martedì 30 settembre 2014

1837 - CATTANEO. Del Lago di Como



Carlo Cattaneo

Del lago di Como

L’Eco della Borsa
n. 17 (30 aprile 1837) e n. 18 (7 maggio 1837)

Le operazioni che ora si stanno facendo a Brivio per l’abbassamento di livello del Lario, e perché Como e il litorale rimangono salvi dal disastro delle inondazioni, parvero giustamente di tanta importanza, che noi crediamo non possa riuscire se non gradevole al pubblico il fornirgli dati precisi sui quali mantenere animate le conversazioni, o basare i giudizi in proposito. Prima dunque discorreremo della natura di esso lago; indi delle sue piene; finalmente dei rimedi proposti e praticati.

I. Descrizione.

Il lago di Como, siccome ognuno sa, è a’ piedi delle Alpi Retiche, ed occupa una superficie di metri quadrati 154.755.000, avendo il perimetro di metri 178.000. Le sue acque si dirigono dal nord-est al sud. La elevazione del suo pelo ordinario sul pelo basso dell’Adriatico è di metri 198, vale adire tre metri più alto che il lago Maggiore, e 74 più basso che quel di Lugano. Secondo il Volta, ad una mezzana profondità conserva costantemente la temperatura di +4° di Réaumur. È riempito questo gran serbatoio da 37 torrenti e 28 fiumane, oltre il grosso fiume dell’Adda e gli scoli di tutte le montagne circostanti, sulle quali le piogge estive formano a migliaia torrentelli e cascatelle. Il suo principio è la Riva di Chiavenna, al sito ove si scava il miglior granito che s’adopera ai lastroni delle rotaie e dei marciapiedi nelle nostre città. Quivi dapprima stagna in un bacino che chiamasi il lago di Mezzola [bacino originariamente in comunicazione con il lago di Como, dal quale lo separarono le alluvioni dell’Adda], poi per un angusto passaggio a Sorico, ristretto più sempre dalle materie strascinate nell’Adda, entra nell’ampissimo pelago, intorno a cui siedono quinci le Tre Pievi di Dongo, Gravedona e Domaso, quindi Colico colle altre terre dominate dal Legnone, monte elevato sopra il mare metri 2806 [in realtà, le carte indicano l’altezza in metri 2611], e notevole per ciò che offre tra tutti i monti d’Europa il maggior pendio continuato, contandosi dal piano del lago alla via vetta metri 2608 perpendicolari. Così continua il lago finché il deliziosissimo promontorio di Bellagio lo sparte in due rami a foggia d’un Y. Il ramo occidentale, dopo passato per la Tremezzina [è il bacino del lago di Como che trae nome dal paese di Tremezzo, e comprende anche Azzano, Bolvedro e Cadenabbia. Inizia a Lenno e termina a Nobiallo, dopo Menaggio], giardino del giardin d’Europa, arriva a Como, che trasse il suo nome dalla radice celtica com, che vale seno, né ha via a scaricarsi.
Il ramo orientale, detto Lario [deriverebbe dal greco laros = ridente, soave] sulla cui riva si è costruita la recente grandiosa strada militare, prolungasi fino a Lecco, ove si trova l’unico scaricatore di questo grande lago che poi ripiglia il nome di Adda.
Sulla lunghezza di questo lago corrono opinioni, alimentate dai barcaioli che in proporzione della via vorrebbero essere pagati. Ecco però precise le misure, togliendole in linea retta da punta a punta, come pratica il battello a vapore:

Da Como a Torno                           m 6200
Da Torno a Torriggia                      m 4850
Da Torriggia alla Cavagnola            m 5100
Da Cavagnola alla Cadenabbia        m 8700
Da Cadenabbia Menaggio                m 3700
Da Menaggio a Rezzonico                m 6175
Da Rezzonico a Dongo                     m 6000
Da Dongo a Gravedona                    m 2800
Da Gravedona a Domaso                  m 1250
Da Domaso a Sorico                         m 5300
Da Sorico al principio del lago di      m 2350
     Mezzola
Di là alla Riva                                  m 6800
Che se parti da Lecco, avrai:
Da Lecco a Mandello                        m 8400
Da Mandello a Bellagio                     m 9600
Da Bellagio a Varenna                      m 2600
Da Varenna a Bellano                       m 4000
Da Bellano a Rezzonico                    m 2510

Il resto come sopra.

