martedì 30 settembre 2014

1844 - CATTANEO. Canali navigabili e canali irrigatorj



Canali navigabili e irrigatorj.

Se questi brevi cenni sulle tante òpere d’arginatura e di scolo dimòstrano con quanta cura, al primo risùrgere della civiltà, il nostro paese seppe difèndersi dalle aque soverchianti, non giùngono però a tògliere il vanto a quei pòpoli, i quali seppero con perseveranza ancora maggiore contèndere alle aque i loro polder, esposti sotto più basso livello alle irruzioni del mare. Ma se consideriamo le altre òpere che verso i medèsimi tempi i nostri intraprèsero per condurre le aque a servigio dell’irrigazione, della navigazione e dell’industria, non solo dobbiamo ammirare l’ingegno che in mezzo alla barbarie, in che era immerso il rimanente dell’Europa, ardiva divisarli e sapeva condurli, ma possiamo ancora oggidì rivendicare alla nostra patria, pel complesso di questi lavori, il primo grado fra le moderne nazioni.
Alcuni, fatta ragione della generale ignoranza del medio evo, gratuitamente vòllero supporre che tutte queste òpere, ed altre molte ch’è superfluo annoverare, fòssero attinte agli esempj degli Arabi, per naturale influenza del commercio e delle crociate. Ma se consideriamo la precedente condizione di queste nostre contrade, non vediamo necessità di ricòrrere a codeste congetture, non corroborate poi d’alcun istòrico documento.
Quando Virgilio in un sol verso esprime tutta l’arte delle regolari e misurate irrigazioni, Claudite jam rivos, pueri; sat prata biberunt, allude probabilmente alle consuetùdini già fin dal suo tempo invalse nell’agricultura di questa sua patria. E dove Strabone, parlando del nostro paese, dice che la Cèltica è assài ferace di miglio, perchè copiosa d’aque, non allude certo alle aque piovane, le quali, come si è visto a suo luogo, nell’estate qui non sono copiose; e non può quindi aver inteso se non le irrigatorie.
Nei tempi romani si èrano scavati canali per congiùngere il Po col Tàrtaro e coll’Àdige a sinistra, e con Ravenna a destra; e si conservàvano ancora nel sècolo V in tàle stato, che Sidonio Apollinare entrò per l’Àdige navigando da Pavìa a Ravenna; e descriveva questa città come intersecata e cinta da canali tratti con grandi òpere dal Po[1].
Giusta documenti del secolo IX, la Fossa Regia e la Fossa Olubia congiungèvano ancora, come dicemmo, presso Ostilia il Po al Tàrtaro, il quale scorreva nelle antiche Fosse Filistine. Molte carte dei sècoli VIII, IX e X pàrlano di canali derivati dai fiumi per uso di molini. In due carte del 1063 e 1068 si accenna sotto il nome di Navigatura un canal navigabile a destra del Panaro, presso S. Giovanni in Persiceto e Crevalcore; e in altre del 1137 e 1173 se ne fa più particolar menzione[2]. I Modenesi pretèndono aver avuto da Enrico III nel 1055 (ben inanzi alla prima crociata) un privilegio sulle aque della Secchia, le quali essi condùssero nel loro Naviglio, ch’esisteva già nel 1104. - E se Milano, in tempi di cui non rimane memoria, aveva già operato quelle deviazioni di fiumi di cui si vèdon manifeste le vestigia (pag. 147), non potèvano tali òpere esser demolite con sì diligente propòsito di barbarie, che non ne rimanesse alcuna tradizione. E altronde l’opportunità di tante scaturìgini a fior di terra, in una zona che attraversa tutta la nostra pianura, la sovrabondanza delle aque fluviali nella stagione estiva, e la facilità di condurle dai loro alvei ai pròssimi campi, sono principj naturali e spontanei d’una vasta irrigazione, senza che sia d’uopo studiare orìgini fattizie e straniere. Che se verso i tempi delle crociate si vèdono tante òpere d’aque intraprese in tutta la valle del Po, ciò vuolsi attribuire al concorso di ben altre càuse, che non sia quella d’una mera imitazione.
Fatto sta che nel 1177, un anno dopo ch’ebbero vinto a Legnano l’imperatore Federico I, i Milanesi condùssero fin sotto le mura di Milano il canale Ticinello, derivato qualche tempo innanzi dal Ticino, e chiamato poi Naviglio Grande; e nel 1220 tràssero dall’Adda la Muzza ad irrigare le campagne del Lodigiano. I quali due corsi d’aqua per la portata loro pòssono dirsi piuttosto fiumi che canali; e sono tuttora i più grandi canali irrigatorj che si conòscano al mondo. - Nel 1188 i Mantovani, per òpera del Pitentino rialzando le aque del Mincio con grandiose dighe, e costruendo la chiusa di Govèrnolo, fanno due laghi artificiali; e mentre prevèdono cosi alla difesa della loro città, ed a risanarne l’aria con aque più profonde, ne favorìscono l’industria cogli opificj animati dal salto procurato al fiume, ed assicùrano in ogni tempo alle loro navi la communicazione col Po. - Nel 1191 Guglielmo Dell’Osa milanese, podestà di Pàdova, trasse dal Bacchilione il canal della Battaglia, e lo condusse a Monsèlice[3]. In quell’anno una società privata acquistò dalla città di Bologna il diritto di trarre aqua dal Reno, per far molini ed altri opificj; diritto che la città stessa redense nel 1208, per valersi di quelle aque a fare il canal Naviglio che la congiunse al Po[4]. - Nel 1183, avendo i Modenesi rivolte nel loro Naviglio le aque della Secchia, vènnero alle armi coi Reggiani che volèvano farne sìmile uso nel loro territorio, e che veramente se ne vàlsero, dopochè nel 1202 quelle controversie furono composte dai podestà di Parma e di Cremona[5]. - Nel 1203 il podestà di Reggio promette ai Cremonesi, padroni di Guastalla, di costruire un Naviglio da S. Michele nel Reggiano fino al Naviglio di Guastalla; e viceversa nel 1218 i Cremonesi permèttono ai Reggiani di derivare dal Po presso Guastalla il canal navigàbile della Tagliata[6].
La vera cagione che mosse ad intraprèndere quasi contemporaneamente òpere così grandiose si vede ben piuttosto nel generale risurgimento di tutta l’antica civiltà, nella novella potenza dei municipj dopo la pace di Costanza (1183), nella vicendèvole emulazione delle cittadinanze la quale si spingeva ad altre ben maggiori estremità, e nell’ingegno costruttivo di questi pòpoli, i quali dalla non interrotta tradizione delle òpere e delle consuetùdini precedenti avèvano già le più pròssime tracce di simili imprese.

Canali antichi fra il Ticino e l’Adda. - Il territorio fra il Ticino e l’Adda comprende il basso Milanese, il Pavese e il Lodigiano, ed è quello ove le irrigazioni si sono maggiormente estese. Le aque dei minori fiumi Olona, Sèveso, Lambro, Mòlgora ed altri vèngono esaurite a quest’uso; vi si aggiunge un considerèvole volume d’aque derivate dai fontanili; ma una copia ancora maggiore si dedusse con canali dalle profonde valli entro cui scòrrono l’Adda e il Ticino.

Naviglio Grande. - Questo canale si estràe dal Ticino a Tornavento, con una gran chiusa detta la paladella, e con varie òpere d’armatura e arginatura, che lo sostèngono in gran parte lungo la costa del Ticino, per 17 chilòmetri, fino a Buffalora. S’incassa poi profondamente nell’altopiano, e solo dopo 6 chilòmetri, presso Robecco, comincia a raggiùngerne il livello, continuando però ancora in una direzione parallela al Ticino, sino a Castelletto d’Abbiategrasso; d’onde inflette con sùbito àngolo il suo corso verso oriente fino a Gaggiano, e quindi inclinàndosi alquanto verso settentrione, si dirige per Còrsico alla parte meridionale della città di Milano.
Nelle Antichità Longobàrdiche[7] si volle provare con documenti, che questo canale si fosse derivato dal Ticino fino ad Abbiate Grasso, nel 1177 secondo il Corio, e nel 1179 giusta il Calendario di S. Giorgio, e che solo nel 1257 si conducesse poi fino a Milano; la quale opinione venne seguita in quasi tutti gli scritti posteriori. Se però si vògliano ponderare le parole del Corio, e si ponga attenzione anche all’andamento del canale, diviene assai più verisimile la narrazione del Sigonio, il quale dice che fin dal 1179 il canale si condusse da Abbiate Grasso a Milano; e che molti anni prima èrasi derivato dal Ticino alla Bassa Olona, sotto il nome di Ticinello, per irrigare quella parte della Diòcesi Milanese, e il pròssimo confine della Pavese[8]. E infatti il Ticinello, dopo il Castelletto d’Abbiate Grasso, ove si stacca dal Naviglio Grande, si spinge con un canale quasi rettilineo e manifestamente artificiale, lungo 9 chilòmetri, fino a Rubbiano; e quivi si volge ad oriente per un alveo tortuoso e manifestamente naturale, verso Binasco, conservando anche oggidì il nome di Ticinello. E sembra che fosse in orìgine la continuazione del Naviglio Grande, del quale divenne poi mero scaricatore. - Il Corio, all’anno 1177, dice propriamente èssersi cominciato «il Naviglio di Gazano, il quale si cava dal Tesino a questa città, navigàbile; il che sembra dinotare il tronco da Abbiate Grasso per Gaggiano fino alla città. Nelle stesse Antichità Longobàrdiche[9] si cita una carta del monasterio di Chiaravalle presso Milano dell’anno 1233, ove si parla del Naviglio di Trezzano, altra terra che tròvasi sul Naviglio Grande poco sotto Gaggiano, il che prova che quel tronco di Naviglio era fatto fin d’allora.
Il Corio stesso narra che nell’anno 1257, essendo «Beno di Gozano bolognese podestà di Milano, nel mese di giugno fu incominciato a rifare il Naviglio detto di Gozano»; il che dopo le altre testimonianze sopradette non può intèndersi se non d’un ampliamento o d’un adattamento alla navigazione. Finalmente lo stesso scrittore, parlando di certe ordinanze di Napoleone Torriano, promulgate l’anno 1272, accenna anche quella «che si facesse cominciare la cava alla bocca del Tesinello, acciocchè il Naviglio dal Lago Maggiore commodamente potesse entrare in città»; il che sembra indicare un ampliamento dell’incile. Possiamo dunque aver per certo che il Ticinello fosse derivato ad uso d’irrigazione fino a Rubbiano prima del 1177, e che in quell’anno fosse reso navigàbile il tronco superiore da Tomavento ad Abbiate Grasso, e si aprisse il ramo di Gaggiano e Trezzano fino alla città.
Il Naviglio Grande è lungo 50 chilòmetri, ed ha una caduta totale di 33m 424, dei quali si esaurìscono nove dècimi (29m 017) nel tronco superiore e più antico, che ha un corso assai ràpido. Nel tronco inferiore, costrutto anch’esso prima della invenzione delle conche o sostegni, era mestieri adèmpiere a molte non agèvoli condizioni. In primo luogo, si doveva moderare sempre più la pendenza, a misura che le successive bocche d’irrigazione impoverivano il canale, a fine di conservare alle aque una sufficiente profondità. In secondo luogo si doveva assecondare il natural declivio del terreno, per evitare il dispendio di profondi incassamenti, oppure di rialzi e arginature, che avrèbbero cagionato nuove spese e nuove difficultà nelle estrazioni delle aque. Tutto ciò si conseguì mirabilmente col condurre il tratto di canale tra Castelletto e Gaggiano (7ch. 810) sotto una pendenza media di 0,37 per mille, e col ripiegare alquanto verso settentrione il tratto susseguente fino a Milano (12ch. 440), sotto la più mite pendenza di 0,12 per mille; i quali pensamenti attèstano la molta maestrìa di quegli antichi. Il Prospetto XV offrirà gli ulteriori particolari delle pendenze per questo e per gli altri canali più considerèvoli.
Per contenere entro il lìmite normale la derivazione, il primo tronco (9ch.) ha sulla sponda destra sei scaricatori a fior d’aqua, detti sfioratori, ed altri sette scaricatori di fondo con 51 porte, i quali restituiscono al vicino fiume le aque esuberanti. A Castelletto un altro scaricatore a due porte forma il Ticinello; a Gaggiano ve n’ha un altro con sei porte: altri due con ùndici porte vèrsano al Lambro Meridionale, o antico Nirone; e l’ùltimo con 11 porte, detto del Residuo, presso le mura della città, dà orìgine ad altro canale che si chiama parimenti Ticinello.
Le sponde del Naviglio Grande per sette dècimi sono munite di scarpe selciate, ovvero di muri a secco, per lo più verticali, e protetti con palafitte dall’urto delle barche. Per la lunghezza di 11 chilòmetri, da Magenta a Castelletto, il fondo è difeso dalle corrosioni della corrente con 96 briglie di selciato. Nel tronco superiore la sua larghezza varia dai 50 ai 22 metri, e nell’inferiore dai 24 ai 12.
La portata estiva e normale del Naviglio Grande[10] venne valutata presso il suo incile ad once milanesi 1254; le quali, se si suppòngono equivalere a metri cùbici 2.50 per ogni minuto, danno un totale di metri cùbici 3088 per minuto, ovvero 51 per secondo.
Le aque irrigatrici si estràggono dal Naviglio per 116 bocche, delle quali sole 4 a sinistra. Se ne deriva inoltre il Naviglio di Bereguardo, mediante un prolungamento sulla destra (1ch. 3), e il Naviglio di Pavìa, al luogo della dàrsena, ove il Naviglio Grande ha tèrmine, e la quale riceve inoltre a bocca lìbera il fiume Olona, e commùnica per l’interno della città di Milano col fiume Adda. Una considèrevole copia delle aque accolte primamente nel canale si perde per evaporazione e filtrazione. Nell’inverno la portata si diminuisce all’incirca d’un quinto. Le aque sèrvono allora al movimento dei ruolini e altri opificj, e alla irrigazione dei prati invernali, che misùrano solo una superficie di 8 mila pèrtiche mètriche, mentre le irrigazioni estive di questo canale si estendono a 380 mila.

