La
navigazione dal Lago Maggiore a Milano
e da
Milano al Po.
Il
sistema di opere alla presa dell’acqua del Naviglio Grande sul fiume Ticino non
si trovava affatto esente da variazioni al principio del secolo 18.°; comunque
queste non fossero più dipendenti dai cattivi principj della fabbrica, ma
soltanto dall’incuria degli uomini a mantenerla, dai guasti cagionati in
occasione delle guerre in paese, dalle piene di Ticino più straordinarie e da
altre simili emergenze. Nel loro complesso tali emergenze verso la metà del
passato secolo hanno potuto alterare lo stato di quella grandiosa imboccatura
di canale, e far temere nuovamente della sua perdita, inseparabile con quella
de’ vantaggi infiniti del Naviglio Grande e del Naviglio di Bereguardo.
Cangiato
appunto a tale epoca nel Milanese il lungo dominio dei Re di Spagna con quello
della Casa d’Austria, e smembrato successivamente dal Ducato di Milano anche
l’alto e basso Novarese, l’imboccatura del Naviglio Grande restò situata sopra
un punto di confine dei possessi austriaci d’Italia; ma la convenzione 4
ottobre 1751 fra le Corti di Torino e di Vienna conservò al Governo del
Milanese il diritto di regolarvi e mantenervi tutte le costruzioni necessarie
alle due sponde del fiume Ticino per la opportuna direzione di quel canale di
derivazione. Cessate sotto Maria Teresa anche le guerre dell’Austria per la
conquista del Ducato di Milano, gli ingegneri della Regia Camera non ebbero in
ciò che a riparare le opere sussistenti con lavori ordinari, per vincere quando
a quando la natura del grosso fiume Ticino rapidissimo di corso e soggetto a
grandi piene, e per conservare al Milanese la prosperità dipendente
dall’imboccatura del Naviglio Grande. In tal guisa prima dell’anno 1755 l’unica
modificazione al piano di quest’opera del Meda consisteva ancora nella
succennata apertura originata all’estremità sinistra della chiusa di
derivazione da sola trascurarla di riparazioni ordinarie. Fu ritenuta
posteriormente quest’apertura per la comodità che presentava di poter essere
otturata in tempo di magre e di servire in tempo di piene a guisa di ampio
paraporto per attrarre l’acqua e smaltirla nella parte inferiore del fiume.
Nella grande piena del 1765 il Ticino squarciò bensì la sua ripa destra
alquanto superiormente all’imboccatura del Naviglio Grande, dirigendosi per
nuovo alveo sul territorio Novarese; ma arrivato alla chiusa di derivazione, il
fiume mantenne ancora la stessa tendenza di prima all’incile del Naviglio
Grande. Ciò non ostante gli ingegneri camerali Ricchini e Robecco credettero in
quell’occasione di dover progettare al Governo una sostanziale modificazione al
piano di opere ivi sussistente, sull’insorto timore di un prossimo pericolo di
sviamento del fiume Ticino dall’imboccatura del Naviglio Grande. Il progetto si
riduceva a quello di inalveare Ticino in un perfetto rettifilo nella tratta di
fiume che si stende superiormente a quest’imboccatura sin’oltre la sezione del
fiume detta al porto di Oleggio. Esso
venne anche approvato ed intrapreso nella sua esecuzione; ma poco dopo il
Governo, sopra proposizione del matematico Antonio Lecchi che per propria
scelta si era recato a visitarne i lavori, si determinò a farli sospendere ed a
riflettere di nuovo sul più conveniente partito da prendersi per riparare al
temuto pericolo e per conservare il Naviglio Grande. Invitato quindi lo stesso
Lecchi dal Presidente Camerale Mantegazza a presentare un ragionato parere in
proposito, egli è passato a suggerire la sistemazione del fiume e del canale
dietro il piano preesistente, cioè con alveo tortuoso e con tutte le opere di
sfogo o di presidio da secoli mantenute. Tali opere sono varie, ma
principalmente si possono nominare nel mezzo del fiume la chiusa di
derivazione, detta anche la paladella,
e in continuazione la soglia della bocca
di Pavia; dalla parte del Novarese, l’armatura
dei mancini ed il travacatore della Lanca
del Bragadano; e dalla parte del Milanese, l’armatura ed il Pennellone di
Lonate, non che lo sperone e l’incile del Naviglio Grande. Ripresi poi i
lavori dietro questo piano dichiarato economico e prudente al tempo stesso, non
sono cessati subito i timori manifestati per la perdita del Naviglio Grande in
causa dei giri viziosi del fiume Ticino al di sopra della imboccatura di quel
canale. Ma l’esito felice del ristauro dopo una serie di osservazioni in ogni
stato del fiume e del canale in tutte le stagioni dell’anno diminuì a poco a
poco e fece svanire interamente entro alcuni anni gli stessi timori; sicchè
questo fatto servì di riprova della necessità di conservare gelosamente in ogni
futura occorrenza la sostanza del piano di opere esisterne sul Ticino
all’imboccatura del Naviglio Grande, lasciando scorrere nel resto quel fiume
sono e sopra di una tale imboccatura colle sue inevitabili tortuosità.