La asserita lunghezza di 40 miglia da Como a Domaso si riduce dunque a 44 chilometri, ossia miglia comuni 25. Sulla riva occidentale scorre un sentierucolo cui danno il pomposo nome di Strada Regina, e che la volgare tradizione attribuisce alla longobarda Teodolinda [fu moglie di Autarico, re dei Longobardi, poi di Agigulfo, duca di Torino, che convertì al cristianesimo] e questo, perché segue tutte le sinuosità e gli ondeggiamenti del terreno, è lungo metri 68.530, contando dalla porta Sala di Como fino alla riva di Chiavenna. La strada militare poi, partendo dalla piazza di Lecco, fino a Colico, tira metri 41.970, vale a dire 22,5 miglia geografiche.
Dominano su quel lago due venti periodici: il Tivano, o tramontana, che spira di notte fino al levarsi del sole; la Breva, o sud-ovest, che si alza dopo mezzodì. I venti regolari, per forti che sieno, danno poco timore agli esperti naviganti: ma l’esser il lago una lunga vallata sinuosa, fra alti monti ad angoli taglienti ed entranti, varia di lunghezza e di profondità, e quindi colle onde più o meno voluminose e sovente ripercosse dal lido, è cagione talvolta di pericolo. Se il nord spira a riprese, come fa massime allorché le Alpi sono nevate, difficile riesce il viaggiare per le onde rimbalzate. L’est, che chiamano bergamasca, e che dura più degli altri, riesce molesto a chi scende dalla Valtellina. Il sud ritarda ma non arresta la navigazione: l’ovest spira quasi soltanto per temporali estivi. Ma pericolo vero può dirsi non vi sia se non per le navi stracariche o quando i venti montivi, a diverse inclinazioni irregolari e variabili sbucano dalle vallate, o precipitano dalle vette, massime se nevose. Il più insidioso è il Molinasco, che viene da Molina [la Bocchetta di Molina, alta 1116 metri, è nota per i massi erratici di straordinaria grandezza], e rende tempestoso il lago dove è più stretto e fondo. Avanti alle Tre Pievi sorge talvolta turbinoso e vorticoso il vento di san Vincenzo; anche pericoloso è tenuto quello che spira dalla valle della Breggia, appiè del gigantesco Bisbino [il monte Bisbino, che sorge sopra Moltrasio, è alto 1325 metri]. Oltre i temporali di sud sono frequenti quelli di ovest-nord-ovest, massime in maggio, giugno e luglio; non intrattabili è vero dagli audaci, ma il cauto nocchiero fugge il primo tuono, e ricovera in porto. Non è di fatto rarissimo il caso che l’abbassarsi di qualche grosso nuvolone aumenti il temporale, e con uragani e marosi e trombe marine cagioni irreparabile naufragio. Ne vi mancano esempi di terribili acquemoti. Sotto il 1253, Benedetto Giovio [fratello di Paolo, visse tra il 1472 e il 1545. La sua opera più importante è una Storia di Como] ne ricorda uno, per cui l’acqua s’avanzava e rifluiva ben 20 cubiti. Il Muralto [Francesco Muralt, autore di Annali della città di Como, in lingua latina], ai 7 luglio del 1505, ne descrive un altro, in cui l’acqua, se è vero, eccedeva ben 100 braccia le rive, e durò molte ore. Uno sensibilissimo ne fu osservato il 1° febbraio 1814, in cui l’acqua salì 8 palmi e 6 digiti, immediatamente decrebbe.
Varia è la profondità di questo lago, calcolandosi tra Varenna e Bellagio di metri 316, alla Pliniana 310, a Dervio 290, fra Grumello e Geno 83, alla Tavernola 100, fra Onno e Mandello 92, al Sasso Mangone sopra Lecco 152, presso Lecco 3.
Un fatto evidente si è il progressivo innalzarsi del pelo di questo lago. Lungo le sue rive si trovano edifici, che rimangono ora di sotto del livello del lago, come singolarmente è l’antichissimo battistero di Gravedona ed il tempio di Lenno. Chiunque poi abbia appena visto la città di Como, sa come, attorno al porto, vi siano portici a mezzo sotterrati, ciò che si osserva in tutti gli edifici antichi dl colà.
Ma una prova evidentissima si ha nel broletto di Como, del quale una parte si fabbricò nel 1215; un’altra vi fu aggiunta nel 1435, che è quella a tre colori, in linea col duomo. Ora i pilastri da questa parte più recente si sprofondano sotto l’attuale pavimento once 9, mentre i vecchi sono sotto once 30. Ecco dunque variato di 21 once il livello della città, nell’intervallo di 220 anni. Nel qual intervallo importa avvertire che fu fabbricato il ponte di Lecco.

