martedì 30 settembre 2014

1821 - BRUSCHETTI, 2.2. Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione-interna del milanese





§. II.

La navigazione dal Lago Maggiore a Milano
e da Milano al Po.

Il sistema di opere alla presa dell’acqua del Naviglio Grande sul fiume Ticino non si trovava affatto esente da variazioni al principio del secolo 18.°; comunque queste non fossero più dipendenti dai cattivi principj della fabbrica, ma soltanto dall’incuria degli uomini a mantenerla, dai guasti cagionati in occasione delle guerre in paese, dalle piene di Ticino più straordinarie e da altre simili emergenze. Nel loro complesso tali emergenze verso la metà del passato secolo hanno potuto alterare lo stato di quella grandiosa imboccatura di canale, e far temere nuovamente della sua perdita, inseparabile con quella de’ vantaggi infiniti del Naviglio Grande e del Naviglio di Bereguardo.
Cangiato appunto a tale epoca nel Milanese il lungo dominio dei Re di Spagna con quello della Casa d’Austria, e smembrato successivamente dal Ducato di Milano anche l’alto e basso Novarese, l’imboccatura del Naviglio Grande restò situata sopra un punto di confine dei possessi austriaci d’Italia; ma la convenzione 4 ottobre 1751 fra le Corti di Torino e di Vienna conservò al Governo del Milanese il diritto di regolarvi e mantenervi tutte le costruzioni necessarie alle due sponde del fiume Ticino per la opportuna direzione di quel canale di derivazione. Cessate sotto Maria Teresa anche le guerre dell’Austria per la conquista del Ducato di Milano, gli ingegneri della Regia Camera non ebbero in ciò che a riparare le opere sussistenti con lavori ordinari, per vincere quando a quando la natura del grosso fiume Ticino rapidissimo di corso e soggetto a grandi piene, e per conservare al Milanese la prosperità dipendente dall’imboccatura del Naviglio Grande. In tal guisa prima dell’anno 1755 l’unica modificazione al piano di quest’opera del Meda consisteva ancora nella succennata apertura originata all’estremità sinistra della chiusa di derivazione da sola trascurarla di riparazioni ordinarie. Fu ritenuta posteriormente quest’apertura per la comodità che presentava di poter essere otturata in tempo di magre e di servire in tempo di piene a guisa di ampio paraporto per attrarre l’acqua e smaltirla nella parte inferiore del fiume. Nella grande piena del 1765 il Ticino squarciò bensì la sua ripa destra alquanto superiormente all’imboccatura del Naviglio Grande, dirigendosi per nuovo alveo sul territorio Novarese; ma arrivato alla chiusa di derivazione, il fiume mantenne ancora la stessa tendenza di prima all’incile del Naviglio Grande. Ciò non ostante gli ingegneri camerali Ricchini e Robecco credettero in quell’occasione di dover progettare al Governo una sostanziale modificazione al piano di opere ivi sussistente, sull’insorto timore di un prossimo pericolo di sviamento del fiume Ticino dall’imboccatura del Naviglio Grande. Il progetto si riduceva a quello di inalveare Ticino in un perfetto rettifilo nella tratta di fiume che si stende superiormente a quest’imboccatura sin’oltre la sezione del fiume detta al porto di Oleggio. Esso venne anche approvato ed intrapreso nella sua esecuzione; ma poco dopo il Governo, sopra proposizione del matematico Antonio Lecchi che per propria scelta si era recato a visitarne i lavori, si determinò a farli sospendere ed a riflettere di nuovo sul più conveniente partito da prendersi per riparare al temuto pericolo e per conservare il Naviglio Grande. Invitato quindi lo stesso Lecchi dal Presidente Camerale Mantegazza a presentare un ragionato parere in proposito, egli è passato a suggerire la sistemazione del fiume e del canale dietro il piano preesistente, cioè con alveo tortuoso e con tutte le opere di sfogo o di presidio da secoli mantenute. Tali opere sono varie, ma principalmente si possono nominare nel mezzo del fiume la chiusa di derivazione, detta anche la paladella, e in continuazione la soglia della bocca di Pavia; dalla parte del Novarese, l’armatura dei mancini ed il travacatore della Lanca del Bragadano; e dalla parte del Milanese, l’armatura ed il Pennellone di Lonate, non che lo sperone e l’incile del Naviglio Grande. Ripresi poi i lavori dietro questo piano dichiarato economico e prudente al tempo stesso, non sono cessati subito i timori manifestati per la perdita del Naviglio Grande in causa dei giri viziosi del fiume Ticino al di sopra della imboccatura di quel canale. Ma l’esito felice del ristauro dopo una serie di osservazioni in ogni stato del fiume e del canale in tutte le stagioni dell’anno diminuì a poco a poco e fece svanire interamente entro alcuni anni gli stessi timori; sicchè questo fatto servì di riprova della necessità di conservare gelosamente in ogni futura occorrenza la sostanza del piano di opere esisterne sul Ticino all’imboccatura del Naviglio Grande, lasciando scorrere nel resto quel fiume sono e sopra di una tale imboccatura colle sue inevitabili tortuosità.