Assicurato
di tal maniera il Milanese anche nel passato secolo della stabilità dell’opera
più importante de’ suoi canali di navigazione, non si è tardato a ritornale
sull’idea del canale di diramazione per estendere la comoda, diretta e facile
comunicazione per acqua dal centro dei canali milanesi al Po ed al mare.
Specialmente in occasione di una visita magistrale eseguita al Naviglio di
Bereguardo venne incaricato l’appaltatore Pietro Nosetti di presentare una
relazione contenente le proprie osservazioni ed idee sul progetto di continuare
questo canale diramato dal Naviglio Grande sino in Ticino, alquanto di sopra
dalla città di Pavia. Allora il Nosetti, dopo aver dichiarate le difficoltà
inerenti a questo pensiero, e massime quella di avere uno sbocco felice per il
Naviglio di Bereguardo, prese occasione di proporre l’altro antico progetto del
canale da Milano a Pavia, diramato pure dal Naviglio Grande e tirato
direttamente dall’una all’altra di queste due città. Coll’esecuzione di questo
progetto potendosi far servire un maggior corpo d’acqua disponibile dal
principal centro dei canali milanesi, era sperabile, secondo il Nosetti, di
combinare col vantaggio della navigazione quelli, non meno importanti per il
Milanese, dell’irrigazione e del movimento d’opifici. Nell’esposizione poi di
ogni cenno di confronto sull’utilità derivabile allo Stato dalla pura
navigazione dell’uno piuttosto che dell’altro di quei due canali, le
considerazioni del Nosetti tendevano tutte a far sentire, che il Canale di
Pavia, oltre a conseguire lo scopo del prolungamento del Naviglio di
Bereguardo, era di un’importanza ben maggiore per il commercio del Milanese col
Po e colle altre province italiane della Lumellina, dell’OltrePo e del
Genovesato. Qualche altro cenno sull’utilità assoluta del Canale di Pavia si
trovava pure sparso nelle opere idrauliche del matematico Frisi stampate fino a
tutto l’anno 1770. Ma ciò che a quell’epoca determinò maggiormente il Governo
di Milano a prendere in serio esame tale oggetto, fu probabilmente la
rappresentanza di Francesco Sartirana in allora Regio Delegato di Pavia.
Dovendo questi passare a far eseguire il riadattamento della strada postale da
Pavia a Milano, ha fatto riflettere al Ministro Firmian che, qualora fosse stata
contemporaneamente ordinata l’opera desiderata di rendere navigabile l’antico
alveo di canale detto Naviglietto o Navigliaccio e scorrente parallelamente
alla stessa strada dall’una all’altra città, si potevano sperare dei notabili
risparmi nelle spese di costruzione di ambedue le opere. Ben accolto questo
riflesso dal Ministro De Firmian a Milano, venne subito comunicato al Principe
Kaunitz presso la Corte di Vienna, ed inoltre fu ben presto risoluto di
ordinare un progetto regolare del Canale di Pavia con tutti i dettagli
desiderabili per essere consultato alla Corte medesima.
