da
lui immaginata per il Canale di Paderno, cioè tre o quattro per arrivare dalle
Porte di Milano a quelle di Pavia, ed altrettanti per scendere dal pian
superiore di Pavia nel basso letto del Ticino. Con tal numero di sostegni al
Canale di Pavia i loro salti non riuscivano così rilevanti e straordinari come
quello poco dianzi prescritto dallo stesso Meda per il maggior sostegno del suo
Canale di Paderno; ma la ragione di ciò si troverà subito alla minima
riflessione delle diverse circostanze dei due casi. Specialmente poi questa
determinazione del Meda per il Canale di Pavia, diversa da quella da lui presa
per il Canale di Paderno, si riconoscerà fondata in qualche modo sulla minore
irregolarità del terreno dietro la linea divisata, sulla migliore condizione
del terreno stesso per la fabbrica degli edifici da sostegno in numero
maggiore, sulla natura particolare della presa d’acqua che, non portando
ghiaie, non poteva imbarazzare l’uso dei sostegni fabbricati verso l’incile del
canale, sull’economia dell’acqua per sostenere la navigazione che per lo meno
verso lo sbocco del canale presso Pavia rientrava nei fini dell’architetto
incaricato del progetto, e finalmente sull’inevitabile scontro di una grande
quantità di piccoli fiumi e torrenti, di canali d’irrigazione e di scolo, le
cui botti diventavano di maggior impegno al crescete dei salti di quei sostegni
oltre un certo limite.
Appoggiata
in seguito dal Magistrato delle acque al Governatore dello Stato la supplica
per l’esecuzione del canale a spese della Regia Camera, furono ordinate le
ulteriori diligenze per la scelta del miglior partito più corrispondente a
tutti i fini del canale progettato. Anche a ciò venne delegato il Provinciale
Cid coll’ingegnere Meda; se non che a quest’ultimo si aggiunse qualche volta
per compagno Francesco Romussi od Alessandro Bisnati. Il progetto regolare del
Canale di Pavia in capo ad un anno venne poi presentato al Magistrato delle
acque col corredo dei necessari rilievi, degli opportuni disegni, di una stima
e di un capitolato per il caso di doversi dare i lavori ad appalto.
Per
offrire qui un’idea di quel progetto del Meda, che è anche il più antico
progetto per il Canale di Pavia che si conosca con qualche dettaglio, noi
cominceremo dal dire, che esso in sostanza prescriveva per la tratta di canale
da Milano fin verso Pavia di adattare alla navigazione ed agli altri usi delle
acque i diversi tronchi di cavo cadenti sulla linea che unisce le due città di
Milano e Pavia e conosciuti sono i nomi di Naviglietto, Navigliaccio e simili.
Quindi tali tronchi di canale dovevano venire sistemati colla pendenza
superficiale dell’uno per ogni tremille di lunghezza all’incirca, stimandosi
questa la caduta ordinaria a simili navigli e più opportuna nel caso concreto
per una comoda navigazione. Incontrandosi sulla stessa linea in direzione
trasversale molti canali d’irrigazione ed alcuni altri canali di scolo che
hanno la natura di fiume o di torrente, il Meda fin dalle prime ebbe cura nel
suo progetto di ridurre questi ultimi a sottoppassare il nuovo Naviglio per
ponti-canali, che è il mezzo più. sicuro e’ più innocuo in casi consimili. Così
un ponte-canale in tre archi doveva, secondo lui, operare il passaggio del
Lambro meridionale nel suo antico letto ora occupato da un ramo di questo fiume
detto Lambretto. Un ponte-canale in due archi doveva servire per convogliare le
acque del canale di scolo Olona ora detto Roggia Colombana. Un ponte-canale in
tre archi doveva pure trovarsi al passaggio del Ticinello a Binasco. Partendo
quindi da questi dati della direzione del canale, della pendenza del fondo e
del livello delle soglie superiori alle vôlte dei principali edifici di
ponte-canale, come da capi saldi a cui tutto il resto del progetto dovesse
essere subordinato, il Meda passò a determinare ad uno ad uno gli altri
elementi del naviglio. In riguardo alla situazione ed al numero preciso dei
sostegni, per moderare l’eccessiva pendenza del terreno nella più lunga tratta
da Milano alle Porte di Pavia, ha definitivamente stabilito il Meda di erigerne
un primo fra l’incile ed il Lambro meridionale là dove l’antico Naviglietto di
Pavia era attraversato da una chiusa serviente fin d’allora alla diramazione di
un considerabile corpo d’acqua diretto al Molino Gandino. Un secondo ne avea
disegnato poco dopo l’incontro del Ticinello a Binasco, un terzo presso la
chiusa detta travacca Peregalla verso Nivolto ed un quarto alla travacca
Campeggi. Gli altri edifici principali richiesti dal progetto del Meda si
riducevano a ponti di pietra ed a botti sotterranee per non disturbare su
diversi punti della linea il preesistente sistema di strade del paese e di
irrigazione delle campagne. Arrivato il canale verso Pavia, si proponeva il
Meda di farlo sortire dall’alveo del Naviglietto e dirigerlo allo sbocco del
Ticino in Po per qualcuna delle cinque linee differenti da lui indicate per
buone. La prima di queste linee entrava nella fossa di fortificazione di Pavia
a Porta Stoppa di questa città e la seguiva fino in Ticino all’angolo del
bastione inferiore. La seconda, dopo essere venuta a toccare a quella Porta la
città di Pavia, piegava a sinistra e andava a sboccare in Ticino fuori della
spianata. La terza risvoltava maggiormente nello stesso senso a quella Porta
per avere lo sbocco del canale qualche miglio più lontano di Pavia. La quarta
terminava ancora più in là alla distanza di più miglia da Pavia. La quinta
deviava dall’antico Naviglietto di Pavia presso Torre del Mangano e metteva
immediatamente in Po sotto lo sbocco di Ticino. Un egual numero di quattro
sostegni si fissava dal Meda alle prime quattro di queste linee. Alla quinta se
le assegnava un sostegno di più, e si rimetteva ad ulteriori esami la precisa
situazione delle fabbriche da sostegno cadenti sulla linea che sarebbe stata
prescelta. Fra tutte le accennate cinque direzioni, per discendere dalla parte
più elevata del piano della città e dintorni di Pavia al pelo basso del Ticino
e del Po, trovava però il Meda la seconda per la più conveniente in fatto di
economia, giacchè calcolava che la Regia Camera colla scelta della medesima
avrebbe dovuto spendere per l’opera intera la somma di scudi 76580, mentre
l’importo per la quinta delle linee enumerate sarebbe montato a scudi 81392.