Assicurato di tal maniera il Milanese anche nel passato secolo della stabilità dell’opera più importante de’ suoi canali di navigazione, non si è tardato a ritornale sull’idea del canale di diramazione per estendere la comoda, diretta e facile comunicazione per acqua dal centro dei canali milanesi al Po ed al mare. Specialmente in occasione di una visita magistrale eseguita al Naviglio di Bereguardo venne incaricato l’appaltatore Pietro Nosetti di presentare una relazione contenente le proprie osservazioni ed idee sul progetto di continuare questo canale diramato dal Naviglio Grande sino in Ticino, alquanto di sopra dalla città di Pavia. Allora il Nosetti, dopo aver dichiarate le difficoltà inerenti a questo pensiero, e massime quella di avere uno sbocco felice per il Naviglio di Bereguardo, prese occasione di proporre l’altro antico progetto del canale da Milano a Pavia, diramato pure dal Naviglio Grande e tirato direttamente dall’una all’altra di queste due città. Coll’esecuzione di questo progetto potendosi far servire un maggior corpo d’acqua disponibile dal principal centro dei canali milanesi, era sperabile, secondo il Nosetti, di combinare col vantaggio della navigazione quelli, non meno importanti per il Milanese, dell’irrigazione e del movimento d’opifici. Nell’esposizione poi di ogni cenno di confronto sull’utilità derivabile allo Stato dalla pura navigazione dell’uno piuttosto che dell’altro di quei due canali, le considerazioni del Nosetti tendevano tutte a far sentire, che il Canale di Pavia, oltre a conseguire lo scopo del prolungamento del Naviglio di Bereguardo, era di un’importanza ben maggiore per il commercio del Milanese col Po e colle altre province italiane della Lumellina, dell’OltrePo e del Genovesato. Qualche altro cenno sull’utilità assoluta del Canale di Pavia si trovava pure sparso nelle opere idrauliche del matematico Frisi stampate fino a tutto l’anno 1770. Ma ciò che a quell’epoca determinò maggiormente il Governo di Milano a prendere in serio esame tale oggetto, fu probabilmente la rappresentanza di Francesco Sartirana in allora Regio Delegato di Pavia. Dovendo questi passare a far eseguire il riadattamento della strada postale da Pavia a Milano, ha fatto riflettere al Ministro Firmian che, qualora fosse stata contemporaneamente ordinata l’opera desiderata di rendere navigabile l’antico alveo di canale detto Naviglietto o Navigliaccio e scorrente parallelamente alla stessa strada dall’una all’altra città, si potevano sperare dei notabili risparmi nelle spese di costruzione di ambedue le opere. Ben accolto questo riflesso dal Ministro De Firmian a Milano, venne subito comunicato al Principe Kaunitz presso la Corte di Vienna, ed inoltre fu ben presto risoluto di ordinare un progetto regolare del Canale di Pavia con tutti i dettagli desiderabili per essere consultato alla Corte medesima.
