Canali
navigabili e irrigatorj.
Se questi brevi cenni
sulle tante òpere d’arginatura e di scolo dimòstrano con quanta cura, al
primo risùrgere della civiltà, il nostro paese seppe difèndersi dalle aque
soverchianti, non giùngono però a tògliere il vanto a quei pòpoli, i quali
seppero con perseveranza ancora maggiore contèndere alle aque i loro polder, esposti sotto più basso livello
alle irruzioni del mare. Ma se consideriamo le altre òpere che verso i medèsimi
tempi i nostri intraprèsero per condurre le aque a servigio dell’irrigazione, della navigazione e dell’industria,
non solo dobbiamo ammirare l’ingegno che in mezzo alla barbarie, in che era
immerso il rimanente dell’Europa, ardiva divisarli e sapeva condurli, ma possiamo
ancora oggidì rivendicare alla nostra patria, pel complesso di questi lavori, il primo grado fra le moderne nazioni.
Alcuni, fatta ragione della generale ignoranza del medio evo,
gratuitamente vòllero supporre che tutte queste òpere, ed altre molte ch’è
superfluo annoverare, fòssero attinte agli esempj degli Arabi, per naturale
influenza del commercio e delle crociate. Ma se consideriamo la precedente condizione
di queste nostre contrade, non vediamo necessità di ricòrrere a codeste congetture,
non corroborate poi d’alcun istòrico documento.
Quando Virgilio in un sol verso esprime tutta l’arte delle regolari
e misurate irrigazioni, Claudite jam rivos,
pueri; sat prata biberunt, allude probabilmente alle consuetùdini già fin
dal suo tempo invalse nell’agricultura di questa sua patria. E dove Strabone,
parlando del nostro paese, dice che la Cèltica
è assài ferace di miglio, perchè copiosa d’aque, non allude certo alle aque
piovane, le quali, come si è visto a suo luogo, nell’estate qui non sono
copiose; e non può quindi aver inteso se non le irrigatorie.
Nei tempi romani si èrano scavati canali per congiùngere il Po col
Tàrtaro e coll’Àdige
a sinistra, e con Ravenna a destra; e si conservàvano ancora nel sècolo V in tàle
stato, che Sidonio Apollinare entrò per l’Àdige navigando da Pavìa a Ravenna; e
descriveva questa città come intersecata e cinta da canali tratti con grandi
òpere dal Po[1].
Giusta documenti del secolo IX, la Fossa Regia e la Fossa Olubia
congiungèvano ancora, come dicemmo, presso Ostilia il Po al Tàrtaro, il quale
scorreva nelle antiche Fosse Filistine.
Molte carte dei sècoli VIII, IX e X pàrlano di canali derivati dai fiumi per
uso di molini. In due carte del 1063 e 1068 si accenna sotto il nome di Navigatura un canal navigabile a destra
del Panaro, presso S. Giovanni in Persiceto e Crevalcore; e in altre del 1137 e
1173 se ne fa più particolar menzione[2]. I Modenesi pretèndono
aver avuto da Enrico III nel 1055 (ben inanzi alla prima crociata) un
privilegio sulle aque della Secchia, le quali essi condùssero nel loro
Naviglio, ch’esisteva già nel 1104. - E se Milano, in tempi di cui non rimane
memoria, aveva già operato quelle deviazioni di fiumi di cui si vèdon manifeste
le vestigia (pag. 147), non potèvano tali òpere esser demolite con sì diligente
propòsito di barbarie, che non ne rimanesse alcuna tradizione. E altronde l’opportunità
di tante scaturìgini a fior di terra, in una zona che attraversa tutta la
nostra pianura, la sovrabondanza delle aque fluviali nella stagione estiva, e
la facilità di condurle dai loro alvei ai pròssimi campi, sono principj
naturali e spontanei d’una vasta irrigazione, senza che sia d’uopo studiare
orìgini fattizie e straniere. Che se verso i tempi delle crociate si vèdono
tante òpere d’aque intraprese in tutta la valle del Po, ciò vuolsi attribuire
al concorso di ben altre càuse, che non sia quella d’una mera imitazione.
