NOTIZIE STORICHE DEI SECOLI
ANTERIORI AL XVIII.
Il
Milanese preso da’ suoi confini più naturali è quell’ampia provincia dell’alta
Italia, che veniva anticamente denominata Insubria, e che resta circondata
dalle Alpi, dai laghi di Como e Maggiore e dai fiumi Adda, Ticino e Po. Essa si
trova intersecata da diversi altri minori fiumi e laghi; il piano del suo
terreno è generalmente inclinato da settentrione a mezzogiorno: verso il lato
di mezzogiorno ha una seconda pendenza abbastanza marcata da occidente ad
oriente; e le acque correnti vi hanno generalmente il loro letto dalla natura
scavato a seconda di questa doppia pendenza. Il centro poi di un tal piano è
occupato da tempo immemorabile dalla città di Milano, capitale della provincia.
Anticamente
era Pavia la sola città del Milanese che godesse il vantaggio di un’estesa
navigazione. Posta sul Ticino e presso lo sbocco di questo influente del Po,
essa aveva naturalmente aperta la comunicazione per acqua da una parte col Lago
Maggiore che confina colle Alpi, e dall’altra coll’Adriatico da cui si passa a
tutti i porti del mondo. Per trarre partito da questa situazione bastava il
genio del commercio e della navigazione comune a tutti i popoli liberi; e
difatti la navigazione del Po e del Ticino, come anche quella dei laghi e dei
tronchi navigabili di qualche altro fiume, fu di tutti i tempi di civile
libertà per il Milanese.
La città
di Milano situata nel centro di pianura di questa provincia, e non bagnata da
alcun lago o fiume navigabile, non poteva presentare per se stessa un simile
vantaggio al commercio; ma alla mancanza della natura doveva supplire col tempo
un industria particolare dei popoli, assecondata dall’interesse de’ governi, e
talvolta ancora dalla liberalità dei principi.
Il primo
cenno a questo riguardo si ha in Landolfo Seniore, autore vissuto nell’undecime
secolo. Secondo questo storico il canale di scolo e di irrigazione che va da
Milano al Lambro sotto il nome di Vecchiabbia ha servito in tempi molto rimoti
alla navigazione.[1] Gli eruditi parlando del
fiume Lambro riferiscono altri passi che si potrebbero credere per indizio
della medesima cosa. E difatti probabile, che nel Porto[2]
anticamente esistente allo sbocco del Lambro in Po alcune merci venissero
scaricate dalle navi soltanto per farle viaggiare di là sul Lambro in barche
minori, e non già per trasportarle nell’interno del paese per la via di terra,
come taluno ha voluto affermare per ricavarne una induzione affatto contraria.[3]
Ma con
tutto ciò, se anche si volesse concedere che il Lambro, realmente navigabile
dal Po fino a Sant’Angelo ad una data epoca non molto remota,[4]
lo fosse pur stato superiormente fino a Melegnano verso lo sbocco della
Vecchiabbia, quale appoggio ne viene all’opinione di Landolfo? Non sarà ancora
un problema la navigazione di questo ultimo canale sino a Milano, a motivo e
dell’eccessiva caduta del terreno in cui è scavato il suo letto, e del moderato
corpo d’acqua disponibile a Milano per il medesimo oggetto? Queste circostanze
dovevano pur rendere impraticabile prima dell’invenzione del sostegno una
navigazione continuata da Milano al Lambro nell’alveo della Vecchiabbia,
comunque da altri sull’autorità di Landolfo si ritenga questa navigazione
perduta in secoli posteriori.[5]
Noi pertanto nel dubbio che tale navigazione abbia esistito soltanto
nell’opinione degli uomini, ci limitiamo a stabilire che rimonta fino ai tempi
di Landolfo l’idea di rimediare al difetto di Milano colla comunicazione per
acqua da detta città al Lambro, e dal Lambro al Po.
