martedì 30 settembre 2014

1821 - BRUSCHETTI, 1.2. Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione-interna del milanese



§. II.

Sulla navigazione dal Lago Maggiore a Milano
e da Milano al Po.

Ripigliando ora le notizie storiche dai primi tempi pacifici del lungo dominio spagunolo, le idee, i progetti e le opere relative alla navigazione non si limitarono nel Milanese al fiume Adda, al Naviglio di Paderno, al Naviglio della Martesana e in generale alla comoda comunicazione per acqua dal Lago di Como a Milano sulla linea di quel fiume e di questi canali. Essendo allora incerto e soggetto a grandi variazioni la presa d’acqua del Naviglio Grande, trovandosi in totale disordine il subalterno Naviglio di Bereguardo, e diretto a tutt’altr’uso che alla navigazione l’antico Naviglio di Pavia, non mancavano nel Milanese imprese di questo genere degne di essere favorite. Il primo di tali lavori mandato ad effetto di que’ tempi è restato fino a noi ed è il canale Naviglio di Bereguardo ricostruito nella sua forma attuale col distribuirvi undici sostegni in tutta la sua lunghezza.[1] Uno di questi sostegni così detto la conca dell’inferno consta di tre mani consecutive di porte con due salti intermedi ed è anche il primo e più. Antico esempio dei sostegni accollati che si conoscono, la cui idea venne poscia generalizzata altrove col costruire i sostegni di otto e più ordini di porte riavvicinati ed accoppiati insieme coi rispettivi salti intermedi.
In seguito a tale sistemazione del Naviglio di Bereguardo una parte del commercio del Po dianzi passante per la strada di Pavia si rivolse subito al trasporto per acqua procurato da quel canale di diramazione che tuttavia fa parte della rete di navigazione-interna del Milanese; ma la necessità di traghettare per terra i generi di quel commercio sull’alta costa del Ticino a Bereguardo, la difficoltà di rimontare lo stesso Ticino da Pavia sino al piede di questa costa al Pissarello e gli incomodi di un viaggio molto lungo ed indiretto per arrivare dal Po a Milano e viceversa, toglievano troppo di quella parità di circostanze che in commercio assicura la preferenza del trasporto per acqua sopra quello di terra. Allorchè si è pensato poi seriamente di rimediare a questo difetto della rete di navigazione del Milanese, deposta l’idea di fare sforzi per condurre il Naviglio di Bereguardo sino in Ticino, tutti i pensieri furono invece rivolti ai mezzi di rendere navigabile fra Milano e Pavia il canale che prima dell’estero dominio aveva servito a un qualche barcheggio, specialmente per il comodo dei Duchi di Milano. Nel coltivare di nuovo una simile idea non si poteva più perdere di vista la convenienza che vi era di estendere col tempo il Canale di Pavia sino al Ticino per ottenere dalla stessa opera i vantaggi della desiderata libera, facile, comoda e continuata navigazione da Milano al Po più compiutamente che non fosse sperabile per altre vie. Ma a scuotere l’inerzia di quel Governo sopra simili materie dovettero sorgere inoltre alcuni privati a formare progetti e riparti di spese adattati alle critiche circostanze de’ tempi. Difatti si cominciò allora dal limitare i desiderj alla ricostruzione del Naviglio da Milano a Pavia, differendo ad altr’epoca il suo prolungameuto sulla costa di Ticino fino nel basso letto di questo fiume presso la stessa città di Pavia; e si passò nel 1564 a proporre al Governo il piano economico di ripartire la spesa dell’opera, in cui era interessato tutto lo Stato, fra la Regia Camera, gli utenti dei canali trasversali alla linea del naviglio ed i proprietari dei terreni laterali allo stesso naviglio sino alla determinata distanza di quattro miglia. Tale strana proposizione è anche stata fin da quell’epoca ben accolta dal Governatore dello Stato e comunicata al Magistrato delle acque ed alle Città di Milano e di Pavia; ma rese accorte queste ultime che si voleva indurle ad uno speciale concorso nelle spese ad onta che non vi fosse un titolo plausibile, per sottrarsi all’ingiusto contributo che non si ardiva di rifiutare apertamente, sono passate a mendicare dei pretesti ed a spargere dei dubbi sulla possibilità e sull’utilità dell’opera.
Ridotto allora in tal modo al silenzio il progetto del canale da Milano a Pavia, esso è poi rinato alcuni anni dopo quando si trovarono ultimate le opere di perfezionamento eseguite al canale Naviglio della Martesana per arricchirlo di maggior copia d’acqua; ma siccome anche quella volta il Governo invece di aggiudicare le spese a tutto lo stato lo ripropose alle due Città di Milano e di Pavia per indurle ad uno speciale concorso, si misero in campo gli stessi dubbi, e per la stessa ragione si dovette nuovamente abbandonare la speranza di veder intrapresa una delle opere più utili per il Milanese in fatto di canali di navigazione. L’idea però mantenuta viva dal Magistrato delle acque, che nelle nuove concessioni per dispensare ai privati quelle del Naviglio Grande apponeva sempre la condizione insino a tanto che si farà il Naviglio di Pavia, venne ad ogni occasione favorevole riproposta e rinnovata. Così è, che avendo un feudatario del Milanese nel 1584 progettato al Governo di far costruire un canal navigabile da Milano a Melegnano presso il fiume Lambro, il progetto è stato dato da esaminare ad una commissione d’ingegneri, alla quale appartenevano i due celebri amici Martin Bassi e Giuseppe Meda. Il progetto fu dichiarato non meritevole d’approvazione in confronto di tutti gli altri possibili onde aprire la diretta comunicazione per acqua da Milano al Po, e massime del canale disegnato da Milano al Ticino presso Pavia. Da ciò si prese occasione di far sentire al Governo la rilevanza dei vantaggi sperabili da questo canale, e soggiungendo delle ovvie risposte alle obbiezioni messe in campo altre volte dai Corpi delle Città di Milano e di Pavia, si dichiarò che tali Città non avrebbero più avuto alcun ragionevole motivo da produrre contro il progetto del canale, qualora la spesa di sua costruzione si fosse fatta dal Governo per conto dello Stato intero.[2]
Ciò non ostante un bisogno più urgente sopravvenuto a quell’epoca nel Milanese richiamò a se tutte le risorse dell’arte dello stesso Stato e pose per qualche tempo in dimenticanza il progetto del canale di Pavia. L’imboccatura del Naviglio Grande formata nella prima infanzia dell’arte con un argine internato parallelamente alle sponde del fiume Ticino a modo di semplice sperone aveva ancora gravi difetti, che l’esperienza dimostrava ad ogni momento irremediabili con piccoli e parziali provvedimenti e col ripiego di spingere sempre all’insù, nel letto del fiume il vertice di quello sperone di mano in mano che l’attiguo incile del Naviglio Grande andava interrandosi per le deposizioni delle materie fluviali. Inoltre la presa d’acqua del Naviglio Grande non era abbastanza premunita contro le irruzioni delle piene di Ticino, per cui nel 1585 una piena straordinaria di questo fiume rovinò intieramente le opere di presidio alle sue sponde superiormente allo sperone anzidetto e cagionò al corpo di questo sperone uno squarcio assai grande. Quindi anche durante la piena il fiume tutto inalveato per l’incile del canale ripassò nel proprio letto inferiore per il luogo della seguita rottura e lasciò in perfetto asciutto tanto alla sinistra dello sperone il Naviglio Grande, che alla destra la così detta bocca di Pavia, per la quale si proseguiva la navigazione di Ticino.