Fatto sta che nel 1177, un anno dopo ch’ebbero vinto a Legnano l’imperatore
Federico I, i Milanesi condùssero fin sotto le mura di Milano il canale Ticinello, derivato qualche tempo
innanzi dal Ticino, e chiamato poi Naviglio
Grande; e nel 1220 tràssero dall’Adda la Muzza ad irrigare le campagne del
Lodigiano. I quali due corsi d’aqua per la portata loro pòssono dirsi piuttosto
fiumi che canali; e sono tuttora i più grandi canali irrigatorj che si conòscano
al mondo. - Nel 1188 i Mantovani, per òpera del Pitentino rialzando le aque del
Mincio con grandiose dighe, e costruendo la chiusa di Govèrnolo, fanno due
laghi artificiali; e mentre prevèdono cosi alla difesa della loro città, ed a
risanarne l’aria con aque più profonde, ne favorìscono l’industria cogli
opificj animati dal salto procurato al fiume, ed assicùrano in ogni tempo alle
loro navi la communicazione col Po. - Nel 1191 Guglielmo Dell’Osa milanese,
podestà di Pàdova, trasse dal Bacchilione il canal della Battaglia, e lo condusse a Monsèlice[3]. In quell’anno una società
privata acquistò dalla città di Bologna il diritto di trarre aqua dal Reno, per
far molini ed altri opificj; diritto che la città stessa redense nel 1208, per
valersi di quelle aque a fare il canal Naviglio
che la congiunse al Po[4]. - Nel 1183, avendo i Modenesi
rivolte nel loro Naviglio le aque della Secchia, vènnero alle armi coi Reggiani
che volèvano farne sìmile uso nel loro territorio, e che veramente se ne vàlsero,
dopochè nel 1202 quelle controversie furono composte dai podestà di Parma e di Cremona[5]. - Nel 1203 il podestà di
Reggio promette ai Cremonesi, padroni di Guastalla, di costruire un Naviglio da S. Michele nel Reggiano fino
al Naviglio di Guastalla; e viceversa nel 1218 i Cremonesi permèttono ai
Reggiani di derivare dal Po presso Guastalla il canal navigàbile della Tagliata[6].
La vera cagione che mosse ad intraprèndere quasi contemporaneamente
òpere così grandiose si vede ben piuttosto nel generale risurgimento di tutta l’antica
civiltà, nella novella potenza dei municipj dopo la pace di Costanza (1183),
nella vicendèvole emulazione delle cittadinanze la quale si spingeva ad altre
ben maggiori estremità, e nell’ingegno costruttivo di questi pòpoli, i quali
dalla non interrotta tradizione delle òpere e delle consuetùdini precedenti avèvano
già le più pròssime tracce di simili imprese.
Canali
antichi fra il Ticino e l’Adda. - Il territorio fra il
Ticino e l’Adda comprende il basso Milanese, il Pavese e il Lodigiano, ed è
quello ove le irrigazioni si sono maggiormente estese. Le aque dei minori fiumi
Olona, Sèveso, Lambro, Mòlgora ed altri vèngono esaurite a quest’uso; vi si
aggiunge un considerèvole volume d’aque derivate dai fontanili; ma una copia ancora maggiore si dedusse con canali dalle
profonde valli entro cui scòrrono l’Adda e il Ticino.
Naviglio
Grande. - Questo canale si estràe dal Ticino a Tornavento, con una gran
chiusa detta la paladella, e con
varie òpere d’armatura e arginatura, che lo sostèngono in gran parte lungo la
costa del Ticino, per 17 chilòmetri, fino a Buffalora. S’incassa poi
profondamente nell’altopiano, e solo dopo 6 chilòmetri, presso Robecco,
comincia a raggiùngerne il livello, continuando però ancora in una direzione
parallela al Ticino, sino a Castelletto d’Abbiategrasso; d’onde inflette con
sùbito àngolo il suo corso verso oriente fino a Gaggiano, e quindi inclinàndosi
alquanto verso settentrione, si dirige per Còrsico alla parte meridionale della
città di Milano.
Nelle Antichità Longobàrdiche[7] si volle provare con documenti,
che questo canale si fosse derivato dal Ticino fino ad Abbiate Grasso, nel 1177
secondo il Corio, e nel 1179 giusta il Calendario di S. Giorgio, e che solo nel
1257 si conducesse poi fino a Milano; la quale opinione venne seguita in quasi
tutti gli scritti posteriori. Se però si vògliano ponderare le parole del
Corio, e si ponga attenzione anche all’andamento del canale, diviene assai più
verisimile la narrazione del Sigonio, il quale dice che fin dal 1179 il canale
si condusse da Abbiate Grasso a Milano; e che molti anni prima èrasi derivato
dal Ticino alla Bassa Olona, sotto il nome di Ticinello, per irrigare quella
parte della Diòcesi Milanese, e il pròssimo confine della Pavese[8]. E infatti il Ticinello, dopo
il Castelletto d’Abbiate Grasso, ove si stacca dal Naviglio Grande, si spinge
con un canale quasi rettilineo e manifestamente artificiale, lungo 9
chilòmetri, fino a Rubbiano; e quivi si volge ad oriente per un alveo tortuoso
e manifestamente naturale, verso Binasco, conservando anche oggidì il nome di
Ticinello. E sembra che fosse in orìgine la continuazione del Naviglio Grande,
del quale divenne poi mero scaricatore. - Il Corio, all’anno 1177, dice
propriamente èssersi cominciato «il
Naviglio di Gazano, il quale si cava dal Tesino a questa città, navigàbile;
il che sembra dinotare il tronco da Abbiate Grasso per Gaggiano fino alla
città. Nelle stesse Antichità
Longobàrdiche[9] si cita una carta del monasterio di
Chiaravalle presso Milano dell’anno 1233, ove si parla del Naviglio di Trezzano, altra terra che tròvasi sul Naviglio Grande
poco sotto Gaggiano, il che prova che quel tronco di Naviglio era fatto fin d’allora.