I
tentativi e le opere che dovevano far sentire alla città di Milano i primi
vantaggi di una navigazione artificiale sono dei tempi della Repubblica
Milanese e della Signoria dei Torriani; difatti è al cadere del secolo 12.o
ed al principio del 13.° che furono derivati dai fiumi Adda e Ticino i due più
grandi canali che ora siano inalveati nell’interno della provincia milanese. Il
primo, situato all’oriente di Milano e detto dianzi Nuova Adda e poi Muzza, fu
diretto fin da quelle epoche verso la città di Lodi, e sotto lo stesso nome
continua a servire all’irrigazione e ad altri usi.[6]
Il secondo, posto all’occidente di Milano e detto in origine Ticinello, fu
condotto fin verso Pavia,[7]
ed era destinato a dare nascita al primo esempio de’ canali navigabili del
mondo moderno. Veramente non si saprebbe precisare l’anno in cui il Ticinello
per la prima volta si è fatto servire in tutto o in parte alla navigazione, ma
è noto che nel 1253 una diramazione del Ticinello si produceva da Castelletto
di Abbiategrasso sino alle terre di Gaggiano e di Trezzano col nome di Naviglio
di Trezzano.[8] È pure noto che verso il
1267 la stessa diramazione si prolungò fin presso Milano, ed era anche distinta
col nome di Naviglio di Gazano.[9]
Questo nome di Naviglio indica che fin da quell’epoca qualche uso si faceva del
canale Ticinello per una comunicazione. È poi certo che prima del termine dello
stesso secolo 13.° il medesimo canale sotto il nome di Naviglio Grande era già
adattato all’uso della navigazione continuata e libera dal Ticino fin presso
Milano. Esso conteneva le botti sotterranee, i scaricatori a paraporti ed altri
artifizi che suppongono la cognizione de’ primi principj dell’idrostatica.[10]
E mentre le opere consimili del mondo antico erano perdute per sempre, mentre i
canali dei Chinesi di tutte le età non potevano offrire all’Europa alcun lume
dal loro inaccessibile impero celeste,
si potrà anche dire a gloria dell’italiana industria, che il Naviglio Grande
presentò alle successive imprese dello stesso genere un modello superiore alle
idee ed ai mezzi de’ tempi.
I
vantaggi arrecati da questo canale al Milanese, indipendentemente da quelli di
un’immensa irrigazione e di altri usi delle acque, sono incalcolabili. L’aperta
navigazione tra Milano ed il Lago Maggiore non si limitò a facilitare i
trasporti del piccolo commercio che si faceva prima per la via di terra da
quella parte del Milanese colla Capitale. Essa vi diede vita ad un’infinità di
nuovi rami di commercio, vi contribuì sensibilmente alla felice rivoluzione
avvenuta appunto a quell’epoca nella sua agricoltura, e vi ebbe un’influenza
diretta sull’origine e sui progressi di tutte le altre arti ora divenute nel
suo seno famigliari. Per essa difatti acquistarono un valore i boschi, di cui
la natura aveva rivestito estesissime vallate che sboccano al Lago Maggiore. I
loro prodotti trasportati a Milano facilmente e in gran copia hanno potuto
supplire ad una quantità di boschi che ingombravano la pianura ne’ dintorni di
questa città e degli altri abitati vicini alla linea del canale. Il terreno del
piano, reso invece alla libera disposizione del coltivatore, ha dato in cambio
alla parte montuosa i grani e gli altri generi, di cui poteva abbisognare per
accrescere la sua popolazione. Nella stessa maniera furono anche somministrate
alle altre arti le materie prime che si incontrano lungo il promontorio del
Ticino o nei monti che circondano il Lago Maggiore, e così in Milano hanno
avuta un’esistenza i principali monumenti d’ogni genere che ora vi si ammirano.
In una parola, il Naviglio Grande, fin dall’epoca in cui fu usato la prima
volta per la comunicazione dal Ticino a Milano, è divenuto la prima ricchezza
del Milanese.