Di seguito il Principe Kaunitz desiderò delle notizie precise sull’utilità sperabile dell’opera e sull’ammontare della spesa di sua costruzione. Circa al primo articolo gli fu prontamente inviata dal Governo di Milano una relazione dimostrante il guadagno che ne sarebbe provenuto dal Canale di Pavia per la condotta dei vari generi di trasporto. Questo guadagno vi si calcolava nella somma di annue lir. 157600 di Milano, nella ipotesi che la popolazione, le consumazioni ed il commercio si dovessero mantenere nel Milanese soltanto allo stato in cui si trovavano a quell’epoca, e nell’altro supposto che il diritto di finanza sulla navigazione detto il dazio della catena venisse generalmente diminuito di un quinto sulla tariffa in allora vigente nel Milanese per uniformarsi alle saggie viste del Principe Kaunitz, che aveva poco dianzi suggerita questa diminuzione come idonea a rendere più attiva la navigazione del Milanese e ad accrescere in questa maniera il prodotto del diritto devoluto alla Regia Camera. Circa al secondo dei succitati articoli, che risguarda la stima delle spese di costruzione dell’opera, il Governo di Milano ha in sulle prime riscontrato che non era altrimenti possibile il determinarle con qualche approssimazione al vero avanti di inoltrarsi nel rilievo della parte fisica del progetto. Al gennaio poi dell’anno 1772 non si aveva in pronto di questa parte del progetto che un profilo di livellazione, di tutta fretta rilevato e presentato al Governo dagli appaltatori Nosetti e Fè unitamente ad una loro idea di piano. Secondo tale idea di piano il nuovo Canale di Pavia si avrebbe dovuto tracciare ancora nel letto dell’antico Naviglietto o Navigliaccio sulla destra della strada postale da Milano sino alla travacca Campeggi verso Pavia, e continuare di là sino allo sbocco in Ticino di sotto di Pavia, interrompendolo tratto tratto per mezzo di fabbriche da sostegno di forma e salto poco diversi dall’ordinario.
Affidata al matematico Frisi sopra proposizione del Principe Kaunitz l’incumbenza di distendere un progetto regolare del Canale di Pavia, e continuando lo stesso Principe nella sua impazienza di avere nelle mani una stima approssimativa delle spese dell’opera, venne ingiunto a Frisi di servirsi della livellazione Nosetti e Fè come di un dato su cui fondare almeno un’idea di progetto degna di essere presentata alla Corte di Vienna senza ulteriore dilazione; motivo per cui il Frisi non tardò a dedicare all’Arciduca Ferdinando Governatore una sua prima relazione sul modo di far procedere l’esecuzione della grande opera sin presso Pavia. La relazione era corredata di un calcolo approssimativo delle spese per condurne i lavori sin presso Pavia, e tali spese vi venivano valutate circa scudi 300 mila, volendo usare di tutta la possibile economia. Ma essendosi attesa successivamente anche dal Kaunitz la più accurata livellazione del Frisi, si è dato ad essa principio nell’aprile di quell’anno 1772, e fu continuata dietro una norma prescritta per poter sistemare un regolare progetto del Canale di Pavia e per poter somministrare dei dati meno lontani dal vero sulla stima delle spese di costruzione.
Giunto il Frisi verso Binasco sulla linea dell’antico cavo detto Naviglietto colla sua livellazione, si è potuto accorgere del grossolano errore incorso in quella dianzi rilevata dagli appaltatori; ed arrivato colla operazione geodetica sino al pelo d’acqua di Ticino sotto Pavia, ha rinvenuto una grande differenza fra le cadute totali del terreno segnate dal proprio e dall’altrui profilo. Questo fatto, che alterava tutta la forma del progetto dianzi rassegnato all’Arciduca Governatore, determinò il Frisi ad imprendere sull’istante la redazione di un altro progetto, che per la fine del giugno di quello stesso anno 1772 venne pure presentato allo stesso capo del Governo in Milano col titolo: «Relazione topografica ed idrometrica sulla maniera di restituire la navigazione perduta da Milano a Pavia e di aprire la comunicazione col Po e col mare.» Da questa relazione pertanto noi potremo cavare le notizie della livellazione e delle altre osservazioni che offrono le principali idee di rapporto del progetto Frisi cogli altri o più antichi o più recenti per il medesimo Canale di Pavia.