Il Corio stesso narra che nell’anno 1257, essendo «Beno di Gozano bolognese podestà di Milano,
nel mese di giugno fu incominciato a rifare il Naviglio detto di Gozano»;
il che dopo le altre testimonianze sopradette non può intèndersi se non d’un
ampliamento o d’un adattamento alla navigazione. Finalmente lo stesso
scrittore, parlando di certe ordinanze di Napoleone Torriano, promulgate l’anno
1272, accenna anche quella «che si facesse cominciare la cava alla bocca del Tesinello, acciocchè il Naviglio dal Lago Maggiore commodamente potesse entrare in città»;
il che sembra indicare un ampliamento dell’incile. Possiamo dunque aver per
certo che il Ticinello fosse derivato ad uso d’irrigazione fino a Rubbiano
prima del 1177, e che in quell’anno fosse reso navigàbile il tronco superiore
da Tomavento ad Abbiate Grasso, e si aprisse il ramo di Gaggiano e Trezzano
fino alla città.
Il Naviglio Grande è lungo 50 chilòmetri, ed ha una caduta totale di 33m 424, dei
quali si esaurìscono nove dècimi (29m 017) nel tronco superiore e
più antico, che ha un corso assai ràpido. Nel tronco inferiore, costrutto anch’esso
prima della invenzione delle conche o
sostegni, era mestieri adèmpiere a molte non agèvoli condizioni. In primo luogo,
si doveva moderare sempre più la pendenza, a misura che le successive bocche d’irrigazione
impoverivano il canale, a fine di conservare alle aque una sufficiente profondità.
In secondo luogo si doveva assecondare il natural declivio del terreno, per evitare
il dispendio di profondi incassamenti, oppure di rialzi e arginature, che avrèbbero
cagionato nuove spese e nuove difficultà nelle estrazioni delle aque. Tutto ciò
si conseguì mirabilmente col condurre il tratto di canale tra Castelletto e
Gaggiano (7ch. 810) sotto una pendenza media di 0,37 per mille, e
col ripiegare alquanto verso settentrione il tratto susseguente fino a Milano
(12ch. 440), sotto la più mite pendenza di 0,12 per mille; i quali
pensamenti attèstano la molta maestrìa di quegli antichi. Il Prospetto XV offrirà gli ulteriori
particolari delle pendenze per questo e per gli altri canali più considerèvoli.
Per contenere entro il lìmite normale la derivazione, il primo
tronco (9ch.) ha sulla sponda destra sei scaricatori a fior d’aqua,
detti sfioratori, ed altri sette scaricatori di fondo con 51 porte, i
quali restituiscono al vicino fiume le aque esuberanti. A Castelletto un altro
scaricatore a due porte forma il Ticinello; a Gaggiano ve n’ha un altro con sei
porte: altri due con ùndici porte vèrsano al Lambro Meridionale, o antico
Nirone; e l’ùltimo con 11 porte, detto del Residuo, presso le mura della città,
dà orìgine ad altro canale che si chiama parimenti Ticinello.
Le sponde del Naviglio
Grande per sette dècimi sono munite di scarpe selciate, ovvero di muri a secco,
per lo più verticali, e protetti con palafitte dall’urto delle barche. Per la
lunghezza di 11 chilòmetri, da Magenta a Castelletto, il fondo è difeso dalle corrosioni della corrente con 96 briglie di
selciato. Nel tronco superiore la sua larghezza varia dai 50 ai 22 metri, e
nell’inferiore dai 24 ai 12.
La portata estiva e
normale del Naviglio Grande[10] venne valutata presso il
suo incile ad once milanesi 1254; le quali, se si suppòngono equivalere a metri
cùbici 2.50 per ogni minuto, danno un totale di metri cùbici 3088 per minuto,
ovvero 51 per secondo.
Le aque irrigatrici si
estràggono dal Naviglio per 116 bocche, delle quali sole 4 a sinistra. Se ne
deriva inoltre il Naviglio di Bereguardo, mediante un prolungamento sulla destra
(1ch. 3), e il Naviglio di Pavìa, al luogo della dàrsena, ove il
Naviglio Grande ha tèrmine, e la quale riceve inoltre a bocca lìbera il fiume
Olona, e commùnica per l’interno della città di Milano col fiume Adda. Una
considèrevole copia delle aque accolte primamente nel canale si perde per
evaporazione e filtrazione. Nell’inverno la portata si diminuisce all’incirca d’un
quinto. Le aque sèrvono allora al movimento dei ruolini e altri opificj, e alla
irrigazione dei prati invernali, che misùrano solo una superficie di 8 mila
pèrtiche mètriche, mentre le irrigazioni estive di questo canale si estendono a
380 mila.
Muzza.
- Questo gran canale irrigatorio fu costrutto nel 1220, al che si fece uso d’un
antico alveo tortuoso, che fin d’allora chiamavasi Muzza, e serviva all’irrigazione.
Si deriva a destra dell’Adda, mediante la pescaja del Traversino, lunga 377m e rivestita per la maggior parte
con lastre di granito; l’estremità della quale ha uno scaricatore di fondo,
detto il Traghetto, che si chiude con
travata.