Si
aggiunga a tutto ciò che, ultimata la costruzione del Naviglio Grande e
praticata la sua navigazione, non fu più impossibile la continuata
comunicazione per acqua da Milano al Ticino, al Po, al mare, e viceversa. Ma
questa non poteva presentare gran vantaggio al commercio del Po con Milano,
perchè conduceva sopra una via troppo lunga, troppo indiretta e meno
conveniente del trasporto di terra anche per la difficoltà di rimontare Ticino,
che è molto rapido fin presso il suo sbocco verso Pavia. Inoltre dopo l’esempio
del Naviglio Grande, la semplice idea di tirare dei canali navigabili da Milano
ad altri punti del Milanese era facile e naturale; e volendo disporre per
quest’oggetto delle acque dei fiumi e laghi dell’alto Milanese, non era forse
più impossibile nemmeno il radunare verso Milano il corpo d’acqua necessario a
sostenere una qualche navigazione in un canale continuato da Milano al Po senza
l’uso di alcun sostegno. Niuna maraviglia pertanto se nelle memorie del secolo
14.° si trova espresso e rinnovato nel Milanese il pensiero di rendere
navigabile il canale Vecchiabbia e il fiume Lambro per unire Milano al Po,[11]
e se alla stessa epoca vi si trovavano in campo e lo Statuto provinciale che
prescriveva di procurare la navigazione da Milano a Venezia, e quell’altro
Statuto che ordinava la costruzione di un canale dal fiume Tresa a Milano,[12]
e l’idea di formare un vero naviglio del canale scavato di que’ tempi fra le
due città di Milano e Pavia,[13]
ed altri simili progetti.
Ripetiamo
adunque, che queste idee erano divenute naturali nel Milanese a quell’epoca; ma
ciò che interessa la storia dell’arte è piuttosto di sapere se realmente è
stata aperta fin d’allora una continuata navigazione dal commercio frequentata
fra Milano ed il Po per la via del Lambro, od anche fra Milano ed il Ticino per
altre vie che presentassero a una data distanza una grande differenza di
livello dei punti estremi. Ora tutte le memorie storiche spettanti a quel
secolo 14.° fissano bensì l’epoca della prima escavazione del succennato canale
da Milano a Pavia, detto Naviglio di Pavia,[14]
ma tale denominazione di Naviglio essendo fin d’allora passata in Lombardia a
dinotare anche molti grandiosi canali di semplice irrigazione, resta dubbio
primieramente se quel di Pavia del secolo 14° fosse ridotto realmente ad uso di
navigazione, come si crede dalla comune degli scrittori.[15]
In nessun luogo autentico poi dichiarandosi il Naviglio di Pavia de’ tempi dei
Visconti prolungato sino allo sbocco in Ticino, non può supporsi questo
arbitrariamente cogli stessi scrittori[16]
per attribuire ad altri secoli la gloria di aver aperta la comunicazione per
acqua da Milano al Po per la via più breve e diretta. Si abbia adunque per
certo soltanto, che nel secolo 14.° non si perdeva di vista l’importanza di una
tale comunicazione per il Milanese.
Nelle
memorie del secolo 15° e specialmente in quelle risguardanti il Principato
degli Sforza si incontrano delle notizie più, positive sulle opere e sui
tentativi di estendere la navigazione artificiale del Milanese; ma non sempre
ancora quante bastino per avere delle cose idee esatte e precise.