Muzza. - Questo gran canale irrigatorio fu costrutto nel 1220, al che si fece uso d’un antico alveo tortuoso, che fin d’allora chia­mavasi Muzza, e serviva all’irrigazione. Si deriva a destra dell’Adda, mediante la pescaja del Traversino, lunga 377m e rivestita per la maggior parte con lastre di granito; l’estremità della quale ha uno scaricatore di fondo, detto il Traghetto, che si chiude con travata.
Il primo tratto del canale, presso Cassano, ha uno sfioratore, lungo 234m, e quattro scaricatori con 42 porte; e segue al suo piede la costa dell’altipiano; ma dopo 5 chilòmetri s’interna nelle campagne, delle quali asseconda il declivio nella proporzione prossimamente di 1.20 per mille, moderandosi però la pendenza del canale con 13 pescaje o levate, che sèrvono alla più fàcile estrazione delle aque, ed esauriscono 19m 40 di caduta. Dopo 15 chilòmetri, a Paullo, due scaricatori con 15 porte sfògano l’esuberanza per l’Addetta al Lambro. La Muzza si volge a SE. sempre parallela all’Adda per altri 23 chilòmetri, fin dove, all’incontro della strada di Lodi a Cremona, prende il nome di Piacentina, e diviene un mero colatore. La larghezza media della Muzza è di 35m; ma varia dai 25m fino ai 52m. La portata si calcola di once 1475, le quali corrisponderèbbero a metri cùbici 3687 per ogni minuto primo, ossia metri cùbici 61 per secondo.
Le aque irrigatrici si distribuiscono per 41 bocche a destra e 34 a sinistra; e le sole tre bocche Muzzetta, Cavallera-Crivella e Codogna estràggono 18 centèsimi dell’aqua del canale. Le irrigazioni invernali si stèndono sopra 11 mila pèrtiche mètriche, e le estive sopra 730 mila.

Canali moderni fra il Ticino e l’Adda. - II Naviglio Grande e la Muzza appartèngono al medio evo ed alla prima età dei canali. Comincia per queste òpere una seconda età coll’invenzione delle conche, la quale, nata primamente fra noi per un felice incontro delle circostanze e dell’ingegno, e dopo due sècoli intesa e adottata dalle altre nazioni, divenne il càrdine delle interne navigazioni nel mondo incivilito. Non sarà pertanto inopportuno qualche cenno intorno alla sua orìgine.

Invenzione delle conche. - Il matemàtico Lecchi, nell’introduzione al Trattato sui canali navigàbili, attribuiva al sècolo XII il ritrovato delle conche, scambiando una prima chiusa di ristringimento, costrutta nel 1188 dal Pitentino alla foce del Mincio, colla vera conca di navigazione, che vi fu applicata solo nel 1609 dal Bertazzolo. Lo stesso scrittore citava un passo di Pier Càndido Decembrio nella vita del duca Filippo M. Visconti, ove si parla d’un progetto ch’ebbe quel prìncipe, di fare un canal navigabile, che diramandosi dal Naviglio Grande ad Abbiate Grasso discendesse al Ticino, e risalendo per l’opposta riva di quel fiume giungesse a Vigèvano; e ciò «coll’uso delle màchine che si chiàmano conche[11] Il qual progetto, lungi dall’èssere una stranezza, come si diede a crèdere l’autore delle Antichità Longobàrdiche, involgerebbe la prima e grande idèa d’un canale a doppio pendìo, destinato ad attraversare una valle, come è quella del Ticino. Nè in Italia se ne avrebbe altro esempio; e la prima applicazione di quel principio si sarebbe fatta in senso però opposto, due sècoli dopo, nel Canale di Briare, che attraversa a doppio pendìo le alture tra la Lòira e la Senna; si sarebbe ripetuta nella maggior parte dei canali della Francia e della Gran Brettagna; e si sarebbe svolta a sterminate proporzioni nella gran rete navigàbile, che congiunge l’Atlàntico coi laghi americani e colla valle del Mississipi. - Ma comunque ciò sia, siccome, secondo il Giulini, questo passo della vita del Visconti si riferirebbe all’anno 1420, farebbe prova che sin d’allora si conosceva fra noi l’uso delle conche.
Il Frisi, nelle sue Istituzioni di Mecànica (pag. 426), move dubio sul modo d’interpretare il testo del Decembrio, e seguendo il Zendrini, attribuirebbe l’invenzione delle conche ai fratelli da Viterbo, che nel 1481 l’applicàrono alla congiunzione della Brenta col Canal Piòvego tra Pàdova e Venezia. Dell’opinione che attribuisce le conche a Leonardo da Vinci, è superfluo ragionare.
Nelle Antichità Longobàrdiche (T. II, pag. 108) si cita per altro un documento del monasterio di Chiaravalle presso Milano, dell’anno 1439, in cui si parla della conca di Viarenna, fatta edificare da Filippo M. Visconti, in occasione che pel più agèvole trasporto dei marmi del Duomo si riordinò una parte dell’antica fossa di circonvallazione, che ora è il Naviglio Interno. Della quale operazione vi si dicono incaricati Filippo degli Organi da Mòdena e Fioravante da Bologna[12]. Un altro documento del 1445, conservato nell’Ambrosiana e citato nell’òpera stessa, parlerebbe e della fossa sotto il nome di Nuovo Naviglio Ducale, e della conca che vi si era apposta[13]. Che anzi combinando le indicazioni del succitato documento del 1439 con altra carta del 1400, si avrebbe cenno del modo col quale, prima dell’invenzione delle conche per trasportare i marmi al Duomo, si facèvano passare le barche dal Laghetto vecchio al nuovo, separati com’èrano da una steccaja con un salto di circa tre metri.
A tal uopo si chiudèvano nel Naviglio Grande le bocche d’irrigazione e gli scaricatori, e così si rigonfiàvano le aque dell’estremo suo tronco, nel quale erano pervenute dal Verbano le barche càriche dei marmi. Nello stesso tempo dovèvasi deprìmere il livello delle aque nel laghetto superiore, che comunicava col successivo tronco della fossa alimentata dalle aque del fiume Sèveso. Aperta allora la steccaja pel passaggio delle barche, si richiudeva tosto, e si rigonfiàvano alla loro volta il laghetto e la fossa superiore, onde ottenervi profondità bastèvole a condurre i marmi al loro destino.
Per ovviare agli inconvenienti di questo imperfettìssimo congegno, si pensò ad aggiùngere una seconda steccaja. E allora bastò rigonfiare l’aqua nel solo tronco interposto alle due steccaje; e così si abbreviò l’operazione, e si rese agèvole il trapasso delle barche. Questa operazione conteneva in sè tutto il principio delle conche; l’invenzione delle quali in tal modo risalirebbe per lo meno al 1439. E poco di poi ne avrebbe dato ragguaglio Leon Battista Alberti nel suo libro De re ædificatoria, dedicato a papa Nicolào V nel 1452, siccome accenna Stràtico[14].
Nel 1471 già vi èrano le due conche di Gorla e della Cascina de’ Pomi, sul tronco ùltimo del Naviglio della Martesana, del quale ora parleremo[15].

Naviglio della Martesana. Fu costrutto per decreto del duca Francesco Sforza del 1457[16]; e quantunque in quei tempi già si fosse applicata ad alcuni dei nostri canali l’invenzione delle conche, questo venne condutto fino alle vicinanze di Milano coi principj medèsimi dell’antico Naviglio Grande. Si deriva sotto Trezzo a destra dell’Adda, mediante pescaja; - fino a Vaprio (4ch.) accompagna l’alta costa del fiume, incavato nel ceppo, o sostènuto da altissimi àrgini in parte murati; - segue la costa fino a Groppello (4ch.), ove s’incassa nella campagna; e raggiùntone il livello a Cassano (1ch.), si rivolge con sùbito àngolo a ponente, con andamento variàbile (29ch. 5), quasi sempre a fior di terra. Presso Milano si moderò la soverchia pendenza con una conca di 1m 82 di caduta, che dapprima era divisa in due; l’una delle quali era presso Gorla. La rimanente caduta (16m) si distribuì sull’intera lunghezza (38ch. 696), con pendenze che vàriano da 0,26 per mille a 0,66. - Sulla fine del sècolo XV venne introdutto, come vedremo, nella fossa della città, e finalmente nel 1572 venne ampliato coll’aumento d’oltre a cento once d’aqua, per assicurare la navigazione e l’irrigazione, che prima soggiacevano ad essere interrotte.
L’aqua viene regolata all’incile da due scaricatori alle estremità della chiusa; quindi da uno sfioratore lungo 268m, e da cinque scaricatori che si àprono nell’àrgine con 29 porte. Il canale sovrapassa a tomba il torrente Mòlgora, e i due torrentelli Tòrbida e Cava; ma viene attraversato dal Lambro e dal Sèveso. Al passaggio del primo, venne munito d’uno sfioratore lungo 27m, e di scaricatori con 19 porte; e al passaggio del secondo, con uno sfioratore di 11 metri. - Finalmente, prima d’entrare in città, le aque esuberanti si sfògano nel Redefossi con uno sfioratore e uno scaricatore a 12 porte.
La portata presente si riconobbe all’incile di once milanesi 654, equivalenti a 26 metri cùbici per secondo.
Nel tronco superiore la sua larghezza varia dai 18 ai 14 metri, e nell’inferiore dai 12 ai 9.
Le aque irrigatorie si estràggono per 75 bocche a sinistra e 10 a destra, colle quali si distribuìscono once 492, oltre alle 92 che si risèrbano pel Naviglio Interno. La superficie adaquata nell’inverno è di sole pèrtiche mètriche 4600, ma nell’estate 235 600.

Naviglio Interno. - Abbiamo veduto come si fosse congiunto il Naviglio Grande del Ticino alla fossa di Milano mediante la mentovata conca-madre di Viarenna. Derivàtosi dall’Adda il Naviglio della Martesana, si riunì all’altro, mediante la detta fossa, quella stessa che i Milanesi avèvano scavato nel secolo XII per difèndersi contro l’imperatore Federico I. Dalle 40 braccia (24m) della sua primiera larghezza, venne ridutta a quella di 18, e all’uso di canal navigàbile. Col successivo ampliamento della città, e colla vasta cerchia dei bastioni, costrutta poi giusta i nuovi principj di fortificazione nel secolo XVI, quella fossa esterna divenne, come è tuttora, il Naviglio Interno della città.
Questo canale, nel tratto che congiunge i due Navigli preaccennati, è lungo 5090m; e dal primo al secondo ha una totale caduta di 7m 95; la quale per 5m 84 venne ripartita in cinque conche; e per i residui 2m 11 si distribuì sul fondo. Giunto alla sua parte inferiore presso la Conca di Viarenna, si riunisce coll’altro ramo dell’antica Fossa, che accerchiava la parte occidentale della città. Il qual ramo è lungo 1195m, e discende in senso contrario, alimentato dalle aque della fossa del Castello, diramata per opposta parte dallo stesso Naviglio della Martesana. Su questo ramo vi è una sola conca, con salto di 0m 35.
Le aque esuberanti del Naviglio Interno si sfògano con tre scaricatori e sei porte nel colatore della Vettabia, che rappresenta, come si disse, il primitivo letto del Sèveso, e pone foce nel Lambro a Meregnano.
Una carta dell’Archivio di Chiaravalle del 1496 proverebbe che la navigazione di questo canale fu compiuta sotto il dominio di Ludovico il Moro; e si accorda colla tradizione che attribuisce quell’òpera a Leonardo da Vinci, che veramente fu ingegnere ducale nel 1498. Ciò lo fece poi crèdere inventore delle conche, ch’erano forse già in uso prima ch’egli nascesse; e l’opinione venne avvalorata dai disegni di sua mano conservati nell’Ambrosiana, e rappresentanti le conche col perfezionamento delle porte che si chiùdono ad àngolo ottuso.

Naviglio di Pavìa. - Il Corio, sotto l’anno 1359, riferisce che Galeazzo Visconti dopo la presa di Pavìa fece costruire «il Naviglio che da Pavìa andava a Milano»; e un altro documento del 1411, citato dal Benaglia (pag. 142), lo accenna col nome di «naviglio nuovo che va a Pavìa». Ma siccome non conoscèvasi ancora l’uso delle conche, pare che fosse al solo uopo dell’irrigazione, come molti altri canali che nondimeno si chiamàrono allora e si chiàmano tuttavìa navigli. - Un sècolo dopo (1457), il duca Francesco Sforza ordinò che si costruisse un Naviglio da Milano a Pavìa «per viam Binaschi et Bereguardi», comandando che si seguissero i divisamenti dell’ingegnere Bertola Novate (cum advisamentis et participatione Bertolae de Navate, dilecti civis nostri Mediolani). Una lèttera del Magistrato delle ducali entrate del 1467 affida la conservazione e riparazione del nuovo naviglio ad Andrea Calco. Quattro lèttere scritte da Gabriele Paleari, secretario del duca Galeazzo M. Sforza, e conservate da’ suoi discendenti, pròvano che dal 1473 al 1475 quel canale èrasi reso navigàbile tra Milano e Pavìa; e si pòssono lèggere per intero nell’Istoria della navigazione’ nel Milanese dell’ingegnere Bru­schetti[17].
Combinando questi sparsi indizj, troviamo che il canale irrigatorio, aperto nel 1359 dal Visconti, si sarebbe reso navigàbile fino a Binasco dopo il 1457; e da Binasco a Pavìa tra il 1473 e il 1475; che il Naviglio Grande vi contribuiva per mezzo del Ticinello, il quale scorre da Castelletto a Binasco; e che il tèrmine del canale era al Travacatore presso Pavìa. I quali dati lo fanno corrispòndere a quello che oggidì chiamasi Navigliaccio; e lungo il quale gli ingegneri Meda e Romussi trovarono i vestigj delle conche, un sècolo dopo[18].
L’incuria dei magistrati e le private usurpazioni sèmbrano aver talmente impoverite le aque di questo canale che cessò d’esser navigato. E fu mestieri provedervi scavàndone un altro, il quale partendo dal Naviglio Grande presso Abbiate Grasso, dirigèvasi a Bereguardo, d’onde prese il nome. Ma questa linea, che più sotto descriveremo, non è a confòndersi con quella che abbiamo veduta proporsi sotto Francesco Sforza nell’anno 1457 «per viam Binaschi et Bereguardi». Nel 1564 fu promossa la ricostruzione del Naviglio di Pavìa; ma le terre circostanti e le città di Milano e di Pavìa, alle quali si voleva addossarne la spesa, se ne scusàrono, allegando che ciò non era necessario per l’irrigazione, e che per la navigazione era proveduto col naviglio di Bereguardo.
Nel 1597 risurse il progetto d’un naviglio che per Pavìa communicasse col Ticino; gli ingegneri Meda e Romussi ne valutàrono la spesa a più di 85 000 scudi; lo Stato ve ne spese infatti 50 000; ma quando si volle continuarlo a spese della possidenza circonvicina, l’impresa andò derelitta; e la conca già costrutta presso Milano n’ebbe il nome, che tuttora conserva, di Conca fallata. - Nel sècolo scorso il pensiero fu richiamato, e il Frisi vi scrisse intorno. Ma solo nel 1805, e per decreto di Napoleone, fu cominciata l’òpera, interrotta poi nel 1813, e quindi ripresa e finalmente compiuta nel 1819.
La caduta di questo canale da Milano fino alla Porta Stoppa di Pavìa venne ripartita per 29m 31 in otto conche, i cui salti vàriano da 1 m 70 a 4 m 80; per altri 4 m 40 fu distribuita sul fondo con pendenze, che da 0,28 per mille si ridùcono successivamente a 0,10. L’altra parte della caduta, dalla Porta Stoppa fino al Ticino (22 m 9), fu divisa fra quattro conche, due delle quali sono doppie.
La larghezza del canale è di 10 m 8 sul fondo, e di 11 m 8 al pelo d’aqua. Le ripe sono munite in gran parte di muri, e nel resto di scarpe selciate. V’è uno scaricatore a due bocche con uno sfioratore al passaggio del Lambro Meridionale; un altro alla Porta Stoppa di Pavìa versa per tre bocche nella fossa di circonvallazione; e un terzo a due bocche è presso la dàrsena del Ticino. Il canale attraversa 74 aquedutti, con tombe per la più parte a sifone; la maggiore delle quali ha una sola gallerìa con 5. m.20 di luce; ed un’altra, a due gallerie, è larga 7 m 20. Le aque di questo canale sono fornite dal Naviglio Grande, nella misura di 150 once, ossia metri cùbici 6 ¼ al secondo; le quali vèngono in parte adoperate nell’irrigazione.
Quest’opera costò ai nostri giorni franchi 7 694 707.