Qui però dobbiamo avvertire, che volendo formarsi un’idea giusta della stima
fatta dal Meda per le opere del Canale di Pavia, oltre a non dimenticare
l’opportuno ragguaglio delle monete e del diverso valore delle cose,
bisognerebbe pur mettere in conto le partite d’oggetti che non dovevano portare
sborso immediato alla Regia Camera. Di questo numero si è il valore dei terreni
da occuparsi, che a quell’epoca si trovavano in gran parte a disposizione del
Governo dopo l’abbandono del più antico Naviglio di Pavia e del Parco che fu
celebre nelle vicinanze di questa città. Si dica lo stesso del prezzo di tutti
i legnami bisognevoli che si volevano prendere ne’ boschi della Regia Camera, e
delle spese di botti sotteranee, ponti e ponti-canali che all’epoca della
redazione di quel progetto si ritenevano generalmente di pura spettanza dei
privati pei quali dovevano servire. Si comprende pertanto che rettificato il
calcolo di stima coll’aggiunta di tutti questi e di altri capi di spesa, desso
sarebbe montato al doppio o al triplo di quello presentato dal Meda; ma in
questo caso probabilmente il pensiero del Canale di Pavia presso il Governo di
Milano a quell’epoca sarebbe stato messo subitamente da parte.
L’accennato
progetto del Meda per il Canale di Pavia, ehe potè in questo modo ottenere
l’approvazione del Magistrato delle acque, venne anche accompagnato al
Governatore dello Stato da tutte le considerazioni che potevano animare
all’esecuzione dell’opera per conto della Regia Camera e col metodo
dell’appalto. Essendo stata di seguito rappresentata dal Governatore al Re di
Spagna la costruzione del canale navigabile da Milano a Pavia ed al Po come
un’opera pubblica utilissima allo Stato ed alla Regia Camera, fu la medesima
ordinata per la prima volta sotto il dominio spagunolo con una real carta
dell’anno 1598.[4] Ma come abbiamo di sopra
detto, questa fu anche l’epoca delle maggiori sventure occorse al Naviglio di
Paderno e che hanno preceduto di poco la morte del bravo ingegner Meda,
avvenuta appunto quand’ei doveva essere chiamato a dirigere l’opera del Canale
di Pavia. Aggiungeremo ora, che all’epoca di questa perdita per il Milanese si unirono
e la circostanza della morte del Re di Spagna Filippo ii.° e le conseguenti vicende del governo civile di quella
provincia, che lasciarono senza effetto per qualche anno il sovrano decreto
relativo al Canale di Pavia. Capitato poi nel 1600 a governatore dello Stato un
Ministro di Filippo iii.°
intraprendente nella persona del Conte De Fuentes, il progetto dell’ingegner
Meda per il Canale di Pavia fu riassunto con vigore.
Più
propriamente al principio del 1601 fu deciso dal Governatore e dal Consiglio segreto
di dare esecuzione al disposto della real carta del 1598 che portava la
costruzione di un canale da Milano a Pavia ed al Po specialmente destinato alla
navigazione. Volendo allora dare l’opera ad appalto, furono pubblicati dal
Magistrato delle acque i capitoli già compilati per lo stesso oggetto
dall’ingegner Meda, aggiuntevi però delle generali riserve per tutte quelle
modificazioni e variazioni al progetto che da nuovi esami e da nuove
riflessioni potevano essere suggerite a maggior perfezione dell’opera stessa.
Sono stati quindi eletti alla dilezione dei lavori Francesco Romussi ed
Alessandro Bisnati, ambedue ingegneri camerali edotti appieno dei pensamenti
del Meda intorno al progetto del Canale di Pavia, unitamente a Gabrio Busca
ingegnere del Re di Spagna. Tutti e tre i nominati di concerto si prepararono a
dar principio alla grande opera sotto l’amministrazione e la sorveglianza del
Magistrato delle acque. Per fare poi precedere all’esecuzione dei lavori la
formazione delle idee ed il maturo esame del progetto, si diedero quei
direttori a rinnovare tutte le visite e tutte le misure fondamentali alla
presenza dei delegati del Magistrato, e intanto l’impresa posta all’asta
pubblica venne deliberata ad una compagnia di appaltatori, non già ad un sol
prezzo determinato per l’opera intera, ma a tanti prezzi per ogni unità di
misura convenuti e fissi pei lavori più ordinari ed a stima di periti ad opera
compita per gli altri lavori particolari.
