Del lago
di Como
L’Eco
della Borsa
n. 17 (30
aprile 1837) e n. 18 (7 maggio 1837)
Le
operazioni che ora si stanno facendo a Brivio per l’abbassamento di livello del
Lario, e perché Como e il litorale rimangono salvi dal disastro delle inondazioni,
parvero giustamente di tanta importanza, che noi crediamo non possa riuscire se
non gradevole al pubblico il fornirgli dati precisi sui quali mantenere animate
le conversazioni, o basare i giudizi in proposito. Prima dunque discorreremo
della natura di esso lago; indi delle sue piene; finalmente dei rimedi proposti
e praticati.
I.
Descrizione.
Il lago
di Como, siccome ognuno sa, è a’ piedi delle Alpi Retiche, ed occupa una
superficie di metri quadrati 154.755.000, avendo il perimetro di metri 178.000.
Le sue acque si dirigono dal nord-est al sud. La elevazione del suo pelo
ordinario sul pelo basso dell’Adriatico è di metri 198, vale adire tre metri
più alto che il lago Maggiore, e 74 più basso che quel di Lugano. Secondo il
Volta, ad una mezzana profondità conserva costantemente la temperatura di +4°
di Réaumur. È riempito questo gran serbatoio da 37 torrenti e 28 fiumane, oltre
il grosso fiume dell’Adda e gli scoli di tutte le montagne circostanti, sulle
quali le piogge estive formano a migliaia torrentelli e cascatelle. Il suo
principio è la Riva di Chiavenna, al sito ove si scava il miglior granito che s’adopera
ai lastroni delle rotaie e dei marciapiedi nelle nostre città. Quivi dapprima
stagna in un bacino che chiamasi il lago di Mezzola [bacino originariamente in
comunicazione con il lago di Como, dal quale lo separarono le alluvioni dell’Adda],
poi per un angusto passaggio a Sorico, ristretto più sempre dalle materie
strascinate nell’Adda, entra nell’ampissimo pelago, intorno a cui siedono quinci
le Tre Pievi di Dongo, Gravedona e Domaso, quindi Colico colle altre terre
dominate dal Legnone, monte elevato sopra il mare metri 2806 [in realtà, le
carte indicano l’altezza in metri 2611], e notevole per ciò che offre tra tutti
i monti d’Europa il maggior pendio continuato, contandosi dal piano del lago
alla via vetta metri 2608 perpendicolari. Così continua il lago finché il
deliziosissimo promontorio di Bellagio lo sparte in due rami a foggia d’un Y.
Il ramo occidentale, dopo passato per la Tremezzina [è il bacino del lago di
Como che trae nome dal paese di Tremezzo, e comprende anche Azzano, Bolvedro e
Cadenabbia. Inizia a Lenno e termina a Nobiallo, dopo Menaggio], giardino del
giardin d’Europa, arriva a Como, che trasse il suo nome dalla radice celtica
com, che vale seno, né ha via a scaricarsi.
Il ramo
orientale, detto Lario [deriverebbe dal greco laros = ridente, soave] sulla cui
riva si è costruita la recente grandiosa strada militare, prolungasi fino a
Lecco, ove si trova l’unico scaricatore di questo grande lago che poi ripiglia
il nome di Adda.
Sulla
lunghezza di questo lago corrono opinioni, alimentate dai barcaioli che in
proporzione della via vorrebbero essere pagati. Ecco però precise le misure,
togliendole in linea retta da punta a punta, come pratica il battello a vapore:
Da Como a
Torno m 6200
Da Torno
a Torriggia m 4850
Da
Torriggia alla Cavagnola m
5100
Da
Cavagnola alla Cadenabbia m 8700
Da
Cadenabbia Menaggio m 3700
Da
Menaggio a Rezzonico m 6175
Da
Rezzonico a Dongo m
6000
Da Dongo
a Gravedona m 2800
Da
Gravedona a Domaso m 1250
Da Domaso
a Sorico m 5300
Da Sorico
al principio del lago di m 2350
Mezzola
Di là
alla Riva m
6800
Che se
parti da Lecco, avrai:
Da Lecco
a Mandello m 8400
Da
Mandello a Bellagio m 9600
Da
Bellagio a Varenna m 2600
Da
Varenna a Bellano m 4000
Da
Bellano a Rezzonico m 2510
Il resto
come sopra.