Il primo tratto del canale, presso Cassano, ha uno sfioratore, lungo 234m, e
quattro scaricatori con 42 porte; e
segue al suo piede la costa dell’altipiano; ma dopo 5 chilòmetri s’interna
nelle campagne, delle quali asseconda il declivio nella proporzione
prossimamente di 1.20 per mille, moderandosi però la pendenza del canale con 13
pescaje o levate, che sèrvono alla più fàcile estrazione delle aque, ed
esauriscono 19m 40 di caduta. Dopo 15 chilòmetri, a Paullo, due scaricatori con 15 porte sfògano l’esuberanza
per l’Addetta al Lambro. La Muzza si volge a SE. sempre parallela all’Adda per
altri 23 chilòmetri, fin dove, all’incontro della strada di Lodi a Cremona,
prende il nome di Piacentina, e diviene un mero colatore. La larghezza media della Muzza è di 35m;
ma varia dai 25m fino ai 52m. La portata si calcola di once 1475, le quali corrisponderèbbero a
metri cùbici 3687 per ogni minuto primo, ossia metri cùbici 61 per secondo.
Le aque irrigatrici si
distribuiscono per 41 bocche a destra e 34 a sinistra; e le sole tre bocche Muzzetta, Cavallera-Crivella e Codogna
estràggono 18 centèsimi dell’aqua del canale. Le irrigazioni invernali si
stèndono sopra 11 mila pèrtiche mètriche, e le estive sopra 730 mila.
Canali
moderni fra il Ticino e l’Adda. - II Naviglio Grande e
la Muzza appartèngono al medio evo ed alla prima età dei canali. Comincia per
queste òpere una seconda età coll’invenzione delle conche, la quale, nata
primamente fra noi per un felice incontro delle circostanze e dell’ingegno, e
dopo due sècoli intesa e adottata dalle altre nazioni, divenne il càrdine delle
interne navigazioni nel mondo incivilito. Non sarà pertanto inopportuno qualche
cenno intorno alla sua orìgine.
Invenzione
delle conche. - Il matemàtico Lecchi, nell’introduzione al Trattato sui canali navigàbili,
attribuiva al sècolo XII il ritrovato delle conche, scambiando una prima chiusa di ristringimento, costrutta nel
1188 dal Pitentino alla foce del Mincio, colla vera conca di navigazione, che vi fu applicata solo nel 1609 dal
Bertazzolo. Lo stesso scrittore citava un passo di Pier Càndido Decembrio nella
vita del duca Filippo M. Visconti, ove si parla d’un progetto ch’ebbe quel
prìncipe, di fare un canal navigabile, che diramandosi dal Naviglio Grande ad
Abbiate Grasso discendesse al Ticino, e risalendo per l’opposta riva di quel
fiume giungesse a Vigèvano; e ciò «coll’uso
delle màchine che si chiàmano conche.»[11] Il qual progetto, lungi
dall’èssere una stranezza, come si diede a crèdere l’autore delle Antichità Longobàrdiche, involgerebbe la
prima e grande idèa d’un canale a doppio pendìo, destinato ad attraversare una
valle, come è quella del Ticino. Nè in Italia se ne avrebbe altro esempio; e la
prima applicazione di quel principio si sarebbe fatta in senso però opposto,
due sècoli dopo, nel Canale di Briare, che attraversa a doppio pendìo le alture
tra la Lòira e la Senna; si sarebbe ripetuta nella maggior parte dei canali
della Francia e della Gran Brettagna; e si sarebbe svolta a sterminate
proporzioni nella gran rete navigàbile, che congiunge l’Atlàntico coi laghi
americani e colla valle del Mississipi. - Ma comunque ciò sia, siccome, secondo
il Giulini, questo passo della vita del Visconti si riferirebbe all’anno 1420,
farebbe prova che sin d’allora si conosceva fra noi l’uso delle conche.
Il Frisi, nelle sue Istituzioni
di Mecànica (pag. 426), move dubio sul modo d’interpretare il testo del
Decembrio, e seguendo il Zendrini, attribuirebbe l’invenzione delle conche ai
fratelli da Viterbo, che nel 1481 l’applicàrono alla congiunzione della Brenta
col Canal Piòvego tra Pàdova e Venezia. Dell’opinione che attribuisce le conche
a Leonardo da Vinci, è superfluo ragionare.
Nelle Antichità
Longobàrdiche (T. II, pag. 108) si cita per altro un documento del
monasterio di Chiaravalle presso Milano, dell’anno 1439, in cui si parla della
conca di Viarenna, fatta edificare da Filippo M. Visconti, in occasione che pel
più agèvole trasporto dei marmi del Duomo si riordinò una parte dell’antica
fossa di circonvallazione, che ora è il Naviglio Interno. Della quale
operazione vi si dicono incaricati Filippo degli Organi da Mòdena e Fioravante
da Bologna[12].
Un altro documento del 1445, conservato nell’Ambrosiana e citato nell’òpera
stessa, parlerebbe e della fossa sotto il nome di Nuovo Naviglio Ducale, e della conca che vi si era apposta[13]. Che anzi combinando le
indicazioni del succitato documento del 1439 con altra carta del 1400, si
avrebbe cenno del modo col quale, prima dell’invenzione delle conche per
trasportare i marmi al Duomo, si facèvano passare le barche dal Laghetto vecchio al nuovo, separati com’èrano da una steccaja con un salto di circa tre
metri.