E
primieramente dalla maniera con cui sono espressi i libri e le scritture di
quel secolo si ha un complesso di indizi sufficente a determinare fra certi
limiti l’epoca di alcune opere dirette ad ottenere sopra diramazioni del
Naviglio Grande un qualche barcheggio da Milano al Parco ed al Castello di
Pavia, da Milano ad Abbiategrasso e a Bereguardo, da Milano a Cusago e ad altre
antiche Ville ducali del basso Milanese. È abbastanza dichiarata l’idea di far
servire queste opere al comodo speciale del Duca per i trasporti bisognevoli
fra la Capitale e le proprie Ville. Si ha inoltre dagli stessi documenti una
prova dei desiderj di una serie di principi Sforza per rendere stabili tali
comunicazioni per acqua da Milano a tutti gli indicati punti;[17]
ma non è mai che si incontri un sol passo di quell’epoca in cui si dica
veramente stabilita e praticata la navigazione su alcun ramo del Naviglio
Grande a beneficio del pubblico; anzi si trova che successivamente, e in tempo
delle guerre sopravvenute in paese sotto gli ultimi Sforza, era già perduta
ogni sorta di navigazione precedentemente tentata od attivata sulle direzioni
di Pavia, Bereguardo ec., dove per vestigia erasi appena conservata qualche
strada dell’alzaia detta Stradella del
Signore intendendosi del Duca di Milano, e avente a lato qualche cavo detto
Naviglietto, benchè affatto inservibile alla navigazione.[18]
Più
fortunata sotto gli Sforza fu l’impresa di derivare circa l’anno 1457 dai fiume
Adda il canale detto Naviglio della Martesana, ed anche Naviglio Piccolo per
distinguerlo dell’altro denominato Naviglio Grande, e condotto a un tratto
sulla direzione di Milano a sfogare le acque residue nel fiume Lambro.[19]
Quest’opera, che verso l’anno 1460 arrecava già fra gli altri suoi vantaggi
quelli della navigazione a un’esteso territorio posto all’oriente di Milano,
conteneva anche molti perfezionamenti dell’arte che tuttora fanno fede del
talento del suo architetto Bertola da Novate, ingegnere ducale sotto i principi
Sforza Francesco i.o e
Galeazzo Maria.[20]
Fra i
pregi più positivi dell’opera si possono annoverare generalmente il luogo
scelto per l’incile del canale nella sezione del fiume Adda immediatamente
sotto il castello di Trezzo, e la linea seguita col canale medesimo
costeggiando l’Adda fin presso Cassano e di là risvoltando in mezzo alla
pianura fin verso Milano. Difatti posteriormente alla prima costruzione
dell’opera questi due elementi, della linea e dell’incile, non hanno mai
sofferto sinora variazione notabile ed indicano tuttavia gli studi del primo
architetto per adattarsi agli usi moltiplici del canale. La presa dell’acqua
dall’Adda venne assicurata colla fabbrica di una chiusa attraversante quasi
tutta la sezione del fiume in direzione alquanto obbliqua al filone delle acque
e formante imboccatura all’incile del canale. La sponda di quest’incile fu
tenuta alquanto bassa onde farla servire di grande e immediato diversivo a fior
d’acqua in tempi di piene. Sulla sponda del canale inferiormente susseguente
furono sparse varie tratte di bassi argini detti livelli o travacatori per ottenere un qualche altro debordo
naturale delle acque esuberanti in canale nelle stesse occasioni. A maggior
sollievo delle piene del naviglio vennero aperti sulla medesima sua sponda, a
sito a sito della linea, come al Naviglio Grande, i così detti scaricatori a
paraporti, che sono sfogatoj colla soglia sensibilmente più bassa del fondo del
canale navigabile, e muniti delle opportune chiaviche per tenere questo meglio
regolato nel suo corpo d’acqua, e netto in ogni suo punto dalle materie
fluviali. Il sistema di questi edifizi al Naviglio della Martesana risultò
fors’anche più ben inteso nella vista che l’effetto di ciascun di loro termini
dove quello dell’altro susseguente comincia. La distribuzione della pendenza
del terreno su tutta la linea del canale fu pure consentanea in origine al suo
corpo d’acqua ed ai diversi fini della navigazione, della irrigazione, del
movimento d’opifici e simili; e se in ciò vi si trovarono posteriormente dei
difetti, questi, come vedremo, procedettero meno da mancanze del suo primo
architetto che da variazioni e da arbitrj degli uomini sopravvenuti ad
alterarne il piano. Finalmente nella costruzione delle botti sotterranee vi si
è continuato a far buon uso del principio idrostatico che l’acqua si libra allo
stesso livello ne’ due rami di un sifone; ed il ponte-canale in tre archi
all’incontro del torrente Molgora ha compito per molto tempo il suo uffizio
senza bisogno di essere rinnovato, e fu il primo ponte-canale di grandi
dimensioni applicato alla navigazione.