La
asserita lunghezza di 40 miglia da Como a Domaso si riduce dunque a 44
chilometri, ossia miglia comuni 25. Sulla riva occidentale scorre un
sentierucolo cui danno il pomposo nome di Strada Regina, e che la volgare
tradizione attribuisce alla longobarda Teodolinda [fu moglie di Autarico, re
dei Longobardi, poi di Agigulfo, duca di Torino, che convertì al cristianesimo]
e questo, perché segue tutte le sinuosità e gli ondeggiamenti del terreno, è
lungo metri 68.530, contando dalla porta Sala di Como fino alla riva di
Chiavenna. La strada militare poi, partendo dalla piazza di Lecco, fino a
Colico, tira metri 41.970, vale a dire 22,5 miglia geografiche.
Dominano
su quel lago due venti periodici: il Tivano, o tramontana, che spira di notte
fino al levarsi del sole; la Breva, o sud-ovest, che si alza dopo mezzodì. I
venti regolari, per forti che sieno, danno poco timore agli esperti naviganti:
ma l’esser il lago una lunga vallata sinuosa, fra alti monti ad angoli
taglienti ed entranti, varia di lunghezza e di profondità, e quindi colle onde
più o meno voluminose e sovente ripercosse dal lido, è cagione talvolta di
pericolo. Se il nord spira a riprese, come fa massime allorché le Alpi sono
nevate, difficile riesce il viaggiare per le onde rimbalzate. L’est, che
chiamano bergamasca, e che dura più degli altri, riesce molesto a chi scende
dalla Valtellina. Il sud ritarda ma non arresta la navigazione: l’ovest spira
quasi soltanto per temporali estivi. Ma pericolo vero può dirsi non vi sia se
non per le navi stracariche o quando i venti montivi, a diverse inclinazioni
irregolari e variabili sbucano dalle vallate, o precipitano dalle vette, massime
se nevose. Il più insidioso è il Molinasco, che viene da Molina [la Bocchetta
di Molina, alta 1116
metri , è nota per i massi erratici di straordinaria
grandezza], e rende tempestoso il lago dove è più stretto e fondo. Avanti alle
Tre Pievi sorge talvolta turbinoso e vorticoso il vento di san Vincenzo; anche
pericoloso è tenuto quello che spira dalla valle della Breggia, appiè del
gigantesco Bisbino [il monte Bisbino, che sorge sopra Moltrasio, è alto 1325
metri]. Oltre i temporali di sud sono frequenti quelli di ovest-nord-ovest,
massime in maggio, giugno e luglio; non intrattabili è vero dagli audaci, ma il
cauto nocchiero fugge il primo tuono, e ricovera in porto. Non è di fatto
rarissimo il caso che l’abbassarsi di qualche grosso nuvolone aumenti il
temporale, e con uragani e marosi e trombe marine cagioni irreparabile
naufragio. Ne vi mancano esempi di terribili acquemoti. Sotto il 1253,
Benedetto Giovio [fratello di Paolo, visse tra il 1472 e il 1545. La sua opera
più importante è una Storia di Como] ne ricorda uno, per cui l’acqua s’avanzava
e rifluiva ben 20 cubiti. Il Muralto [Francesco Muralt, autore di Annali della
città di Como, in lingua latina], ai 7 luglio del 1505, ne descrive un altro,
in cui l’acqua, se è vero, eccedeva ben 100 braccia le rive, e durò molte ore.
Uno sensibilissimo ne fu osservato il 1° febbraio 1814, in cui l’acqua salì
8 palmi e 6 digiti, immediatamente decrebbe.
Varia è
la profondità di questo lago, calcolandosi tra Varenna e Bellagio di metri 316,
alla Pliniana 310, a Dervio 290, fra Grumello e Geno 83, alla Tavernola 100,
fra Onno e Mandello 92, al Sasso Mangone sopra Lecco 152, presso Lecco 3.