Venendo
ora a dire delle modificazioni introdotte originariamente da quei direttori nel
progetto del Meda per il Canale di Pavia, pensarono primieramente il Romussi ed
il Bisnati di variare la linea stabilita abbandonando a Binasco il letto del
Navigliaccio lambente parallelamente a destra la strada maestra da Milano a
Pavia, e tenendosi invece a sinistra della stessa strada fino a raggiungere la
fossa di fortificazione di quest’ultima città. La principale considerazione che
indusse quei due architetti a proporre una tale variazione alla linea del
canale fu espressamente quella di restare col pelo delle sue acque
d’irrigazione generalmente più rilevato del pelo d’acqua del Navigliaccio sopra
il piano di campagne, affine di avere una maggior quantità di terreni
irrigabili col Canale di Pavia prima di arrivare al Po. Allora si oppose bensì
il Busca a questa risoluzione de’ suoi colleghi per timore che la spesa
dell’opera destinata precipuamente alla sola navigazione dovesse venire
accresciuta di troppo. Ma pure il Magistrato delle acque finì coll’adottarla
come un’utile innovazione al progetto del Meda. Riguardo alla distribuzione
della pendenza del terreno risultante di circa metr. 55,46 dalle ulteriori più
accurate misure di que’ tempi, il Romussi ed il Bisnati andarono similmente
d’accordo nel modificare essenzialmente il progetto del Meda sul Canale di
Pavia per trarre partito vie maggiormente dall’uso de’ sostegni a salto
straordinario. E mentre nel progetto del Meda i peli d’acqua dei principali
canali trasversali alla linea servirono come tanti capisaldi nella disposizione
del fondo del canal navigabile, e per ciò venivano a limitare i salti dei
sostegni, quei due ingegneri giudicarono tuttavia in complesso più conveniente
il dipartirsi ancor meno del Meda dalla massima de’ sostegni alti e pochi di
numero. Essi s’immaginarono di poter superare con bastante buon esito gli
inconvenienti della intersezione degli stessi principali canali cadenti sulla
linea del progettato, anche introducendo in questo le loro acque di piena.
L’intento si credette conseguibile coll’uso di botti sotterranee e di
scaricatori a paraporti. Le prime avendo all’imboccatura la cresta del muro di
fronte allo stesso livello del pelo d’acqua ordinario dei corrispondenti canali
trasversali dovevano servire all’innocuo passaggio delle loro acque nella
maggior parte dell’anno, e permettere che nel tempo delle piene si
introducessero nel canale navigabile le acque esuberanti che si presentavano al
passaggio in un livello superiore a quella cresta. I secondi poi venendo
praticati lungo la sponda opposta, ed ivi trovandosi le sboccature delle botti
e dei ponti-canali susseguite da bassi alvei di più o meno capacità, avrebbero
dato sfogo alle acque estranee introdotte nel naviglio. Un tale ripiego
sembrava specialmente indispensabile all’incontro dei canali detti Roggia
Colombana, Rozzolone e Ticinello, mentre per riguardo al Lambro meridionale,
inalveando questo fiume di nuovo più verso Milano che non lo fosse allora, si
rendeva per esso possibile e conveniente la costruzione di un ampio
ponte-canale.
Adottate
una volta queste massime dal Romussi e dal Bisnati, non si poteva più temere
dai medesimi di distribuire sulla tratta di canale da Milano alle mura di Pavia
due soli sostegni invece dei quattro prescritti dal Meda. Quindi si è passato
da essi a fissare il collocamento del primo sostegno del canale poco dissopra
dell’antico alveo abbandonato del Lambro meridionale a due miglia circa da
Milano, ed a marcare la situazione del secondo sostegno presso il paese di
Torre del Mangano, a cinque miglia di distanza da Pavia. Ritenendosi ancora la
misura dell’uno sul tremille di lunghezza per il massimo della pendenza da
darsi al canale nella sua linea di navigazione, si è stabilito da quei due
direttori di sistemarvi il fondo dei differenti tronchi in una effettiva
maggior pendenza. Dando finalmente un salto di circa metr. 8 al sostegno al
Lambro ed un salto consimile al sostegno di Torre del Mangano, si veniva a
consumare tutta la eccessiva declività nella lunga tratta di terreno dal pian
inferiore di Milano al pian superiore di Pavia.
Tale è la
distribuzione di pendenze al Canale di Pavia prescelta in allora dal Romussi e
dal Bisnati. Con essa si credeva di soddisfare a tutti i fini del canale
ordinato, e di disporlo specialmente a ricevere un grosso corpo d’acqua
all’incile sotto una moderata altezza e ad accrescerlo al bisogno per istrada
con diramazioni del Lambro, del Ticinello e di altri pubblici canali sparsi
sulla linea. Bisogna però dire a questo riguardo che il Busca pensasse un po’
diversamente dagli altri suoi compagni anche sul punto del numero preciso dei
sostegni da collocarsi sul canale fra Milano e Pavia. Troviamo difatti che
egli, ritenuta la convenienza di erigere un sostegno presso al Lambro, ne
propose un altro da costruirsi superiormente a quello e verso Milano per
ottenere da esso alcuni vantaggi e segnatamente quello di evitare la spesa di
forti arginature richiesta dall’idea di un sol tronco di canale da Milano al
Lambro, Ma spettando al Magistrato delle acque lo scegliere fra i due partiti offerti,
in quest’altra divergenza di opinioni fra i direttori dell’opera venne data
ancora la preferenza a quella sostenuta dagli ingegneri Romussi e Bisnati, e fu
loro ordinato di far intraprendere i lavori dietro il piano proposto e
nell’ipotesi di un sostegno al Lambro e di un secondo a Torre del Mangano.