Di
seguito il Principe Kaunitz desiderò delle notizie precise sull’utilità
sperabile dell’opera e sull’ammontare della spesa di sua costruzione. Circa al
primo articolo gli fu prontamente inviata dal Governo di Milano una relazione
dimostrante il guadagno che ne sarebbe provenuto dal Canale di Pavia per la
condotta dei vari generi di trasporto. Questo guadagno vi si calcolava nella
somma di annue lir. 157600 di Milano, nella ipotesi che la popolazione, le
consumazioni ed il commercio si dovessero mantenere nel Milanese soltanto allo
stato in cui si trovavano a quell’epoca, e nell’altro supposto che il diritto
di finanza sulla navigazione detto il dazio della catena venisse generalmente
diminuito di un quinto sulla tariffa in allora vigente nel Milanese per
uniformarsi alle saggie viste del Principe Kaunitz, che aveva poco dianzi
suggerita questa diminuzione come idonea a rendere più attiva la navigazione
del Milanese e ad accrescere in questa maniera il prodotto del diritto devoluto
alla Regia Camera. Circa al secondo dei succitati articoli, che risguarda la
stima delle spese di costruzione dell’opera, il Governo di Milano ha in sulle
prime riscontrato che non era altrimenti possibile il determinarle con qualche
approssimazione al vero avanti di inoltrarsi nel rilievo della parte fisica del
progetto. Al gennaio poi dell’anno 1772 non si aveva in pronto di questa parte
del progetto che un profilo di livellazione, di tutta fretta rilevato e
presentato al Governo dagli appaltatori Nosetti e Fè unitamente ad una loro
idea di piano. Secondo tale idea di piano il nuovo Canale di Pavia si avrebbe
dovuto tracciare ancora nel letto dell’antico Naviglietto o Navigliaccio sulla
destra della strada postale da Milano sino alla travacca Campeggi verso Pavia,
e continuare di là sino allo sbocco in Ticino di sotto di Pavia,
interrompendolo tratto tratto per mezzo di fabbriche da sostegno di forma e
salto poco diversi dall’ordinario.
Affidata
al matematico Frisi sopra proposizione del Principe Kaunitz l’incumbenza di
distendere un progetto regolare del Canale di Pavia, e continuando lo stesso
Principe nella sua impazienza di avere nelle mani una stima approssimativa
delle spese dell’opera, venne ingiunto a Frisi di servirsi della livellazione
Nosetti e Fè come di un dato su cui fondare almeno un’idea di progetto degna di
essere presentata alla Corte di Vienna senza ulteriore dilazione; motivo per
cui il Frisi non tardò a dedicare all’Arciduca Ferdinando Governatore una sua
prima relazione sul modo di far procedere l’esecuzione della grande opera sin
presso Pavia. La relazione era corredata di un calcolo approssimativo delle
spese per condurne i lavori sin presso Pavia, e tali spese vi venivano valutate
circa scudi 300 mila, volendo usare di tutta la possibile economia. Ma
essendosi attesa successivamente anche dal Kaunitz la più accurata livellazione
del Frisi, si è dato ad essa principio nell’aprile di quell’anno 1772, e fu
continuata dietro una norma prescritta per poter sistemare un regolare progetto
del Canale di Pavia e per poter somministrare dei dati meno lontani dal vero
sulla stima delle spese di costruzione.
Giunto il
Frisi verso Binasco sulla linea dell’antico cavo detto Naviglietto colla sua
livellazione, si è potuto accorgere del grossolano errore incorso in quella
dianzi rilevata dagli appaltatori; ed arrivato colla operazione geodetica sino
al pelo d’acqua di Ticino sotto Pavia, ha rinvenuto una grande differenza fra
le cadute totali del terreno segnate dal proprio e dall’altrui profilo. Questo
fatto, che alterava tutta la forma del progetto dianzi rassegnato all’Arciduca
Governatore, determinò il Frisi ad imprendere sull’istante la redazione di un
altro progetto, che per la fine del giugno di quello stesso anno 1772 venne
pure presentato allo stesso capo del Governo in Milano col titolo: «Relazione
topografica ed idrometrica sulla maniera di restituire la navigazione perduta
da Milano a Pavia e di aprire la comunicazione col Po e col mare.» Da questa
relazione pertanto noi potremo cavare le notizie della livellazione e delle
altre osservazioni che offrono le principali idee di rapporto del progetto
Frisi cogli altri o più antichi o più recenti per il medesimo Canale di Pavia.
Adottando
per la linea del nuovo canale i cavi preesistenti da Milano al Lambro, dal
Lambro a Binasco e da Binasco a Campeggi, l’idea del Frisi collimava
nell’antica di andare direttamente da Campeggi nella fossa di fortificazione
della città di Pavia di fianco al bastione di S. Maria in Pertica presso a
Porta Stoppa, e di là spiccarsi allo sbocco in Ticino. Presso tale linea del
progetto Frisi e prima di arrivare al Ticino incontrandosi un vecchio muro
sostenente un terrapieno parallelamente al bastione inferiore della città di
Pavia, era suggerito allo stesso Frisi di farlo servire per ricevervi molte
barche del canale come in una specie di darsena. La foce del naviglio scelta
dal Frisi precisamente alla punta del bastione inferiore di Pavia veniva da lui
ritenuta per la più adattata, sul motivo che il Ticino dal Ponte di Pavia sino
dicontro a quel bastione, quantunque non avesse finito di portar ghiaie, si
potesse però riguardare come stabilito di letto e incanalato fra le mura della
città ed i lavori che si trovavano fatti sulla diritta, lavori che,
indipendentemente dalle considerazioni del Naviglio, dovevano essere mantenuti
per preservarsi da ogni mutazione di letto del fiume che lo deviasse dal Ponte
e dalla città di Pavia; «laddove, soggiungeva Frisi, andando più sotto incomincia
il Ticino a vagare colle sue acque, si fa più largo ed è soggetto a più
variazioni, come appunto succede ne’ fiumi rapidi e liberi che non portano
materie più sottili; e sopra del Ponte l’inconveniente si fa maggiore e per la
natura del luogo e per la maggior quantità e grossezza delle ghiaie.»