Qui pure
si può aggiungere, che l’oggetto del Naviglio della Martesana nel rapporto
della navigazione non fu semplicemente di unire Milano all’Adda, ma anche di
servire alla più estesa comunicazione per acqua da Milano al Lago di Como per
mezzo di altre opere progettate da farsi intorno a quel fiume. Vari tentativi
sono stati realmente diretti nello stesso secolo 15.° ad avere navigabile il
fiume Adda per un’estesa tratta all’oriente di Milano,[21]
come ai lati di occidente e di mezzogiorno lo erano naturalmente il Ticino ed
il Po; ma su tal punto si sa dire soltanto, che i progetti dovevano ridursi a
quello di rendere in qualche modo navigabile tutto il letto del fiume Adda da
Brivio a Trezzo, ed all’altro di distaccare dallo stesso fiume al paese di
Brivio un apposito canale navigabile tracciato in modo da legarsi col Naviglio
della Martesana verso Milano. Del resto gli sforzi fatti a quell’epoca per tale
oggetto, qualunque essi fossero, ben presto sono andati interamente a vuoto.[22]
Contemporaneamente
ai progetti, tentativi ed opere sin qui accennate come cose eseguite nel
Milanese al secolo 15° dietro l’esempio e l’esperienza del Naviglio Grande, una
circostanza particolare interessava specialmente la comunicazione per acqua dal
termine di tal canale sino al piede del Duomo di Milano; e ciò era la condotta
dei marmi che venendo dal Lago Maggiore si dovevano adoperare nella fabbrica
del Duomo medesimo. A questo proposito gli eruditi ci assicurano che il
passaggio dal Naviglio Grande all’inallora fossa di fortificazione di Milano,
sino ad un punto vicino al Duomo, si ottenne per molto tempo colle sole acque
disponibili verso il centro di Milano e di un qualche congegno usato per salire
colle navi dal piano del sobborgo antico di Porta Ticinese al piano più elevato
del seno così detto il Laghetto presso la Chiesa di S. Stefano Maggiore.[23]
Arrivate le navi presso l’altro seno consimile, che esisteva davanti la Chiesa
di S. Eustorgio sull’estremità del Naviglio Grande ove si trova di presente la
Porta Ticinese di Milano, si praticava in dati giorni ed ore meno incomode di
sospendere le ordinarie dispense d’acqua dal Naviglio Grande verso Milano.