Un fatto
evidente si è il progressivo innalzarsi del pelo di questo lago. Lungo le sue
rive si trovano edifici, che rimangono ora di sotto del livello del lago, come
singolarmente è l’antichissimo battistero di Gravedona ed il tempio di Lenno.
Chiunque poi abbia appena visto la città di Como, sa come, attorno al porto, vi
siano portici a mezzo sotterrati, ciò che si osserva in tutti gli edifici
antichi dl colà.
Ma una
prova evidentissima si ha nel broletto di Como, del quale una parte si fabbricò
nel 1215; un’altra vi fu aggiunta nel 1435, che è quella a tre colori, in linea
col duomo. Ora i pilastri da questa parte più recente si sprofondano sotto l’attuale
pavimento once 9, mentre i vecchi sono sotto once 30. Ecco dunque variato di 21 once il livello della
città, nell’intervallo di 220 anni. Nel qual intervallo importa avvertire che
fu fabbricato il ponte di Lecco.
II. Delle
piene del lago di Como.
Abbiamo
già accennato come questo lago, da tanta larghezza, si riduca al solo
scaricatore dell’Adda a Lecco. Qualvolta dunque o un improvviso squagliamento
di nevi o dirotte piogge continuate portino nel bacino maggior acqua che non ne
possa versare l’emissario, quella sollevasi a grande altezza, e inonda le
campagne e i paesi litorali, e la città di Como. Delle piene antiche non si ha
esatta determinazione. La prima che si conosca, se non con precisione, almeno
approssimativamente, è quella del 1673, indicata da lapidi, poste a memoria in
varie strade di Como. Sul finire del secolo passato fu affisso nel porto di
Como un idrometro, o misuratore dell’acqua, per conoscere le varie altezze; era
in braccia milanesi; poi nel 1830 fu mutato in un altro più preciso, a misura
di metro; simili al quale ne furono stabiliti altri su vari punti del lago,
onde avere la contemporaneità delle osservazioni. Lo zero di questo idrometro è
desunto da una magra ordinaria (chiamano magra il tempo d’acqua bassa, e piena
l’opposto). Esso zero è sopra il pelo basso dell’Adriatico metri 196. A questo riportando le
varie piene, ecco ne le altezze, col giorno in cui furono maggiori, ed in once
e punti del braccio milanese:
1663 29 giugno once 72.-
1792 6 luglio » 66.6
1801 22 novembre » 64.-
1807 2 dicembre » 61.6
1809 10 giugno » 55.9
1810 29 maggio » 74.7
1812 22 ottobre » 57.9
1816 2 agosto » 65.-
1821 14 agosto » 61.5
1823 18 ottobre » 68.5
1826 25 luglio » 61.7
1829 21 settembre » 79.7
Di grandi
inondazioni nel 1746, 47, 48, 49 e 50 è memoria, e massime nel 1847, per una
rupe caduta vicino a Lecco, che costipò l’emissario. Voi vedete che la maggiore
di tutte fu quella del 1829, le tiene dietro quella del 1810. In quella del 1829
due terzi della città di Como erano allagati: nel 1810 erano fra tutto il paese
inondate 943 case, 528 botteghe, 61 opifizi; 15.766 pertiche di terreno; e i
danni furono stimati di 1.931.232 franchi.
Si
osservò che, non sopraggiungendo ostacoli o piogge, il lago occupa il doppio
tempo a ritirarsi che a crescere, il che mostra chiaramente come tutto il
difetto stia nell’emissario. Dopo che il lago esce dal cordone che circonda il
porto di Como, alto 41 once
sopra lo zero, si fanno due osservazioni giornaliere. Da quelle del 1829 appare
che il lago cominciò a crescere sensibilmente l’8 di settembre, in cui era ad
once 33, e al mezzogiorno del 21 era ad once 79,7, colmo della piena, in cui
rimase stazionaria 5 ore, poi cominciò a decrescere. Dalle ore 8 antimeridiane
del 14, alle 11 del mattino seguente, si alzò 0,72 metri , vale a dire
più di 15 once
in 24 ore. Cresciuto dunque in 12 giorni occupò, per restituirsi al pelo
ordinario, giorni 26, cioè fino al 17 ottobre.