Prescrivendo
la larghezza del Canale di Pavia come in tutti i progetti anteriori, cioè
adattata al cambio di due barche delle più grandi usate sugli altri canali
milanesi, non pensò Frisi di dover renderla sufficiente allo scambio delle
maggiori barche del Po.
Risultando
di met. 54,140 a totale caduta del terreno, dalla soglia del vecchio incile del
canale sotto il Ponte Trofeo a Milano all’altra soglia della chiavica nella
fossa di Pavia all’angolo del suo bastione inferiore, dichiarava il Frisi che
il problema della distribuzione delle pendenze in tutti i punti del Canale di
Pavia era di natura sua assai intralciato. Quindi è che per renderlo meno
indeterminato, il Frisi stesso, sull’appoggio dell’osservazione di altri canali
consimili e sull’autorità di Eustachio Manfredi, è venuto a fermare per certo
il principio: che si avrà sempre un lentissimo corpo d’acque in un canale
interrotto successivamente da sostegni, e che, detratte le cadute e l’altezza
delle porte di questi, abbia una pendenza di fondo ragguagliata in ragione di
met. 0,594, o met. 0,891 per ogni lunghezza di met. 1782. Allo stesso fine il
Frisi ha anche supposto in quell’occasione come un altro principio d’arte,
ricavato dalle osservazioni degli esempi consimili e, secondo lui, sostenuto
anche da buone ragioni: che cioè i limiti dell’altezza dei sostegni devono
essere 12 o 13 piedi di Francia, che sono circa 7 braccia di Milano, ossia met.
4,158. Inoltre non mise Frisi in dubbio la possibilità di avere a Milano la
necessaria presa d’acqua per il Canale di Pavia delle assunte dimensioni in
lunghezza e in larghezza e di un’altezza d’acqua in ogni punto poco minore di
met. 0,891, affinchè le barche potessero comodamente pescarvi ed eseguirvi i loro
viaggi con un carico considerabile. Ma poi quell’idraulico si fece per maggior
sicurezza a calcolarla dietro l’ipotesi doppiamente svantaggiosa delle tavole
paraboliche. Uno di questi svantaggi nasceva dall’uso stesso delle tavole
paraboliche che, applicate al computo della quantità d’acqua discorrente per
gli alvei de’ fiumi e de’ grandi canali, danno sempre delle misure che sono
maggiori della vera. L’altro discapito traeva origine dalla presupposta
circostanza che il Canale di Pavia dovesse essere di corso libero dal principio
alla fine di ciascun tronco e non interrotto da alcuna porta di sostegno. Ciò
non ostante il Frisi dichiarò fisicamente possibile per il Milanese il Canale
di Paderno anche in questo caso puramente ipotetico, e passò ad esaminare con
particolari considerazioni, se potesse bastare all’uopo la quantità d’acqua fin
d’allora disponibile ne’ dintorni di Milano. Avendo poi Frisi deciso
affermativamente questo punto del progetto, concluse che il problema di
mantenere nel Naviglio di Pavia la necessaria quantità d’acqua si riduceva
unicamente alle provvidenze generali ed ordinarie che appartenevano ancora al
buon ordine delle cose, e che erano 1.° di tenere annualmente più spurgato e
libero il primo e superior tronco dei Naviglio Grande; 2.° di levare tutti i
ridossi che si trovassero sul fondo dello stesso canale di sotto del paese di
Corsico, e di escavarlo specialmente dov’era interrato di sotto a S.
Cristoforo; 3.° di mantenere gli ultimi tronchi del Naviglio della Martesana
alla profondità dell’espurgazione che si usava di fare solamente ogni tanti
anni.