Ottenuta
che si ebbe una tale decisione, si sono subito posti in attualità di
costruzione al Canale di Pavia: 1.° i lavori per la formazione della darsena o
laghetto fuori di Porta Ticinese a Milano davanti all’incile di questo canale;
2.° il ponte di pietra all’incile stesso; 3.° le scavazioni ed arginature
necessarie per l’adattamento del primo tronco di canale da Milano al Lambro;
4.° il ponte-canale in due grandi archi di pietra al luogo fissato sulla linea
per l’intersezione dell’alveo del Lambro; 5.° il primo e grandioso sostegno
disegnato sulla linea di sotto appena del detto ponte-canale.
Per far
procedere poi regolarmente l’opera di tal maniera intrapresa sarebbe stato
desiderabile che le somministrazioni di danaro per parte del Governo fossero
riuscite sicure e pronte, a norma delle convenzioni stipulate cogli
appaltatori. A quest’effetto si è proposto e concesso di servirsi di tutte le
entrate della Camera straordinaria dello Stato, la quale comprendeva specialmente
i redditi dei pubblici canali di irrigazione e navigazione del Milanese. Fu
inoltre offerto al Governo di prendere danari ad interesse sopra le stesse
entrate, e di vendere a pagamento anticipato le acque del canale progettato
disponibili per irrigazioni o per altri usi. Qualche reddito privato sopra
l’introito della Camera straordinaria si è realmente istituito all’8 per 100
liberabile, come pure si è venduto ai privati qualche corpo d’acqua di quella
destinata al Canale di Pavia. Ma con tali mezzi per far danari da impiegarsi
nella costruzione del Canale di Pavia, avendo dovuto lo stesso Governo
soddisfare contemporaneamente ad altri impegni, si è ben presto dichiarato
impotente a sostenere le spese della grand’opera. Allora si ebbe nuovamente
ricorso all’idea di una contribuzione straordinaria, da imporsi appositamente
sopra i terreni ed abitati più vicini alla linea del canale da costruirsi. E
mentre per l’addietro sì ingiusta tassa era sempre stata ad arte schivata dai
rappresentanti delle due città di Milano e di Pavia, questa volta si trovò
vicina a ricevere la forza di legge; e probabilmente l’avrebbe ricevuta se
trattandosi di pubblicare il decreto relativo non ne avessero traspirato il
contenuto i principali interessati. Questi, radunati a Binasco per deliberare
sui mezzi di opporsi alla disposizione che andava a colpirli, hanno prontamente
presentato al Magistrato delle acque un loro memoriale a stampa, in cui per
ottenere la sospensione del temuto decreto esponevano con forti colori le
ragioni che militavano in favore del loro assunto. La conseguenza di questo
modo d’agire si fu, che quella tassa speciale non è stata altrimenti ordinata,
e si è deposto per la terza volta lo strano pensiero di addossare le spese di
un canale risguardante il commercio dello Stato intero, e specialmente le
rendite della Regia Camera, ai possessori dei terreni o laterali o per poche
miglia adiacenti alla sua linea.
Arrivata
la fine del primo anno di lavori (1601), in mezzo a queste strettezze di mezzi
economici si trovavano ultimati i travagli della darsena o del ponte di pietra
all’incile del canale, ed era molto inoltrata l’esecuzione della tratta di
canale dall’incile sino al Lambro.
Nel 1602
si attese a continuare l’escavazione del canale da Milano verso Binasco, ed a
mettere mano alla fondazione del sostegno e del ponte-canale al Lambro. Alla
stessa epoca si è trattato di attivare i lavori anche dal Ticino verso Binasco,
e specialmente si è proposto di fabbricare fin d’allora l’ultimo sostegno del
canale in vicinanza dello sbocco per il motivo di approfittare di una magra
straordinaria avvenuta al Ticino. La poca quantità però del numerario spedito
dal Governo in quell’anno per l’oggetto del Canale di Pavia non solo risparmiò
quest’edificio ed ogni altro lavoro verso lo sbocco, ma vi rallentò anche i
lavori intrapresi verso l’incile e segnatamente quelli al Lambro nel momento
appunto in cui si trovavano nel maggior bisogno di essere spinti con velocità.
Di qui è che sulla fine di quel secondo anno dei lavori regnava già il
disordine in tutti gli appalti delle opere incominciate al Canal di Pavia per
mancanza di pagamento a pronti contanti. Ciò non ostante a tale epoca non si
viveva ancora senza fiducia di vedere l’opera condotta presto al suo termine,
come lo mostra la risoluzione del Magistrato delle acque, di far adattare alla
meglio in quello stesso anno l’alveo del canale nella tratta dall’incile al
Lambro, di introdurvi l’acqua disponibile diramata dal Naviglio Grande, di
allestire un magnifico bucentoro e di condurre con questo all’esperimento di
quel primo pezzo di canale il Governatore spagnuolo seguito da numeroso
corteggio, onde vieppiù animarlo a sostenere l’assunto impegno colla
somministrazione dei mezzi economici. Per tramandare sino a noi la memoria di
una tale funzione, venne anche eretto in quell’occasione il monumento di pietra
che s’incontra sopra il succennato ponte all’imboccatura del canale, detto
posteriormente il ponte del Trofeo. Ma ora questo trofeo dedicato a Filippo iii.o ed al Conte De Fuentes
non può servire che a rammentarci colla sua iscrizione la solenne menzogna, che
sotto il dominio spagnuolo aveva qualificato l’esperimento di un sol tronco di
canale da Milano verso Pavia per la tanto desiderata apertura della navigazione
da Milano al Po.