A tal uopo si chiudèvano nel Naviglio Grande le bocche d’irrigazione
e gli scaricatori, e così si rigonfiàvano le aque dell’estremo suo tronco, nel
quale erano pervenute dal Verbano le barche càriche dei marmi. Nello stesso
tempo dovèvasi deprìmere il livello delle aque nel laghetto superiore, che
comunicava col successivo tronco della fossa alimentata dalle aque del fiume
Sèveso. Aperta allora la steccaja pel passaggio delle barche, si richiudeva
tosto, e si rigonfiàvano alla loro volta il laghetto e la fossa superiore, onde
ottenervi profondità bastèvole a condurre i marmi al loro destino.
Per ovviare agli inconvenienti di questo imperfettìssimo congegno,
si pensò ad aggiùngere una seconda steccaja. E allora bastò rigonfiare l’aqua
nel solo tronco interposto alle due steccaje; e così si abbreviò l’operazione,
e si rese agèvole il trapasso delle barche. Questa operazione conteneva in sè
tutto il principio delle conche; l’invenzione delle quali in tal modo
risalirebbe per lo meno al 1439. E poco di poi ne avrebbe dato ragguaglio Leon
Battista Alberti nel suo libro De re ædificatoria,
dedicato a papa Nicolào V nel 1452, siccome accenna Stràtico[14].
Nel 1471 già vi èrano le due conche di Gorla e della Cascina de’
Pomi, sul tronco ùltimo del Naviglio della Martesana, del quale ora parleremo[15].
Naviglio
della Martesana. Fu costrutto per decreto del duca Francesco Sforza del 1457[16]; e quantunque in quei tempi
già si fosse applicata ad alcuni dei nostri canali l’invenzione delle conche,
questo venne condutto fino alle vicinanze di Milano coi principj medèsimi dell’antico
Naviglio Grande. Si deriva sotto Trezzo a destra dell’Adda, mediante pescaja; -
fino a Vaprio (4ch.) accompagna l’alta costa del fiume, incavato nel
ceppo, o sostènuto da altissimi
àrgini in parte murati; - segue la costa fino a Groppello (4ch.),
ove s’incassa nella campagna; e raggiùntone il livello a Cassano (1ch.),
si rivolge con sùbito àngolo a ponente, con andamento variàbile (29ch.
5), quasi sempre a fior di terra. Presso Milano si moderò la soverchia pendenza
con una conca di 1m 82 di caduta, che dapprima era divisa in due; l’una
delle quali era presso Gorla. La rimanente caduta (16m) si distribuì
sull’intera lunghezza (38ch. 696), con pendenze che vàriano da 0,26
per mille a 0,66. - Sulla fine del sècolo XV venne introdutto, come vedremo,
nella fossa della città, e finalmente nel 1572 venne ampliato coll’aumento d’oltre
a cento once d’aqua, per assicurare la navigazione e l’irrigazione, che prima
soggiacevano ad essere interrotte.
L’aqua viene regolata all’incile da due scaricatori alle estremità della chiusa; quindi da uno sfioratore
lungo 268m, e da cinque scaricatori che si àprono nell’àrgine con 29
porte. Il canale sovrapassa a tomba il torrente Mòlgora, e i due torrentelli Tòrbida
e Cava; ma viene attraversato dal Lambro e dal Sèveso. Al passaggio del primo,
venne munito d’uno sfioratore lungo 27m, e di scaricatori con 19
porte; e al passaggio del secondo, con uno sfioratore di 11 metri. -
Finalmente, prima d’entrare in città, le aque esuberanti si sfògano nel
Redefossi con uno sfioratore e uno scaricatore a 12 porte.
La portata presente si
riconobbe all’incile di once milanesi 654, equivalenti a 26 metri cùbici per
secondo.
Nel tronco superiore la sua larghezza
varia dai 18 ai 14 metri, e nell’inferiore dai 12 ai 9.
Le aque irrigatorie si
estràggono per 75 bocche a sinistra e 10 a destra, colle quali si distribuìscono
once 492, oltre alle 92 che si risèrbano pel Naviglio Interno. La superficie
adaquata nell’inverno è di sole pèrtiche mètriche 4600, ma nell’estate 235 600.
Naviglio
Interno. - Abbiamo veduto come si fosse congiunto il Naviglio Grande del
Ticino alla fossa di Milano mediante la mentovata conca-madre di Viarenna.
Derivàtosi dall’Adda il Naviglio della Martesana, si riunì all’altro, mediante
la detta fossa, quella stessa che i Milanesi avèvano scavato nel secolo XII per
difèndersi contro l’imperatore Federico I. Dalle 40 braccia (24m) della
sua primiera larghezza, venne ridutta a quella di 18, e all’uso di canal navigàbile.
Col successivo ampliamento della città, e colla vasta cerchia dei bastioni,
costrutta poi giusta i nuovi principj di fortificazione nel secolo XVI, quella
fossa esterna divenne, come è tuttora, il Naviglio
Interno della città.