Dopo
avere ammessi questi principi come cardini del progetto, inoltrandosi il Frisi
ad assegnare la distribuzione precisa della caduta del terreno, ebbe occasione
di specificare le altre massime principali da lui adottate per il Canale di
Pavia, e di rendere ragione di tutti gli edifizi da lui divisati o ritenuti da
ristaurarsi per il medesimo. L’incile del Canale di Pavia de’ tempi del
Bisnati, fuori di Porta Ticinese di Milano, dovendo essere, secondo Frisi,
ristabilito a servizio del nuovo canale dello stesso nome, veniva però alterato
nella soglia che si ideava di fissare ad un livello alquanto depresso sotto
l’antico per abbassare altrettanto in corrispondenza le ultime tratte del Naviglio
Grande e del Naviglio della città di Milano, non che la prima tratta del nuovo
Canale di Pavia da Milano al Lambro. Potendosi con ciò ribassare di molto la
soglia superiore della Conca fallata
senza guastare il vecchio ponte-canale per questo fiume che aveva il soprarco
abbastanza depresso sul fondo effettivo del vecchio canale, sarebbe rimasto
incassato il nuovo Canale di Pavia in tutti i punti di quella tratta, come
richiedeva il piano Frisi, anche per la comodità di sfogarvi una parte delle
piene del fiume Olona. A riguardo della determinazione del livello della soglia
inferiore alla Conca fallata
proponeva il Frisi di ridurre il salto di questo sostegno a 4 o 5 metri; onde
quella soglia doveva essere ancora rialzata di vari altri metri. Questo alzamento
di soglia era parimenti comandato fin dai tempi del Frisi dalle ragioni
particolari di dover dare innocuo passaggio sotto la linea del nuovo canale
alle acque del Lambretto e di altri scoli e condotti d’acqua, che per essere di
un’epoca più recente non potevano entrare nel piano dei lavori abbandonati allo
stesso canale sotto il dominio spagnuolo. Siccome poi un sostegno di met. 4 e
più, non aveva ancora esempio in quell’anno nel Milanese sopra canali
navigabili sussistenti ed usati; così fu soggiunto dal Frisi, per le ragioni
che determinavano a non dare alla conca al Lambro una caduta minore, 1.° la
comodità che anche gli inferiori tronchi di canale restassero bastantemente
incassali fra terra; 2.° il partito preso di ricevere in canale e poi dare a suo
luogo colle opportune chiaviche, oltre le suddette piene d’Olona, le acque di
molti fossi cadenti attraverso la linea. Le altre conche del canale per
arrivare da Milano a Pavia, oltre l’accennata al Lambro, venivano portate dal
Frisi al numero di quattro e distribuite per modo che se ne avesse una fra
Cassino ed il Bissone, una seconda a Binasco, una terza a Nivolto ed una quarta
a Torre del Mangano. Credevasi dal Frisi che tali determinazioni sul numero de’
sostegni e sulla scelta de’ luoghi fossero le più giustificate dal prospetto
delle differenti inclinazioni dei piani di campagne e dalle particolari
circostanze di tutù i canali di irrigazione e di scolo cadenti sotto la linea.
Per discendere col Canale di Pavia dal pian superiore di questa città nel basso
letto di Ticino, ha riconosciuto anche il Frisi la convenienza di schivare
possibilmente la moltiplicazione dei sostegni sopra una tratta di canale che
doveva per la natura del luogo riuscire la più ingombra di quelle fabbriche e
la piti frequentata dalla navigazione. Tuttavia non volendo il Frisi dipartirsi
dalla massima da lui consigliata per la superior tratta da Pavia a Milano, si è
ridotto anche qui a suggerire di non oltrepassare il limite dei met. 4,752
nell’altezza dei salti de’ sostegni da costruirsi sull’inferiore tratta di
canale da Pavia allo sbocco, ed a prescegliere per la forma dei sostegni
medesimi la maniera dei così detti accollati
che abbiamo veduto usata per la prima volta sul Naviglio di Bereguardo e
proposta varie altre volte anche per il Canale di Paderno.
Riteniamo
intanto che il Frisi alla discesa del Canal di Pavia in Ticino aveva progettato
due sostegni accollati per passare
nella fossa di quella città all’angolo del bastione di S. Maria in Pertica
presso Porta Stoppa; un altro sostegno semplice sulla linea prima di arrivare
davanti a Porta Cremona, e due alni sostegni accollati a questa Porta, disegnando un ultimo sostegno al luogo
dello sbocco in Ticino, munito di un ordine di porte detto la mezza-conca da usarsi in tempo di acque
basse.