Sospesa così a un tratto la comunicazione per acqua dal Lago Maggiore a Pavia, a Bereguardo ed a Milano, interrotto il movimento de’ principali opifici del Milanese e cessata un’immensa irrigazione de’ suoi terreni, la crisi per la provincia si fece più terribile, essendo nato il timore della possibilità di mai più riacquistare tutte queste ricchezze. Questo timore fu principalmente promosso dacchè chiamati gli ingegneri e periti presso il Magistrato delle acque a suggerire il più pronto e più efficace rimedio, mille progetti diversi si esibirono, i quali fluirono di gettare l’allarme nel pubblico, che nel conflitto delle opinioni non vedeva speranza di salvamento. Ma per singolare combinazione si trovarono nel numero di quei proponenti alcuni uomini dotati di straordinari talenti che non la perdonarono a studio ed a fatica per riuscire utili in quella grave circostanza. Fra tutti si distinse maggiormente anche in ciò l’ingegner Meda, il cui valore nell’arte era a quell’epoca già riconosciuto ed invidiato. Quest’uomo superiore non ardì però allora di sostenere in faccia a’ suoi competitori il progetto di sua invenzione per sistemare la presa d’acqua del Naviglio Grande; e compreso da ragionevole timore di suscitare la rivalità, la gelosia ed altre ignobili passioni in chi poteva far rovinare la buona causa, si determinò a battere quella volta una strada meno aperta e meno diretta ma di effetto più sicuro per arrivare al suo scopo. Difatti il Meda ricorse allora al lodevole stratagemma di comunicare segretamente al Magistrato delle acque il suo progetto da proporsi alla discussione dei periti come un ovvio pensamento dello stesso Magistrato, adottabile soltanto come un ripiego provvisorio e non già come l’ultimo risultato delle più mature riflessioni di un uomo dell’arte. Accettato il partito dal Magistrato, che fu abbastanza saggio da persuadersi dell’utilità del progetto del Meda sopra tutti gli altri che si trovavano in campo, il trionfo della ragione negli affari d’acque del Milanese fu quella volta solenne, e la provincia ebbe a sentirne i più salutari effetti. Facendosi accompagnare dagli ingegneri Francesco Pirovano, Bernardino Lonati, Pellegrino de Pellegrini, Martin Bassi, Giuseppe Meda e Giovan Ambrogio Lonati, non che da molti altri intendenti e pratici dell’indole del fiume e del canale, tutto in corpo il Magistrato delle acque si trasferì prontamente sopra il luogo della rotta, ove, fatte precedere le visite e misure necessarie, si diede principio ad un’aperta discussione fra gli astanti sul provvedimento da prendersi a preferenza. Furono quindi proposti uno dopo l’altro per principali rimedi opportuni; 1.° di trasportare l’imboccatura del Naviglio Grande in luogo alquanto superiore allo sperone rovinato, e segnatamente nella sezione del fiume detta l’oggetto; 2° di inalveare parte del fiume nell’abbandonata bocca di Pavia onde allegerire il corpo d’acqua al luogo della rottura per poter riparare ad ogni guasto dello sperone e delle sponde del fiume e rimettere quella presa d’acqua nello stato anteriore del disordine; 3.° di adottare quest’ultima massima lasciando intatta la vecchia bocca di Pavia e dando lo sfogo al fiume durante il ristauro dello sperone per un canale diversivo da ottenersi con un taglio nella sponda destra superiore del fiume stesso; 4.° di servirsi della sezione della rottura dello sperone in cui erasi inalveato il fiume per formarvi a destra una chiusa trasversale di derivazione per la presa d’acqua del Naviglio Grande, ed a sinistra una nuova bocca di Pavia per la continuazione del barcheggio sul fiume Ticino al dissotto di quella chiusa. La discussione fu viva per ognuno di questi progetti, ma alla fine il quarto, proposto dal Magistrato, a norma dell’intelligenza segreta col Meda, la vinse sopra gli altri, e venne distesa sul luogo di comune accordo dei periti la relazione delle opere più indispensabili per l’esecuzione della massima adottata onde ridonare allo Stato nel più breve tempo possibile i vantaggi procurati dal fiume Ticino, dal Naviglio Grande e dal Naviglio di Bereguardo. Immediatamente di seguito si è data mano al lavoro coll’abbassare la soglia del nuovo incile del Naviglio Grande sino a ridurla tanto depressa sotto il pelo d’acqua del fiume discorrente per la rottura dell’antico sperone, che un primo corpo d’acqua s’incanalasse da sè medesimo nel Naviglio Grande. La risultante diminuita pendenza del fondo nella prima tratta di questo canale fu un altro buon miglioramento del suo sistema, che se pecca tuttora su di un tale riguardo, lo fa per eccesso e non per difetto. La fabbrica della chiusa di derivazione sopra il fondo naturale del fiume Ticino nel luogo di quella rottura è stata fondata in acqua e celeremente eretta in forma di prisma a base molto estesa e colle facce poco inclinate all’orizzonte. Appena che fu intestata la chiusa, sulla sua destra, all’argine del Naviglio Grande ed internata alquanto, sulla sinistra, nel fiume in direzione obbliqua al filone e sotto un angolo acuto colla sponda sinistra superiore del fiume medesimo, le acque di questo, trovandosi in quella località tenute in collo dalla chiusa, si avviarono da una parte in maggior copia per il nuovo incile del Naviglio Grande, e dall’altra parte per la nuova bocca di Pavia che restava formata naturalmente dalla grande apertura lasciata sulla destra del fiume nella sezione della chiusa. Contemporaneamente le due sponde del fiume superiori alla chiusa si sono armate per lunga tratta con opportuni lavori. Venne adattato inoltre il terreno a lato della chiusa e della nuova bocca di Pavia a far l’ufficio di ampio travacatore del fiume, onde restasse provveduto allo sfogo innocuo delle sue massime piene, qualora non lo avessero sufficiente sopra la cresta della chiusa stessa o attraverso alla bocca di Pavia o finalmente per mezzo dei travacatori, diversivi e scaricatori del Naviglio Grande. L’esito poi sortito da tutti questi lavori eseguiti in breve tempo intorno all’attuale imboccatura del Naviglio Grande non poteva essere più felice.