Questo canale, nel tratto che congiunge i due Navigli preaccennati,
è lungo 5090m; e dal primo al secondo ha una totale caduta di 7m
95; la quale per 5m 84 venne ripartita in cinque conche; e per
i residui 2m 11 si distribuì sul fondo. Giunto alla sua parte
inferiore presso la Conca di Viarenna, si riunisce coll’altro ramo dell’antica Fossa, che accerchiava la parte occidentale
della città. Il qual ramo è lungo 1195m, e discende in senso
contrario, alimentato dalle aque della fossa del Castello, diramata per opposta
parte dallo stesso Naviglio della Martesana. Su questo ramo vi è una sola
conca, con salto di 0m 35.
Le aque esuberanti del Naviglio Interno si sfògano con tre scaricatori
e sei porte nel colatore della Vettabia,
che rappresenta, come si disse, il primitivo letto del Sèveso, e pone foce nel
Lambro a Meregnano.
Una carta dell’Archivio di Chiaravalle del 1496 proverebbe che la
navigazione di questo canale fu compiuta sotto il dominio di Ludovico il Moro;
e si accorda colla tradizione che attribuisce quell’òpera a Leonardo da Vinci,
che veramente fu ingegnere ducale nel 1498. Ciò lo fece poi crèdere inventore
delle conche, ch’erano forse già in uso prima ch’egli nascesse; e l’opinione
venne avvalorata dai disegni di sua mano conservati nell’Ambrosiana, e
rappresentanti le conche col perfezionamento delle porte che si chiùdono ad
àngolo ottuso.
Naviglio
di Pavìa. - Il Corio, sotto l’anno 1359, riferisce che Galeazzo Visconti
dopo la presa di Pavìa fece costruire «il Naviglio che da Pavìa andava a
Milano»; e un altro documento del 1411, citato dal Benaglia (pag. 142),
lo accenna col nome di «naviglio nuovo
che va a Pavìa». Ma siccome non conoscèvasi ancora l’uso delle conche, pare
che fosse al solo uopo dell’irrigazione, come molti altri canali che nondimeno
si chiamàrono allora e si chiàmano tuttavìa navigli. - Un sècolo dopo (1457),
il duca Francesco Sforza ordinò che si costruisse un Naviglio da Milano a Pavìa
«per viam Binaschi et Bereguardi»,
comandando che si seguissero i divisamenti dell’ingegnere Bertola Novate (cum advisamentis et participatione Bertolae
de Navate, dilecti civis nostri Mediolani). Una lèttera del Magistrato
delle ducali entrate del 1467 affida la conservazione
e riparazione del nuovo naviglio ad
Andrea Calco. Quattro lèttere scritte da Gabriele Paleari, secretario del duca
Galeazzo M. Sforza, e conservate da’ suoi discendenti, pròvano che dal 1473 al
1475 quel canale èrasi reso navigàbile tra Milano e Pavìa; e si pòssono lèggere
per intero nell’Istoria della navigazione’
nel Milanese dell’ingegnere Bruschetti[17].
Combinando questi sparsi indizj, troviamo che il canale irrigatorio,
aperto nel 1359 dal Visconti, si sarebbe reso navigàbile fino a Binasco dopo il
1457; e da Binasco a Pavìa tra il 1473 e il 1475; che il Naviglio Grande vi
contribuiva per mezzo del Ticinello, il quale scorre da Castelletto a Binasco;
e che il tèrmine del canale era al Travacatore
presso Pavìa. I quali dati lo fanno corrispòndere a quello che oggidì chiamasi Navigliaccio; e lungo il quale gli
ingegneri Meda e Romussi trovarono i vestigj delle conche, un sècolo dopo[18].
L’incuria dei magistrati e le private usurpazioni sèmbrano aver
talmente impoverite le aque di questo canale che cessò d’esser navigato. E fu
mestieri provedervi scavàndone un altro, il quale partendo dal Naviglio Grande
presso Abbiate Grasso, dirigèvasi a Bereguardo,
d’onde prese il nome. Ma questa linea, che più sotto descriveremo, non è a confòndersi
con quella che abbiamo veduta proporsi sotto Francesco Sforza nell’anno 1457 «per viam Binaschi et Bereguardi». Nel 1564
fu promossa la ricostruzione del Naviglio di Pavìa; ma le terre circostanti e
le città di Milano e di Pavìa, alle quali si voleva addossarne la spesa, se ne
scusàrono, allegando che ciò non era necessario per l’irrigazione, e che per la
navigazione era proveduto col naviglio di Bereguardo.
Nel 1597 risurse il progetto d’un naviglio che per Pavìa
communicasse col Ticino; gli ingegneri Meda e Romussi ne valutàrono la spesa a
più di 85 000 scudi; lo Stato ve ne spese infatti 50 000; ma quando si volle
continuarlo a spese della possidenza circonvicina, l’impresa andò derelitta; e
la conca già costrutta presso Milano n’ebbe il nome, che tuttora conserva, di Conca fallata. - Nel sècolo scorso il
pensiero fu richiamato, e il Frisi vi scrisse intorno. Ma solo nel 1805, e per
decreto di Napoleone, fu cominciata l’òpera, interrotta poi nel 1813, e quindi
ripresa e finalmente compiuta nel 1819.