Si
aggiunga che il piano di pendenze del Frisi fissato dietro il principio
surriferito per tutta la linea del Canale di Pavia veniva ancora a portate,
come in tutti i precedenti progetti, qualche varietà ne’ salti dei sostegni
dall’uno all’altro, e nelle cadenti dei tronchi, da soglia a soglia dei
principali edifizi. Questa poca uniformità di pendenze sembrava però abbastanza
giustificata presso il Frisi dalle circostanze del caso e del terreno vedute in
complesso. Specialmente fu addotta da lui la necessità di dare innocuo
passaggio per ponte-canale a qualcheduno dei condoni trasversali alla linea, ed
il bisogno di adattarsi possibilmente col profilo del canale al profilo del
terreno non uniformemente inclinato. Un’altra ragione di disegnare il Canale di
Pavia dove con met. 0,594 di pendenza per ogni miglio di met. 1782; dove con
met. 0,891, e dove persino con met. 1,188, andando però sempre in ordine
crescente da Milano verso Pavia, era, secondo il Frisi, la risoluzione di
accrescere per istrada di più in più la portata del canale col ricevere in esso
molti scoli e sorgenti di gran lunga superiori nella copia d’acqua a quella
consunta nell’uso della navigazione.
Finalmente
per riguardo allo sfogo delle piene, che dietro il piano del Frisi si sarebbero
regolarmente o accidentalmente introdotte in canale su qualche punto della
linea, prescriveva appositamente quel professore di instaurare ed ampliare gli
edifici di diversivi, travacatori e scaricatori a paraporti praticali altre
volte all’incontro del Lambro meridionale di sopra della Conca fallata. Inoltre intendeva egli con quel suo piano di
conservare un preesistente scaricatore del Ticinello presso a Binasco e si
riservava di far costruire il più grande scaricatore del Naviglio presso la travacca Campeggi per ismaltirvi
direttamente in Ticino tutte le acque soprabbondanti rimaste nel canale
navigabile fin presso Pavia e portate o dalle pioggie o da rotte degli argini
dei laterali canali, o dalle piene del Ticinello, della Mischia e di altri
torrentelli che a norma del progetto dovevano rendersi influenti del naviglio.
Tale è
l’idea del progetto Frisi per il Canale di Pavia. La relazione del medesimo
venne accompagnata dall’Arciduca Ferdinando Governatore in Milano alla Corte di
Vienna col disegno rappresentante la pianta ed il profilo generale del canale e
con una nuova minuta di stima che faceva ascendere la spesa dell’opera intera a
circa un milione e mezzo di lire di Milano.
Successivamente
fu inviata alla stessa Corte anche una relazione dell’appaltatore Nosetti sul
progetto Frisi. In questa si cercava di sostenere l’idea di usare nella discesa
del canale da Pavia in Ticino quattro sostegni semplici di salto piuttosto
straordinario e di una forma di costruzione tale, che valessero senz’altro
edilizio a scaricare tutte le piene del canale da Binasco all’ingiù. A
quest’ultimo riguardo si tendeva a far rilevare nella stessa occasione che nè
la travacca Campeggi, nè altri
edilizi diretti ad usi privati potessero servire di scaricatore del Naviglio
senza rovinare gli inferiori opifici e piani d’irrigazioni, o in generale senza
sturbare i privati nel pacifico possesso de’ loro diritti. Instando poi il
Nosetti sulla necessità di appositi canali scaricatori, dell’armatura in muro alle
sponde di molte tratte del canal navigabile e di molti altri capi di spesa non
considerati dalla stima e dal progetto Frisi, non tralasciava di rappresentare,
che secondo i suoi conteggi la spesa dell’opera intera sarebbe invece ascesa
per lo meno a lir. 2,646,000 di Milano.
Il
Principe de Kaunitz a Vienna, ricevute che ebbe ed esaminate tutte le
succennate pezze relative al progetto del Canale di Pavia unitamente a quelle
relative al progetto del Canale di Paderno, restò persuaso che gli interessi
particolari della Città di Milano potevano bensì far preferire il secondo
canale al primo per l’opera pubblica da intraprendersi a quell’epoca nel
Milanese; ma non già che per l’interesse pubblico e camerale della provincia,
il Canal di Pavia si potesse dire inferiore ad alcun altro possibile da
progettarsi per l’oggetto della navigazione-interna. Ha però quel Principe
voluto sentire, prima di decidersi ad una scelta, i rappresentanti delle Città
di Como e di Pavia interessate nei due progetti, ed inoltre ha mostrato di
desiderare un più maturato parere sul progetto Frisi di qualcheduno dei più
provetti periti del paese; talchè per ambedue questi capi si incontrarono delle
forti opposizioni, in causa delle quali la faccenda andò ancora per le lunghe.