Ripresa quindi la non interrotta navigazione dal Lago Maggiore a Pavia ed al Po pel fiume Ticino, riattivata quella dei canali Naviglio Grande e Naviglio di Bereguardo, ridonate come prima le loro acque agli usi della irrigazione, del movimento di opifici e simili, è rimasto un corpo d’acqua rilevante a disposizione del Governo nell’accrescimento della portata del Naviglio Grande ottenuto colla nuova sistemazione della sua imboccatura. Ciò non ostante gli ulteriori perfezionamenti di questa grand’opera del Meda dovevano essere il frutto di osservazioni e di esperienze continuate per alcuni anni, onde scoprire meglio per ogni stato d’acque l’indole delle variazioni del fiume Ticino e del Naviglio Grande alla nuova presa di questo canale. E difatti in capo a qualche anno si fecero desiderare parecchie aggiunte e ripieghi diretti a preservare sempreppiù il Naviglio Grande dalle temibili emergenze delle massime magre e delle massime piene. In riguardo al modo di evitare le prime si sarebbe potuto prolungare successivamente la chiusa, ristringendo innocuamente la bocca di Pavia, e ciò non senza ottenere per qualche tempo l’effetto desiderato di una maggior derivazione di acque dal fiume. Ma poi sussistendo una tendenza del fiume più verso la bocca di Pavia che verso l’incile del Naviglio Grande, in proporzione della maggior caduta libera che si trova al piede di essa, l’effetto di questi successivi prolungamenti della chiusa non poteva essere guari stabile, come non lo era mai stato quello consimile della continua protrazione dello sperone all’antica imboccatura dello stesso canale; anzi esso sarebbe ben presto venuto compensato da uno scavamento più e più maggiore che si sarebbe fatto indispensabilmente alla bocca di Pavia. Riconosciuta pertanto l’insufficienza di questo ripiego, e reso palese dalle osservazioni del Meda l’errore di chi lo avesse rinnovato, il fondo della bocca di Pavia al nuovo distacco del Naviglio Grande dal Ticino venne definitivamente assicurato dallo stesso Meda con una soglia fissa detta traversino e disposta a un livello tale che permettesse costantemente la continuazione del barcheggio per Pavia sul Ticino, non che lo sfogo delle piene di questo fiume senza perdere la competenza d’acque del Naviglio Grande in tempo delle massime magre. La stessa soglia venne anche costruita in una direzione non continuativa a quella dell’attigua chiusa ma ripiegante all’insù di questa, talchè l’imbocco delle acque in canale fosse per essa maggiormente favorito in tempo delle dette massime magre. In riguardo finalmente alla maniera di schivare i pericoli temuti pei tempi delle massime piene di Ticino, oltre all’aumento dei travacatori e scaricatori a paraporti lungo la linea del Naviglio Grande, un’altra provvidenza è pur suggerita fin d’allora all’ingegno prestantissimo del nostro Meda, e fu quella di cavare un ramo d’acqua nella sponda sinistra superiore del fiume per farlo sboccare in vicinanza del nuovo incile del canale a ribattere all’uopo il filone della piena verso la bocca di Pavia; ma però il cavo artefatto per quest’ultimo oggetto si è forse del tutto risparmiato o si è lanciato andare presto in abbandono, dacchè si è potuto assicurarsi della possibilità di farne senza col buon uso di tutte le altre opere componenti il sistema di quella grandiosa imboccatura.[3]
Essendo divenuto di questa maniera il Naviglio Grande stabilmente più pingue di acque, non ha tardato a rinascere l’idea di tentare la costruzione di nuovi canali da quello diramati per farli servire alla libera continuata navigazione da Milano al Po. Una delle linee indicate per quest’oggetto si disegnava a quell’epoca da Porta Ticinese di Milano sino al Lambro meridionale presso Pieve di Locate, da dove per il letto di questo fiume e del canale d’irrigazione detto la Roggia di S. Angelo si prolungava sino al congiungimento dei due Lambri per passare di là al fiume Po. Una seconda linea proposta in quella occasione si distaccava invece dal Naviglio Grande al luogo di S. Cristoforo situato a qualche miglio di distanza da Milano, ed entrando subito nel Lambro meridionale di là dove questo fiume ha origine, vi si manteneva sino al suo sbocco nel Lambro settentrionale, da cui dirigevasi ancora al Po nel Lambro grande. I progetti presentati al Governo nel 1588 sopra queste linee o sulle altre due succennate, della traccia dell’antico Naviglio di Pavia esteso sino in Ticino presso questa città e del prolungamento ideato del Naviglio di Bereguardo, furono rimessi successivamente al Magistrato delle acque che li diede da esaminare agli ingegneri Lonati, Meda e Bassi coll’ordine di riferire il proprio sentimento e di additare il più convenevole che meritava la preferenza nell’esecuzione. Allora pertanto l’idea del Canale di Pavia tornò a trionfare di tutti i confronti istituiti sopra ogni altra consimile diretta alla comunicazione per acqua da Milano al Po; e siccome questa era anche divenuta più interessante dacchè la navigazione dell’Adda formava il grande oggetto delle cure e degli sforzi dell’ingegner Meda, così il Magistrato delle acque non ha più oltre differito di ordinare le operazioni preliminari e le pratiche necessarie per avere nelle mani un qualche progetto regolare del canale da Milano al Ticino presso Pavia.
L’incombenza di sopraintendere alla formazione del progetto fu data al Provinciale delle acque Francesco Cid, coll’ordine di servirsi dell’opera di ingegneri della Regia Camera. Fra questi si trovava nominato a quell’epoca anche il Meda, che dopo le prove date all’Adda ed al Ticino del suo valore nell’arte, non poteva più essere dal Cid risparmiato in un affare d’acque si importante per il Milanese come il Canale di Pavia. I primi studi del Meda sul progetto regolare del Canale di Pavia sono della fine dell’anno 1595, e furono diretti principalmente ad assicurarsi della possibilità di disporre a Milano di un grosso corpo d’acqua per il bisogno del nuovo canale progettato, non tanto per sostenervi la navigazione quanto per distribuirla verso Pavia per uso di irrigazione, movimento d’opifici e simili. Il Meda ha pure deciso fin dalle prime visite alla linea del Canale di Pavia, che dall’uno all’altro de’ suoi estremi vi sarebbero abbisognati in tutto sei od otto sostegni della forma da lui immaginata per il Canale di Paderno, cioè tre o quattro per arrivare dalle Porte di Milano a quelle di Pavia, ed altrettanti per scendere dal pian superiore di Pavia nel basso letto del Ticino. Con tal numero di sostegni al Canale di Pavia i loro salti non riuscivano così rilevanti e straordinari come quello poco dianzi prescritto dallo stesso Meda per il maggior sostegno del suo Canale di Paderno; ma la ragione di ciò si troverà subito alla minima riflessione delle diverse circostanze dei due casi. Specialmente poi questa determinazione del Meda per il Canale di Pavia, diversa da quella da lui presa per il Canale di Paderno, si riconoscerà fondata in qualche modo sulla minore irregolarità del terreno dietro la linea divisata, sulla migliore condizione del terreno stesso per la fabbrica degli edifici da sostegno in numero maggiore, sulla natura particolare della presa d’acqua che, non portando ghiaie, non poteva imbarazzare l’uso dei sostegni fabbricati verso l’incile del canale, sull’economia dell’acqua per sostenere la navigazione che per lo meno verso lo sbocco del canale presso Pavia rientrava nei fini dell’architetto incaricato del progetto, e finalmente sull’inevitabile scontro di una grande quantità di piccoli fiumi e torrenti, di canali d’irrigazione e di scolo, le cui botti diventavano di maggior impegno al crescete dei salti di quei sostegni oltre un certo limite.
Appoggiata in seguito dal Magistrato delle acque al Governatore dello Stato la supplica per l’esecuzione del canale a spese della Regia Camera, furono ordinate le ulteriori diligenze per la scelta del miglior partito più corrispondente a tutti i fini del canale progettato. Anche a ciò venne delegato il Provinciale Cid coll’ingegnere Meda; se non che a quest’ultimo si aggiunse qualche volta per compagno Francesco Romussi od Alessandro Bisnati. Il progetto regolare del Canale di Pavia in capo ad un anno venne poi presentato al Magistrato delle acque col corredo dei necessari rilievi, degli opportuni disegni, di una stima e di un capitolato per il caso di doversi dare i lavori ad appalto.