Naviglio di Bereguardo. - Questo canale, di cui già si disse pocanzi, ha la lunghezza di chilòmetri 18. 848. La caduta di 23 m 80 vien esaurita per 20 m 67 in ùndici conche, una delle quali doppia; e per 3 m 13 viene distribuita sul fondo con pendenze che vàriano da 0,07 per mille a 0,50. Viene alimentalo con 104 once d’aqua, ossia metri cùbici 4 1/3 per secondo, le quali poi sèrvono all’irrigazione.
La navigazione di questo canale fu resa quasi inùtile dopo l’apertura del Naviglio di Pavìa, il quale è in piena comumnicazione col Ticino, mentre l’antico Naviglio di Bereguardo tèrmina sul màrgine dell’altipiano; cosicchè bisognava scaricare le merci e trasportarle per terra, lungo l’intervallo dei tre chilòmetri che si frappòngono tra il tèrmine del naviglio e il Ticino.
Oltre alle irrigazioni che si fanno coi canali di sopra descritti e colle aque dei fiumi minori del Milanese e dei fontanili, si adòperano allo stesso uso anche quelle dei canali di scolo che si attravèrsano con pescaje o levate. E siccome queste non sono per sòlito munite di scaricatori, ne risulta che si rèndano uliginosi i terreni adjacenti.

Naviglio di Paderno, di sola navigazione. - Dall’irrigazione in fuori, poco vantaggio recava il Naviglio della Martesana, poichè la navigazione tra Milano e il Lario veniva ancora interrotta dalle ràpide dell’Adda, principalmente sotto Paderno, dove nel breve intervallo di chilòmetri 2.5 il fiume ha l’enorme caduta di metri 27.5. Dopo gli studj fatti da una Commissione dal 1516 al 1518, prevalse il progetto dell’ingegnere Benedetto Missaglia, di scavare nei dirupi in màrgine alla ràpida un canale munito di conche, i cui particolari vènnero publicati nel 1520 da Carlo Pagnano, membro di quella Commissione. Ma le òpere, impedite dalle continue guerre, fùrono riprese solo alla fine dì quel sècolo dall’architetto e pittore Giuseppe Meda milanese. Questo raro ingegno ebbe l’ardimento di ripartire tutta la caduta del canale in due sole conche, l’una delle quali avesse il salto veramente meraviglioso di 18 metri; e a tal uopo trovò i più originali divisamenti. Anche nella chiusa inferiore gli bastò di adoperare portoni angolari della sòlita dimensione; ma li applicò ad un arco solidìssimo, sostenente una grossa cortina di muro, sotto la quale, a conca scàrica, dovèvano passare le barche. Inoltre, per ammorzare l’impeto delle aque cadenti da sì enorme salto, oppose loro al piede della cascata un solidissimo tavolato verticale, che lasciava loro un passaggio per di sotto, e che colla sua sommità pareggiava la soglia delle portine superiori, affinchè a conca piena le barche potèssero sorpassarlo. Finalmente, per vuotare con somma prontezza l’ampio bacino, vi pose allato un canale scaricatore; e nell’interposta muraglia praticò a varie altezze cinque bocche, le cui vèntole potèssero aprirsi successivamente per mezzo d’antenne verticali e di leve, mosse dall’alto. Finalmente una scala laterale, che scorreva lungo il muro divisorio, serviva per aprire i portoni. Una estesa descrizione si legge in una lèttera di Bernardino Ferrari ad Eustachio Zanotti. Ma il Meda, divenuto anche imprenditore dell’òpera, fu involto in tante traversìe, che senza poterla condurre a compimento morì prigione. I lavori ripresi dall’ingegnere Bisnati nel 1602, poi di nuovo derelitti, furono con migliori auspicj finalmente recati a tèrmine dal 1773 al 1777.
Si trasse allora profitto delle costruzioni del Meda; ma la gran conca venne rialzata sul fondo per 7 m 12, e abbassata di 4 m 75 alla sommità; e così si ridusse alla caduta di 6 m 20, ancora considèrevole, benchè sia solo il terzo della progettata straordinaria altezza. Si aggiùnsero altre cinque conche di minor salto, e si distribuì sul fondo la residua caduta di 1 m 23. La chiusa all’incile ha tre scaricatori di fondo ed una bocca ad uso di molini; e tre altri scaricatori con 28 porte sono nell’àrgine, che separa il canale dal fiume. Ha la larghezza da 11 a 12 metri. Il fondo cavernoso di quei dirupi richiede continue riparazioni. È l’ùnico canale del Milanese che serva all’uso esclusivo della navigazione.




[1] «Insuper oppidum duplex pars interluit Padi, pars alluit; qui ab alveo principali molium publicarum discerptus objectu, et per easdem derivatis tramitibus exhaustus, sic dividua fluenta partitur, ut præbeant mœnibus circumfusa præsidium, infusa commercium.» Sirmondi. Op. om., tom. I. Apoll. Sid., epist. 5.
[2] Tiraboschi, Ist. dell’Abbazia di Nonàntola, tom. II, pag. 500 e 527.
[3] Muratori, R. I. SS., VIII. Catal. Potest. Pad. ... 1189-1190-1191... et commodò il Fiume da navegar a Moncelese.
[4] Masetti, Not. Istor. sul Naviglio di Bol. N. Raccolta di Bol., tom. IV, pag. 435.
[5] Sigonii, Op., tom. II 814. Murat., Ant. It., tom. IV, 385.
[6] Affò, Ist. di Guastalla, t. I, pag. 56, 359, 360. V. qui sopra a pag. 166.
[7] Tom. II, Dissert. XII, pag. 101.
[8] «In Italia Mediolanenses, urbi per otium excolendæ intenti, emissarium ex Ticino amne jam multo ante derivatum, ac Ticinelli nomine Papiensium agros irrigans, novo alveo juxta Abbiatum effosso, Gazanum et Corsicum deduxere, ac mox ad urbem usque navigabile reddidere. Quo facto duo maxima commoda consequuti sunt; unum quod agros suos uberiores fecerunt; alterum quod rationem opum ex Verbano Alpibusque devehendarum inierunt.» Sig. Op., tom. II. De R. Ital., pag. 811, ad annum 1179.
[9] Vol. III. Prefazione, pag. IX.
[10] V. Notizie statistiche intorno ai fiumi, laghi e canali di Lombardia. Milano, 1833, pag. 145.
[11] «Meditatus est et aquæ rivum per quem ab Abbiate ad Viglevanum usque sursum veheretur, aquis altiora scandentibus, machinarum arte quas conchas appellant.» Ap. Murat, R. I. SS., tom. XX, p. 1006.
[12] «... Specialiter deputati circa modum adhibendum ut fovea civitatis navigabilis reddatur...» Il dotto autore non publicò il documento intero. a se quelle carte veramente preziose non andarono smarrite, facciamo voto che alcuno dei nostri studiosi voglia rèndere di pùblica ragione almeno le più importanti.
[13] «Concha inferior Navigli ducalis noviter constructa.»
[14] Memorie dell’Istituto Lombardo-Vèneto, tom. II, 1821, p. 79 «... Duplices facito clausuras, secto duobus locis flumine, spatio intermedio quod navis longitudinem capiat, ut, si navis erit conscensura, cum eo applicuerit, inferior clausura occludatur, aperiatur superior; sin autem erit descensura, contra claudatur superior, aperiatur inferior. Navis eo pacto cum istæ dimissa parte fluenti evehetur fluvio secando». L. B. Alberti, l. X, c. 12.
[15] «Magistri ducalium intratarum... Deputamus officialem Cameræ Ducalis ad exigendum pecunias datii concarum Navigli Marthesanæ. Dat. Mediol., 1 Nov...» Benaglia, Relaz. istor. del magistr. delle ducali entrate, p. 152.
[16] V. Benaglia, Op. cit., pag. 150.
[17] Pel propòsito nostro bàstano i segnenti brani: «... Hauemo ordenato chel se faccia un nauiglio de Binasco ad quella nostra città de Pavia...» 1 giugno 1473.
«... Perchè intenderne che l’aqua che uene da Milano non saria bastante a ciò, volemo che per la bocca sua de Castelleto ne lassi uenire tanta che sia a sufficientia per poter nauigare...» 21 giugno 1475. «Scripsimus ad Castellanum nostrum Binaschi, quod mittat Papiam navem, quà venire possitis Mediolanum. Ea cras aderit ad Travacatorem...» 25 dic. 1475.
[18] V. Benaglia, p. 143.

1837 - CATTANEO. Del Lago di Como



Carlo Cattaneo

Del lago di Como

L’Eco della Borsa
n. 17 (30 aprile 1837) e n. 18 (7 maggio 1837)

Le operazioni che ora si stanno facendo a Brivio per l’abbassamento di livello del Lario, e perché Como e il litorale rimangono salvi dal disastro delle inondazioni, parvero giustamente di tanta importanza, che noi crediamo non possa riuscire se non gradevole al pubblico il fornirgli dati precisi sui quali mantenere animate le conversazioni, o basare i giudizi in proposito. Prima dunque discorreremo della natura di esso lago; indi delle sue piene; finalmente dei rimedi proposti e praticati.

I. Descrizione.

Il lago di Como, siccome ognuno sa, è a’ piedi delle Alpi Retiche, ed occupa una superficie di metri quadrati 154.755.000, avendo il perimetro di metri 178.000. Le sue acque si dirigono dal nord-est al sud. La elevazione del suo pelo ordinario sul pelo basso dell’Adriatico è di metri 198, vale adire tre metri più alto che il lago Maggiore, e 74 più basso che quel di Lugano. Secondo il Volta, ad una mezzana profondità conserva costantemente la temperatura di +4° di Réaumur. È riempito questo gran serbatoio da 37 torrenti e 28 fiumane, oltre il grosso fiume dell’Adda e gli scoli di tutte le montagne circostanti, sulle quali le piogge estive formano a migliaia torrentelli e cascatelle. Il suo principio è la Riva di Chiavenna, al sito ove si scava il miglior granito che s’adopera ai lastroni delle rotaie e dei marciapiedi nelle nostre città. Quivi dapprima stagna in un bacino che chiamasi il lago di Mezzola [bacino originariamente in comunicazione con il lago di Como, dal quale lo separarono le alluvioni dell’Adda], poi per un angusto passaggio a Sorico, ristretto più sempre dalle materie strascinate nell’Adda, entra nell’ampissimo pelago, intorno a cui siedono quinci le Tre Pievi di Dongo, Gravedona e Domaso, quindi Colico colle altre terre dominate dal Legnone, monte elevato sopra il mare metri 2806 [in realtà, le carte indicano l’altezza in metri 2611], e notevole per ciò che offre tra tutti i monti d’Europa il maggior pendio continuato, contandosi dal piano del lago alla via vetta metri 2608 perpendicolari. Così continua il lago finché il deliziosissimo promontorio di Bellagio lo sparte in due rami a foggia d’un Y. Il ramo occidentale, dopo passato per la Tremezzina [è il bacino del lago di Como che trae nome dal paese di Tremezzo, e comprende anche Azzano, Bolvedro e Cadenabbia. Inizia a Lenno e termina a Nobiallo, dopo Menaggio], giardino del giardin d’Europa, arriva a Como, che trasse il suo nome dalla radice celtica com, che vale seno, né ha via a scaricarsi.
Il ramo orientale, detto Lario [deriverebbe dal greco laros = ridente, soave] sulla cui riva si è costruita la recente grandiosa strada militare, prolungasi fino a Lecco, ove si trova l’unico scaricatore di questo grande lago che poi ripiglia il nome di Adda.
Sulla lunghezza di questo lago corrono opinioni, alimentate dai barcaioli che in proporzione della via vorrebbero essere pagati. Ecco però precise le misure, togliendole in linea retta da punta a punta, come pratica il battello a vapore:

Da Como a Torno                           m 6200
Da Torno a Torriggia                      m 4850
Da Torriggia alla Cavagnola            m 5100
Da Cavagnola alla Cadenabbia        m 8700
Da Cadenabbia Menaggio                m 3700
Da Menaggio a Rezzonico                m 6175
Da Rezzonico a Dongo                     m 6000
Da Dongo a Gravedona                    m 2800
Da Gravedona a Domaso                  m 1250
Da Domaso a Sorico                         m 5300
Da Sorico al principio del lago di      m 2350
     Mezzola
Di là alla Riva                                  m 6800
Che se parti da Lecco, avrai:
Da Lecco a Mandello                        m 8400
Da Mandello a Bellagio                     m 9600
Da Bellagio a Varenna                      m 2600
Da Varenna a Bellano                       m 4000
Da Bellano a Rezzonico                    m 2510

Il resto come sopra.