In tutto
l’anno 1605 i lavori al Canale di Pavia continuarono sebben lentamente in
proporzione delle somministrazioni di danaro ottenute dal Governo. Verso
l’incile specialmente fu aggiunto ai primi lavori una muratura di due sponde di
pietra viva per una lunghezza di circa metri 36, avente all’estremità inferiore
un ordine di porte insteccate amovibili e munite dei soliti uscioli per
l’efflusso dell’acqua in canale nel tempo che esse porte venissero richiuse; e
ciò per servire a tutti i bisogni inerenti alle particolari circostanze della
presa d’acqua del Canale di Pavia.
Al
principio del 1604 il progresso dei lavori al Canale di Pavia andava sempre più
rallentando in causa dei ritardi de’ pagamenti, che non venivano spediti dal
Governo; ma sulla fine di quell’anno si arrivò ad ottenere qualch’altra somma
di danaro da impiegarsi nell’impresa del canale medesimo. Essendo poi stato
deciso alla stessa epoca che spettava alla Regia Camera l’obbligo di farvi
eseguire le botti sotterranee pel passaggio delle acque trasversali alla linea,
e non già ai privati proprietari delle stesse acque, come dapprima si era
creduto, gli sforzi comuni della Direzione dei lavori e degli appaltatori al
Canale di Pavia si rivolsero ad abbracciare anche quest’altro oggetto, ed
alcune botti vennero immediatamente intraprese sulla tratta di linea dal Lambro
a Torre del Mangano.
Nel 1605
le opere in muro del sostegno al Lambro vennero portate ad un grado più
prossimo a perfezione, nel mentre che si continuava l’uso del nuovo canale per
la navigazione nella tratta superiore dal Lambro a Milano. Contemporaneamente
fu adattato l’alveo del canale nella tratta inferiore fino ad Annone. La
costruzione delle botti sotterranee fu proseguita a passi piuttosto veloci, ed
i lavori per la fabbrica del ponte di pietra all’ingresso nel villaggio di
Binasco furono incominciati, finchè al cadere di quell’anno istesso, non
vedendo gli appaltatori del canale soddisfatte le promesse dei pagamenti ai
tempi convenuti, hanno cessato da ogni lavoro, ed hanno subitamente intimata la
lite al Magistrato delle acque per l’indennizzo dei loro danni.
Nel 1606
il Magistrato delle acque ha rinnovate di tempo in tempo le sue istanze al
Governo per conseguire nuovo danaro da destinare alla continuazione dei lavori
intrapresi; ma non essendosi più allora riuscito nell’intento, è nata l’idea di
abbandonare la città di Pavia colla linea del canale, e di rendere di qualche
utilità i lavori già fatti verso Milano col risvoltare il canale a sinistra
dissotto del sostegno al Lambro per farlo sboccare nel Lambro stesso, il cui
letto si credeva facilmente riducibile all’uso di navigazione per lunga tratta
verso il Po. A quell’epoca però non è stata presa veruna determinazione intorno
a simile oggetto, e nemmeno i lavori sulla direzione di Pavia furono avanzati
di un grado notabile; nei successivi anni 1607 e 1608 essi restarono come
stazionari al grado cui vennero portati negli anni precedenti. L’unica opera
nuova, che in tale frattempo sia stata realmente aggiunta alle succennate del
Canale di Pavia, è forse l’ordine di porte insteccate stabilito al luogo detto
fin d’allora Conchetta per mantenere invariabile il pelo d’acqua davanti la
bocca di diramazione dell’antica Roggia Carlesca diretta al Molino Gandino, anche
durante l’uso dei sostegni per la navigazione. Le cure del Magistrato delle
acque in quegli anni per avere una qualche nuova risorsa di danaro nell’impresa
del Canale di Pavia arrivarono fino a suggerire e ad ottenere il decreto per la
costruzione di molte botti dianzi ideate e togliere di mezzo molti abusi
risguardanti l’economia delle acque pubbliche del Milanese, affine di poter
vendere poscia le acque residue a profitto dell’amministrazione del nuovo
canale. Non fu nemmeno del tutto vano l’invito ad un concorso nelle spese del
canale fatto per cura del Governo a molte altre province italiane che entravano
ancora, come il Milanese, a formar parte del Ducato di Milano e che vi erano in
qualche modo interessate. Ma appunto quando si ebbe la certezza di possedere i
mezzi economici più necessari per ordinare la più rapida continuazione dei
lavori al Canale di Pavia, gli oppositori al progetto in corso, che non mancano
mai in simili occasioni, furono subito in campo colla pretesa di avervi
scoperti rilevanti difetti e colla risoluzione di fare i maggiori sforzi per la
sospensione di un’opera che essi avevano già sentenziata per fallata ne’ suoi
principj e che come tale continuavano a proclamare in pubblico.