La Città
di Pavia, come abbiamo già detto di sopra, si fece ad implorare dal Governo che
fosse sospeso anco quella volta ogni discorso sul canale che doveva unirla più
comodamente a Milano, per il motivo che la di lui costruzione potesse avere in
complesso una influenza dannosa sul proprio commercio particolare. Di più, per
fare una diversione di un altro genere al temuto progetto, si è
contemporaneamente cercata al Governo la compra delle acque disponibili a
Milano per il nuovo canale, facendo vista di volerle usare per un canale di
semplice irrigazione da incominciarsi verso Milano e da condursi verso Pavia.
Ma in quell’occasione il Regio Delegato Sartirana si è fatto carico da Pavia di
confutare parola per parola le osservazioni spedite dai rappresentanti di
quella Città: per cui il Governo non ha concessa che a poco a poco e con
riserva la vendita delle acque ed ha continuato a favorire l’idea ed il
progetto del Canale di Pavia.
Una nuova
prova di confidenza si è poi data dal Governo di Milano all’appaltatore Nosetti,
incaricando lui stesso dell’ordinato esame del progetto Frisi per il Canale di
Pavia. Il Nosetti, che pensava di aspirare all’appalto dell’opera, si è
sforzato allora, com’era naturale, di persuadere che fosse troppo bassa la
stima delle spese unita al progetto Frisi; ma di ciò quell’intraprenditore ha
pur anco addotte varie plausibili ragioni. Così ritenendo egli indispensabili
alcune opere sui canali Naviglio Grande e Naviglio della Martesana onde avere a
Milano una perenne e copiosa presa d’acqua per tutti gli usi del Canale di
Pavia, fece riflettere che questo capo di spesa non era considerato minimamente
nella stima Frisi. Inoltre riguardando come dannosa ogni introduzione nel
naviglio pubblico delle acque di ragione privata, in causa degli interrimenti e
dei guasti che producono le loro piene, ed in causa delle infinite questioni
che si incontrano nella restituzione delle medesime acque, da eseguirsi senza
alterare nè la quantità nè il livello del loro pelo, fu condotto il Nosetti a
calcolare sopra un maggior numero di botti, ponti-canali e simili edifici per
non disturbare il piano d’agricoltura preesistente sulla linea del canale.
Allontanandosi la costruzione dei sostegni accollati
dalle pratiche cognizioni del Nosetti, questi non esitò a dichiarare anche
allora che non sapeva contare con sicurezza sul risparmio di spesa che essi
potessero procurare al nuovo Canale di Pavia. Non combinando finalmente
nell’idea del Frisi di risparmiarvi ogni armatura in muro alle sponde ed
un’ampia darsena verso lo sbocco, cercò il Nosetti di mostrare indispensabili
anche questi articoli di rilevante spesa che dovevano accrescere di molto la
stima del Canale di Pavia sopra i calcoli precedentemente rassegnati dal Frisi.
Referite
al Kaunitz a Vienna per la fine del 1772 queste nuove emergenze sul progetto
del Canale di Pavia, quel Principe perseverò nel sentimento, che in occasione
di dover mettere in circolazione del danaro nel Milanese, convenisse
assolutamente rivolgersi alla costruzione di qualche canale; e non tralasciò di
dichiarare apertamente che a lui stava a cuore più di tutti i possibili quello
di Pavia. Ma siccome generalmente le altre persone che avevano fin allora
condotte le trattative dei progetti di ambedue i canali di Pavia e di Paderno
inclinavano piuttosto per il secondo che per il primo, così il Principe De
Kaunitz si è determinato definitivamente di proporre la costruzione
contemporanea di ambedue quelle opere nel seno del Milanese.
Ottenuta
nel febbraio del 1773 la sullodata sovrana approvazione, come abbiamo di già
riferito nel paragrafo antecedente, fu deciso in Milano di far eseguire que’
due canali uno dopo l’altro, dando la preferenza a quello di Paderno.