II. Delle piene del lago di Como.

Abbiamo già accennato come questo lago, da tanta larghezza, si riduca al solo scaricatore dell’Adda a Lecco. Qualvolta dunque o un improvviso squagliamento di nevi o dirotte piogge continuate portino nel bacino maggior acqua che non ne possa versare l’emissario, quella sollevasi a grande altezza, e inonda le campagne e i paesi litorali, e la città di Como. Delle piene antiche non si ha esatta determinazione. La prima che si conosca, se non con precisione, almeno approssimativamente, è quella del 1673, indicata da lapidi, poste a memoria in varie strade di Como. Sul finire del secolo passato fu affisso nel porto di Como un idrometro, o misuratore dell’acqua, per conoscere le varie altezze; era in braccia milanesi; poi nel 1830 fu mutato in un altro più preciso, a misura di metro; simili al quale ne furono stabiliti altri su vari punti del lago, onde avere la contemporaneità delle osservazioni. Lo zero di questo idrometro è desunto da una magra ordinaria (chiamano magra il tempo d’acqua bassa, e piena l’opposto). Esso zero è sopra il pelo basso dell’Adriatico metri 196. A questo riportando le varie piene, ecco ne le altezze, col giorno in cui furono maggiori, ed in once e punti del braccio milanese:

1663         29 giugno               once   72.-
1792         6 luglio                   »       66.6
1801         22 novembre           »       64.-
1807         2 dicembre             »       61.6
1809         10 giugno                »       55.9
1810         29 maggio               »       74.7
1812         22 ottobre              »       57.9
1816         2 agosto                 »       65.-
1821         14 agosto               »       61.5
1823         18 ottobre              »       68.5
1826         25 luglio                 »       61.7
1829         21 settembre          »       79.7

Di grandi inondazioni nel 1746, 47, 48, 49 e 50 è memoria, e massime nel 1847, per una rupe caduta vicino a Lecco, che costipò l’emissario. Voi vedete che la maggiore di tutte fu quella del 1829, le tiene dietro quella del 1810. In quella del 1829 due terzi della città di Como erano allagati: nel 1810 erano fra tutto il paese inondate 943 case, 528 botteghe, 61 opifizi; 15.766 pertiche di terreno; e i danni furono stimati di 1.931.232 franchi.
Si osservò che, non sopraggiungendo ostacoli o piogge, il lago occupa il doppio tempo a ritirarsi che a crescere, il che mostra chiaramente come tutto il difetto stia nell’emissario. Dopo che il lago esce dal cordone che circonda il porto di Como, alto 41 once sopra lo zero, si fanno due osservazioni giornaliere. Da quelle del 1829 appare che il lago cominciò a crescere sensibilmente l’8 di settembre, in cui era ad once 33, e al mezzogiorno del 21 era ad once 79,7, colmo della piena, in cui rimase stazionaria 5 ore, poi cominciò a decrescere. Dalle ore 8 antimeridiane del 14, alle 11 del mattino seguente, si alzò 0,72 metri, vale a dire più di 15 once in 24 ore. Cresciuto dunque in 12 giorni occupò, per restituirsi al pelo ordinario, giorni 26, cioè fino al 17 ottobre.
La qual piena è ad avvertire come provenisse non da squagliamento di nevi, ma unicamente da piogge.
Sarà facile ad ognuno immaginare la desolazione e i guasti che menano tali allagamenti. Chi principalmente ne soffre è la città di Como, nella quale restano e chiuse le botteghe, e invasi i magazzini, e guasti i pozzi, talché il Comune, aiutato da offerte private e da alte generosità, è
obbligato a dar alloggio ai tanti poveri snidati dai loro piani terreni, vitto a quelli che ne rimangono sprovveduti, acqua poi per tutti, giacche, in mezzo a tanta acqua, soffrono veramente la pena di Tantalo. Perciò il Governo andò più volte a soccorso della Comunità: e nel 1792, Wilzeck venuto a visitare la piena, diede in ristoro dei danni lire 6.000 per parte del Governo, e 24.000 per parte del Sovrano. Anche nella piena del 1801, il cui danno si stimò a lire 86.459, il Governo diede qualche soccorso, e così altre volte.