Laonde s’incominciava a farvi rigonfiare l’acqua sino a una certa altezza da
potere, rimontando, ridurre dentro il detto seno di S. Eustorgio le barche
cariche. Si formava poscia di sotto al Laghetto medesimo di S. Eustorgio una
chiusa posticcia che toglieva ogni comunicazione fra le sue acque e quelle del
Naviglio Grande. Si introduceva finalmente nel tronco di canale e di fossa che
univa i due succitati seni tutta l’acqua disponibile, e questa trovandosi
arrestata dalla chiusa innalzava a poco a poco il suo pelo insieme alle barche
galleggianti sino al piano del Laghetto tuttora sussistente presso la Chiesa di
S. Stefano Maggiore. A questo punto potevano per tal modo avviarsi le barche
cariche di marmi destinati alla fabbrica del Duomo, e della medesima occasione
potevano approfittare anco i privati per fare ascendere e tradurre in acqua fin
sul limitare dei magazzini di città i generi di commercio del Naviglio Grande e
del Lago Maggiore. Fu abbandonata col progresso di tempo questa pratica che
ripeteva la sua origine dal principio della fabbrica del Duomo di Milano sotto
Gio. Galeazzo Visconti, e che doveva riuscire molto incomoda e dannosa anche
perchè portava la frequente sospensione delle irrigazioni e degli altri usi
delle acque dei dintorni di Milano; ma qui non si saprebbero veramente
precisare tutte le epoche a cui si riferiscono le altre pratiche sostituite, i
vari miglioramenti e le successive aggiunte fatte a quella prima rozza maniera
di comunicazione. Pare per altro assai probabilmente che da una simile
occasione siansi sviluppate le prime idee che nel Milanese condussero gli
architetti alla mirabile invenzione del sostegno. Difatti invece di costruire e
distruggere ogni volta una grandiosa chiusa provvisoria ad ogni passaggio di
barche per operare la succennata comunicazione, si è presto pensato a porre in
uso qualche stabile artifizio.[24]
All’uopo specialmente dev’essersi allora immaginato una chiusa permanente che
potesse aprirsi e serrarsi sul canale secondo il bisogno; e quest’altra chiusa
dev’essere stata nella prima idea una semplice porta o pescaia, in qualche modo
amovibile dalla sua posizione sì attraverso il canale, che in sponda del
medesimo, e per avventura non dissimile dalle antiche cateratte di cui ci
parlano sovente gli scrittori.[25]
Per la situazione poi del nuovo artifizio si è ritrovato più comodo il luogo
così detto Viarenna negli antichi sobborghi meridionali di Milano, ove anche
attualmente si opera il passaggio della navigazione dal Naviglio Grande alla
fossa di città per mezzo di un sostegno e di un superior tronco di canale
aperto allora per la prima volta. Nel meditare successivamente intorno al nuovo
mezzo di comunicazione usato al luogo di Viarenna a Milano, era divenuta
naturale anche la riflessione, che l’artifizio di un’unica chiusa permanente vi
richiedesse tuttavia un consumo di acqua, di tempo e di spese troppo notabile
sì per riempirvi l’alveo superiore da percorrersi nell’ascesa delle barche dei
marmi, come per vuotarlo nella discesa delle medesime barche al loro ritorno
nel Naviglio Grande. Inoltre dacchè i privati avevano cominciato a cavare
qualche profitto dall’aperta comunicazione tra il Naviglio Grande e la fossa
della città di Milano, si doveva pur sentire il bisogno di praticare in sito
opportuno qualche altra chiusa consimile a quella di Viarenna. Il suo oggetto
era di tenere rigonfiata l’acqua nella fossa di città a sostenervi la
navigazione durante gli intervalli del tempo, in cui l’unica chiusa di
Viarenna, dovendo aprirsi e stare aperta per i passaggi delle navi della
fabbrica del Duomo, vi abbassava il pelo d’acqua sino a lasciare in difetto il
barcheggio dei privati cittadini. Sono queste particolari circostanze della
città di Milano che devono realmente aver dato origine all’idea ed alla
costruzione di una seconda chiusa sulla breve tratta di canal navigabile che unisce
la sua fossa col Naviglio Grande. Finalmente l’uso continuato anche per poco
tempo di quelle due chiuse, situate fra il luogo di Viarenna ed il Ponte de’
Fabbri a Milano, deve avervi suggerito l’idea generale delle chiuse ravvicinate
a due a due per limitare maggiormente lo spazio in cui effettuare
l’innalzamento ed abbassamento di un pelo d’acqua pel passaggio delle barche da
un piano all’altro, e per assicurare costantemente la navigazione delle tratte
di canale superiori ed inferiori al detto spazio. Infatti consultando gli
storici de’ tempi del duca Filippo Maria Visconti noi troviamo che, parlandosi
di artifizi per ottener quest’intento, se ne conosceva qualcheduno designato
per nuovo. Esso era probabilmente quello stesso che prima di eseguirsi in
grande fu esperimentato in piccolo sul canale anticamente conosciuto sotto il
nome di Redefossino; canale che cingeva il giardino del Castello di Milano ed
occupava prossimamente il luogo dell’attual Roggia del Castello che si dirama
dal Naviglio della Martesana sulla destra presso le mura di Milano. Di più alla
stessa epoca per artifizio della stessa natura è citato il nome di Conca
passato in uso posteriormente in Lombardia per indicare un bacino formato sopra
un canal navigabile da due chiuse poste a certa distanza fra di loro e
destinato a farvi alzare ed abbassare di livello le barche galleggiami.