Adottando per la linea del nuovo canale i cavi preesistenti da Milano al Lambro, dal Lambro a Binasco e da Binasco a Campeggi, l’idea del Frisi collimava nell’antica di andare direttamente da Campeggi nella fossa di fortificazione della città di Pavia di fianco al bastione di S. Maria in Pertica presso a Porta Stoppa, e di là spiccarsi allo sbocco in Ticino. Presso tale linea del progetto Frisi e prima di arrivare al Ticino incontrandosi un vecchio muro sostenente un terrapieno parallelamente al bastione inferiore della città di Pavia, era suggerito allo stesso Frisi di farlo servire per ricevervi molte barche del canale come in una specie di darsena. La foce del naviglio scelta dal Frisi precisamente alla punta del bastione inferiore di Pavia veniva da lui ritenuta per la più adattata, sul motivo che il Ticino dal Ponte di Pavia sino dicontro a quel bastione, quantunque non avesse finito di portar ghiaie, si potesse però riguardare come stabilito di letto e incanalato fra le mura della città ed i lavori che si trovavano fatti sulla diritta, lavori che, indipendentemente dalle considerazioni del Naviglio, dovevano essere mantenuti per preservarsi da ogni mutazione di letto del fiume che lo deviasse dal Ponte e dalla città di Pavia; «laddove, soggiungeva Frisi, andando più sotto incomincia il Ticino a vagare colle sue acque, si fa più largo ed è soggetto a più variazioni, come appunto succede ne’ fiumi rapidi e liberi che non portano materie più sottili; e sopra del Ponte l’inconveniente si fa maggiore e per la natura del luogo e per la maggior quantità e grossezza delle ghiaie.»
Prescrivendo la larghezza del Canale di Pavia come in tutti i progetti anteriori, cioè adattata al cambio di due barche delle più grandi usate sugli altri canali milanesi, non pensò Frisi di dover renderla sufficiente allo scambio delle maggiori barche del Po.
Risultando di met. 54,140 a totale caduta del terreno, dalla soglia del vecchio incile del canale sotto il Ponte Trofeo a Milano all’altra soglia della chiavica nella fossa di Pavia all’angolo del suo bastione inferiore, dichiarava il Frisi che il problema della distribuzione delle pendenze in tutti i punti del Canale di Pavia era di natura sua assai intralciato. Quindi è che per renderlo meno indeterminato, il Frisi stesso, sull’appoggio dell’osservazione di altri canali consimili e sull’autorità di Eustachio Manfredi, è venuto a fermare per certo il principio: che si avrà sempre un lentissimo corpo d’acque in un canale interrotto successivamente da sostegni, e che, detratte le cadute e l’altezza delle porte di questi, abbia una pendenza di fondo ragguagliata in ragione di met. 0,594, o met. 0,891 per ogni lunghezza di met. 1782. Allo stesso fine il Frisi ha anche supposto in quell’occasione come un altro principio d’arte, ricavato dalle osservazioni degli esempi consimili e, secondo lui, sostenuto anche da buone ragioni: che cioè i limiti dell’altezza dei sostegni devono essere 12 o 13 piedi di Francia, che sono circa 7 braccia di Milano, ossia met. 4,158. Inoltre non mise Frisi in dubbio la possibilità di avere a Milano la necessaria presa d’acqua per il Canale di Pavia delle assunte dimensioni in lunghezza e in larghezza e di un’altezza d’acqua in ogni punto poco minore di met. 0,891, affinchè le barche potessero comodamente pescarvi ed eseguirvi i loro viaggi con un carico considerabile. Ma poi quell’idraulico si fece per maggior sicurezza a calcolarla dietro l’ipotesi doppiamente svantaggiosa delle tavole paraboliche. Uno di questi svantaggi nasceva dall’uso stesso delle tavole paraboliche che, applicate al computo della quantità d’acqua discorrente per gli alvei de’ fiumi e de’ grandi canali, danno sempre delle misure che sono maggiori della vera. L’altro discapito traeva origine dalla presupposta circostanza che il Canale di Pavia dovesse essere di corso libero dal principio alla fine di ciascun tronco e non interrotto da alcuna porta di sostegno. Ciò non ostante il Frisi dichiarò fisicamente possibile per il Milanese il Canale di Paderno anche in questo caso puramente ipotetico, e passò ad esaminare con particolari considerazioni, se potesse bastare all’uopo la quantità d’acqua fin d’allora disponibile ne’ dintorni di Milano. Avendo poi Frisi deciso affermativamente questo punto del progetto, concluse che il problema di mantenere nel Naviglio di Pavia la necessaria quantità d’acqua si riduceva unicamente alle provvidenze generali ed ordinarie che appartenevano ancora al buon ordine delle cose, e che erano 1.° di tenere annualmente più spurgato e libero il primo e superior tronco dei Naviglio Grande; 2.° di levare tutti i ridossi che si trovassero sul fondo dello stesso canale di sotto del paese di Corsico, e di escavarlo specialmente dov’era interrato di sotto a S. Cristoforo; 3.° di mantenere gli ultimi tronchi del Naviglio della Martesana alla profondità dell’espurgazione che si usava di fare solamente ogni tanti anni.