La qual
piena è ad avvertire come provenisse non da squagliamento di nevi, ma
unicamente da piogge.
Sarà
facile ad ognuno immaginare la desolazione e i guasti che menano tali
allagamenti. Chi principalmente ne soffre è la città di Como, nella quale
restano e chiuse le botteghe, e invasi i magazzini, e guasti i pozzi, talché il
Comune, aiutato da offerte private e da alte generosità, è
obbligato
a dar alloggio ai tanti poveri snidati dai loro piani terreni, vitto a quelli
che ne rimangono sprovveduti, acqua poi per tutti, giacche, in mezzo a tanta
acqua, soffrono veramente la pena di Tantalo. Perciò il Governo andò più volte
a soccorso della Comunità: e nel 1792, Wilzeck venuto a visitare la piena,
diede in ristoro dei danni lire 6.000 per parte del Governo, e 24.000 per parte
del Sovrano. Anche nella piena del 1801, il cui danno si stimò a lire 86.459,
il Governo diede qualche soccorso, e così altre volte.
III.
Ripari agli allagamenti del Lario.
Ma il
meglio fu pensare a rimedi stabili. La nuda esposizione dei fatti da noi
esibita mostrerà come il difetto venga dal non essere l’emissario bastante a
versare le piene. All’imboccatura appunto dell’emissario trovasi il ponte di
Lecco, il quale fu fabbricato da Azzone Visconti nel 1336 secondo il Fiamma, o
nel 1338 secondo il Bugatti, con otto archi e due torri alle estremità.
Francesco Sforza lo aumentò, nel 1450, a 18 arcate; Francesco II, dopo la pace
col famoso Gian Giacomo de’ Medici, lo distrusse: lo restaurò poi il conte di
Fuentes nel 1609, in
undici archi, quanti oggi ne conta. Qui dunque il lago, largo molte miglia tra
Varenna e Menaggio, presenta una sezione di 130 metri , interrotta dai
tanti piloni, attorno ai quali si accumulavano le ghiaie e la melma, opponendo
sempre maggiore resistenza allo sfogo. Più ne oppongono due torrenti che
sboccano qui presso a Lecco, e che spingendo, come è loro costume, un ventaglio
di ghiaia in quel passo già angusto, vieppiù sempre il costipano. Uscita poi di
sotto al ponte di Lecco, l’acqua dilatasi ancora in un lago che ha la
superficie di 5.040.000
metri quadrati ; poi ad Olginate è sostenuto da un gran
dicco (el muraion), per dove le barche sono costrette a fare un salto,
pericoloso nello scendere, difficilissimo nel rimontare, e lo chiamano la Rabbia. L ’acqua
rimpaluda poi nel lago di Brivio, che ha una superficie di metri quadrati
1.690.000, finché di sotto a questo paese riprende nome e corso di fiume.
Ma a
Brivio stesso, due chiuse sostengono di nuovo in collo il fiume, oltre molti
edifici pescherecci, che formano de’ veri scaglioni nella superficie del lago.
Ecco la lunghezza di questi tratti e la differenza dei livelli:
Da
Pescarenico al ponte di Lunghezza Pendenza
Lecco m 770 m
0,133
Dal ponte
di Lecco alla Cap-
pelletta sopra Olginate m
5.869 m 0,750
Da essa
Cappelletta al Ca-
sino Cantù nella prima
isola del lago di Brivio m
4.850 m 2,225
Da esso
Casino alla Casa
del Molinaccio sotto Brivio m 5.497 m
0,560
Onde
appare che da Lecco
a sotto Brivio, l’emissario,
sopra la lunghezza di m 16.986
ha la
pendenza di m 3,668
Non si
poté dubitare che l’importanza stesse nello sgomberare questo emissario e nelle
antiche imposte del contado di Como si trova che si spendevano ogni anno lire 1000 in comune per scavare
le ghiaie al ponte di Lecco. Nel 1747, dopo le inondazioni che accennammo, si
distrusse un pilone di ponte, che ingombrava il passo ad Olginate, e si propose
di deviare i torrenti Galavesa, Gherghentino e San Rocco, gettandoli a sbucare,
non nei siti angusti, ma dove più ampio e profondo fosse il letto. Impediva però
le imprese più grandi l’appartenere la riva sinistra ai Veneziani. Perciò il
Cristiani molti discorsi fece in proposito col cavalier Morosino, ambasciatore
veneto, e molto se ne parlò anche nel congresso di Vaprio, il 1754. Palliativi
furono proposti ed eseguiti spesso, un rimedio radicale, mai.