La asserita lunghezza di 40 miglia da Como a Domaso si riduce dunque a 44 chilometri, ossia miglia comuni 25. Sulla riva occidentale scorre un sentierucolo cui danno il pomposo nome di Strada Regina, e che la volgare tradizione attribuisce alla longobarda Teodolinda [fu moglie di Autarico, re dei Longobardi, poi di Agigulfo, duca di Torino, che convertì al cristianesimo] e questo, perché segue tutte le sinuosità e gli ondeggiamenti del terreno, è lungo metri 68.530, contando dalla porta Sala di Como fino alla riva di Chiavenna. La strada militare poi, partendo dalla piazza di Lecco, fino a Colico, tira metri 41.970, vale a dire 22,5 miglia geografiche.
Dominano su quel lago due venti periodici: il Tivano, o tramontana, che spira di notte fino al levarsi del sole; la Breva, o sud-ovest, che si alza dopo mezzodì. I venti regolari, per forti che sieno, danno poco timore agli esperti naviganti: ma l’esser il lago una lunga vallata sinuosa, fra alti monti ad angoli taglienti ed entranti, varia di lunghezza e di profondità, e quindi colle onde più o meno voluminose e sovente ripercosse dal lido, è cagione talvolta di pericolo. Se il nord spira a riprese, come fa massime allorché le Alpi sono nevate, difficile riesce il viaggiare per le onde rimbalzate. L’est, che chiamano bergamasca, e che dura più degli altri, riesce molesto a chi scende dalla Valtellina. Il sud ritarda ma non arresta la navigazione: l’ovest spira quasi soltanto per temporali estivi. Ma pericolo vero può dirsi non vi sia se non per le navi stracariche o quando i venti montivi, a diverse inclinazioni irregolari e variabili sbucano dalle vallate, o precipitano dalle vette, massime se nevose. Il più insidioso è il Molinasco, che viene da Molina [la Bocchetta di Molina, alta 1116 metri, è nota per i massi erratici di straordinaria grandezza], e rende tempestoso il lago dove è più stretto e fondo. Avanti alle Tre Pievi sorge talvolta turbinoso e vorticoso il vento di san Vincenzo; anche pericoloso è tenuto quello che spira dalla valle della Breggia, appiè del gigantesco Bisbino [il monte Bisbino, che sorge sopra Moltrasio, è alto 1325 metri]. Oltre i temporali di sud sono frequenti quelli di ovest-nord-ovest, massime in maggio, giugno e luglio; non intrattabili è vero dagli audaci, ma il cauto nocchiero fugge il primo tuono, e ricovera in porto. Non è di fatto rarissimo il caso che l’abbassarsi di qualche grosso nuvolone aumenti il temporale, e con uragani e marosi e trombe marine cagioni irreparabile naufragio. Ne vi mancano esempi di terribili acquemoti. Sotto il 1253, Benedetto Giovio [fratello di Paolo, visse tra il 1472 e il 1545. La sua opera più importante è una Storia di Como] ne ricorda uno, per cui l’acqua s’avanzava e rifluiva ben 20 cubiti. Il Muralto [Francesco Muralt, autore di Annali della città di Como, in lingua latina], ai 7 luglio del 1505, ne descrive un altro, in cui l’acqua, se è vero, eccedeva ben 100 braccia le rive, e durò molte ore. Uno sensibilissimo ne fu osservato il 1° febbraio 1814, in cui l’acqua salì 8 palmi e 6 digiti, immediatamente decrebbe.
Varia è la profondità di questo lago, calcolandosi tra Varenna e Bellagio di metri 316, alla Pliniana 310, a Dervio 290, fra Grumello e Geno 83, alla Tavernola 100, fra Onno e Mandello 92, al Sasso Mangone sopra Lecco 152, presso Lecco 3.
Un fatto evidente si è il progressivo innalzarsi del pelo di questo lago. Lungo le sue rive si trovano edifici, che rimangono ora di sotto del livello del lago, come singolarmente è l’antichissimo battistero di Gravedona ed il tempio di Lenno. Chiunque poi abbia appena visto la città di Como, sa come, attorno al porto, vi siano portici a mezzo sotterrati, ciò che si osserva in tutti gli edifici antichi dl colà.
Ma una prova evidentissima si ha nel broletto di Como, del quale una parte si fabbricò nel 1215; un’altra vi fu aggiunta nel 1435, che è quella a tre colori, in linea col duomo. Ora i pilastri da questa parte più recente si sprofondano sotto l’attuale pavimento once 9, mentre i vecchi sono sotto once 30. Ecco dunque variato di 21 once il livello della città, nell’intervallo di 220 anni. Nel qual intervallo importa avvertire che fu fabbricato il ponte di Lecco.

II. Delle piene del lago di Como.

Abbiamo già accennato come questo lago, da tanta larghezza, si riduca al solo scaricatore dell’Adda a Lecco. Qualvolta dunque o un improvviso squagliamento di nevi o dirotte piogge continuate portino nel bacino maggior acqua che non ne possa versare l’emissario, quella sollevasi a grande altezza, e inonda le campagne e i paesi litorali, e la città di Como. Delle piene antiche non si ha esatta determinazione. La prima che si conosca, se non con precisione, almeno approssimativamente, è quella del 1673, indicata da lapidi, poste a memoria in varie strade di Como. Sul finire del secolo passato fu affisso nel porto di Como un idrometro, o misuratore dell’acqua, per conoscere le varie altezze; era in braccia milanesi; poi nel 1830 fu mutato in un altro più preciso, a misura di metro; simili al quale ne furono stabiliti altri su vari punti del lago, onde avere la contemporaneità delle osservazioni. Lo zero di questo idrometro è desunto da una magra ordinaria (chiamano magra il tempo d’acqua bassa, e piena l’opposto). Esso zero è sopra il pelo basso dell’Adriatico metri 196. A questo riportando le varie piene, ecco ne le altezze, col giorno in cui furono maggiori, ed in once e punti del braccio milanese:

1663         29 giugno               once   72.-
1792         6 luglio                   »       66.6
1801         22 novembre           »       64.-
1807         2 dicembre             »       61.6
1809         10 giugno                »       55.9
1810         29 maggio               »       74.7
1812         22 ottobre              »       57.9
1816         2 agosto                 »       65.-
1821         14 agosto               »       61.5
1823         18 ottobre              »       68.5
1826         25 luglio                 »       61.7
1829         21 settembre          »       79.7

Di grandi inondazioni nel 1746, 47, 48, 49 e 50 è memoria, e massime nel 1847, per una rupe caduta vicino a Lecco, che costipò l’emissario. Voi vedete che la maggiore di tutte fu quella del 1829, le tiene dietro quella del 1810. In quella del 1829 due terzi della città di Como erano allagati: nel 1810 erano fra tutto il paese inondate 943 case, 528 botteghe, 61 opifizi; 15.766 pertiche di terreno; e i danni furono stimati di 1.931.232 franchi.
Si osservò che, non sopraggiungendo ostacoli o piogge, il lago occupa il doppio tempo a ritirarsi che a crescere, il che mostra chiaramente come tutto il difetto stia nell’emissario. Dopo che il lago esce dal cordone che circonda il porto di Como, alto 41 once sopra lo zero, si fanno due osservazioni giornaliere. Da quelle del 1829 appare che il lago cominciò a crescere sensibilmente l’8 di settembre, in cui era ad once 33, e al mezzogiorno del 21 era ad once 79,7, colmo della piena, in cui rimase stazionaria 5 ore, poi cominciò a decrescere. Dalle ore 8 antimeridiane del 14, alle 11 del mattino seguente, si alzò 0,72 metri, vale a dire più di 15 once in 24 ore. Cresciuto dunque in 12 giorni occupò, per restituirsi al pelo ordinario, giorni 26, cioè fino al 17 ottobre.
La qual piena è ad avvertire come provenisse non da squagliamento di nevi, ma unicamente da piogge.
Sarà facile ad ognuno immaginare la desolazione e i guasti che menano tali allagamenti. Chi principalmente ne soffre è la città di Como, nella quale restano e chiuse le botteghe, e invasi i magazzini, e guasti i pozzi, talché il Comune, aiutato da offerte private e da alte generosità, è
obbligato a dar alloggio ai tanti poveri snidati dai loro piani terreni, vitto a quelli che ne rimangono sprovveduti, acqua poi per tutti, giacche, in mezzo a tanta acqua, soffrono veramente la pena di Tantalo. Perciò il Governo andò più volte a soccorso della Comunità: e nel 1792, Wilzeck venuto a visitare la piena, diede in ristoro dei danni lire 6.000 per parte del Governo, e 24.000 per parte del Sovrano. Anche nella piena del 1801, il cui danno si stimò a lire 86.459, il Governo diede qualche soccorso, e così altre volte.

III. Ripari agli allagamenti del Lario.

Ma il meglio fu pensare a rimedi stabili. La nuda esposizione dei fatti da noi esibita mostrerà come il difetto venga dal non essere l’emissario bastante a versare le piene. All’imboccatura appunto dell’emissario trovasi il ponte di Lecco, il quale fu fabbricato da Azzone Visconti nel 1336 secondo il Fiamma, o nel 1338 secondo il Bugatti, con otto archi e due torri alle estremità. Francesco Sforza lo aumentò, nel 1450, a 18 arcate; Francesco II, dopo la pace col famoso Gian Giacomo de’ Medici, lo distrusse: lo restaurò poi il conte di Fuentes nel 1609, in undici archi, quanti oggi ne conta. Qui dunque il lago, largo molte miglia tra Varenna e Menaggio, presenta una sezione di 130 metri, interrotta dai tanti piloni, attorno ai quali si accumulavano le ghiaie e la melma, opponendo sempre maggiore resistenza allo sfogo. Più ne oppongono due torrenti che sboccano qui presso a Lecco, e che spingendo, come è loro costume, un ventaglio di ghiaia in quel passo già angusto, vieppiù sempre il costipano. Uscita poi di sotto al ponte di Lecco, l’acqua dilatasi ancora in un lago che ha la superficie di 5.040.000 metri quadrati; poi ad Olginate è sostenuto da un gran dicco (el muraion), per dove le barche sono costrette a fare un salto, pericoloso nello scendere, difficilissimo nel rimontare, e lo chiamano la Rabbia. L’acqua rimpaluda poi nel lago di Brivio, che ha una superficie di metri quadrati 1.690.000, finché di sotto a questo paese riprende nome e corso di fiume.
Ma a Brivio stesso, due chiuse sostengono di nuovo in collo il fiume, oltre molti edifici pescherecci, che formano de’ veri scaglioni nella superficie del lago. Ecco la lunghezza di questi tratti e la differenza dei livelli:

Da Pescarenico al ponte di        Lunghezza     Pendenza
     Lecco                                   m    770       m 0,133
Dal ponte di Lecco alla Cap-
     pelletta sopra Olginate         m 5.869        m 0,750
Da essa Cappelletta al Ca-
     sino Cantù nella prima
     isola del lago di Brivio          m 4.850        m 2,225
Da esso Casino alla Casa
    del Molinaccio sotto Brivio     m 5.497        m 0,560

Onde appare che da Lecco
    a sotto Brivio, l’emissario,
    sopra la lunghezza di             m 16.986
ha la pendenza di                                          m 3,668

Non si poté dubitare che l’importanza stesse nello sgomberare questo emissario e nelle antiche imposte del contado di Como si trova che si spendevano ogni anno lire 1000 in comune per scavare le ghiaie al ponte di Lecco. Nel 1747, dopo le inondazioni che accennammo, si distrusse un pilone di ponte, che ingombrava il passo ad Olginate, e si propose di deviare i torrenti Galavesa, Gherghentino e San Rocco, gettandoli a sbucare, non nei siti angusti, ma dove più ampio e profondo fosse il letto. Impediva però le imprese più grandi l’appartenere la riva sinistra ai Veneziani. Perciò il Cristiani molti discorsi fece in proposito col cavalier Morosino, ambasciatore veneto, e molto se ne parlò anche nel congresso di Vaprio, il 1754. Palliativi furono proposti ed eseguiti spesso, un rimedio radicale, mai.
Vieppiù se ne trattò in questo secolo, adoprandovi le cresciute cognizioni idrostatiche; e lavori importantissimi e gravi studi fecero intorno al lago ingegneri di gran merito e di ottime intenzioni; e tutti furono d’accordo nel credere che fosse a provvedere all’emissario. Il miglioramento dell’aria intorno alle paludi, e il risanamento di tanti terreni sarebbero un premio immediato all’abbassamento del pelo ordinario; ma, oltre la pesca, bisogna aver riguardo alle condizioni della navigazione da una parte, e dall’altra all’irrigazione. Per la prima i nostri padri sostennero l’ardita spesa di aprire il naviglio di Paderno e quel della Martesana, acciocché Milano fosse posta in comunicazione col Lario e colle Alpi; per l’altra apersero il canale della Muzza e gli altri, che tramutarono in fertili campagne le nude ghiaie dell’antico mare Gerundio sul Lodigiano e sul Cremasco. Se dunque si desse libero corso all’Adda da Lecco in giù, non si può predire con certezza qual riuscirebbe la navigazione, sì per la rapida corrente in tempi di piena, sì per la troppo bassa acqua nelle magre. E nelle une e nelle altre poteva temersi o scarsità o trabocco nei canali irrigatori.
Queste difficoltà si presentano naturalmente a chiunque appena conosca i fatti da noi esposti. La sistemazione poi dei torrenti, lo sgombro dell’alveo, e l’impedire che più oltre non si costipi, sono problemi che la scienza idraulica d’oggidì, ben sostenuta da generosa larghezza dl mezzi, potrà superare con trionfo.
Due pertanto sono le capitali opinioni intorno a questo progetto: il primo di abbassare assolutamente il livello del lago di Como, onde preparare un bacino più capace alle acque che straordinariamente vi entrassero. Ciò si ottiene collo sbrattare d’ogni impedimento l’emissario, per cui scorrendo maggior volume d’acqua, naturalmente s’abbassa il pelo ordinario. S’opporrebbero a tale progetto i riflessi fatti qui sopra per l’irrigazione e per la navigazione; onde altri in quella vece proponevano che si preparasse uno scaricatore più ampio, da aprirsi solo nel caso di piena, e in proporzione di questa. Ciò sarebbero chiuse grandiose, ai siti più angusti, che potessero all’uopo aprirsi tutte o in parte. Queste fornirebbero il mezzo di tener sempre ad un livello quasi uniforme il lago di Como.