Per offrire qui un’idea di quel progetto del Meda, che è anche il più antico progetto per il Canale di Pavia che si conosca con qualche dettaglio, noi cominceremo dal dire, che esso in sostanza prescriveva per la tratta di canale da Milano fin verso Pavia di adattare alla navigazione ed agli altri usi delle acque i diversi tronchi di cavo cadenti sulla linea che unisce le due città di Milano e Pavia e conosciuti sono i nomi di Naviglietto, Navigliaccio e simili. Quindi tali tronchi di canale dovevano venire sistemati colla pendenza superficiale dell’uno per ogni tremille di lunghezza all’incirca, stimandosi questa la caduta ordinaria a simili navigli e più opportuna nel caso concreto per una comoda navigazione. Incontrandosi sulla stessa linea in direzione trasversale molti canali d’irrigazione ed alcuni altri canali di scolo che hanno la natura di fiume o di torrente, il Meda fin dalle prime ebbe cura nel suo progetto di ridurre questi ultimi a sottoppassare il nuovo Naviglio per ponti-canali, che è il mezzo più. sicuro e’ più innocuo in casi consimili. Così un ponte-canale in tre archi doveva, secondo lui, operare il passaggio del Lambro meridionale nel suo antico letto ora occupato da un ramo di questo fiume detto Lambretto. Un ponte-canale in due archi doveva servire per convogliare le acque del canale di scolo Olona ora detto Roggia Colombana. Un ponte-canale in tre archi doveva pure trovarsi al passaggio del Ticinello a Binasco. Partendo quindi da questi dati della direzione del canale, della pendenza del fondo e del livello delle soglie superiori alle vôlte dei principali edifici di ponte-canale, come da capi saldi a cui tutto il resto del progetto dovesse essere subordinato, il Meda passò a determinare ad uno ad uno gli altri elementi del naviglio. In riguardo alla situazione ed al numero preciso dei sostegni, per moderare l’eccessiva pendenza del terreno nella più lunga tratta da Milano alle Porte di Pavia, ha definitivamente stabilito il Meda di erigerne un primo fra l’incile ed il Lambro meridionale là dove l’antico Naviglietto di Pavia era attraversato da una chiusa serviente fin d’allora alla diramazione di un considerabile corpo d’acqua diretto al Molino Gandino. Un secondo ne avea disegnato poco dopo l’incontro del Ticinello a Binasco, un terzo presso la chiusa detta travacca Peregalla verso Nivolto ed un quarto alla travacca Campeggi. Gli altri edifici principali richiesti dal progetto del Meda si riducevano a ponti di pietra ed a botti sotterranee per non disturbare su diversi punti della linea il preesistente sistema di strade del paese e di irrigazione delle campagne. Arrivato il canale verso Pavia, si proponeva il Meda di farlo sortire dall’alveo del Naviglietto e dirigerlo allo sbocco del Ticino in Po per qualcuna delle cinque linee differenti da lui indicate per buone. La prima di queste linee entrava nella fossa di fortificazione di Pavia a Porta Stoppa di questa città e la seguiva fino in Ticino all’angolo del bastione inferiore. La seconda, dopo essere venuta a toccare a quella Porta la città di Pavia, piegava a sinistra e andava a sboccare in Ticino fuori della spianata. La terza risvoltava maggiormente nello stesso senso a quella Porta per avere lo sbocco del canale qualche miglio più lontano di Pavia. La quarta terminava ancora più in là alla distanza di più miglia da Pavia. La quinta deviava dall’antico Naviglietto di Pavia presso Torre del Mangano e metteva immediatamente in Po sotto lo sbocco di Ticino. Un egual numero di quattro sostegni si fissava dal Meda alle prime quattro di queste linee. Alla quinta se le assegnava un sostegno di più, e si rimetteva ad ulteriori esami la precisa situazione delle fabbriche da sostegno cadenti sulla linea che sarebbe stata prescelta. Fra tutte le accennate cinque direzioni, per discendere dalla parte più elevata del piano della città e dintorni di Pavia al pelo basso del Ticino e del Po, trovava però il Meda la seconda per la più conveniente in fatto di economia, giacchè calcolava che la Regia Camera colla scelta della medesima avrebbe dovuto spendere per l’opera intera la somma di scudi 76580, mentre l’importo per la quinta delle linee enumerate sarebbe montato a scudi 81392. Qui però dobbiamo avvertire, che volendo formarsi un’idea giusta della stima fatta dal Meda per le opere del Canale di Pavia, oltre a non dimenticare l’opportuno ragguaglio delle monete e del diverso valore delle cose, bisognerebbe pur mettere in conto le partite d’oggetti che non dovevano portare sborso immediato alla Regia Camera. Di questo numero si è il valore dei terreni da occuparsi, che a quell’epoca si trovavano in gran parte a disposizione del Governo dopo l’abbandono del più antico Naviglio di Pavia e del Parco che fu celebre nelle vicinanze di questa città. Si dica lo stesso del prezzo di tutti i legnami bisognevoli che si volevano prendere ne’ boschi della Regia Camera, e delle spese di botti sotteranee, ponti e ponti-canali che all’epoca della redazione di quel progetto si ritenevano generalmente di pura spettanza dei privati pei quali dovevano servire. Si comprende pertanto che rettificato il calcolo di stima coll’aggiunta di tutti questi e di altri capi di spesa, desso sarebbe montato al doppio o al triplo di quello presentato dal Meda; ma in questo caso probabilmente il pensiero del Canale di Pavia presso il Governo di Milano a quell’epoca sarebbe stato messo subitamente da parte.
L’accennato progetto del Meda per il Canale di Pavia, ehe potè in questo modo ottenere l’approvazione del Magistrato delle acque, venne anche accompagnato al Governatore dello Stato da tutte le considerazioni che potevano animare all’esecuzione dell’opera per conto della Regia Camera e col metodo dell’appalto. Essendo stata di seguito rappresentata dal Governatore al Re di Spagna la costruzione del canale navigabile da Milano a Pavia ed al Po come un’opera pubblica utilissima allo Stato ed alla Regia Camera, fu la medesima ordinata per la prima volta sotto il dominio spagunolo con una real carta dell’anno 1598.[4] Ma come abbiamo di sopra detto, questa fu anche l’epoca delle maggiori sventure occorse al Naviglio di Paderno e che hanno preceduto di poco la morte del bravo ingegner Meda, avvenuta appunto quand’ei doveva essere chiamato a dirigere l’opera del Canale di Pavia. Aggiungeremo ora, che all’epoca di questa perdita per il Milanese si unirono e la circostanza della morte del Re di Spagna Filippo ii.° e le conseguenti vicende del governo civile di quella provincia, che lasciarono senza effetto per qualche anno il sovrano decreto relativo al Canale di Pavia. Capitato poi nel 1600 a governatore dello Stato un Ministro di Filippo iii.° intraprendente nella persona del Conte De Fuentes, il progetto dell’ingegner Meda per il Canale di Pavia fu riassunto con vigore.
Più propriamente al principio del 1601 fu deciso dal Governatore e dal Consiglio segreto di dare esecuzione al disposto della real carta del 1598 che portava la costruzione di un canale da Milano a Pavia ed al Po specialmente destinato alla navigazione. Volendo allora dare l’opera ad appalto, furono pubblicati dal Magistrato delle acque i capitoli già compilati per lo stesso oggetto dall’ingegner Meda, aggiuntevi però delle generali riserve per tutte quelle modificazioni e variazioni al progetto che da nuovi esami e da nuove riflessioni potevano essere suggerite a maggior perfezione dell’opera stessa. Sono stati quindi eletti alla dilezione dei lavori Francesco Romussi ed Alessandro Bisnati, ambedue ingegneri camerali edotti appieno dei pensamenti del Meda intorno al progetto del Canale di Pavia, unitamente a Gabrio Busca ingegnere del Re di Spagna. Tutti e tre i nominati di concerto si prepararono a dar principio alla grande opera sotto l’amministrazione e la sorveglianza del Magistrato delle acque. Per fare poi precedere all’esecuzione dei lavori la formazione delle idee ed il maturo esame del progetto, si diedero quei direttori a rinnovare tutte le visite e tutte le misure fondamentali alla presenza dei delegati del Magistrato, e intanto l’impresa posta all’asta pubblica venne deliberata ad una compagnia di appaltatori, non già ad un sol prezzo determinato per l’opera intera, ma a tanti prezzi per ogni unità di misura convenuti e fissi pei lavori più ordinari ed a stima di periti ad opera compita per gli altri lavori particolari.