A questo
riguardo merita primieramente di essere qui riferita la circostanza che fin dal
cadere dell’anno 1601, trovandosi in patria reduce dal servizio del Re di
Spagna l’ingegnere milanese Gio. Francesco Sitoni, venne questi incaricato dal
Governatore De Fuentes di recarsi in visita de’ lavori del Canale di Pavia e di
riferire il suo sentimento sul loro progetto. Ciò offrì materia al Sitoni di
fare una quantità di osservazioni contro i principj seguiti dal Bisnati e dagli
altri ingegneri nel progetto del canale, e gli fornì occasione di proporre
l’idea di un suo particolare progetto per il Canale di Pavia differente in
molti punti anche da quello del Meda. Così circa alla scelta del luogo dello
sbocco si consigliava dal Sitoni, o di restare col canale entro lo scolo
inferiormente susseguente all’edificio detto travacca di Campeggi e che termina
in Ticino di sopra del Ponte di Pavia, o di voltarsi col canale a sinistra
della travacca di Campeggi per arrivare in quel fiume di sotto del Ponte e con
un sol rettifilo senza avvicinarsi alle porte della città e senza assecondare
minimamente i risvolti delle sue mura. Circa al salto, numero e collocamento
de’ sostegni il Sitoni si dichiarò sfavorevolmente prevenuto contro la massima
in allora di fresco dominante nel Milanese, di fare cioè i sostegni di salto
straordinario per diminuirli in numero. Stabilita poi per cardine principale
del suo progetto l’idea del Meda, di passare per ponte-canale sopra la
Colombana, il Rozzolone ed il Ticinello, come sopra il Lambro, riteneva Sitoni
di potere ciò combinare colla fabbrica di due sostegni tra Milano ed il Lambro,
di un terzo a Binasco e di tre altri fra Binasco e Campeggi verso Pavia.
Indirizzato che fu il rapporto Sitoni al Governatore, per mezzo del Magistrato
delle acque è anche stato comunicato agli ingegneri direttori dei lavori.
Questi dal canto loro non tardarono a rispondere di comun concerto e in una
maniera franca e vittoriosa a tutte le obbiezioni nel medesimo rapporto
contenute.
Successivamente
i dispareri sul merito del progetto adottato si erano manifestati fra le
persone dell’arte in tutto lo Stato, ed erano arrivati a far prevalere nel
pubblico l’idea che l’opera del Canale di Pavia fosse veramente sbagliata nelle
sue massime e dubbia nella riuscita. Le voci sfavorevoli sparse in questo senso
avevano facilmente ottenuto il suffragio della moltitudine inclinata a crederle
dalla circostanza di vedervi ad ogni tratto i lavori interrotti; ed il
pregiudizio popolare, una volta formato, ha imposto agli stessi uomini in
carica, da cui dipendeva la continuazione ed il buon progresso dell’opera. Così
troviamo che il fiscale Calenti aveva rinnovate in una apposita relazione al
Magistrato tutte le obbiezioni fatte in quegli anni dalle, persone dell’arte al
progetto in corso. Un libello poi di autore anonimo aveva diffuso specialmente
il timore, che il Canale di Pavia sarebbesi incontrato in sì larghi strati di
ghiaia nell’escavazione del suo letto, da perdervi per filtrazione tutta
l’acqua che si potesse in esso introdurre. L’ingegnere Rinaldi finalmente si
era distinto colle sue animosità non meno al Canale di Pavia che al Canale di
Paderno, come si può vedere ne’ suoi opuscoli pubblicati a quell’epoca in
Milano per le stampe. Gli ingegneri direttori dei lavori si accordarono in
sulle prime nel non rispondere a simili oppositori, e si limitarono a
dichiarare i libelli sparsi in pubblico sul loro progetto del Canale di Pavia
come fatti senza cognizione di causa. Il grido essendosi però reso generale, e
gli oppositori essendo riusciti a mettere in diffidenza nuovamente tanto il
Magistrato delle acque che il Governatore dello stato, era divenuta talmente
critica la situazione del Busca, del Romussi e del Bisnati, che i primi due,
rinunciando volontariamente alla gloria della direzione del canale, stimarono
più prudente consiglio il ritirarsi da essa per lasciare al solo Bisnati il
peso di sostenere un progetto che alla sua influenza apparteneva per la maggior
parte. Il Bisnati ottenne in seguito per compagno nella direzione dei lavori il
suo amico sunnominato Ercole Turate, altro celebre ingegnere e pittore milanese
di que’ tempi, allievo di Martin Bassi. Uniti insieme il Bisnati ed il Turate
determinarono di rompere in faccia al pubblico quel silenzio, che era divenuto
dannoso al buon nome dei direttori dell’opera ed al più rapido progresso de’
suoi lavori. Comparve quindi la loro dettagliata relazione in difesa del
progetto in corso al Canale di Pavia, e fu indirizzata nel 1604 al Magistrato
delle acque. Gli oppositori per altro negli anni successivi non desistettero
dallo spargere i loro dubbi e le sinistre voci sull’esito del canale in
costruzione, cosicchè il Magistrato delle acque ebbe ad ordinare nuova visita
ai lavori e nuovo esame del progetto coll’intervento dei Provinciali delle
acque, degli ingegneri direttori dei lavori, dei principali oppositori e del
gesuita Agostino Spernazzati, che è uno dei primi frati professori che sia
stato chiamato dal Governo a metter mano negli affari d’acque del Milanese. Dal
risultato di quella visita eseguita nel 1609 il Magistrato delle acque ed il
Governatore hanno potuto riconoscere pienamente l’indole delle falsità
spacciate, e ciò tanto più che gli ingegneri direttori del canale non hanno
tralasciato nella stessa occasione di dare col livello alla mano una solenne
mentita specialmente alla vociferazione che aveva preso più piede; cioè, che la
pendenza assegnata al tronco di canale ultimato da Milano al Lambro fosse
soverchia per modo da non potervisi sostenere una comoda navigazione con il
corpo d’acqua disponibile e fissato da condursi a Milano alla presa del Canal
di Pavia. Venne pertanto con quella visita riconfermata l’approvazione del
progetto in corso al Canal di Pavia per tutta la tratta da Milano a Torre del
Mangano; ma da questo punto in avanti esso venne allora modificato col fissare
in massima la costruzione di un terzo sostegno del canale prima di arrivare a
Pavia, a diminuzione del salto del secondo fissato a Torre del Mangano.