Tocca ai periti dell’arte il vedere e valutare le difficoltà e i mezzi dell’un disegno o dell’altro. Noi qui volemmo soltanto accennarli, come abbiamo detto, per informazione dei lettori nostri. Ai quali intanto annunzieremo come, quel che finora fu soltanto un’idea, or va prendendo corpo. Atteso che superiori decreti nel passato marzo ordinarono che si cominciasse immediatamente lo sgombero dell’emissario alla parte sua più bassa, cioè a Brivio, levandone la chiusa che abbiamo detto, e le tante pescaie [sbarramenti di pietre o altri materiali di riporto, per mezzo dei quali si deviano le correnti dei fiumi consentendo una più facile pesca]; operazione che, condotta con rapidità, ormai è compita. Noi, intenti a tenere informati i lettori nostri di quanto si fa di utile e di grandioso, principalmente nella patria nostra, renderemo conto dell’esito che ebbe quest’operazione, tosto che sia stata messa alla prova del tempo e della piena. La qual prova speriamo che coronerà le generose intenzioni, dalle quali fu ispirato e diretto il progetto.

1821 - BRUSCHETTI, 1.0. Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione-interna del milanese



CAPO I.

NOTIZIE STORICHE DEI SECOLI
ANTERIORI AL XVIII.