Venendo ora a dire delle modificazioni introdotte originariamente da quei direttori nel progetto del Meda per il Canale di Pavia, pensarono primieramente il Romussi ed il Bisnati di variare la linea stabilita abbandonando a Binasco il letto del Navigliaccio lambente parallelamente a destra la strada maestra da Milano a Pavia, e tenendosi invece a sinistra della stessa strada fino a raggiungere la fossa di fortificazione di quest’ultima città. La principale considerazione che indusse quei due architetti a proporre una tale variazione alla linea del canale fu espressamente quella di restare col pelo delle sue acque d’irrigazione generalmente più rilevato del pelo d’acqua del Navigliaccio sopra il piano di campagne, affine di avere una maggior quantità di terreni irrigabili col Canale di Pavia prima di arrivare al Po. Allora si oppose bensì il Busca a questa risoluzione de’ suoi colleghi per timore che la spesa dell’opera destinata precipuamente alla sola navigazione dovesse venire accresciuta di troppo. Ma pure il Magistrato delle acque finì coll’adottarla come un’utile innovazione al progetto del Meda. Riguardo alla distribuzione della pendenza del terreno risultante di circa metr. 55,46 dalle ulteriori più accurate misure di que’ tempi, il Romussi ed il Bisnati andarono similmente d’accordo nel modificare essenzialmente il progetto del Meda sul Canale di Pavia per trarre partito vie maggiormente dall’uso de’ sostegni a salto straordinario. E mentre nel progetto del Meda i peli d’acqua dei principali canali trasversali alla linea servirono come tanti capisaldi nella disposizione del fondo del canal navigabile, e per ciò venivano a limitare i salti dei sostegni, quei due ingegneri giudicarono tuttavia in complesso più conveniente il dipartirsi ancor meno del Meda dalla massima de’ sostegni alti e pochi di numero. Essi s’immaginarono di poter superare con bastante buon esito gli inconvenienti della intersezione degli stessi principali canali cadenti sulla linea del progettato, anche introducendo in questo le loro acque di piena. L’intento si credette conseguibile coll’uso di botti sotterranee e di scaricatori a paraporti. Le prime avendo all’imboccatura la cresta del muro di fronte allo stesso livello del pelo d’acqua ordinario dei corrispondenti canali trasversali dovevano servire all’innocuo passaggio delle loro acque nella maggior parte dell’anno, e permettere che nel tempo delle piene si introducessero nel canale navigabile le acque esuberanti che si presentavano al passaggio in un livello superiore a quella cresta. I secondi poi venendo praticati lungo la sponda opposta, ed ivi trovandosi le sboccature delle botti e dei ponti-canali susseguite da bassi alvei di più o meno capacità, avrebbero dato sfogo alle acque estranee introdotte nel naviglio. Un tale ripiego sembrava specialmente indispensabile all’incontro dei canali detti Roggia Colombana, Rozzolone e Ticinello, mentre per riguardo al Lambro meridionale, inalveando questo fiume di nuovo più verso Milano che non lo fosse allora, si rendeva per esso possibile e conveniente la costruzione di un ampio ponte-canale.
Adottate una volta queste massime dal Romussi e dal Bisnati, non si poteva più temere dai medesimi di distribuire sulla tratta di canale da Milano alle mura di Pavia due soli sostegni invece dei quattro prescritti dal Meda. Quindi si è passato da essi a fissare il collocamento del primo sostegno del canale poco dissopra dell’antico alveo abbandonato del Lambro meridionale a due miglia circa da Milano, ed a marcare la situazione del secondo sostegno presso il paese di Torre del Mangano, a cinque miglia di distanza da Pavia. Ritenendosi ancora la misura dell’uno sul tremille di lunghezza per il massimo della pendenza da darsi al canale nella sua linea di navigazione, si è stabilito da quei due direttori di sistemarvi il fondo dei differenti tronchi in una effettiva maggior pendenza. Dando finalmente un salto di circa metr. 8 al sostegno al Lambro ed un salto consimile al sostegno di Torre del Mangano, si veniva a consumare tutta la eccessiva declività nella lunga tratta di terreno dal pian inferiore di Milano al pian superiore di Pavia.
Tale è la distribuzione di pendenze al Canale di Pavia prescelta in allora dal Romussi e dal Bisnati. Con essa si credeva di soddisfare a tutti i fini del canale ordinato, e di disporlo specialmente a ricevere un grosso corpo d’acqua all’incile sotto una moderata altezza e ad accrescerlo al bisogno per istrada con diramazioni del Lambro, del Ticinello e di altri pubblici canali sparsi sulla linea. Bisogna però dire a questo riguardo che il Busca pensasse un po’ diversamente dagli altri suoi compagni anche sul punto del numero preciso dei sostegni da collocarsi sul canale fra Milano e Pavia. Troviamo difatti che egli, ritenuta la convenienza di erigere un sostegno presso al Lambro, ne propose un altro da costruirsi superiormente a quello e verso Milano per ottenere da esso alcuni vantaggi e segnatamente quello di evitare la spesa di forti arginature richiesta dall’idea di un sol tronco di canale da Milano al Lambro, Ma spettando al Magistrato delle acque lo scegliere fra i due partiti offerti, in quest’altra divergenza di opinioni fra i direttori dell’opera venne data ancora la preferenza a quella sostenuta dagli ingegneri Romussi e Bisnati, e fu loro ordinato di far intraprendere i lavori dietro il piano proposto e nell’ipotesi di un sostegno al Lambro e di un secondo a Torre del Mangano.
Ottenuta che si ebbe una tale decisione, si sono subito posti in attualità di costruzione al Canale di Pavia: 1.° i lavori per la formazione della darsena o laghetto fuori di Porta Ticinese a Milano davanti all’incile di questo canale; 2.° il ponte di pietra all’incile stesso; 3.° le scavazioni ed arginature necessarie per l’adattamento del primo tronco di canale da Milano al Lambro; 4.° il ponte-canale in due grandi archi di pietra al luogo fissato sulla linea per l’intersezione dell’alveo del Lambro; 5.° il primo e grandioso sostegno disegnato sulla linea di sotto appena del detto ponte-canale.
Per far procedere poi regolarmente l’opera di tal maniera intrapresa sarebbe stato desiderabile che le somministrazioni di danaro per parte del Governo fossero riuscite sicure e pronte, a norma delle convenzioni stipulate cogli appaltatori. A quest’effetto si è proposto e concesso di servirsi di tutte le entrate della Camera straordinaria dello Stato, la quale comprendeva specialmente i redditi dei pubblici canali di irrigazione e navigazione del Milanese. Fu inoltre offerto al Governo di prendere danari ad interesse sopra le stesse entrate, e di vendere a pagamento anticipato le acque del canale progettato disponibili per irrigazioni o per altri usi. Qualche reddito privato sopra l’introito della Camera straordinaria si è realmente istituito all’8 per 100 liberabile, come pure si è venduto ai privati qualche corpo d’acqua di quella destinata al Canale di Pavia. Ma con tali mezzi per far danari da impiegarsi nella costruzione del Canale di Pavia, avendo dovuto lo stesso Governo soddisfare contemporaneamente ad altri impegni, si è ben presto dichiarato impotente a sostenere le spese della grand’opera. Allora si ebbe nuovamente ricorso all’idea di una contribuzione straordinaria, da imporsi appositamente sopra i terreni ed abitati più vicini alla linea del canale da costruirsi. E mentre per l’addietro sì ingiusta tassa era sempre stata ad arte schivata dai rappresentanti delle due città di Milano e di Pavia, questa volta si trovò vicina a ricevere la forza di legge; e probabilmente l’avrebbe ricevuta se trattandosi di pubblicare il decreto relativo non ne avessero traspirato il contenuto i principali interessati. Questi, radunati a Binasco per deliberare sui mezzi di opporsi alla disposizione che andava a colpirli, hanno prontamente presentato al Magistrato delle acque un loro memoriale a stampa, in cui per ottenere la sospensione del temuto decreto esponevano con forti colori le ragioni che militavano in favore del loro assunto. La conseguenza di questo modo d’agire si fu, che quella tassa speciale non è stata altrimenti ordinata, e si è deposto per la terza volta lo strano pensiero di addossare le spese di un canale risguardante il commercio dello Stato intero, e specialmente le rendite della Regia Camera, ai possessori dei terreni o laterali o per poche miglia adiacenti alla sua linea.
Arrivata la fine del primo anno di lavori (1601), in mezzo a queste strettezze di mezzi economici si trovavano ultimati i travagli della darsena o del ponte di pietra all’incile del canale, ed era molto inoltrata l’esecuzione della tratta di canale dall’incile sino al Lambro.