Sappiamo poi di certo che fin dagli ultimi periodi del regno di Filippo Maria
Visconti l’artifizio costrutto ed usato al succennato punto di Viarenna a Milano,
per passare colle navi dal livello dell’estremità del Naviglio Grande al
livello più elevato della fossa di fortificazione di quella città, si chiamava
appunto Conca, come si è sempre chiamato dappoi e si chiama tuttora; per cui si
può ritenere che la Conca di Viarenna, posta in esecuzione nel Milanese alla prima
metà del secolo 15°, è veramente la prima tra le conche a noi note. Il merito
di esserne stati gli architetti, secondo le poche memorie storiche che ci
restano di que’ tempi, sembra doversi attribuire agli ingegneri ducali Filippo
da Modena, soprannominato dagli Organi, e Fioravante da Bologna; e non già,
come per una specie di tradizione comunemente si crede fra noi, al Lionardo da
Vinci venuto ingegnere ducale a Milano soltanto circa un secolo dopo la prima
costruzione della Conca di Viarenna.[26]
Oltre
all’oggetto delle condotte per la fabbrica del Duomo di Milano essendosi atteso
nel Milanese a quelle epoche stesse anche ai progetti di ridurre navigabile
l’intera fossa di Milano, di continuare il Naviglio della Martesana sino ad
unirsi col Naviglio Grande presso Milano, di mettere in una comoda
comunicazione il Lago di Como con Milano, di diramare stabilmente dal Naviglio
Grande i canali navigabili subalterni e diretti ad unire Milano con Pavia, Bereguardo
e simili luoghi della provincia; tutte queste idee rimesse in moto, e coltivate
incessantemente ne’ tempi pacifici del Principato, dovettero pur somministrare
altrettante occasioni di arrivare all’invenzione della conca.
Per
venire intorno a ciò a qualche maggiore dettaglio, si potrebbe accennare in
primo luogo l’ordine dato dal duca Filippo Maria Visconti ai due ingegneri
ducali nominati di sopra, che portava di eseguire la detta opera di rendere
navigabile la fossa di fortificazione di Milano in tutta la sua estensione. In
secondo luogo andrebbe rammentato il passo storico del 1445, in cui si parla
chiaramente della Conca di S. Ambrogio verso Porta Vercellina di Milano, che si
incontra tuttora nella stessa località della fossa. Questa, resa allora
navigabile, fu distinta col nome di Naviglio Ducale, e lo ha poi cambiato
successivamente in quelli di Fossa interna, Naviglio interno, o semplicemente
Naviglio della città di Milano.[27]
Similmente riguardo all’opera dell’ultimazione del Naviglio della Martesana
fino all’antico alveo del Seveso si potrebbe riferire, che quando furono
avanzati fin presso l’alveo del fiume Lambro i lavori di quel canale sotto la
direzione di Bertola da Novate, si trovarono indispensabili le fabbriche di
conca per passare colla navigazione ai differenti piani del terreno. Di qui che
ai tempi di Galeazzo Maria Sforza, e più precisamente agli anni 1470 e 1471, si
parlava della Conca di Gorla che doveva essere eretta presso il paese di questo
nome situalo sulla linea del canale fra i punti d’incontro del fiume Lambro e
del torrente Seveso.[28]
Relativamente all’unione dei due Navigli resi navigabili il primo sino al punto
più basso, il secondo fino al punto più alto del piano della città e dintorni
di Milano, era la differenza di livello fra questi estremi tanto rilevante da
non potersi distribuire uniformemente la caduta del terreno sopra di un sol
tronco di canale intermedio senza perdere il comodo della continuata
navigazione dall’uno nell’altro canale. Anche qui pertanto la difficoltà di
questa progettata unione consisteva principalmente nell’applicare gli opportuni
artifizi di conca per moderare a piacimento la pendenza del terreno da
consumarsi. Per rispetto alla linea da seguirsi, invece di disegnarla in
qualche distanza da Milano senza giungere a lambire le antiche mura di questa
città, trovandosi già eseguito il Naviglio-interno nella sua fossa di
fortificazione, era naturale di far servire il Naviglio medesimo per anello
dell’ideata unione col semplice prolungamento del Naviglio della Martesana
precedentemente prodotto fin all’incontro del torrente Seveso. Nella realtà poi
a questa tratta di canale venne veramente posta mano fin da quell’epoca. Il
Naviglio della Martesana fu prolungato dal punto d’incontro del torrente Seveso
sino alle mura di città; e per quest’opera si richiesero pure varie conche, una
delle quali si trova nominata sin da que’ tempi, ed, è l’attuale Conca di S.