La caduta di questo
canale da Milano fino alla Porta Stoppa di Pavìa venne ripartita per 29m
31 in otto conche, i cui salti vàriano da 1 m 70 a 4 m
80; per altri 4 m 40 fu distribuita sul fondo con pendenze, che da
0,28 per mille si ridùcono successivamente a 0,10. L’altra parte della caduta,
dalla Porta Stoppa fino al Ticino (22 m 9), fu divisa fra quattro
conche, due delle quali sono doppie.
La larghezza del canale
è di 10 m 8 sul fondo, e di 11 m 8 al pelo d’aqua. Le
ripe sono munite in gran parte di muri, e nel resto di scarpe selciate. V’è uno
scaricatore a due bocche con uno sfioratore al passaggio del Lambro
Meridionale; un altro alla Porta Stoppa di Pavìa versa per tre bocche nella
fossa di circonvallazione; e un terzo a due bocche è presso la dàrsena del
Ticino. Il canale attraversa 74 aquedutti, con tombe per la più parte a sifone;
la maggiore delle quali ha una sola gallerìa con 5. m.20 di luce; ed
un’altra, a due gallerie, è larga 7 m 20. Le aque di questo canale
sono fornite dal Naviglio Grande, nella misura di 150 once, ossia metri cùbici 6 ¼ al secondo; le quali vèngono in parte
adoperate nell’irrigazione.
Quest’opera costò ai nostri giorni franchi 7 694 707.
Naviglio
di Bereguardo. - Questo canale, di cui già si disse pocanzi, ha la lunghezza di chilòmetri 18. 848. La caduta di 23 m 80 vien
esaurita per 20 m 67 in ùndici conche, una delle quali doppia; e per
3 m 13 viene distribuita sul fondo con pendenze che vàriano da 0,07
per mille a 0,50. Viene alimentalo con 104 once
d’aqua, ossia metri cùbici 4 1/3 per secondo, le quali poi sèrvono all’irrigazione.
La navigazione di questo canale fu resa quasi inùtile dopo l’apertura
del Naviglio di Pavìa, il quale è in piena comumnicazione col Ticino, mentre l’antico
Naviglio di Bereguardo tèrmina sul màrgine dell’altipiano; cosicchè bisognava
scaricare le merci e trasportarle per terra, lungo l’intervallo dei tre chilòmetri
che si frappòngono tra il tèrmine del naviglio e il Ticino.
Oltre alle irrigazioni che si fanno coi canali di sopra descritti
e colle aque dei fiumi minori del Milanese e dei fontanili, si adòperano allo
stesso uso anche quelle dei canali di scolo che si attravèrsano con pescaje o
levate. E siccome queste non sono per sòlito munite di scaricatori, ne risulta
che si rèndano uliginosi i terreni adjacenti.
Naviglio
di Paderno, di sola navigazione. - Dall’irrigazione in
fuori, poco vantaggio recava il Naviglio della Martesana, poichè la navigazione
tra Milano e il Lario veniva ancora interrotta dalle ràpide dell’Adda,
principalmente sotto Paderno, dove nel breve intervallo di chilòmetri 2.5 il
fiume ha l’enorme caduta di metri 27.5. Dopo gli studj fatti da una Commissione
dal 1516 al 1518, prevalse il progetto dell’ingegnere Benedetto Missaglia, di
scavare nei dirupi in màrgine alla ràpida un canale munito di conche, i cui
particolari vènnero publicati nel 1520 da Carlo Pagnano, membro di quella
Commissione. Ma le òpere, impedite dalle continue guerre, fùrono riprese solo
alla fine dì quel sècolo dall’architetto e pittore Giuseppe Meda milanese.
Questo raro ingegno ebbe l’ardimento di ripartire tutta la caduta del canale in
due sole conche, l’una delle quali avesse il salto veramente meraviglioso di 18
metri; e a tal uopo trovò i più originali divisamenti. Anche nella chiusa
inferiore gli bastò di adoperare portoni angolari della sòlita dimensione; ma li
applicò ad un arco solidìssimo, sostenente una grossa cortina di muro, sotto la
quale, a conca scàrica, dovèvano passare le barche. Inoltre, per ammorzare l’impeto
delle aque cadenti da sì enorme salto, oppose loro al piede della cascata un
solidissimo tavolato verticale, che lasciava loro un passaggio per di sotto, e
che colla sua sommità pareggiava la soglia delle portine superiori, affinchè a
conca piena le barche potèssero sorpassarlo. Finalmente, per vuotare con somma
prontezza l’ampio bacino, vi pose allato un canale scaricatore; e nell’interposta
muraglia praticò a varie altezze cinque bocche, le cui vèntole potèssero
aprirsi successivamente per mezzo d’antenne verticali e di leve, mosse dall’alto.
Finalmente una scala laterale, che scorreva lungo il muro divisorio, serviva
per aprire i portoni. Una estesa descrizione si legge in una lèttera di
Bernardino Ferrari ad Eustachio Zanotti. Ma il Meda, divenuto anche
imprenditore dell’òpera, fu involto in tante traversìe, che senza poterla condurre
a compimento morì prigione. I lavori ripresi dall’ingegnere Bisnati nel 1602,
poi di nuovo derelitti, furono con migliori auspicj finalmente recati a tèrmine
dal 1773 al 1777.