Nel 1602 si attese a continuare l’escavazione del canale da Milano verso Binasco, ed a mettere mano alla fondazione del sostegno e del ponte-canale al Lambro. Alla stessa epoca si è trattato di attivare i lavori anche dal Ticino verso Binasco, e specialmente si è proposto di fabbricare fin d’allora l’ultimo sostegno del canale in vicinanza dello sbocco per il motivo di approfittare di una magra straordinaria avvenuta al Ticino. La poca quantità però del numerario spedito dal Governo in quell’anno per l’oggetto del Canale di Pavia non solo risparmiò quest’edificio ed ogni altro lavoro verso lo sbocco, ma vi rallentò anche i lavori intrapresi verso l’incile e segnatamente quelli al Lambro nel momento appunto in cui si trovavano nel maggior bisogno di essere spinti con velocità. Di qui è che sulla fine di quel secondo anno dei lavori regnava già il disordine in tutti gli appalti delle opere incominciate al Canal di Pavia per mancanza di pagamento a pronti contanti. Ciò non ostante a tale epoca non si viveva ancora senza fiducia di vedere l’opera condotta presto al suo termine, come lo mostra la risoluzione del Magistrato delle acque, di far adattare alla meglio in quello stesso anno l’alveo del canale nella tratta dall’incile al Lambro, di introdurvi l’acqua disponibile diramata dal Naviglio Grande, di allestire un magnifico bucentoro e di condurre con questo all’esperimento di quel primo pezzo di canale il Governatore spagnuolo seguito da numeroso corteggio, onde vieppiù animarlo a sostenere l’assunto impegno colla somministrazione dei mezzi economici. Per tramandare sino a noi la memoria di una tale funzione, venne anche eretto in quell’occasione il monumento di pietra che s’incontra sopra il succennato ponte all’imboccatura del canale, detto posteriormente il ponte del Trofeo. Ma ora questo trofeo dedicato a Filippo iii.o ed al Conte De Fuentes non può servire che a rammentarci colla sua iscrizione la solenne menzogna, che sotto il dominio spagnuolo aveva qualificato l’esperimento di un sol tronco di canale da Milano verso Pavia per la tanto desiderata apertura della navigazione da Milano al Po.
In tutto l’anno 1605 i lavori al Canale di Pavia continuarono sebben lentamente in proporzione delle somministrazioni di danaro ottenute dal Governo. Verso l’incile specialmente fu aggiunto ai primi lavori una muratura di due sponde di pietra viva per una lunghezza di circa metri 36, avente all’estremità inferiore un ordine di porte insteccate amovibili e munite dei soliti uscioli per l’efflusso dell’acqua in canale nel tempo che esse porte venissero richiuse; e ciò per servire a tutti i bisogni inerenti alle particolari circostanze della presa d’acqua del Canale di Pavia.
Al principio del 1604 il progresso dei lavori al Canale di Pavia andava sempre più rallentando in causa dei ritardi de’ pagamenti, che non venivano spediti dal Governo; ma sulla fine di quell’anno si arrivò ad ottenere qualch’altra somma di danaro da impiegarsi nell’impresa del canale medesimo. Essendo poi stato deciso alla stessa epoca che spettava alla Regia Camera l’obbligo di farvi eseguire le botti sotterranee pel passaggio delle acque trasversali alla linea, e non già ai privati proprietari delle stesse acque, come dapprima si era creduto, gli sforzi comuni della Direzione dei lavori e degli appaltatori al Canale di Pavia si rivolsero ad abbracciare anche quest’altro oggetto, ed alcune botti vennero immediatamente intraprese sulla tratta di linea dal Lambro a Torre del Mangano.
Nel 1605 le opere in muro del sostegno al Lambro vennero portate ad un grado più prossimo a perfezione, nel mentre che si continuava l’uso del nuovo canale per la navigazione nella tratta superiore dal Lambro a Milano. Contemporaneamente fu adattato l’alveo del canale nella tratta inferiore fino ad Annone. La costruzione delle botti sotterranee fu proseguita a passi piuttosto veloci, ed i lavori per la fabbrica del ponte di pietra all’ingresso nel villaggio di Binasco furono incominciati, finchè al cadere di quell’anno istesso, non vedendo gli appaltatori del canale soddisfatte le promesse dei pagamenti ai tempi convenuti, hanno cessato da ogni lavoro, ed hanno subitamente intimata la lite al Magistrato delle acque per l’indennizzo dei loro danni.
Nel 1606 il Magistrato delle acque ha rinnovate di tempo in tempo le sue istanze al Governo per conseguire nuovo danaro da destinare alla continuazione dei lavori intrapresi; ma non essendosi più allora riuscito nell’intento, è nata l’idea di abbandonare la città di Pavia colla linea del canale, e di rendere di qualche utilità i lavori già fatti verso Milano col risvoltare il canale a sinistra dissotto del sostegno al Lambro per farlo sboccare nel Lambro stesso, il cui letto si credeva facilmente riducibile all’uso di navigazione per lunga tratta verso il Po. A quell’epoca però non è stata presa veruna determinazione intorno a simile oggetto, e nemmeno i lavori sulla direzione di Pavia furono avanzati di un grado notabile; nei successivi anni 1607 e 1608 essi restarono come stazionari al grado cui vennero portati negli anni precedenti. L’unica opera nuova, che in tale frattempo sia stata realmente aggiunta alle succennate del Canale di Pavia, è forse l’ordine di porte insteccate stabilito al luogo detto fin d’allora Conchetta per mantenere invariabile il pelo d’acqua davanti la bocca di diramazione dell’antica Roggia Carlesca diretta al Molino Gandino, anche durante l’uso dei sostegni per la navigazione. Le cure del Magistrato delle acque in quegli anni per avere una qualche nuova risorsa di danaro nell’impresa del Canale di Pavia arrivarono fino a suggerire e ad ottenere il decreto per la costruzione di molte botti dianzi ideate e togliere di mezzo molti abusi risguardanti l’economia delle acque pubbliche del Milanese, affine di poter vendere poscia le acque residue a profitto dell’amministrazione del nuovo canale. Non fu nemmeno del tutto vano l’invito ad un concorso nelle spese del canale fatto per cura del Governo a molte altre province italiane che entravano ancora, come il Milanese, a formar parte del Ducato di Milano e che vi erano in qualche modo interessate. Ma appunto quando si ebbe la certezza di possedere i mezzi economici più necessari per ordinare la più rapida continuazione dei lavori al Canale di Pavia, gli oppositori al progetto in corso, che non mancano mai in simili occasioni, furono subito in campo colla pretesa di avervi scoperti rilevanti difetti e colla risoluzione di fare i maggiori sforzi per la sospensione di un’opera che essi avevano già sentenziata per fallata ne’ suoi principj e che come tale continuavano a proclamare in pubblico.
A questo riguardo merita primieramente di essere qui riferita la circostanza che fin dal cadere dell’anno 1601, trovandosi in patria reduce dal servizio del Re di Spagna l’ingegnere milanese Gio. Francesco Sitoni, venne questi incaricato dal Governatore De Fuentes di recarsi in visita de’ lavori del Canale di Pavia e di riferire il suo sentimento sul loro progetto. Ciò offrì materia al Sitoni di fare una quantità di osservazioni contro i principj seguiti dal Bisnati e dagli altri ingegneri nel progetto del canale, e gli fornì occasione di proporre l’idea di un suo particolare progetto per il Canale di Pavia differente in molti punti anche da quello del Meda. Così circa alla scelta del luogo dello sbocco si consigliava dal Sitoni, o di restare col canale entro lo scolo inferiormente susseguente all’edificio detto travacca di Campeggi e che termina in Ticino di sopra del Ponte di Pavia, o di voltarsi col canale a sinistra della travacca di Campeggi per arrivare in quel fiume di sotto del Ponte e con un sol rettifilo senza avvicinarsi alle porte della città e senza assecondare minimamente i risvolti delle sue mura. Circa al salto, numero e collocamento de’ sostegni il Sitoni si dichiarò sfavorevolmente prevenuto contro la massima in allora di fresco dominante nel Milanese, di fare cioè i sostegni di salto straordinario per diminuirli in numero. Stabilita poi per cardine principale del suo progetto l’idea del Meda, di passare per ponte-canale sopra la Colombana, il Rozzolone ed il Ticinello, come sopra il Lambro, riteneva Sitoni di potere ciò combinare colla fabbrica di due sostegni tra Milano ed il Lambro, di un terzo a Binasco e di tre altri fra Binasco e Campeggi verso Pavia. Indirizzato che fu il rapporto Sitoni al Governatore, per mezzo del Magistrato delle acque è anche stato comunicato agli ingegneri direttori dei lavori. Questi dal canto loro non tardarono a rispondere di comun concerto e in una maniera franca e vittoriosa a tutte le obbiezioni nel medesimo rapporto contenute.