III. Ripari agli allagamenti del Lario.

Ma il meglio fu pensare a rimedi stabili. La nuda esposizione dei fatti da noi esibita mostrerà come il difetto venga dal non essere l’emissario bastante a versare le piene. All’imboccatura appunto dell’emissario trovasi il ponte di Lecco, il quale fu fabbricato da Azzone Visconti nel 1336 secondo il Fiamma, o nel 1338 secondo il Bugatti, con otto archi e due torri alle estremità. Francesco Sforza lo aumentò, nel 1450, a 18 arcate; Francesco II, dopo la pace col famoso Gian Giacomo de’ Medici, lo distrusse: lo restaurò poi il conte di Fuentes nel 1609, in undici archi, quanti oggi ne conta. Qui dunque il lago, largo molte miglia tra Varenna e Menaggio, presenta una sezione di 130 metri, interrotta dai tanti piloni, attorno ai quali si accumulavano le ghiaie e la melma, opponendo sempre maggiore resistenza allo sfogo. Più ne oppongono due torrenti che sboccano qui presso a Lecco, e che spingendo, come è loro costume, un ventaglio di ghiaia in quel passo già angusto, vieppiù sempre il costipano. Uscita poi di sotto al ponte di Lecco, l’acqua dilatasi ancora in un lago che ha la superficie di 5.040.000 metri quadrati; poi ad Olginate è sostenuto da un gran dicco (el muraion), per dove le barche sono costrette a fare un salto, pericoloso nello scendere, difficilissimo nel rimontare, e lo chiamano la Rabbia. L’acqua rimpaluda poi nel lago di Brivio, che ha una superficie di metri quadrati 1.690.000, finché di sotto a questo paese riprende nome e corso di fiume.
Ma a Brivio stesso, due chiuse sostengono di nuovo in collo il fiume, oltre molti edifici pescherecci, che formano de’ veri scaglioni nella superficie del lago. Ecco la lunghezza di questi tratti e la differenza dei livelli:

Da Pescarenico al ponte di        Lunghezza     Pendenza
     Lecco                                   m    770       m 0,133
Dal ponte di Lecco alla Cap-
     pelletta sopra Olginate         m 5.869        m 0,750
Da essa Cappelletta al Ca-
     sino Cantù nella prima
     isola del lago di Brivio          m 4.850        m 2,225
Da esso Casino alla Casa
    del Molinaccio sotto Brivio     m 5.497        m 0,560

Onde appare che da Lecco
    a sotto Brivio, l’emissario,
    sopra la lunghezza di             m 16.986
ha la pendenza di                                          m 3,668