Si trasse allora profitto delle costruzioni del Meda; ma la gran
conca venne rialzata sul fondo per 7 m 12, e abbassata di 4 m
75 alla sommità; e così si ridusse alla caduta di 6 m 20, ancora considèrevole,
benchè sia solo il terzo della progettata straordinaria altezza. Si aggiùnsero
altre cinque conche di minor salto, e si distribuì sul fondo la residua caduta
di 1 m 23. La chiusa all’incile ha tre scaricatori di fondo ed una
bocca ad uso di molini; e tre altri scaricatori con 28 porte sono nell’àrgine,
che separa il canale dal fiume. Ha la larghezza da 11 a 12 metri. Il fondo
cavernoso di quei dirupi richiede continue riparazioni. È l’ùnico canale del
Milanese che serva all’uso esclusivo della navigazione.
[1] «Insuper oppidum duplex pars
interluit Padi, pars alluit; qui
ab alveo principali molium publicarum
discerptus objectu, et per easdem derivatis tramitibus exhaustus, sic
dividua fluenta partitur, ut præbeant
mœnibus circumfusa præsidium, infusa commercium.» Sirmondi. Op. om., tom. I. Apoll. Sid., epist. 5.
[2] Tiraboschi, Ist.
dell’Abbazia di Nonàntola, tom. II, pag. 500 e 527.
[3] Muratori,
R. I. SS., VIII. Catal. Potest. Pad. ... 1189-1190-1191... et commodò il Fiume da navegar a Moncelese.
[4] Masetti,
Not. Istor. sul Naviglio di Bol. N.
Raccolta di Bol., tom. IV, pag. 435.
[5] Sigonii,
Op., tom. II 814. Murat., Ant. It.,
tom. IV, 385.
[6] Affò,
Ist. di Guastalla, t. I, pag. 56,
359, 360. V. qui sopra a pag. 166.
[7] Tom. II, Dissert. XII, pag. 101.
[8] «In Italia Mediolanenses, urbi per otium excolendæ intenti, emissarium ex Ticino amne jam multo ante derivatum, ac Ticinelli nomine Papiensium agros
irrigans, novo alveo juxta Abbiatum effosso, Gazanum et Corsicum deduxere, ac
mox ad urbem usque navigabile reddidere. Quo facto duo maxima commoda
consequuti sunt; unum quod agros suos uberiores fecerunt; alterum quod rationem
opum ex Verbano Alpibusque devehendarum inierunt.» Sig. Op., tom. II. De R. Ital., pag.
811, ad annum 1179.
[9] Vol. III. Prefazione, pag. IX.
[10] V. Notizie statistiche intorno ai fiumi, laghi
e canali di Lombardia. Milano, 1833, pag. 145.
[11] «Meditatus
est et aquæ rivum per quem ab Abbiate ad
Viglevanum usque sursum veheretur, aquis altiora scandentibus, machinarum arte
quas conchas appellant.» Ap. Murat, R. I. SS., tom. XX, p. 1006.
[12] «...
Specialiter deputati circa modum adhibendum ut fovea civitatis navigabilis
reddatur...» Il dotto autore non publicò il documento intero. a se quelle carte
veramente preziose non andarono smarrite, facciamo voto che alcuno dei nostri
studiosi voglia rèndere di pùblica ragione almeno le più importanti.
[13] «Concha
inferior Navigli ducalis noviter constructa.»
[14] Memorie dell’Istituto Lombardo-Vèneto, tom. II, 1821, p. 79 «... Duplices facito clausuras,
secto duobus locis flumine, spatio intermedio quod navis longitudinem capiat,
ut, si navis erit conscensura, cum eo applicuerit, inferior clausura
occludatur, aperiatur superior; sin autem erit descensura, contra claudatur
superior, aperiatur inferior. Navis eo pacto cum istæ dimissa parte fluenti
evehetur fluvio secando». L. B. Alberti, l. X, c. 12.
[15] «Magistri
ducalium intratarum... Deputamus officialem Cameræ Ducalis ad exigendum
pecunias datii concarum Navigli
Marthesanæ. Dat. Mediol., 1 Nov...» Benaglia, Relaz. istor. del magistr. delle ducali entrate, p. 152.
[16] V.
Benaglia, Op. cit., pag. 150.
[17] Pel
propòsito nostro bàstano i segnenti brani: «... Hauemo ordenato chel se faccia
un nauiglio de Binasco ad quella nostra città de Pavia...» 1 giugno 1473.
«... Perchè intenderne che l’aqua che uene da Milano non saria
bastante a ciò, volemo che per la bocca sua de Castelleto ne lassi uenire tanta
che sia a sufficientia per poter nauigare...» 21 giugno 1475. «Scripsimus ad
Castellanum nostrum Binaschi, quod mittat Papiam navem, quà venire possitis
Mediolanum. Ea cras aderit ad Travacatorem...» 25 dic. 1475.
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