Successivamente i dispareri sul merito del progetto adottato si erano manifestati fra le persone dell’arte in tutto lo Stato, ed erano arrivati a far prevalere nel pubblico l’idea che l’opera del Canale di Pavia fosse veramente sbagliata nelle sue massime e dubbia nella riuscita. Le voci sfavorevoli sparse in questo senso avevano facilmente ottenuto il suffragio della moltitudine inclinata a crederle dalla circostanza di vedervi ad ogni tratto i lavori interrotti; ed il pregiudizio popolare, una volta formato, ha imposto agli stessi uomini in carica, da cui dipendeva la continuazione ed il buon progresso dell’opera. Così troviamo che il fiscale Calenti aveva rinnovate in una apposita relazione al Magistrato tutte le obbiezioni fatte in quegli anni dalle, persone dell’arte al progetto in corso. Un libello poi di autore anonimo aveva diffuso specialmente il timore, che il Canale di Pavia sarebbesi incontrato in sì larghi strati di ghiaia nell’escavazione del suo letto, da perdervi per filtrazione tutta l’acqua che si potesse in esso introdurre. L’ingegnere Rinaldi finalmente si era distinto colle sue animosità non meno al Canale di Pavia che al Canale di Paderno, come si può vedere ne’ suoi opuscoli pubblicati a quell’epoca in Milano per le stampe. Gli ingegneri direttori dei lavori si accordarono in sulle prime nel non rispondere a simili oppositori, e si limitarono a dichiarare i libelli sparsi in pubblico sul loro progetto del Canale di Pavia come fatti senza cognizione di causa. Il grido essendosi però reso generale, e gli oppositori essendo riusciti a mettere in diffidenza nuovamente tanto il Magistrato delle acque che il Governatore dello stato, era divenuta talmente critica la situazione del Busca, del Romussi e del Bisnati, che i primi due, rinunciando volontariamente alla gloria della direzione del canale, stimarono più prudente consiglio il ritirarsi da essa per lasciare al solo Bisnati il peso di sostenere un progetto che alla sua influenza apparteneva per la maggior parte. Il Bisnati ottenne in seguito per compagno nella direzione dei lavori il suo amico sunnominato Ercole Turate, altro celebre ingegnere e pittore milanese di que’ tempi, allievo di Martin Bassi. Uniti insieme il Bisnati ed il Turate determinarono di rompere in faccia al pubblico quel silenzio, che era divenuto dannoso al buon nome dei direttori dell’opera ed al più rapido progresso de’ suoi lavori. Comparve quindi la loro dettagliata relazione in difesa del progetto in corso al Canale di Pavia, e fu indirizzata nel 1604 al Magistrato delle acque. Gli oppositori per altro negli anni successivi non desistettero dallo spargere i loro dubbi e le sinistre voci sull’esito del canale in costruzione, cosicchè il Magistrato delle acque ebbe ad ordinare nuova visita ai lavori e nuovo esame del progetto coll’intervento dei Provinciali delle acque, degli ingegneri direttori dei lavori, dei principali oppositori e del gesuita Agostino Spernazzati, che è uno dei primi frati professori che sia stato chiamato dal Governo a metter mano negli affari d’acque del Milanese. Dal risultato di quella visita eseguita nel 1609 il Magistrato delle acque ed il Governatore hanno potuto riconoscere pienamente l’indole delle falsità spacciate, e ciò tanto più che gli ingegneri direttori del canale non hanno tralasciato nella stessa occasione di dare col livello alla mano una solenne mentita specialmente alla vociferazione che aveva preso più piede; cioè, che la pendenza assegnata al tronco di canale ultimato da Milano al Lambro fosse soverchia per modo da non potervisi sostenere una comoda navigazione con il corpo d’acqua disponibile e fissato da condursi a Milano alla presa del Canal di Pavia. Venne pertanto con quella visita riconfermata l’approvazione del progetto in corso al Canal di Pavia per tutta la tratta da Milano a Torre del Mangano; ma da questo punto in avanti esso venne allora modificato col fissare in massima la costruzione di un terzo sostegno del canale prima di arrivare a Pavia, a diminuzione del salto del secondo fissato a Torre del Mangano. Un’altra modificazione fu recata al progetto col disegnare lo sbocco del canale in Ticino, anzicchè nella fossa o nella spianata sotto il bastione inferiore di Pavia, nella cortina superiore a questo bastione per averlo in quel punto in una sezione di fiume stabilito ed inalterabile col filone in direzione opportunissima, perchè prossima alla sponda dello sbocco stesso, e per godervi a un tempo il comodo di una specie di darsena formata dallo sporto dei due bastioni laterali alla cortina.
Appianate così le principali difficoltà che impedirono allora per qualche anno di veder ripresi con energia e continuati verso il loro termine i lavori del Canale di Pavia, sopravvenne nel 1610 la morte del Conte De Fuentes a cambiare a un tratto le circostanze dell’impresa, che restò esposta a nuovi ritardi e a nuove eventualità sfavorevoli. Difatti verso la fine dello stesso anno 1610 e in occasione che il Magistrato delle acque dimandava il permesso al Consiglio segreto di vendere parte del terreno rimasto fuori d’uso sulla linea dei lavori, venne ordinata agli ingegneri direttori una distinta e compiuta relazione dello stato nel quale si trovava il Naviglio di Pavia. Dovevano esservi in questo rapporto tanto una ragionata dichiarazione del come l’opera sin allora eseguita fosse ritenuta per buona ed accertata, o se vi fossero difficoltà d’arte insuperabili nel perfezionarla, quanto un prospetto dei danari spesi dalla Regia Camera, non che di quelli che le restavano a spendere per soddisfare ai debiti già contratti e per condurre l’opera sino alla sua ultimazione.
Essendo poi stata compilata nei primi mesi del 1611 la relazione contenente tutte queste notizie, fu essa presentala al Contestabile di Castiglia ritornato allora al governo del Ducato di Milano per successore al Conte De Fuentes dopo di esserne stato il suo antecessore nella stessa carica prima del 1600. In tale circostanza il sistema di costruzione adottato da quegli ingegneri per il Canale di Pavia vi era dichiarato con tutte le ragioni che militavano a suo favore. Le opportune risposte alle opposizioni incontrate non vi erano trascurate. Il rendiconto delle spese dava per risultato che si erano consunti sin allora scudi 111450, e che compresi i debiti da pagarsi rimanevano alla Regia Camera scudi 114505 di spesa necessaria per condurre il canale almeno fino alle Porte di Pavia, dirigendosi ivi il residuo delle acque a comodo e benefizio di questa città, del suo Castello e dell’attigua Fonderia. Ma non ostante tutte queste giustificazioni e restrizioni di desiderj un decreto del 28 agosto dello stesso anno 1611 ordinò definitivamente l’abbandono dei lavori sospesi al Canale di Pavia per l’espresso motivo che la Regia Camera volendo soddisfare agli altri suoi impegni non si trovava più in grado di farli ultimare. Ed ecco come per ragioni d’economia non si è potuto, nemmeno per poco tempo, veder finito il Canale di Pavia de’ tempi del dominio spagnuolo. Il suo grandioso sostegno intrapreso in vicinanza al Lambro meridionale vi è stato abbandonato a costruzione molto avanzata, ma non ancora ultimata; per cui non si è potuto nè metterlo alla prova nè usarlo, indipendentemente dalla continuazione del canale. Le denominazioni poi di Naviglio fallato e di Conca fallata, che vennero occasionate al Canale di Pavia ed al suo primo sostegno dalle surriferite vociferazioni, sono andate sempre più accreditandosi presso il volgo dalla circostanza di vedervi ogni lavoro abbandonato dopo di avervi rifuse considerabili somme nell’intraprenderli.