Dopo avere ammessi questi principi come cardini del progetto, inoltrandosi il Frisi ad assegnare la distribuzione precisa della caduta del terreno, ebbe occasione di specificare le altre massime principali da lui adottate per il Canale di Pavia, e di rendere ragione di tutti gli edifizi da lui divisati o ritenuti da ristaurarsi per il medesimo. L’incile del Canale di Pavia de’ tempi del Bisnati, fuori di Porta Ticinese di Milano, dovendo essere, secondo Frisi, ristabilito a servizio del nuovo canale dello stesso nome, veniva però alterato nella soglia che si ideava di fissare ad un livello alquanto depresso sotto l’antico per abbassare altrettanto in corrispondenza le ultime tratte del Naviglio Grande e del Naviglio della città di Milano, non che la prima tratta del nuovo Canale di Pavia da Milano al Lambro. Potendosi con ciò ribassare di molto la soglia superiore della Conca fallata senza guastare il vecchio ponte-canale per questo fiume che aveva il soprarco abbastanza depresso sul fondo effettivo del vecchio canale, sarebbe rimasto incassato il nuovo Canale di Pavia in tutti i punti di quella tratta, come richiedeva il piano Frisi, anche per la comodità di sfogarvi una parte delle piene del fiume Olona. A riguardo della determinazione del livello della soglia inferiore alla Conca fallata proponeva il Frisi di ridurre il salto di questo sostegno a 4 o 5 metri; onde quella soglia doveva essere ancora rialzata di vari altri metri. Questo alzamento di soglia era parimenti comandato fin dai tempi del Frisi dalle ragioni particolari di dover dare innocuo passaggio sotto la linea del nuovo canale alle acque del Lambretto e di altri scoli e condotti d’acqua, che per essere di un’epoca più recente non potevano entrare nel piano dei lavori abbandonati allo stesso canale sotto il dominio spagnuolo. Siccome poi un sostegno di met. 4 e più, non aveva ancora esempio in quell’anno nel Milanese sopra canali navigabili sussistenti ed usati; così fu soggiunto dal Frisi, per le ragioni che determinavano a non dare alla conca al Lambro una caduta minore, 1.° la comodità che anche gli inferiori tronchi di canale restassero bastantemente incassali fra terra; 2.° il partito preso di ricevere in canale e poi dare a suo luogo colle opportune chiaviche, oltre le suddette piene d’Olona, le acque di molti fossi cadenti attraverso la linea. Le altre conche del canale per arrivare da Milano a Pavia, oltre l’accennata al Lambro, venivano portate dal Frisi al numero di quattro e distribuite per modo che se ne avesse una fra Cassino ed il Bissone, una seconda a Binasco, una terza a Nivolto ed una quarta a Torre del Mangano. Credevasi dal Frisi che tali determinazioni sul numero de’ sostegni e sulla scelta de’ luoghi fossero le più giustificate dal prospetto delle differenti inclinazioni dei piani di campagne e dalle particolari circostanze di tutù i canali di irrigazione e di scolo cadenti sotto la linea. Per discendere col Canale di Pavia dal pian superiore di questa città nel basso letto di Ticino, ha riconosciuto anche il Frisi la convenienza di schivare possibilmente la moltiplicazione dei sostegni sopra una tratta di canale che doveva per la natura del luogo riuscire la più ingombra di quelle fabbriche e la piti frequentata dalla navigazione. Tuttavia non volendo il Frisi dipartirsi dalla massima da lui consigliata per la superior tratta da Pavia a Milano, si è ridotto anche qui a suggerire di non oltrepassare il limite dei met. 4,752 nell’altezza dei salti de’ sostegni da costruirsi sull’inferiore tratta di canale da Pavia allo sbocco, ed a prescegliere per la forma dei sostegni medesimi la maniera dei così detti accollati che abbiamo veduto usata per la prima volta sul Naviglio di Bereguardo e proposta varie altre volte anche per il Canale di Paderno.
Riteniamo intanto che il Frisi alla discesa del Canal di Pavia in Ticino aveva progettato due sostegni accollati per passare nella fossa di quella città all’angolo del bastione di S. Maria in Pertica presso Porta Stoppa; un altro sostegno semplice sulla linea prima di arrivare davanti a Porta Cremona, e due alni sostegni accollati a questa Porta, disegnando un ultimo sostegno al luogo dello sbocco in Ticino, munito di un ordine di porte detto la mezza-conca da usarsi in tempo di acque basse.