Il Milanese preso da’ suoi confini più naturali è quell’ampia provincia dell’alta Italia, che veniva anticamente denominata Insubria, e che resta circondata dalle Alpi, dai laghi di Como e Maggiore e dai fiumi Adda, Ticino e Po. Essa si trova intersecata da diversi altri minori fiumi e laghi; il piano del suo terreno è generalmente inclinato da settentrione a mezzogiorno: verso il lato di mezzogiorno ha una seconda pendenza abbastanza marcata da occidente ad oriente; e le acque correnti vi hanno generalmente il loro letto dalla natura scavato a seconda di questa doppia pendenza. Il centro poi di un tal piano è occupato da tempo immemorabile dalla città di Milano, capitale della provincia.
Anticamente era Pavia la sola città del Milanese che godesse il vantaggio di un’estesa navigazione. Posta sul Ticino e presso lo sbocco di questo influente del Po, essa aveva naturalmente aperta la comunicazione per acqua da una parte col Lago Maggiore che confina colle Alpi, e dall’altra coll’Adriatico da cui si passa a tutti i porti del mondo. Per trarre partito da questa situazione bastava il genio del commercio e della navigazione comune a tutti i popoli liberi; e difatti la navigazione del Po e del Ticino, come anche quella dei laghi e dei tronchi navigabili di qualche altro fiume, fu di tutti i tempi di civile libertà per il Milanese.
La città di Milano situata nel centro di pianura di questa provincia, e non bagnata da alcun lago o fiume navigabile, non poteva presentare per se stessa un simile vantaggio al commercio; ma alla mancanza della natura doveva supplire col tempo un industria particolare dei popoli, assecondata dall’interesse de’ governi, e talvolta ancora dalla liberalità dei principi.
Il primo cenno a questo riguardo si ha in Landolfo Seniore, autore vissuto nell’undecime secolo. Secondo questo storico il canale di scolo e di irrigazione che va da Milano al Lambro sotto il nome di Vecchiabbia ha servito in tempi molto rimoti alla navigazione.[1] Gli eruditi parlando del fiume Lambro riferiscono altri passi che si potrebbero credere per indizio della medesima cosa. E difatti probabile, che nel Porto[2] anticamente esistente allo sbocco del Lambro in Po alcune merci venissero scaricate dalle navi soltanto per farle viaggiare di là sul Lambro in barche minori, e non già per trasportarle nell’interno del paese per la via di terra, come taluno ha voluto affermare per ricavarne una induzione affatto contraria.[3]
Ma con tutto ciò, se anche si volesse concedere che il Lambro, realmente navigabile dal Po fino a Sant’Angelo ad una data epoca non molto remota,[4] lo fosse pur stato superiormente fino a Melegnano verso lo sbocco della Vecchiabbia, quale appoggio ne viene all’opinione di Landolfo? Non sarà ancora un problema la navigazione di questo ultimo canale sino a Milano, a motivo e dell’eccessiva caduta del terreno in cui è scavato il suo letto, e del moderato corpo d’acqua disponibile a Milano per il medesimo oggetto? Queste circostanze dovevano pur rendere impraticabile prima dell’invenzione del sostegno una navigazione continuata da Milano al Lambro nell’alveo della Vecchiabbia, comunque da altri sull’autorità di Landolfo si ritenga questa navigazione perduta in secoli posteriori.[5] Noi pertanto nel dubbio che tale navigazione abbia esistito soltanto nell’opinione degli uomini, ci limitiamo a stabilire che rimonta fino ai tempi di Landolfo l’idea di rimediare al difetto di Milano colla comunicazione per acqua da detta città al Lambro, e dal Lambro al Po.
I tentativi e le opere che dovevano far sentire alla città di Milano i primi vantaggi di una navigazione artificiale sono dei tempi della Repubblica Milanese e della Signoria dei Torriani; difatti è al cadere del secolo 12.o ed al principio del 13.° che furono derivati dai fiumi Adda e Ticino i due più grandi canali che ora siano inalveati nell’interno della provincia milanese. Il primo, situato all’oriente di Milano e detto dianzi Nuova Adda e poi Muzza, fu diretto fin da quelle epoche verso la città di Lodi, e sotto lo stesso nome continua a servire all’irrigazione e ad altri usi.[6] Il secondo, posto all’occidente di Milano e detto in origine Ticinello, fu condotto fin verso Pavia,[7] ed era destinato a dare nascita al primo esempio de’ canali navigabili del mondo moderno. Veramente non si saprebbe precisare l’anno in cui il Ticinello per la prima volta si è fatto servire in tutto o in parte alla navigazione, ma è noto che nel 1253 una diramazione del Ticinello si produceva da Castelletto di Abbiategrasso sino alle terre di Gaggiano e di Trezzano col nome di Naviglio di Trezzano.[8] È pure noto che verso il 1267 la stessa diramazione si prolungò fin presso Milano, ed era anche distinta col nome di Naviglio di Gazano.[9] Questo nome di Naviglio indica che fin da quell’epoca qualche uso si faceva del canale Ticinello per una comunicazione. È poi certo che prima del termine dello stesso secolo 13.° il medesimo canale sotto il nome di Naviglio Grande era già adattato all’uso della navigazione continuata e libera dal Ticino fin presso Milano. Esso conteneva le botti sotterranee, i scaricatori a paraporti ed altri artifizi che suppongono la cognizione de’ primi principj dell’idrostatica.[10] E mentre le opere consimili del mondo antico erano perdute per sempre, mentre i canali dei Chinesi di tutte le età non potevano offrire all’Europa alcun lume dal loro inaccessibile impero celeste, si potrà anche dire a gloria dell’italiana industria, che il Naviglio Grande presentò alle successive imprese dello stesso genere un modello superiore alle idee ed ai mezzi de’ tempi.
I vantaggi arrecati da questo canale al Milanese, indipendentemente da quelli di un’immensa irrigazione e di altri usi delle acque, sono incalcolabili. L’aperta navigazione tra Milano ed il Lago Maggiore non si limitò a facilitare i trasporti del piccolo commercio che si faceva prima per la via di terra da quella parte del Milanese colla Capitale. Essa vi diede vita ad un’infinità di nuovi rami di commercio, vi contribuì sensibilmente alla felice rivoluzione avvenuta appunto a quell’epoca nella sua agricoltura, e vi ebbe un’influenza diretta sull’origine e sui progressi di tutte le altre arti ora divenute nel suo seno famigliari. Per essa difatti acquistarono un valore i boschi, di cui la natura aveva rivestito estesissime vallate che sboccano al Lago Maggiore. I loro prodotti trasportati a Milano facilmente e in gran copia hanno potuto supplire ad una quantità di boschi che ingombravano la pianura ne’ dintorni di questa città e degli altri abitati vicini alla linea del canale. Il terreno del piano, reso invece alla libera disposizione del coltivatore, ha dato in cambio alla parte montuosa i grani e gli altri generi, di cui poteva abbisognare per accrescere la sua popolazione. Nella stessa maniera furono anche somministrate alle altre arti le materie prime che si incontrano lungo il promontorio del Ticino o nei monti che circondano il Lago Maggiore, e così in Milano hanno avuta un’esistenza i principali monumenti d’ogni genere che ora vi si ammirano. In una parola, il Naviglio Grande, fin dall’epoca in cui fu usato la prima volta per la comunicazione dal Ticino a Milano, è divenuto la prima ricchezza del Milanese.
Si aggiunga a tutto ciò che, ultimata la costruzione del Naviglio Grande e praticata la sua navigazione, non fu più impossibile la continuata comunicazione per acqua da Milano al Ticino, al Po, al mare, e viceversa. Ma questa non poteva presentare gran vantaggio al commercio del Po con Milano, perchè conduceva sopra una via troppo lunga, troppo indiretta e meno conveniente del trasporto di terra anche per la difficoltà di rimontare Ticino, che è molto rapido fin presso il suo sbocco verso Pavia. Inoltre dopo l’esempio del Naviglio Grande, la semplice idea di tirare dei canali navigabili da Milano ad altri punti del Milanese era facile e naturale; e volendo disporre per quest’oggetto delle acque dei fiumi e laghi dell’alto Milanese, non era forse più impossibile nemmeno il radunare verso Milano il corpo d’acqua necessario a sostenere una qualche navigazione in un canale continuato da Milano al Po senza l’uso di alcun sostegno. Niuna maraviglia pertanto se nelle memorie del secolo 14.° si trova espresso e rinnovato nel Milanese il pensiero di rendere navigabile il canale Vecchiabbia e il fiume Lambro per unire Milano al Po,[11] e se alla stessa epoca vi si trovavano in campo e lo Statuto provinciale che prescriveva di procurare la navigazione da Milano a Venezia, e quell’altro Statuto che ordinava la costruzione di un canale dal fiume Tresa a Milano,[12] e l’idea di formare un vero naviglio del canale scavato di que’ tempi fra le due città di Milano e Pavia,[13] ed altri simili progetti.
Ripetiamo adunque, che queste idee erano divenute naturali nel Milanese a quell’epoca; ma ciò che interessa la storia dell’arte è piuttosto di sapere se realmente è stata aperta fin d’allora una continuata navigazione dal commercio frequentata fra Milano ed il Po per la via del Lambro, od anche fra Milano ed il Ticino per altre vie che presentassero a una data distanza una grande differenza di livello dei punti estremi. Ora tutte le memorie storiche spettanti a quel secolo 14.° fissano bensì l’epoca della prima escavazione del succennato canale da Milano a Pavia, detto Naviglio di Pavia,[14] ma tale denominazione di Naviglio essendo fin d’allora passata in Lombardia a dinotare anche molti grandiosi canali di semplice irrigazione, resta dubbio primieramente se quel di Pavia del secolo 14° fosse ridotto realmente ad uso di navigazione, come si crede dalla comune degli scrittori.[15] In nessun luogo autentico poi dichiarandosi il Naviglio di Pavia de’ tempi dei Visconti prolungato sino allo sbocco in Ticino, non può supporsi questo arbitrariamente cogli stessi scrittori[16] per attribuire ad altri secoli la gloria di aver aperta la comunicazione per acqua da Milano al Po per la via più breve e diretta. Si abbia adunque per certo soltanto, che nel secolo 14.° non si perdeva di vista l’importanza di una tale comunicazione per il Milanese.
Nelle memorie del secolo 15° e specialmente in quelle risguardanti il Principato degli Sforza si incontrano delle notizie più, positive sulle opere e sui tentativi di estendere la navigazione artificiale del Milanese; ma non sempre ancora quante bastino per avere delle cose idee esatte e precise.
E primieramente dalla maniera con cui sono espressi i libri e le scritture di quel secolo si ha un complesso di indizi sufficente a determinare fra certi limiti l’epoca di alcune opere dirette ad ottenere sopra diramazioni del Naviglio Grande un qualche barcheggio da Milano al Parco ed al Castello di Pavia, da Milano ad Abbiategrasso e a Bereguardo, da Milano a Cusago e ad altre antiche Ville ducali del basso Milanese. È abbastanza dichiarata l’idea di far servire queste opere al comodo speciale del Duca per i trasporti bisognevoli fra la Capitale e le proprie Ville. Si ha inoltre dagli stessi documenti una prova dei desiderj di una serie di principi Sforza per rendere stabili tali comunicazioni per acqua da Milano a tutti gli indicati punti;[17] ma non è mai che si incontri un sol passo di quell’epoca in cui si dica veramente stabilita e praticata la navigazione su alcun ramo del Naviglio Grande a beneficio del pubblico; anzi si trova che successivamente, e in tempo delle guerre sopravvenute in paese sotto gli ultimi Sforza, era già perduta ogni sorta di navigazione precedentemente tentata od attivata sulle direzioni di Pavia, Bereguardo ec., dove per vestigia erasi appena conservata qualche strada dell’alzaia detta Stradella del Signore intendendosi del Duca di Milano, e avente a lato qualche cavo detto Naviglietto, benchè affatto inservibile alla navigazione.[18]
Più fortunata sotto gli Sforza fu l’impresa di derivare circa l’anno 1457 dai fiume Adda il canale detto Naviglio della Martesana, ed anche Naviglio Piccolo per distinguerlo dell’altro denominato Naviglio Grande, e condotto a un tratto sulla direzione di Milano a sfogare le acque residue nel fiume Lambro.[19] Quest’opera, che verso l’anno 1460 arrecava già fra gli altri suoi vantaggi quelli della navigazione a un’esteso territorio posto all’oriente di Milano, conteneva anche molti perfezionamenti dell’arte che tuttora fanno fede del talento del suo architetto Bertola da Novate, ingegnere ducale sotto i principi Sforza Francesco i.o e Galeazzo Maria.[20]
Fra i pregi più positivi dell’opera si possono annoverare generalmente il luogo scelto per l’incile del canale nella sezione del fiume Adda immediatamente sotto il castello di Trezzo, e la linea seguita col canale medesimo costeggiando l’Adda fin presso Cassano e di là risvoltando in mezzo alla pianura fin verso Milano. Difatti posteriormente alla prima costruzione dell’opera questi due elementi, della linea e dell’incile, non hanno mai sofferto sinora variazione notabile ed indicano tuttavia gli studi del primo architetto per adattarsi agli usi moltiplici del canale. La presa dell’acqua dall’Adda venne assicurata colla fabbrica di una chiusa attraversante quasi tutta la sezione del fiume in direzione alquanto obbliqua al filone delle acque e formante imboccatura all’incile del canale. La sponda di quest’incile fu tenuta alquanto bassa onde farla servire di grande e immediato diversivo a fior d’acqua in tempi di piene. Sulla sponda del canale inferiormente susseguente furono sparse varie tratte di bassi argini detti livelli o travacatori per ottenere un qualche altro debordo naturale delle acque esuberanti in canale nelle stesse occasioni. A maggior sollievo delle piene del naviglio vennero aperti sulla medesima sua sponda, a sito a sito della linea, come al Naviglio Grande, i così detti scaricatori a paraporti, che sono sfogatoj colla soglia sensibilmente più bassa del fondo del canale navigabile, e muniti delle opportune chiaviche per tenere questo meglio regolato nel suo corpo d’acqua, e netto in ogni suo punto dalle materie fluviali. Il sistema di questi edifizi al Naviglio della Martesana risultò fors’anche più ben inteso nella vista che l’effetto di ciascun di loro termini dove quello dell’altro susseguente comincia. La distribuzione della pendenza del terreno su tutta la linea del canale fu pure consentanea in origine al suo corpo d’acqua ed ai diversi fini della navigazione, della irrigazione, del movimento d’opifici e simili; e se in ciò vi si trovarono posteriormente dei difetti, questi, come vedremo, procedettero meno da mancanze del suo primo architetto che da variazioni e da arbitrj degli uomini sopravvenuti ad alterarne il piano. Finalmente nella costruzione delle botti sotterranee vi si è continuato a far buon uso del principio idrostatico che l’acqua si libra allo stesso livello ne’ due rami di un sifone; ed il ponte-canale in tre archi all’incontro del torrente Molgora ha compito per molto tempo il suo uffizio senza bisogno di essere rinnovato, e fu il primo ponte-canale di grandi dimensioni applicato alla navigazione.
Qui pure si può aggiungere, che l’oggetto del Naviglio della Martesana nel rapporto della navigazione non fu semplicemente di unire Milano all’Adda, ma anche di servire alla più estesa comunicazione per acqua da Milano al Lago di Como per mezzo di altre opere progettate da farsi intorno a quel fiume. Vari tentativi sono stati realmente diretti nello stesso secolo 15.° ad avere navigabile il fiume Adda per un’estesa tratta all’oriente di Milano,[21] come ai lati di occidente e di mezzogiorno lo erano naturalmente il Ticino ed il Po; ma su tal punto si sa dire soltanto, che i progetti dovevano ridursi a quello di rendere in qualche modo navigabile tutto il letto del fiume Adda da Brivio a Trezzo, ed all’altro di distaccare dallo stesso fiume al paese di Brivio un apposito canale navigabile tracciato in modo da legarsi col Naviglio della Martesana verso Milano. Del resto gli sforzi fatti a quell’epoca per tale oggetto, qualunque essi fossero, ben presto sono andati interamente a vuoto.[22]
Contemporaneamente ai progetti, tentativi ed opere sin qui accennate come cose eseguite nel Milanese al secolo 15° dietro l’esempio e l’esperienza del Naviglio Grande, una circostanza particolare interessava specialmente la comunicazione per acqua dal termine di tal canale sino al piede del Duomo di Milano; e ciò era la condotta dei marmi che venendo dal Lago Maggiore si dovevano adoperare nella fabbrica del Duomo medesimo. A questo proposito gli eruditi ci assicurano che il passaggio dal Naviglio Grande all’inallora fossa di fortificazione di Milano, sino ad un punto vicino al Duomo, si ottenne per molto tempo colle sole acque disponibili verso il centro di Milano e di un qualche congegno usato per salire colle navi dal piano del sobborgo antico di Porta Ticinese al piano più elevato del seno così detto il Laghetto presso la Chiesa di S. Stefano Maggiore.[23] Arrivate le navi presso l’altro seno consimile, che esisteva davanti la Chiesa di S. Eustorgio sull’estremità del Naviglio Grande ove si trova di presente la Porta Ticinese di Milano, si praticava in dati giorni ed ore meno incomode di sospendere le ordinarie dispense d’acqua dal Naviglio Grande verso Milano. Laonde s’incominciava a farvi rigonfiare l’acqua sino a una certa altezza da potere, rimontando, ridurre dentro il detto seno di S. Eustorgio le barche cariche. Si formava poscia di sotto al Laghetto medesimo di S. Eustorgio una chiusa posticcia che toglieva ogni comunicazione fra le sue acque e quelle del Naviglio Grande. Si introduceva finalmente nel tronco di canale e di fossa che univa i due succitati seni tutta l’acqua disponibile, e questa trovandosi arrestata dalla chiusa innalzava a poco a poco il suo pelo insieme alle barche galleggianti sino al piano del Laghetto tuttora sussistente presso la Chiesa di S. Stefano Maggiore. A questo punto potevano per tal modo avviarsi le barche cariche di marmi destinati alla fabbrica del Duomo, e della medesima occasione potevano approfittare anco i privati per fare ascendere e tradurre in acqua fin sul limitare dei magazzini di città i generi di commercio del Naviglio Grande e del Lago Maggiore. Fu abbandonata col progresso di tempo questa pratica che ripeteva la sua origine dal principio della fabbrica del Duomo di Milano sotto Gio. Galeazzo Visconti, e che doveva riuscire molto incomoda e dannosa anche perchè portava la frequente sospensione delle irrigazioni e degli altri usi delle acque dei dintorni di Milano; ma qui non si saprebbero veramente precisare tutte le epoche a cui si riferiscono le altre pratiche sostituite, i vari miglioramenti e le successive aggiunte fatte a quella prima rozza maniera di comunicazione. Pare per altro assai probabilmente che da una simile occasione siansi sviluppate le prime idee che nel Milanese condussero gli architetti alla mirabile invenzione del sostegno. Difatti invece di costruire e distruggere ogni volta una grandiosa chiusa provvisoria ad ogni passaggio di barche per operare la succennata comunicazione, si è presto pensato a porre in uso qualche stabile artifizio.[24] All’uopo specialmente dev’essersi allora immaginato una chiusa permanente che potesse aprirsi e serrarsi sul canale secondo il bisogno; e quest’altra chiusa dev’essere stata nella prima idea una semplice porta o pescaia, in qualche modo amovibile dalla sua posizione sì attraverso il canale, che in sponda del medesimo, e per avventura non dissimile dalle antiche cateratte di cui ci parlano sovente gli scrittori.[25] Per la situazione poi del nuovo artifizio si è ritrovato più comodo il luogo così detto Viarenna negli antichi sobborghi meridionali di Milano, ove anche attualmente si opera il passaggio della navigazione dal Naviglio Grande alla fossa di città per mezzo di un sostegno e di un superior tronco di canale aperto allora per la prima volta. Nel meditare successivamente intorno al nuovo mezzo di comunicazione usato al luogo di Viarenna a Milano, era divenuta naturale anche la riflessione, che l’artifizio di un’unica chiusa permanente vi richiedesse tuttavia un consumo di acqua, di tempo e di spese troppo notabile sì per riempirvi l’alveo superiore da percorrersi nell’ascesa delle barche dei marmi, come per vuotarlo nella discesa delle medesime barche al loro ritorno nel Naviglio Grande. Inoltre dacchè i privati avevano cominciato a cavare qualche profitto dall’aperta comunicazione tra il Naviglio Grande e la fossa della città di Milano, si doveva pur sentire il bisogno di praticare in sito opportuno qualche altra chiusa consimile a quella di Viarenna. Il suo oggetto era di tenere rigonfiata l’acqua nella fossa di città a sostenervi la navigazione durante gli intervalli del tempo, in cui l’unica chiusa di Viarenna, dovendo aprirsi e stare aperta per i passaggi delle navi della fabbrica del Duomo, vi abbassava il pelo d’acqua sino a lasciare in difetto il barcheggio dei privati cittadini. Sono queste particolari circostanze della città di Milano che devono realmente aver dato origine all’idea ed alla costruzione di una seconda chiusa sulla breve tratta di canal navigabile che unisce la sua fossa col Naviglio Grande. Finalmente l’uso continuato anche per poco tempo di quelle due chiuse, situate fra il luogo di Viarenna ed il Ponte de’ Fabbri a Milano, deve avervi suggerito l’idea generale delle chiuse ravvicinate a due a due per limitare maggiormente lo spazio in cui effettuare l’innalzamento ed abbassamento di un pelo d’acqua pel passaggio delle barche da un piano all’altro, e per assicurare costantemente la navigazione delle tratte di canale superiori ed inferiori al detto spazio. Infatti consultando gli storici de’ tempi del duca Filippo Maria Visconti noi troviamo che, parlandosi di artifizi per ottener quest’intento, se ne conosceva qualcheduno designato per nuovo. Esso era probabilmente quello stesso che prima di eseguirsi in grande fu esperimentato in piccolo sul canale anticamente conosciuto sotto il nome di Redefossino; canale che cingeva il giardino del Castello di Milano ed occupava prossimamente il luogo dell’attual Roggia del Castello che si dirama dal Naviglio della Martesana sulla destra presso le mura di Milano. Di più alla stessa epoca per artifizio della stessa natura è citato il nome di Conca passato in uso posteriormente in Lombardia per indicare un bacino formato sopra un canal navigabile da due chiuse poste a certa distanza fra di loro e destinato a farvi alzare ed abbassare di livello le barche galleggiami. Sappiamo poi di certo che fin dagli ultimi periodi del regno di Filippo Maria Visconti l’artifizio costrutto ed usato al succennato punto di Viarenna a Milano, per passare colle navi dal livello dell’estremità del Naviglio Grande al livello più elevato della fossa di fortificazione di quella città, si chiamava appunto Conca, come si è sempre chiamato dappoi e si chiama tuttora; per cui si può ritenere che la Conca di Viarenna, posta in esecuzione nel Milanese alla prima metà del secolo 15°, è veramente la prima tra le conche a noi note. Il merito di esserne stati gli architetti, secondo le poche memorie storiche che ci restano di que’ tempi, sembra doversi attribuire agli ingegneri ducali Filippo da Modena, soprannominato dagli Organi, e Fioravante da Bologna; e non già, come per una specie di tradizione comunemente si crede fra noi, al Lionardo da Vinci venuto ingegnere ducale a Milano soltanto circa un secolo dopo la prima costruzione della Conca di Viarenna.[26]
Oltre all’oggetto delle condotte per la fabbrica del Duomo di Milano essendosi atteso nel Milanese a quelle epoche stesse anche ai progetti di ridurre navigabile l’intera fossa di Milano, di continuare il Naviglio della Martesana sino ad unirsi col Naviglio Grande presso Milano, di mettere in una comoda comunicazione il Lago di Como con Milano, di diramare stabilmente dal Naviglio Grande i canali navigabili subalterni e diretti ad unire Milano con Pavia, Bereguardo e simili luoghi della provincia; tutte queste idee rimesse in moto, e coltivate incessantemente ne’ tempi pacifici del Principato, dovettero pur somministrare altrettante occasioni di arrivare all’invenzione della conca.