Posteriormente i debiti contratti dalla Regia Camera in causa del Naviglio di Pavia e delle sue opere intraprese, che restavano fuori d’uso per motivi estranei al merito della loro struttura, vennero estinti in gran parte colla vendita di acque, destinate a formar il corpo della sua presa a Milano, e di materiali di costruzione preparali lungo la linea da Milano a Pavia per la continuazione dell’impresa. D’allora in poi anche il pezzo di canale che era stato finito in un sol tronco da Milano al Lambro e gli altri successivi, che erano stati scavati verso Pavia, vennero a poco a poco ridonati al semplice uso di canali di irrigazione o alla dispensa per movimento d’opifici dei privati; sicchè riuscì inutile pei secoli posteriori la maggior parte delle spese fatte intorno al Canale di Pavia sul principio del decimosettimo.
Giovan Paolo Bisnati, figlio di Alessandro, ed altri ingegneri camerali di quel secolo non tralasciarono, appena che le circostanze si presentarono meno sfavorevoli, di eccitare il Magistrato delle acque ed il Governo di Milano a riprendere i lavori per costruire il Naviglio di Pavia. Nell’anno 1637 si è anche arrivato a far istituire una Giunta governativa incaricata di esaminare quest’importante oggetto. Tale Giunta si è occupata di riandare tutte le vicende anteriori dei progetti e dei tentativi eseguiti sul proposito; essa ha inoltre spedito un suo membro nella persona del Conte Onofrio Castelli a visitare la località, ed ha delegato questo Provinciale delle acque a fare un rapporto sul più convenevole partito da prendersi. Sottoposte le proposizioni del Castelli più specialmente all’esame di una commissione di periti, composta del frate Camassa professore nelle pubbliche scuole e di ingegneri camerali, venne prolungata la discussione d’una in altra seduta per qualche mese e poi interrotta per vari anni, finchè nel 1646 una compagnia d’intraprenditori dimandò al Governo di essere, per un determinato tempo, investita come proprietaria dei canali navigabili del Milanese colla condizione di restituirli accresciuti del Canale di Pavia e colla promessa di riattivarne immediatamente i lavori sospesi nel 1611. Allora furono per cura del Magistrato delle acque intavolate diverse trattative per venire ad un contratto di tal natura; ma appena era divenuto sperabile un accomodamento fra le parti, sopravvenne ad interromperlo ed a ridurre il progetto del Canale di Pavia a nuovo silenzio la presenza delle truppe francesi, che essendosi a quell’epoca impadronite della piazza di Vigevano continuavano ad inquietare il Governo spagnuolo nel dominio del Milanese.
Per fare qui un cenno anche delle idee sviluppate da quegli intraprenditori che volevano assumersi a proprio carico la costruzione del Canale di Pavia, diremo primieramente che tutte le loro viste erano dirette a procurarsi il corpo d’acque pel nuovo canale nella massima copia desiderabile e con una modica spesa. Intorno a quest’oggetto, oltre ai mezzi disponibili per derivare acqua dai fiumi Adda e Ticino da condursi a Milano alla nuova imboccatura, essi contavano molto anche sopra i mezzi di rendere meno inesatta la distribuzione e la dispensa d’acque sulla linea degli altri canali milanesi preesistenti. Pensavano quindi di effettuarvi una riforma generale di tutte le bocche d’estrazione onde ridurre le relative erogazioni d’acqua entro i limiti della convenevole giustezza, qualora fossero stati trapassati col tempo. Ideavano ancora di far eseguire gli spurghi annuali a tutti i canali milanesi nella stagione d’autunno anzicchè di primavera per il miotivo, che il maggior bisogno della copia d’acqua portata dai canali appena spurgati verso le loro estremità si sente non tanto nell’estate come nell’inverno, in cui ordinariamente succedono le massime magre dei fiumi del Milanese. Per ultimo progettavano quegli intraprenditori di diminuire il numero dei fossi trasversali alla linea del Canale di Pavia e di dirigere rilevanti corpi d’acqua a sostenere la sua navigazione col dare dalle sponde del medesimo molte competenze di acqua ai privati che le avevano in fregio agli altri canali milanesi e che non ne usavano prima di arrivare alla stessa linea del Canale di Pavia.
Circa poi al sistema di costruzione di questo canale, il piano di quegli appaltatori preso in complesso non deviava gran fatto dai precedenti; giacchè la linea da essi prescelta seguiva l’alveo dell’antico Naviglietto e portava lo sbocco in Ticino di sopra del Ponte di Pavia. Lo stesso piano prescriveva alquanto prima di arrivare a questo sbocco una grandiosa darsena o bacino per il comodo della navigazione, riteneva il numero di tre sostegni per passare da tale darsena al basso letto del fiume, e richiedeva sei sostegni distribuiti superiormente sulla linea, oltre sei altre chiuse di un semplice ordine di porte dette mezzeconche e destinate a tener rigonfiato invariabilmente il pelo d’acqua in taluni punti del canale ove più importava, come alla diramazione della Roggia Carlesca nel luogo detto Conchetta.
Con un progetto per il Canale di Pavia fondato su queste massime l’ingegnere Andrea Bigatti, Provinciale della Regia Camera, ha pure tentato diverse volte nella seconda metà di quel secolo 17.o di indurre il Governo di Milano ad unire in un solo appalto la manutenzione dei canali navigabili del Milanese e la costruzione dei Canali di Paderno e di Pavia da secoli desiderata. Anche il Regio Fisco si è risvegliato di tempo in tempo per mettere un termine alle concessioni ed agli abusi che avevano fatto cambiar faccia all’alveo dell’abbandonato Canale di Pavia e che fin d’allora vi avevano diretto nuovamente terreno, acqua e cavo agli usi privati. Finalmente sotto i Re di Spagna Filippo iv.° e Carlo ii.° gli ordini superiori e le carte reali per rimettere in piedi nel Milanese simili progetti si sono replicatamente conseguite dal Magistrato delle acque sopra istanza del Governatore dello Stato; ma poi il fatto per tutto il resto di quel secolo non ha mai corrisposto alle speranze, e l’esito dei nuovi decreti sovrani per gli stessi canali si ridusse a qualche consulta fra il Governatore ed il Magistrato, a qualche relazione del Provinciale delle acque, a qualche visita degli ingegneri camerali.[5]





[1] V. Benaglio, Relaz. succit. al cap. del Naviglio di Bereguardo.
[2] V. le Relaz. succit. del Benaglio e del Settala; fra le carte dell’arch. gen. di Gov. e dell’arch. Ferrari quelle relative al Naviglio di Pavia, ed i manoscritti del Bassi conservati nello stesso archivio Ferrari.
[3] V. Settala. Relaz. del Nav. Grande, cap. 26 e seg.: non che i manoscritti e disegni relativi conservati nel succit. archivio Ferrari.
[4] V. questa carta fra le succen. del Naviglio di Pavia nell’arch. gen. di Gov. in Milano.
[5] V. fra le carte dei succitati archivi quelle relative al Naviglio di Pavia, da cui sono estratti anche i documenti N.° iii, iv, v, vi riportati in fine della presente Storia.

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