Si aggiunga che il piano di pendenze del Frisi fissato dietro il principio surriferito per tutta la linea del Canale di Pavia veniva ancora a portate, come in tutti i precedenti progetti, qualche varietà ne’ salti dei sostegni dall’uno all’altro, e nelle cadenti dei tronchi, da soglia a soglia dei principali edifizi. Questa poca uniformità di pendenze sembrava però abbastanza giustificata presso il Frisi dalle circostanze del caso e del terreno vedute in complesso. Specialmente fu addotta da lui la necessità di dare innocuo passaggio per ponte-canale a qualcheduno dei condoni trasversali alla linea, ed il bisogno di adattarsi possibilmente col profilo del canale al profilo del terreno non uniformemente inclinato. Un’altra ragione di disegnare il Canale di Pavia dove con met. 0,594 di pendenza per ogni miglio di met. 1782; dove con met. 0,891, e dove persino con met. 1,188, andando però sempre in ordine crescente da Milano verso Pavia, era, secondo il Frisi, la risoluzione di accrescere per istrada di più in più la portata del canale col ricevere in esso molti scoli e sorgenti di gran lunga superiori nella copia d’acqua a quella consunta nell’uso della navigazione.
Finalmente per riguardo allo sfogo delle piene, che dietro il piano del Frisi si sarebbero regolarmente o accidentalmente introdotte in canale su qualche punto della linea, prescriveva appositamente quel professore di instaurare ed ampliare gli edifici di diversivi, travacatori e scaricatori a paraporti praticali altre volte all’incontro del Lambro meridionale di sopra della Conca fallata. Inoltre intendeva egli con quel suo piano di conservare un preesistente scaricatore del Ticinello presso a Binasco e si riservava di far costruire il più grande scaricatore del Naviglio presso la travacca Campeggi per ismaltirvi direttamente in Ticino tutte le acque soprabbondanti rimaste nel canale navigabile fin presso Pavia e portate o dalle pioggie o da rotte degli argini dei laterali canali, o dalle piene del Ticinello, della Mischia e di altri torrentelli che a norma del progetto dovevano rendersi influenti del naviglio.
Tale è l’idea del progetto Frisi per il Canale di Pavia. La relazione del medesimo venne accompagnata dall’Arciduca Ferdinando Governatore in Milano alla Corte di Vienna col disegno rappresentante la pianta ed il profilo generale del canale e con una nuova minuta di stima che faceva ascendere la spesa dell’opera intera a circa un milione e mezzo di lire di Milano.
Successivamente fu inviata alla stessa Corte anche una relazione dell’appaltatore Nosetti sul progetto Frisi. In questa si cercava di sostenere l’idea di usare nella discesa del canale da Pavia in Ticino quattro sostegni semplici di salto piuttosto straordinario e di una forma di costruzione tale, che valessero senz’altro edilizio a scaricare tutte le piene del canale da Binasco all’ingiù. A quest’ultimo riguardo si tendeva a far rilevare nella stessa occasione che nè la travacca Campeggi, nè altri edilizi diretti ad usi privati potessero servire di scaricatore del Naviglio senza rovinare gli inferiori opifici e piani d’irrigazioni, o in generale senza sturbare i privati nel pacifico possesso de’ loro diritti. Instando poi il Nosetti sulla necessità di appositi canali scaricatori, dell’armatura in muro alle sponde di molte tratte del canal navigabile e di molti altri capi di spesa non considerati dalla stima e dal progetto Frisi, non tralasciava di rappresentare, che secondo i suoi conteggi la spesa dell’opera intera sarebbe invece ascesa per lo meno a lir. 2,646,000 di Milano.
Il Principe de Kaunitz a Vienna, ricevute che ebbe ed esaminate tutte le succennate pezze relative al progetto del Canale di Pavia unitamente a quelle relative al progetto del Canale di Paderno, restò persuaso che gli interessi particolari della Città di Milano potevano bensì far preferire il secondo canale al primo per l’opera pubblica da intraprendersi a quell’epoca nel Milanese; ma non già che per l’interesse pubblico e camerale della provincia, il Canal di Pavia si potesse dire inferiore ad alcun altro possibile da progettarsi per l’oggetto della navigazione-interna. Ha però quel Principe voluto sentire, prima di decidersi ad una scelta, i rappresentanti delle Città di Como e di Pavia interessate nei due progetti, ed inoltre ha mostrato di desiderare un più maturato parere sul progetto Frisi di qualcheduno dei più provetti periti del paese; talchè per ambedue questi capi si incontrarono delle forti opposizioni, in causa delle quali la faccenda andò ancora per le lunghe.