Per venire intorno a ciò a qualche maggiore dettaglio, si potrebbe accennare in primo luogo l’ordine dato dal duca Filippo Maria Visconti ai due ingegneri ducali nominati di sopra, che portava di eseguire la detta opera di rendere navigabile la fossa di fortificazione di Milano in tutta la sua estensione. In secondo luogo andrebbe rammentato il passo storico del 1445, in cui si parla chiaramente della Conca di S. Ambrogio verso Porta Vercellina di Milano, che si incontra tuttora nella stessa località della fossa. Questa, resa allora navigabile, fu distinta col nome di Naviglio Ducale, e lo ha poi cambiato successivamente in quelli di Fossa interna, Naviglio interno, o semplicemente Naviglio della città di Milano.[27] Similmente riguardo all’opera dell’ultimazione del Naviglio della Martesana fino all’antico alveo del Seveso si potrebbe riferire, che quando furono avanzati fin presso l’alveo del fiume Lambro i lavori di quel canale sotto la direzione di Bertola da Novate, si trovarono indispensabili le fabbriche di conca per passare colla navigazione ai differenti piani del terreno. Di qui che ai tempi di Galeazzo Maria Sforza, e più precisamente agli anni 1470 e 1471, si parlava della Conca di Gorla che doveva essere eretta presso il paese di questo nome situalo sulla linea del canale fra i punti d’incontro del fiume Lambro e del torrente Seveso.[28] Relativamente all’unione dei due Navigli resi navigabili il primo sino al punto più basso, il secondo fino al punto più alto del piano della città e dintorni di Milano, era la differenza di livello fra questi estremi tanto rilevante da non potersi distribuire uniformemente la caduta del terreno sopra di un sol tronco di canale intermedio senza perdere il comodo della continuata navigazione dall’uno nell’altro canale. Anche qui pertanto la difficoltà di questa progettata unione consisteva principalmente nell’applicare gli opportuni artifizi di conca per moderare a piacimento la pendenza del terreno da consumarsi. Per rispetto alla linea da seguirsi, invece di disegnarla in qualche distanza da Milano senza giungere a lambire le antiche mura di questa città, trovandosi già eseguito il Naviglio-interno nella sua fossa di fortificazione, era naturale di far servire il Naviglio medesimo per anello dell’ideata unione col semplice prolungamento del Naviglio della Martesana precedentemente prodotto fin all’incontro del torrente Seveso. Nella realtà poi a questa tratta di canale venne veramente posta mano fin da quell’epoca. Il Naviglio della Martesana fu prolungato dal punto d’incontro del torrente Seveso sino alle mura di città; e per quest’opera si richiesero pure varie conche, una delle quali si trova nominata sin da que’ tempi, ed, è l’attuale Conca di S. Marco.[29] Circa al succitato progetto della navigazione dell’Adda, allora appena nato nel Milanese, anch’esso deve aver condotto gli architetti a fare degli studi particolari sul modo di applicarvi utilmente l’invenzione della conca, comunque su questo punto non si potrebbero riferire che congetture. Finalmente intorno ai tentativi di quei tempi per rendere navigabili i due Canali di Pavia e di Bereguardo, che vennero posteriormente abbandonati, era pure indispensabile l’artifizio per far rigonfiare l’acqua e avere il comodo della navigazione. Ora, dietro le memorie storiche del secolo 15° ed i vestigi di fabbriche che ne erano rimasti qualche secolo dopo, si può presumere assai ragionevolmente che anche su quei canali sia stata applicata ed usata la vera conca a chiuse raddoppiate, come al passaggio di Viarenna.[30]
Non ostante però tutte queste occasioni favorevoli al perfezionamento della conca, che si presentarono ad una stessa epoca nel Milanese, l’andamento fissato dalla natura alle grandi invenzioni è sempre tale, che esse passano successivamente per molti gradi intermedi prima di arrivare a quella perfezione che lascia poco o nulla da desiderare. Così anche l’artifizio detto conca, nel Milanese immaginato e messo in opera per la prima volta sotto gli ultimi Visconti, sarà stato in origine assai rozzo ed incomodo per la navigazione poco meno del traghetto di terra. È pure molto probabile che successivamente, durante la Repubblica precedente all’innalzamento di Francesco i.° Sforza al ducato di Milano e durante la maggior parte del principato Sforza, la conca abbia ricevuto nel Milanese e nelle altre province italiane, soltanto a poco a poco, quegli ulteriori miglioramenti che unicamente potevano ridurla un mezzo semplice per passare con facilità da un tronco all’altro di canale in cui le acque siano a differente livello; ma è cosa certa che essa alla fine diventò la più bella scoperta che onori l’architettura delle acque in Italia. Difatti costituita una volta la conca in due chiuse amovibili, ognuna delle quali attraversi il canal navigabile ad una breve distanza per dar luogo nel mezzo ad una o al più due barche, che, senza sortir dall’acqua, si fanno passare a due differenti livelli; colpito cioè nella felice idea della chiusa raddoppiata, o per meglio dire delle chiuse riavvicinate ed accoppiate a due a due, non si è tardato ad aggiungere alla conca molte altre particolarità, che contribuirono ad accrescerne i pregi e la resero un ritrovato di uso e vantaggio universale. Hanno quindi avuta origine le chiuse da sostegno assortite in due porte di moderata larghezza, onde renderle più maneggevoli di quelle formate di un sol pezzo, e più comode di quelle suddivise in molti pezzi. L’eccessiva caduta del terreno da consumarsi coll’uso della conca, invece di lasciarla uniformemente distribuita sopra piani inclinati tutt’al lungo del letto del canale, fa ridotta a smaltirai fra i due ordini di porte della conca stessa onde poter diminuire innocuamente l’altezza del letto navigabile del canale, come pure quella del superiore ordine di porte così detto le portine, a differenza dell’inferiore denominato i portoni. Questa caduta così smaltita in piccola tratta, venne inoltre data per salto immediato che staccasse come in due tronchi il canal navigabile, onde disporre il bacino della conca col fondo orizzontale acciò le barche vi potessero in ogni tempo galleggiare. Il ripiego del salto a gradinata a qualche conca delle più profonde fin allora usate non è stato risparmiato per ammorzare la violenza dell’acqua cadente in bacino. La disposizione angolare delle porte da conca così dette insteccate fu scelta per ottenere da esse maggior resistenza alla corrente dell’acqua contro cui si richiudono. Il loro movimento sopra perni fissi si è adottato come uno de’ più facili ad effettuarsi, e le loro finestrelle praticate nelle stesse porte si sono usate per dare o chiudere il passaggio all’acqua d’entrata e sortita dal bacino in un modo semplice. I condotti aperti nelle grossezze delle muraglie muniti da porticelle amovibili vennero riconosciuti per un altro modo di operare o di accrescere quest’efflusso dell’acqua durante l’empimento e vuotamento dei bacini. I ponti annessi solitamente alle conche furono eretti attraverso il canale al luogo della sboccatura dei bacini, affinchè servissero alla più comoda comunicazione dall’una all’altra parte del canale e della conca. Per ultimo lo scaricatore o diversivo laterale o superiore al bacino fu aggiunto comunemente alla conca per rendervi utile la caduta al movimento d’opifici, e nel tempo stesso per variare a volontà il corpo d’acqua che deve presentarsi davanti le portine ad empire più o meno celeremente il bacino stesso e convogliare innocuamente in canale grossi corpi d’acqua oltre quello bisognevole alla navigazione. Fra le altre adunque, tutte le accennate sono tante proprietà della conca usata in Italia al secolo 15° per continuare la navigazione in mezzo a terreni di livello molto ineguale, e per cui l’arte di navigare da basse pianure alle vette de’ monti si ridusse fin d’allora al semplice movimento di una barca tirata orizzontalmente nell’acqua e ad una meccanica regolata da un sol uomo per passare da un piano all’altro. Del resto, come avviene delle grandi scoperte in tutte le arti e scienze, anche in architettura idraulica la conca, i molini ad acqua e a vento, la macchina a vapore e simili invenzioni, non hanno avuto un sol primo inventore; la loro origine è stata ordinariamente il frutto dell’industria di una intera nazione; la loro perfezione, il prodotto degli ingegni di tutte le nazioni; quest’ultima poi è sempre relativa ai mezzi conosciuti, i quali si accrescono e si migliorano anch’essi col tempo. Ma intanto se di tutte le grandi scoperte si possono fissare epoche distinte corrispondenti alle relative opere rimaste col tempo, l’applicazione della conca che si può additare per la più celebre fra quelle del secolo 15° è ancora il Naviglio della città di Milano, intorno alla cui solida ricostruzione ed ulteriore perfezionamento deve essersi particolarmente occupato l’ingegnere di Lodovico il Moro, il grande Lionardo, come si può arguire da qualche sua scrittura originale ed abozzi di disegni attinenti a conche, che tuttora si conservano nella Bibilioteca Ambrosiana di Milano.[31] In sostanza poi il Naviglio di questa città al 1497[32] già compito colle sue conche come si vede di presente, cioè legato per la navigazione da una parte col Naviglio della Martesana derivato dal fiume Adda, e dall’altra col Naviglio Grande, col Ticino, col Po e col Lago Maggiore, ed usato per gli altri bisogni di irrigazione, movimento d’opifici, ornamento di giardini e simili, divenne l’opera superiore ad ogni altra nella storia dell’arte, poichè fra tutte quelle dello stesso genere eseguite in Italia al secolo 15° era forse la più utile e la più atta a servire di modello alle consimili costruzioni intraprese ne’ due secoli a quello immediatamente posteriori in seno dell’Italia stessa, dell’Olanda, della Fiandra, della Francia e di altre parti d’Europa.[33]
Essendosi per tal modo riparato alla meglio il difetto fisico di situazione della città di Milano prima del secolo 16.°, e mercè l’invenzione della conca, dappoi più generalmente denominata sostegno, non essendo nemmeno l’assai rilevante differenza di livello dei terreni un ostacolo insuperabile all’esecuzione di molti utili progetti di canali navigabili, restava ai popoli milanesi di desiderare la costruzione di varie opere perdute o ideate di nuovo per estendere in diverse parti della loro provincia la rete di navigazione-interna, a quell’epoca già formata dal Lago Maggiore, dai fiumi Ticino e Po, e dai canali Naviglio Grande e Naviglio della Martesana, che termina col Naviglio della città di Milano.
Al principio del secolo 16.o nel Milanese, per mancanza di mezzi economici disponibili dal suo governo, non si è potuto coltivare subito una simile idea; anzi gli sforzi dei popoli per mantenere in buono stato il sistema della navigazione-interna sin allora stabilitovi felicemente, non furono corrispondenti ai bisogni dei propri Principi che si trovavano all’epoca della loro decadenza. Difatti il commercio dei canali del Milanese era divenuto per se stesso un articolo rilevante delle entrate ducali a motivo dei dazi ordinari imposti sulle merci, che naturalmente affluivano in maggior copia nello stato per godervi il vantaggio della navigazione non offerto dagli Stati vicini; inoltre i dazi particolari detti della catena e della conca, istituiti originariamente sulle merci e prodotti navigati per esonerare la Camera dalle spese di riparazione e manutenzione dei canali medesimi, furono all’istess’epoca cambiati in semplici diritti di navigazione devoluti al Principe, e quindi regolati dietro tariffe fissate sulla norma di tutti gli altri diritti consimili per sostenere i bisogni dello Stato e del Principe stesso; finalmente a quell’epoca per una determinata somma fu pure fatta vendita dal Principe al Comune di Milano della proprietà del Naviglio Grande, quantunque questo fosse stato costrutto a spese della Repubblica Milanese più secoli addietro; ma dopo aver esaurite tutte queste risorse, una buona porzione delle acque dei canali milanesi necessarie alla loro navigazione venne ancora separatamente alienata dallo stesso Principe sia per far denari, sia per procurarsi il favore di persone e famiglie potenti.[34]
Vinti del tutto successivamente i principi Sforza, Francesco i.° Re di Francia si trovava nel 1516 tranquillo possessore del Milanese e degli altri Stati che formavano il Ducato di Milano, allorchè tale città fece ricorso a quel Monarca perchè favorir volesse la costruzione di un nuovo canale navigabile da scavarsi laddove si sarebbe dopo diligente esame deciso che più facile ne dovesse riuscire l’opera e più estesa l’utilità. In tale occasione il Re di Francia rilasciò in dono alla città di Milano dieci mila annui ducati, destinondone la metà alla costruzione dell’opera desiderata. Seguita tale disposizione sovrana dall’interinazione del Senato, venne ordinata alla città di Milano la elezione di persone idonee e perite da incaricarsi di una simile impresa, e specialmente di rimettere i piani dei lavori al Senato per l’opportuno esame. Delegati in seguito alcuni nobili e gli ingegneri Bartolomeo Della Valle e Benedetto De Missaglia a portarsi alla visita di tutta la catena dei colli dell’alto Milanese per determinare dove e come si avesse a derivare il nuovo canale, è stata eseguita una revista generale di tutti i progetti di nuovi canali navigabili fisicamente possibili per il Milanese onde scegliere il più conveniente. Nella circostanza di quella pubblica commissione che potrebbe servire di modello per altre province, fu primieramente esaminato se facendo uso dell’acqua dei laghi di Oggionno, di Pusiano, di Alserio conveniva rendere navigabile il fiume Lambro oppure derivare da esso un canale diretto a Milano. Si è passato inoltre ad osservare se da qualche punto del Lago di Lugano si poteva trarre acqua sufficente a tale intento. Non isfuggì l’idea della navigazione del fiume Tresa cha unisce i laghi di Lugano e Maggiore. Non si è neppure lasciato di riflettere al modo di servirsi delle valli e delle acque della Molgora, del Seveso, della Lura e dell’Olona. Ma ora la scarsezza dell’acqua disponibile, ora le gravi spese per superare la difficoltà del terreno, ora la minore utilità sperabile, sono i motivi addotti a quell’epoca per posporre tutti gli indicati ed altri simili pensieri a quello di aprire la comunicazione per acqua dal Lago di Como a Milano a vantaggio di un più esteso commercio.
Fissato così l’oggetto d’aversi di mira nell’impiegare il denaro donato per una nuova navigazione, si rivolsero ad esso tutti gli studi degli ingegneri Della Valle e De Missaglia. La prima loro idea fu quella di derivare dal fiume Adda al paese di Brivio un grandioso canale, al tempo stesso di irrigazione e di navigazione, da condursi per Vimercate e Monza direttamente a Milano. Ben presto però le ragioni d’economia fecero abbandonare il pensiero di un canale che doveva riuscire troppo esteso in confronto dei mezzi disponibili. Successivamente si è coltivata soltanto l’altra idea meno grandiosa di servirsi del Naviglio della Martesana e del fiume Adda da Trezzo a Brivio col provvedere alla sua navigazione in questa tratta; il che si giudicava eseguibile nello spazio di due anni e colla somma di 50 m. scudi all’incirca. Il Senato di Milano ai 26 settembre 1518 decretò l’esecuzione dell’opera di rendere navigabile il fiume Adda nella tratta divisata, ed incaricò i rappresentanti della città stessa per l’amministrazione dell’impresa. Ai 6 di novembre dello stesso anno 1518 una deputazione della città era già occupata dell’esame dei disegni presentati dagli ingegneri per l’opera ordinata. L’esame venne istituito con visita formale e con aperta discussione sulla sponda del fiume Adda alla presenza della deputazione, degli ingegneri eletti, di molti altri ingegneri accreditati presso la città, e di una quantità di altre persone pratiche dei luoghi e delle cose.
Uno dei modi proposti a quell’epoca per ottenere la totale desiderata navigazione dal Lago di Como a Milano per mezzo del fiume Adda e del Naviglio della Martesana, si riduceva a stare nel letto del fiume che poteva sperarsi, dove di renderlo navigabile col solo sbarazzarlo da ogni impedimento, e di supplire altrove colla fabbrica delle opportune conche nel letto dello stesso fiume. Il secondo modo invece schivava in alcune tratte la navigazione nel letto del fiume Adda con canali derivati sulla costa di quel fiume dalla parte milanese, e specialmente con uno da incominciarsi poco di sopra del luogo detto le Tre Corna e da continuarsi per lo spazio di poche miglia sino all’altro luogo detto la Rocchetta, da dove rientrare in Adda colla navigazione e giungere all’imboccatura del Naviglio della Martesana.
Le difficoltà ed i difetti del pensiero di restare colla navigazione nel fiume Adda in tutta l’indicata tratta dai Tre Corna alla Rocchetta, fabbricandovi sopra i sostegni e gli altri edifizi necessari, furono però sentite allora in tutta la debita estensione; e quindi il risultato della visita fu favorevole all’idea di quel canale di derivazione, per il quale fu scelta la linea proposta dall’ingegnere Benedetto De Missaglia che doveva tendere dall’incile allo sbocco passando pel terreno meno instabile e più sicuro che presentasse la località, non senza allontanarsi alquanto dal letto del fiume a tracciare la prima tratta di canale. Di più secondo le prime generali risoluzioni il canale doveva incominciare da una chiusa di derivazione piantata sul fiume in un punto di sezione ampia, di alveo piano e di corso temperato, per modo che essa riuscisse della minor altezza possibile. Doveva lo stesso canale avere verso il suo incile un sistema di travacatori e scaricatori per tutti gli usi di un canale derivato dal fiume, ed inoltre un doppio ordine di porte amovibili e insteccate attraverso il canale per servire in tempo di piene di chiusa destinata a moderare il corpo dell’acqua all’imboccatura del canale. I sostegni bisognevoli inferiormente dovevano essere della forma di quei del Naviglio della città di Milano.
Approvata dalla città di Milano quest’idea di piano, si passò ad ordinare il rilievo delle misure che dovevano servir di norma alla determinazione di ogni parte dell’opera ed alla immediata esecuzione dei lavori. A quest’incombenza furono spediti gli ingegneri Ambrogio Della Valle, Benedetto De Missaglia e Gerolamo De Giussani, presieduti dal Deputato Filippo Guasconi. La nuova commissione stabilì per ultimo risultato della livellazione e delle altre misure prese, di restare definitivamente nel letto del fiume Adda opportunamente spianato da Brivio fino al Sasso di S. Michele. Per togliere l’ostacolo che presentavano alla navigazione i molini sparsi sul fiume Adda, si progettò di farne muovere alcuni da un sol ramo d’acqua appositamente derivato e sostenuto sulla costa, non che di trasportarne altri nella tratta di fiume dal Sasso di S. Michele al luogo della Rocchetta ove doveva costruirsi a fianco il canal navigabile. Fissato avendo l’incile di questo canale più precisamente poco al di sotto del Sasso di S. Michele, si è disegnato di erigere quivi attraverso l’Adda la chiusa di derivazione. Ad onta della massima suggerita dalla prima commissione, non si è temuto di tenere tale chiusa rilevata di met. 4,257 sopra il letto del fiume, affine di estendervi alquanto superiormente la linea del rigurgito. Col disegnare elevata la soglia del canale sopra il fondo del fiume medesimo davanti la chiusa si intendeva di diminuire possibilmente l’altezza enorme cui doveva giungere in qualche sito l’escavazione del canale sulla direzione prescelta. Questa direzione del canale subito dopo l’incile si allontanava dal fiume Adda per entrare nella Valle così detta di Paderno, passata la quale continuava in altre vallette, rivolgendosi però a poco a poco verso Adda in cui terminava al di sotto dei succitato luogo della Rocchetta. La lunghezza del canale riusciva ancora di poche miglia di lunghezza, e la pendenza totale presa da’ suoi estremi e misurata da pelo a pelo del fiume, nell’ipotesi di quella fabbrica di chiusa, veniva ad essere di met. 27,324 all’incirca. Tutta questa pendenza si voleva consumare con dieci sostegni, ciascun de’ quali fosse a un di presso di met. 2,673 di salto, lasciando così il fondo del canale orizzontale ne’ suoi diversi tronchi.
Ultimate per la fine del 1519 le operazioni preparatorie, gli amministratori della città di Milano pensarono anche a dar principio ai lavori. In poco tempo dovea essere sbarazzato il letto del fiume Adda nelle tratte da ridursi navigabile, e si doveva stabilire un traghetto di terra nella breve tratta dal Sasso di S. Michele alla Rocchetta onde far sentire prontamente qualche vantaggio dell’opera al commercio del Lago di Como con Milano, e specialmente a quello che già si faceva per la via di terra da Brivio a Porto sull’Adda. La spesa di questa parte dell’opera si valutò in circa 6 mila ducali, ed i lavori relativi vennero realmente intrapresi nel successivo anno 1520.[35] A quell’epoca però non si ebbe tempo di portarli molto avanti, e, sospesi tutt’a un tratto in causa della guerra tanto fatale al Re Francesco, furono poi abbandonati interamente per le vicende di Stato sopravvenute nel Milanese.
Limitate così le glorie idrauliche del Milanese ai tempi del Re di Francia Francesco i.° ad eseguire una visita ed una livellazione generale della parte montuosa della provincia, ad esaminare quali progetti di nuovi Canali di navigazione vi fossero o da proporsi o da escludersi, ed a studiare, disporre ed incominciare i lavori per aprire la comunicazione per acqua dal Lago di Como a Milano, tutti questi passi avevano poi anche di mira l’oggetto di estendere ulteriormente la rete di navigazione-interna del basso Milanese ed in ispecie l’antico progetto di unirvi Milano al Po con un nuovo canale; cosicchè i voti dei popoli per unire Milano al Lago di Como non andavano disgiunti fin d’allora dal desiderio della libera e facile comunicazione per acqua dal mare Adriatico alla stessa città di Milano. Le idee degli scrittori contemporanei non potevano essere più precise a questo riguardo. Essi vedevano cioè che resa navigabile l’Adda, aggiunte diverse opere alle imboccature dei due canali già condotti dal Ticino e dall’Adda sino a Milano, e radunata l’acqua disponibile nella parte più bassa del piano di questa città, si poteva destinarla ad un nuovo canale di navigazione che portasse fino al Lambro a S. Angelo o per altra via al maggior fiume dell’Italia onde formare del Milanese una provincia in certo modo mediterranea e marittima.[36]
Queste sono semplici idee consegnate alle stampe nel Milanese ai tempi del Re Francesco e poste in esecuzione soltanto a’ nostri giorni; ma pure esse bastano a provare come ne’ passati secoli non si è lasciato sfuggire occasione favorevole di mettere in campo il progetto più importante per la navigazione-interna del Milanese, vale a dire quello della libera, facile, continuata e diretta comunicazione per acqua da Milano al Po.
Allorchè poi Francesco ii.o Sforza fu restituito per mano straniera alla sovranità di Milano, non si trovò più in caso di favorire o di far sostenere al suo Stato alcun’opera pubblica di qualche importanza; quindi sotto quell’ultimo Principe milanese non hanno avanzato di un sol passo i progetti di rendere l’Adda navigabile, di aprire la diretta comunicazione da Milano al Po e gli altri della stessa natura. Una sola variazione sopra uno dei canali di navigazione del Milanese si riferisce ancora ai tempi del Principato, e merita di essere qui ricordata.
Al luogo dell’intersezione del fiume Lambro col Naviglio della Martesana era stato costrutto; in origine un ponte-canale per l’innocuo passaggio delle acque del fiume, e più sotto sulla continuazione del canal navigabile un sostegno detto la Conca di Gorla. Ignorandosi ora lo stato preciso della prima costruzione di tali edifizi non si saprebbero indicare i loro difetti; ma si sa però che la posteriore sistemazione delle ultime tratte del Canale Martesana vi portò la costruzione di un sostegno nel luogo così detto la Cassina de’ Pomi posto a qualche miglio di distanza da Milano. Questo sostegno rendeva inutile la conca di Gorla, e per il motivo di schivare diversi inconvenienti venne rappresentato a Francesco iio Sforza come cosa utile il far levare ambedue quegli edifizi ed il lasciar decorrere liberamente le acque del fiume Lambro nel letto del Naviglio della Martesana. Una tal opera essendo di pura distruzione, e perciò non incompatibile colle finanze dello Stato a quell’epoca, fu ordinata ed eseguita verso il 1533, Dopo di ciò restava per altro ancora un grande difetto al Naviglio della Martesana nella libera intersecazione delle sue acque con quelle del fiume Lambro, la quale in tempo di piena metteva in pericolo le barche cariche al loro passaggio, e ad ogni momento cagionava dispendi alla Camera e incomodi alla navigazione colle rotture e cogli interrimenti. Per riparare pertanto una volta per sempre anche a questi disordini del passaggio del Lambro fu progettata fin d’allora una fabbrica di ponte-canale in sei archi; ma tale idea, avendo poi finito coll’essere abbandonata per mancanza di mezzi economici, vi ha dato luogo al ripiego tuttora sussistente. Questo sta nell’aver ridotto le sponde in quel punto del Naviglio della Martesana al puro necessario per contenere soltanto le acque ordinarie; nell’avere di più sulla sinistra aperto molti ampi paraporti per sfogo delle acque e delle materie portate sulla destra dal fiume, e nell’avervi fabbricato sopra i paraporti un ponte di pietra a diversi archi per la continuazione della strada dell’alzaia.[37]
Caduto successivamente sotto il pieno dominio spagnuolo il Ducato di Milano smembrato a quelle epoche della Valtellina, del Luganese, del Bellinzonese e dei contadi di Bormio e di Chiavenna, si conservarono ancora le stesse idee di estendere nelle altre parti del Milanese la già stabilita navigazione artificiale, da cui dipendeva principalmente il resto di pubblica prosperità della provincia. Siccome però i tentativi e le opere di questo genere furono eseguite d’allora in poi contemporaneamente su diversi punti della stessa provincia, e d’altronde le memorie storiche ci offrirono occasione di entrare in maggiori dettagli a loro riguardo, così ne viene la necessità di esporre fin d’ora partitamente, secondo l’ordine de’ luoghi, le altre notizie di qualche interesse che si riferiscono ai tempi anteriori al secolo 18.o