Aggiungeremo ora che il Kaunitz dalla sua residenza di Vienna instò nuovamente,
dopo tale decisione, sulla necessità di non ritardare l’esecuzione dei due
canali a un tempo per alleggerire le calamità del basso popolo della provincia
in quelli epoca di carestia, ed anche per ismentire le voci sparse in allora
che per le sole brighe dei Veneziani e dei Genovesi non dovesse mai seguire
l’effettuazione del Canale di Pavia. Di qui è che l’Arciduca Governatore passò
di seguito in Milano a far tenere pubblicamente le aste separate per i due
canali suddetti. In occasione di queste aste, dopo vari esperimenti
infruttuosi, sono state fatte due sole obblazioni per il Canale di Pavia. Una
di esse era della stessa compagnia Nosetti, che aveva già applicato e con
maggior coraggio all’impresa del Canale di Paderno, e l’altra era mancante
della voluta sicurtà benevisa al Governo. Dietro tale risultato anche il
Principe De Kaunitz ha deposto dualmente il pensiero di far intraprendere a
quell’epoca la costruzione del Canale di Pavia, ed ha rivolto tutte le cure su
di un tale oggetto all’opera del Canale di Paderno e della navigazione
dell’Adda.
Perduto
così quel momento propizio all’intrapresa del Canale di Pavia, il suo progetto
in tutto il resto del passato secolo è sempre stato un puro voto dei popoli, un
ardente desiderio delle persone dell’arte e nulla più; mentre il decreto di
Maria Teresa per la sua esecuzione è stato sospeso e messo interamente da parte
dal Governo di Milano fin da quel momento. Sul cadere del passato secolo fu
bensì procurato al Naviglio Grande un aumento di portata per mezzo di lavori
d’escavazione al suo incile ed al suo termine, non che un corrispondente
aumento dei travacatori e scaricatori a paraporti disposti lungo la sua linea
per l’opportuno sfogo delle piene. Da ciò ne è derivato una maggiore facilità e
comodità nella navigazione dei due canali Naviglio Grande e Naviglio di
Bereguardo; ma anche tale aumento di portata, che avrebbe potuto servire per
formare la presa d’acqua del nuovo Canale di Pavia, fu ben presto venduto a
conto della Regia Camera per accrescere le dispense d’acqua ad usi privati
sulla linea di quei due canali navigabili.
Per chi
ama poi di avere riunite le principali notizie dei progetti del Canale di Pavia
e le loro avventure a tutto il passato secolo, aggiungeremo qui, che il
progetto Frisi ha incontrato una decisa opposizione da parte del matematico
Lecchi. Questo autore nel suo Trattato
de’ canali navigabili, pubblicato per le stampe di Milano nel 1776, parlò
del Canale di Pavia come di un progetto cinto da quasi insormontabili
difficoltà dal suo principio al fine. Egli si è anche dichiarato nella stessa
occasione piuttosto favorevole all’altro antico progetto di prolungare il
Naviglio di Bereguardo sino allo sbocco in Ticino poco di sopra del Ponte di
Pavia, affine di ottenere l’oggetto medesimo del Canale di Pavia. Il Frisi dal
cauto suo nel secondo tomo della edizione milanese di tutte le sue opere,
cominciò dal modificare alquanto il proprio piano per il Canale di Pavia
mostrandosi risoluto di non dare più ai diversi tronchi del medesimo una
pendenza maggiore di metr. 0,594 per miglio di metr. 1782: il che corrisponde
al 1/1000 della lunghezza. Suggerì inoltre il Frisi nella
stessa occasione come interessante il pensiero di continuare a scorrere col
naviglio in un sol tronco dal Lambro a Binasco, onde restare fuori di terra
nella tratta di linea dove s’incontra il maggior numero di condotti e fossi
trasversali; cosicchè è una combinazione affatto propria del Canale di Pavia,
che ne’ suoi diversi progetti o in un tempo o in un altro si sono toccati
limiti molto distanti nella determinazione dei vari elementi, e perciò anche
sul punto di tenerlo o incassato nel terreno o sollevato sopra il piano delle
laterali campagne. Quest’ultima idea del Frisi portava di fabbricare a Binasco
due sostegni o semplici, od accollati
come quelli da lui prescritti per la discesa del canale in Ticino sotto Pavia.
Parlando per ultimo dei dubbi eccitati dal Lecchi, impugnò il Frisi che
meritassero una seria confutazione le difficoltà che quell’autore ha scritto di
avere contro il progetto del Canale di Pavia, e specialmente si occupò di
ribattere con ovvie risposte le obbiezioni da lui specificate sugli articoli
della presa d’acqua e dello sbocco del medesimo canale.[1]
[1] V. fra le carte del
Naviglio di Pavia nei succitati archivi tutte quelle del secolo 18.o,
da cui è estratto anche il documento n.o ix. riferito in fine di questi dettagli storici.
Nessun commento:
Posta un commento