La Città di Pavia, come abbiamo già detto di sopra, si fece ad implorare dal Governo che fosse sospeso anco quella volta ogni discorso sul canale che doveva unirla più comodamente a Milano, per il motivo che la di lui costruzione potesse avere in complesso una influenza dannosa sul proprio commercio particolare. Di più, per fare una diversione di un altro genere al temuto progetto, si è contemporaneamente cercata al Governo la compra delle acque disponibili a Milano per il nuovo canale, facendo vista di volerle usare per un canale di semplice irrigazione da incominciarsi verso Milano e da condursi verso Pavia. Ma in quell’occasione il Regio Delegato Sartirana si è fatto carico da Pavia di confutare parola per parola le osservazioni spedite dai rappresentanti di quella Città: per cui il Governo non ha concessa che a poco a poco e con riserva la vendita delle acque ed ha continuato a favorire l’idea ed il progetto del Canale di Pavia.
Una nuova prova di confidenza si è poi data dal Governo di Milano all’appaltatore Nosetti, incaricando lui stesso dell’ordinato esame del progetto Frisi per il Canale di Pavia. Il Nosetti, che pensava di aspirare all’appalto dell’opera, si è sforzato allora, com’era naturale, di persuadere che fosse troppo bassa la stima delle spese unita al progetto Frisi; ma di ciò quell’intraprenditore ha pur anco addotte varie plausibili ragioni. Così ritenendo egli indispensabili alcune opere sui canali Naviglio Grande e Naviglio della Martesana onde avere a Milano una perenne e copiosa presa d’acqua per tutti gli usi del Canale di Pavia, fece riflettere che questo capo di spesa non era considerato minimamente nella stima Frisi. Inoltre riguardando come dannosa ogni introduzione nel naviglio pubblico delle acque di ragione privata, in causa degli interrimenti e dei guasti che producono le loro piene, ed in causa delle infinite questioni che si incontrano nella restituzione delle medesime acque, da eseguirsi senza alterare nè la quantità nè il livello del loro pelo, fu condotto il Nosetti a calcolare sopra un maggior numero di botti, ponti-canali e simili edifici per non disturbare il piano d’agricoltura preesistente sulla linea del canale. Allontanandosi la costruzione dei sostegni accollati dalle pratiche cognizioni del Nosetti, questi non esitò a dichiarare anche allora che non sapeva contare con sicurezza sul risparmio di spesa che essi potessero procurare al nuovo Canale di Pavia. Non combinando finalmente nell’idea del Frisi di risparmiarvi ogni armatura in muro alle sponde ed un’ampia darsena verso lo sbocco, cercò il Nosetti di mostrare indispensabili anche questi articoli di rilevante spesa che dovevano accrescere di molto la stima del Canale di Pavia sopra i calcoli precedentemente rassegnati dal Frisi.
Referite al Kaunitz a Vienna per la fine del 1772 queste nuove emergenze sul progetto del Canale di Pavia, quel Principe perseverò nel sentimento, che in occasione di dover mettere in circolazione del danaro nel Milanese, convenisse assolutamente rivolgersi alla costruzione di qualche canale; e non tralasciò di dichiarare apertamente che a lui stava a cuore più di tutti i possibili quello di Pavia. Ma siccome generalmente le altre persone che avevano fin allora condotte le trattative dei progetti di ambedue i canali di Pavia e di Paderno inclinavano piuttosto per il secondo che per il primo, così il Principe De Kaunitz si è determinato definitivamente di proporre la costruzione contemporanea di ambedue quelle opere nel seno del Milanese.