Non si poté dubitare che l’importanza stesse nello sgomberare questo emissario e nelle antiche imposte del contado di Como si trova che si spendevano ogni anno lire 1000 in comune per scavare le ghiaie al ponte di Lecco. Nel 1747, dopo le inondazioni che accennammo, si distrusse un pilone di ponte, che ingombrava il passo ad Olginate, e si propose di deviare i torrenti Galavesa, Gherghentino e San Rocco, gettandoli a sbucare, non nei siti angusti, ma dove più ampio e profondo fosse il letto. Impediva però le imprese più grandi l’appartenere la riva sinistra ai Veneziani. Perciò il Cristiani molti discorsi fece in proposito col cavalier Morosino, ambasciatore veneto, e molto se ne parlò anche nel congresso di Vaprio, il 1754. Palliativi furono proposti ed eseguiti spesso, un rimedio radicale, mai.
Vieppiù se ne trattò in questo secolo, adoprandovi le cresciute cognizioni idrostatiche; e lavori importantissimi e gravi studi fecero intorno al lago ingegneri di gran merito e di ottime intenzioni; e tutti furono d’accordo nel credere che fosse a provvedere all’emissario. Il miglioramento dell’aria intorno alle paludi, e il risanamento di tanti terreni sarebbero un premio immediato all’abbassamento del pelo ordinario; ma, oltre la pesca, bisogna aver riguardo alle condizioni della navigazione da una parte, e dall’altra all’irrigazione. Per la prima i nostri padri sostennero l’ardita spesa di aprire il naviglio di Paderno e quel della Martesana, acciocché Milano fosse posta in comunicazione col Lario e colle Alpi; per l’altra apersero il canale della Muzza e gli altri, che tramutarono in fertili campagne le nude ghiaie dell’antico mare Gerundio sul Lodigiano e sul Cremasco. Se dunque si desse libero corso all’Adda da Lecco in giù, non si può predire con certezza qual riuscirebbe la navigazione, sì per la rapida corrente in tempi di piena, sì per la troppo bassa acqua nelle magre. E nelle une e nelle altre poteva temersi o scarsità o trabocco nei canali irrigatori.
Queste difficoltà si presentano naturalmente a chiunque appena conosca i fatti da noi esposti. La sistemazione poi dei torrenti, lo sgombro dell’alveo, e l’impedire che più oltre non si costipi, sono problemi che la scienza idraulica d’oggidì, ben sostenuta da generosa larghezza dl mezzi, potrà superare con trionfo.
Due pertanto sono le capitali opinioni intorno a questo progetto: il primo di abbassare assolutamente il livello del lago di Como, onde preparare un bacino più capace alle acque che straordinariamente vi entrassero. Ciò si ottiene collo sbrattare d’ogni impedimento l’emissario, per cui scorrendo maggior volume d’acqua, naturalmente s’abbassa il pelo ordinario. S’opporrebbero a tale progetto i riflessi fatti qui sopra per l’irrigazione e per la navigazione; onde altri in quella vece proponevano che si preparasse uno scaricatore più ampio, da aprirsi solo nel caso di piena, e in proporzione di questa. Ciò sarebbero chiuse grandiose, ai siti più angusti, che potessero all’uopo aprirsi tutte o in parte. Queste fornirebbero il mezzo di tener sempre ad un livello quasi uniforme il lago di Como.

Tocca ai periti dell’arte il vedere e valutare le difficoltà e i mezzi dell’un disegno o dell’altro. Noi qui volemmo soltanto accennarli, come abbiamo detto, per informazione dei lettori nostri. Ai quali intanto annunzieremo come, quel che finora fu soltanto un’idea, or va prendendo corpo. Atteso che superiori decreti nel passato marzo ordinarono che si cominciasse immediatamente lo sgombero dell’emissario alla parte sua più bassa, cioè a Brivio, levandone la chiusa che abbiamo detto, e le tante pescaie [sbarramenti di pietre o altri materiali di riporto, per mezzo dei quali si deviano le correnti dei fiumi consentendo una più facile pesca]; operazione che, condotta con rapidità, ormai è compita. Noi, intenti a tenere informati i lettori nostri di quanto si fa di utile e di grandioso, principalmente nella patria nostra, renderemo conto dell’esito che ebbe quest’operazione, tosto che sia stata messa alla prova del tempo e della piena. La qual prova speriamo che coronerà le generose intenzioni, dalle quali fu ispirato e diretto il progetto.

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