[1] Vedi Muratori, De rerum ital. script., t. iv, lib. 2, car. 24.
[2] V. idem, Ant. ital., t. ii, diss. 19. Diploma di Liutprando re de’ Longobardi avanti la metà del secolo 3.o.
[3] V. Delle ant. longob. mil. illustrata con argomentazioni dai Monaci della Congr. Cisterc. di Lomb., vol. ii, diss. 12.
[4] V. pref. del libretto di Carlo Pagnani sulla navigazione dell’Adda, ed i manoscritti di Martin Bassi nell’archivio privato dell’ingegnere Bernardino Ferrari in Milano.
[5] V. Mari., Idr. prat. ragion., t. i, pag. 11.
[6] V. Benaglio, Relaz. istor. al Magistr.
[7] Fra gli altri scrittori v. Galvan. Flamm. al cap. ccxviii. Donat. Bossi nella sua cronaca; Bernardino Corio nella sua Storia di Milano. Sigonio, Histor. de reg. ital., lib. xiv. Benagl., Relaz. succit. Racc. del Muratori, t. xi. Giulini, Mem. stor., t. vi. Antich. long, mil. illustrate, diss. succit.
[8] V. prefaz. al t. iii delle Ant. long. mil.
[9] V. oltre gli autori sopraccitati l’autore anonimo degli Annali di Milano al cap. 29 nel t. xvi della Racc. di Muratori.
[10] V. le Mem. stor. del Giulini, t. viii e seg.; e le Ant. long. mil., succit. diss. 12 del t. ii.
[11] V. Ant. long. mil., diss. succit.
[12] V. Statut. ant. fra quelli del 1396. Giulini, Mem. stor., t. ii, all’anno 1396.
[13] V. Gaspare Bugatti, Stor. univ., lib. iv.
[14] V. Aut. anon. succit., cap. 127. La Cronaca di Piacenza. La Storia del Corio. Le Mem. stor. del Giulini, t. xi.
[15] V. il Frisi, il Mari ed ogni altro autore che ha riportati cenni storici sul Naviglio di Pavia.
[16] V. la Vita di Filippo Maria Visconti scritta da P. Cand. Decembrio; la Relaz. Benaglio succit.; e le Mem. stor. del Giulini, t. xii.
[17] V. Giulini, idem; Ant. long. mil., diss. succit.; ed i documenti riportati in fine della presente Storia sotto i nn. i e ii.
[18] V. il Corio che scrivendo la sua Storia del 1492 e nominando questo canale disse: Naviglio che andava da Milano a Pavia. V. Pagnani che nel suo libretto del 1520 parlando di diramare canali dal Naviglio Grande verso il Po non cita alcun’opera preesistente di questo genere. Fra le carte dell’arch. gen. di Governo in S. Fedele a Milano e dell’arch. Ferrari succ. vedi quelle del secolo 16.o relative ai navigli di Pavia e di Bereguardo che confermano questo punto storico.
[19] V. Settala, Relaz. del Naviglio della Martesana. Benaglio, Relaz. succit.; e la dissert. succit. delle Ant. long. mil.
[20] V. idem, non che le lettere ducali riportate in fine della presente Storia al succ. n. i.
[21] V. il succitato libro di Carlo Pagnani.
[22] V. Pagnani succitato.
[23] Antich. long. mil., diss. succit.
[24] Antich. long. mil., diss. succit.
[25] V. idem, ed anche nel libretto di Carlo Pagnani le lettere di Plinio a Trajano, nel Diodoro Siculo i cenni sulle cateratte del Nilo, e nel Discorso sulla navigazione dell’Adda di Guido Mazenta l’opinione di questo patrizio milanese.
[26] V. C. Amoretti, Mem. stor. sulla vita e sugli scritti di Lionardo da Vinci; le Ant. long. mil., dissert. succit.; e P. Cand. Decembrio, Vita succit. di F. M. Visconti.
[27] V. gli stessi libri.
[28] V. Benaglio e Settala nelle loro Relazioni storiche stampate.
[29] V. Amoretti, Mem. stor. succit.
[30] V. le lettere ducali riportate in fine della presente Storia; fra le carte dell’arch. gen. di Gov. quelle del Naviglio di Pavia; e nella Relaz. ist. del Benaglio il cap. che tratta dello stesso canale.
[31] V. Codici dei manoscritti di Lionardo nella succitata Biblioteca.
[32] V. Ant. long. mil., diss. succit. Amoretti, Mem. stor. succit., e l’iscrizione del monumento che si conserva tuttora presso la Conca di Viarenna a Milano.
[33] In una scrittura dell’Amministrazione della fabbrica del Duomo di Milano, che si riferisce ad un’epoca posteriore di qualche secolo alla perfezione del Naviglio di Milano, e che fu da me letta fra le carte della navigazione dell’Adda presso la famiglia Stampa in Milano, si chiamava la conca usata su quel canale mirabile inuentione per equilibrare le aque dell’Adda et Tesino et delli dua nauigli, et di eleuare le naui et le aque del Lago Maggiore ad altezza della città con modo miracoloso a’ forastieri, sebbene per essere il benefitio a’ ogni giorno più non l’ammirammo noi.
[34] V. le Relazioni succit. del Settala e del Benaglio, gli scritti del Somaglia, le Mem. stor. Succit. dell’Amoretti, le Ant. long, mil., diss. succ., e l’Iscrizione pure succit.
[35] V. nell’arch. Ferrari fra le carte sul Naviglio di Paderno una scrittura per copia di alcuni capi di un libro di P. Mart. Spanzotto Cancelliere dell’ufficio di Provvisione di Milano al 1520, e v. pure il succit. libretto stampato di Carlo Pagnani.
[36] V. la prefaz. del succit. libretto di Carlo Pagnani.
[37] V. le Relazioni Somaglio e Settala, non che le Ant. long. milanesi succitate.