Un’altra modificazione fu recata al progetto col disegnare lo sbocco del canale
in Ticino, anzicchè nella fossa o nella spianata sotto il bastione inferiore di
Pavia, nella cortina superiore a questo bastione per averlo in quel punto in
una sezione di fiume stabilito ed inalterabile col filone in direzione
opportunissima, perchè prossima alla sponda dello sbocco stesso, e per godervi
a un tempo il comodo di una specie di darsena formata dallo sporto dei due
bastioni laterali alla cortina.
Appianate
così le principali difficoltà che impedirono allora per qualche anno di veder
ripresi con energia e continuati verso il loro termine i lavori del Canale di
Pavia, sopravvenne nel 1610 la morte del Conte De Fuentes a cambiare a un
tratto le circostanze dell’impresa, che restò esposta a nuovi ritardi e a nuove
eventualità sfavorevoli. Difatti verso la fine dello stesso anno 1610 e in
occasione che il Magistrato delle acque dimandava il permesso al Consiglio segreto
di vendere parte del terreno rimasto fuori d’uso sulla linea dei lavori, venne
ordinata agli ingegneri direttori una distinta e compiuta relazione dello stato
nel quale si trovava il Naviglio di Pavia. Dovevano esservi in questo rapporto
tanto una ragionata dichiarazione del come l’opera sin allora eseguita fosse
ritenuta per buona ed accertata, o se vi fossero difficoltà d’arte insuperabili
nel perfezionarla, quanto un prospetto dei danari spesi dalla Regia Camera, non
che di quelli che le restavano a spendere per soddisfare ai debiti già
contratti e per condurre l’opera sino alla sua ultimazione.
Essendo
poi stata compilata nei primi mesi del 1611 la relazione contenente tutte
queste notizie, fu essa presentala al Contestabile di Castiglia ritornato
allora al governo del Ducato di Milano per successore al Conte De Fuentes dopo
di esserne stato il suo antecessore nella stessa carica prima del 1600. In tale
circostanza il sistema di costruzione adottato da quegli ingegneri per il
Canale di Pavia vi era dichiarato con tutte le ragioni che militavano a suo
favore. Le opportune risposte alle opposizioni incontrate non vi erano
trascurate. Il rendiconto delle spese dava per risultato che si erano consunti
sin allora scudi 111450, e che compresi i debiti da pagarsi rimanevano alla
Regia Camera scudi 114505 di spesa necessaria per condurre il canale almeno
fino alle Porte di Pavia, dirigendosi ivi il residuo delle acque a comodo e
benefizio di questa città, del suo Castello e dell’attigua Fonderia. Ma non
ostante tutte queste giustificazioni e restrizioni di desiderj un decreto del
28 agosto dello stesso anno 1611 ordinò definitivamente l’abbandono dei lavori
sospesi al Canale di Pavia per l’espresso motivo che la Regia Camera volendo
soddisfare agli altri suoi impegni non si trovava più in grado di farli
ultimare. Ed ecco come per ragioni d’economia non si è potuto, nemmeno per poco
tempo, veder finito il Canale di Pavia de’ tempi del dominio spagnuolo. Il suo
grandioso sostegno intrapreso in vicinanza al Lambro meridionale vi è stato
abbandonato a costruzione molto avanzata, ma non ancora ultimata; per cui non
si è potuto nè metterlo alla prova nè usarlo, indipendentemente dalla
continuazione del canale. Le denominazioni poi di Naviglio fallato e di Conca
fallata, che vennero occasionate al Canale di Pavia ed al suo primo
sostegno dalle surriferite vociferazioni, sono andate sempre più accreditandosi
presso il volgo dalla circostanza di vedervi ogni lavoro abbandonato dopo di
avervi rifuse considerabili somme nell’intraprenderli.
Posteriormente
i debiti contratti dalla Regia Camera in causa del Naviglio di Pavia e delle
sue opere intraprese, che restavano fuori d’uso per motivi estranei al merito
della loro struttura, vennero estinti in gran parte colla vendita di acque,
destinate a formar il corpo della sua presa a Milano, e di materiali di
costruzione preparali lungo la linea da Milano a Pavia per la continuazione dell’impresa.
D’allora in poi anche il pezzo di canale che era stato finito in un sol tronco
da Milano al Lambro e gli altri successivi, che erano stati scavati verso
Pavia, vennero a poco a poco ridonati al semplice uso di canali di irrigazione
o alla dispensa per movimento d’opifici dei privati; sicchè riuscì inutile pei
secoli posteriori la maggior parte delle spese fatte intorno al Canale di Pavia
sul principio del decimosettimo.
Giovan Paolo
Bisnati, figlio di Alessandro, ed altri ingegneri camerali di quel secolo non
tralasciarono, appena che le circostanze si presentarono meno sfavorevoli, di
eccitare il Magistrato delle acque ed il Governo di Milano a riprendere i
lavori per costruire il Naviglio di Pavia. Nell’anno 1637 si è anche arrivato a
far istituire una Giunta governativa incaricata di esaminare quest’importante
oggetto. Tale Giunta si è occupata di riandare tutte le vicende anteriori dei
progetti e dei tentativi eseguiti sul proposito; essa ha inoltre spedito un suo
membro nella persona del Conte Onofrio Castelli a visitare la località, ed ha
delegato questo Provinciale delle acque a fare un rapporto sul più convenevole
partito da prendersi. Sottoposte le proposizioni del Castelli più specialmente
all’esame di una commissione di periti, composta del frate Camassa professore
nelle pubbliche scuole e di ingegneri camerali, venne prolungata la discussione
d’una in altra seduta per qualche mese e poi interrotta per vari anni, finchè
nel 1646 una compagnia d’intraprenditori dimandò al Governo di essere, per un
determinato tempo, investita come proprietaria dei canali navigabili del
Milanese colla condizione di restituirli accresciuti del Canale di Pavia e
colla promessa di riattivarne immediatamente i lavori sospesi nel 1611. Allora
furono per cura del Magistrato delle acque intavolate diverse trattative per
venire ad un contratto di tal natura; ma appena era divenuto sperabile un
accomodamento fra le parti, sopravvenne ad interromperlo ed a ridurre il
progetto del Canale di Pavia a nuovo silenzio la presenza delle truppe
francesi, che essendosi a quell’epoca impadronite della piazza di Vigevano
continuavano ad inquietare il Governo spagnuolo nel dominio del Milanese.