Ottenuta nel febbraio del 1773 la sullodata sovrana approvazione, come abbiamo di già riferito nel paragrafo antecedente, fu deciso in Milano di far eseguire que’ due canali uno dopo l’altro, dando la preferenza a quello di Paderno. Aggiungeremo ora che il Kaunitz dalla sua residenza di Vienna instò nuovamente, dopo tale decisione, sulla necessità di non ritardare l’esecuzione dei due canali a un tempo per alleggerire le calamità del basso popolo della provincia in quelli epoca di carestia, ed anche per ismentire le voci sparse in allora che per le sole brighe dei Veneziani e dei Genovesi non dovesse mai seguire l’effettuazione del Canale di Pavia. Di qui è che l’Arciduca Governatore passò di seguito in Milano a far tenere pubblicamente le aste separate per i due canali suddetti. In occasione di queste aste, dopo vari esperimenti infruttuosi, sono state fatte due sole obblazioni per il Canale di Pavia. Una di esse era della stessa compagnia Nosetti, che aveva già applicato e con maggior coraggio all’impresa del Canale di Paderno, e l’altra era mancante della voluta sicurtà benevisa al Governo. Dietro tale risultato anche il Principe De Kaunitz ha deposto dualmente il pensiero di far intraprendere a quell’epoca la costruzione del Canale di Pavia, ed ha rivolto tutte le cure su di un tale oggetto all’opera del Canale di Paderno e della navigazione dell’Adda.
Perduto così quel momento propizio all’intrapresa del Canale di Pavia, il suo progetto in tutto il resto del passato secolo è sempre stato un puro voto dei popoli, un ardente desiderio delle persone dell’arte e nulla più; mentre il decreto di Maria Teresa per la sua esecuzione è stato sospeso e messo interamente da parte dal Governo di Milano fin da quel momento. Sul cadere del passato secolo fu bensì procurato al Naviglio Grande un aumento di portata per mezzo di lavori d’escavazione al suo incile ed al suo termine, non che un corrispondente aumento dei travacatori e scaricatori a paraporti disposti lungo la sua linea per l’opportuno sfogo delle piene. Da ciò ne è derivato una maggiore facilità e comodità nella navigazione dei due canali Naviglio Grande e Naviglio di Bereguardo; ma anche tale aumento di portata, che avrebbe potuto servire per formare la presa d’acqua del nuovo Canale di Pavia, fu ben presto venduto a conto della Regia Camera per accrescere le dispense d’acqua ad usi privati sulla linea di quei due canali navigabili.
Per chi ama poi di avere riunite le principali notizie dei progetti del Canale di Pavia e le loro avventure a tutto il passato secolo, aggiungeremo qui, che il progetto Frisi ha incontrato una decisa opposizione da parte del matematico Lecchi. Questo autore nel suo Trattato de’ canali navigabili, pubblicato per le stampe di Milano nel 1776, parlò del Canale di Pavia come di un progetto cinto da quasi insormontabili difficoltà dal suo principio al fine. Egli si è anche dichiarato nella stessa occasione piuttosto favorevole all’altro antico progetto di prolungare il Naviglio di Bereguardo sino allo sbocco in Ticino poco di sopra del Ponte di Pavia, affine di ottenere l’oggetto medesimo del Canale di Pavia. Il Frisi dal cauto suo nel secondo tomo della edizione milanese di tutte le sue opere, cominciò dal modificare alquanto il proprio piano per il Canale di Pavia mostrandosi risoluto di non dare più ai diversi tronchi del medesimo una pendenza maggiore di metr. 0,594 per miglio di metr. 1782: il che corrisponde al 1/1000 della lunghezza. Suggerì inoltre il Frisi nella stessa occasione come interessante il pensiero di continuare a scorrere col naviglio in un sol tronco dal Lambro a Binasco, onde restare fuori di terra nella tratta di linea dove s’incontra il maggior numero di condotti e fossi trasversali; cosicchè è una combinazione affatto propria del Canale di Pavia, che ne’ suoi diversi progetti o in un tempo o in un altro si sono toccati limiti molto distanti nella determinazione dei vari elementi, e perciò anche sul punto di tenerlo o incassato nel terreno o sollevato sopra il piano delle laterali campagne. Quest’ultima idea del Frisi portava di fabbricare a Binasco due sostegni o semplici, od accollati come quelli da lui prescritti per la discesa del canale in Ticino sotto Pavia. Parlando per ultimo dei dubbi eccitati dal Lecchi, impugnò il Frisi che meritassero una seria confutazione le difficoltà che quell’autore ha scritto di avere contro il progetto del Canale di Pavia, e specialmente si occupò di ribattere con ovvie risposte le obbiezioni da lui specificate sugli articoli della presa d’acqua e dello sbocco del medesimo canale.[1]





[1] V. fra le carte del Naviglio di Pavia nei succitati archivi tutte quelle del secolo 18.o, da cui è estratto anche il documento n.o ix. riferito in fine di questi dettagli storici.

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