Vieppiù
se ne trattò in questo secolo, adoprandovi le cresciute cognizioni
idrostatiche; e lavori importantissimi e gravi studi fecero intorno al lago
ingegneri di gran merito e di ottime intenzioni; e tutti furono d’accordo nel
credere che fosse a provvedere all’emissario. Il miglioramento dell’aria
intorno alle paludi, e il risanamento di tanti terreni sarebbero un premio
immediato all’abbassamento del pelo ordinario; ma, oltre la pesca, bisogna aver
riguardo alle condizioni della navigazione da una parte, e dall’altra all’irrigazione.
Per la prima i nostri padri sostennero l’ardita spesa di aprire il naviglio di
Paderno e quel della Martesana, acciocché Milano fosse posta in comunicazione
col Lario e colle Alpi; per l’altra apersero il canale della Muzza e gli altri,
che tramutarono in fertili campagne le nude ghiaie dell’antico mare Gerundio
sul Lodigiano e sul Cremasco. Se dunque si desse libero corso all’Adda da Lecco
in giù, non si può predire con certezza qual riuscirebbe la navigazione, sì per
la rapida corrente in tempi di piena, sì per la troppo bassa acqua nelle magre.
E nelle une e nelle altre poteva temersi o scarsità o trabocco nei canali
irrigatori.
Queste
difficoltà si presentano naturalmente a chiunque appena conosca i fatti da noi
esposti. La sistemazione poi dei torrenti, lo sgombro dell’alveo, e l’impedire
che più oltre non si costipi, sono problemi che la scienza idraulica d’oggidì,
ben sostenuta da generosa larghezza dl mezzi, potrà superare con trionfo.
Due
pertanto sono le capitali opinioni intorno a questo progetto: il primo di
abbassare assolutamente il livello del lago di Como, onde preparare un bacino
più capace alle acque che straordinariamente vi entrassero. Ciò si ottiene
collo sbrattare d’ogni impedimento l’emissario, per cui scorrendo maggior
volume d’acqua, naturalmente s’abbassa il pelo ordinario. S’opporrebbero a tale
progetto i riflessi fatti qui sopra per l’irrigazione e per la navigazione;
onde altri in quella vece proponevano che si preparasse uno scaricatore più
ampio, da aprirsi solo nel caso di piena, e in proporzione di questa. Ciò
sarebbero chiuse grandiose, ai siti più angusti, che potessero all’uopo aprirsi
tutte o in parte. Queste fornirebbero il mezzo di tener sempre ad un livello
quasi uniforme il lago di Como.
Tocca ai
periti dell’arte il vedere e valutare le difficoltà e i mezzi dell’un disegno o
dell’altro. Noi qui volemmo soltanto accennarli, come abbiamo detto, per
informazione dei lettori nostri. Ai quali intanto annunzieremo come, quel che
finora fu soltanto un’idea, or va prendendo corpo. Atteso che superiori decreti
nel passato marzo ordinarono che si cominciasse immediatamente lo sgombero dell’emissario
alla parte sua più bassa, cioè a Brivio, levandone la chiusa che abbiamo detto,
e le tante pescaie [sbarramenti di pietre o altri materiali di riporto, per
mezzo dei quali si deviano le correnti dei fiumi consentendo una più facile
pesca]; operazione che, condotta con rapidità, ormai è compita. Noi, intenti a
tenere informati i lettori nostri di quanto si fa di utile e di grandioso,
principalmente nella patria nostra, renderemo conto dell’esito che ebbe quest’operazione,
tosto che sia stata messa alla prova del tempo e della piena. La qual prova
speriamo che coronerà le generose intenzioni, dalle quali fu ispirato e diretto
il progetto.
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