Per fare
qui un cenno anche delle idee sviluppate da quegli intraprenditori che volevano
assumersi a proprio carico la costruzione del Canale di Pavia, diremo
primieramente che tutte le loro viste erano dirette a procurarsi il corpo
d’acque pel nuovo canale nella massima copia desiderabile e con una modica
spesa. Intorno a quest’oggetto, oltre ai mezzi disponibili per derivare acqua
dai fiumi Adda e Ticino da condursi a Milano alla nuova imboccatura, essi
contavano molto anche sopra i mezzi di rendere meno inesatta la distribuzione e
la dispensa d’acque sulla linea degli altri canali milanesi preesistenti.
Pensavano quindi di effettuarvi una riforma generale di tutte le bocche
d’estrazione onde ridurre le relative erogazioni d’acqua entro i limiti della
convenevole giustezza, qualora fossero stati trapassati col tempo. Ideavano
ancora di far eseguire gli spurghi annuali a tutti i canali milanesi nella
stagione d’autunno anzicchè di primavera per il miotivo, che il maggior bisogno
della copia d’acqua portata dai canali appena spurgati verso le loro estremità
si sente non tanto nell’estate come nell’inverno, in cui ordinariamente
succedono le massime magre dei fiumi del Milanese. Per ultimo progettavano
quegli intraprenditori di diminuire il numero dei fossi trasversali alla linea
del Canale di Pavia e di dirigere rilevanti corpi d’acqua a sostenere la sua
navigazione col dare dalle sponde del medesimo molte competenze di acqua ai
privati che le avevano in fregio agli altri canali milanesi e che non ne
usavano prima di arrivare alla stessa linea del Canale di Pavia.
Circa poi
al sistema di costruzione di questo canale, il piano di quegli appaltatori
preso in complesso non deviava gran fatto dai precedenti; giacchè la linea da
essi prescelta seguiva l’alveo dell’antico Naviglietto e portava lo sbocco in
Ticino di sopra del Ponte di Pavia. Lo stesso piano prescriveva alquanto prima
di arrivare a questo sbocco una grandiosa darsena o bacino per il comodo della
navigazione, riteneva il numero di tre sostegni per passare da tale darsena al
basso letto del fiume, e richiedeva sei sostegni distribuiti superiormente
sulla linea, oltre sei altre chiuse di un semplice ordine di porte dette mezzeconche e destinate a tener
rigonfiato invariabilmente il pelo d’acqua in taluni punti del canale ove più
importava, come alla diramazione della Roggia Carlesca nel luogo detto
Conchetta.
Con un
progetto per il Canale di Pavia fondato su queste massime l’ingegnere Andrea
Bigatti, Provinciale della Regia Camera, ha pure tentato diverse volte nella
seconda metà di quel secolo 17.o di indurre il Governo di Milano ad
unire in un solo appalto la manutenzione dei canali navigabili del Milanese e
la costruzione dei Canali di Paderno e di Pavia da secoli desiderata. Anche il
Regio Fisco si è risvegliato di tempo in tempo per mettere un termine alle
concessioni ed agli abusi che avevano fatto cambiar faccia all’alveo
dell’abbandonato Canale di Pavia e che fin d’allora vi avevano diretto
nuovamente terreno, acqua e cavo agli usi privati. Finalmente sotto i Re di
Spagna Filippo iv.° e Carlo ii.° gli ordini superiori e le carte
reali per rimettere in piedi nel Milanese simili progetti si sono
replicatamente conseguite dal Magistrato delle acque sopra istanza del
Governatore dello Stato; ma poi il fatto per tutto il resto di quel secolo non
ha mai corrisposto alle speranze, e l’esito dei nuovi decreti sovrani per gli
stessi canali si ridusse a qualche consulta fra il Governatore ed il
Magistrato, a qualche relazione del Provinciale delle acque, a qualche visita
degli ingegneri camerali.[5]
[1] V. Benaglio, Relaz.
succit. al cap. del Naviglio di Bereguardo.
[2] V. le Relaz. succit.
del Benaglio e del Settala; fra le carte dell’arch. gen. di Gov. e dell’arch.
Ferrari quelle relative al Naviglio di Pavia, ed i manoscritti del Bassi
conservati nello stesso archivio Ferrari.
[3] V. Settala. Relaz. del
Nav. Grande, cap. 26 e seg.: non che i manoscritti e disegni relativi
conservati nel succit. archivio Ferrari.
[4] V. questa carta fra le
succen. del Naviglio di Pavia nell’arch. gen. di Gov. in Milano.
[5] V. fra le carte dei
succitati archivi quelle relative al Naviglio di Pavia, da cui sono estratti
anche i documenti N.° iii, iv, v, vi riportati in fine della
presente Storia.
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