Marco.[29]
Circa al succitato progetto della navigazione dell’Adda, allora appena nato nel
Milanese, anch’esso deve aver condotto gli architetti a fare degli studi
particolari sul modo di applicarvi utilmente l’invenzione della conca, comunque
su questo punto non si potrebbero riferire che congetture. Finalmente intorno
ai tentativi di quei tempi per rendere navigabili i due Canali di Pavia e di
Bereguardo, che vennero posteriormente abbandonati, era pure indispensabile
l’artifizio per far rigonfiare l’acqua e avere il comodo della navigazione.
Ora, dietro le memorie storiche del secolo 15° ed i vestigi di fabbriche che ne
erano rimasti qualche secolo dopo, si può presumere assai ragionevolmente che
anche su quei canali sia stata applicata ed usata la vera conca a chiuse
raddoppiate, come al passaggio di Viarenna.[30]
Non
ostante però tutte queste occasioni favorevoli al perfezionamento della conca,
che si presentarono ad una stessa epoca nel Milanese, l’andamento fissato dalla
natura alle grandi invenzioni è sempre tale, che esse passano successivamente
per molti gradi intermedi prima di arrivare a quella perfezione che lascia poco
o nulla da desiderare. Così anche l’artifizio detto conca, nel Milanese
immaginato e messo in opera per la prima volta sotto gli ultimi Visconti, sarà
stato in origine assai rozzo ed incomodo per la navigazione poco meno del
traghetto di terra. È pure molto probabile che successivamente, durante la
Repubblica precedente all’innalzamento di Francesco i.° Sforza al ducato di Milano e durante la maggior parte
del principato Sforza, la conca abbia ricevuto nel Milanese e nelle altre
province italiane, soltanto a poco a poco, quegli ulteriori miglioramenti che
unicamente potevano ridurla un mezzo semplice per passare con facilità da un
tronco all’altro di canale in cui le acque siano a differente livello; ma è
cosa certa che essa alla fine diventò la più bella scoperta che onori
l’architettura delle acque in Italia. Difatti costituita una volta la conca in
due chiuse amovibili, ognuna delle quali attraversi il canal navigabile ad una
breve distanza per dar luogo nel mezzo ad una o al più due barche, che, senza
sortir dall’acqua, si fanno passare a due differenti livelli; colpito cioè
nella felice idea della chiusa raddoppiata, o per meglio dire delle chiuse
riavvicinate ed accoppiate a due a due, non si è tardato ad aggiungere alla
conca molte altre particolarità, che contribuirono ad accrescerne i pregi e la
resero un ritrovato di uso e vantaggio universale. Hanno quindi avuta origine
le chiuse da sostegno assortite in due porte di moderata larghezza, onde
renderle più maneggevoli di quelle formate di un sol pezzo, e più comode di
quelle suddivise in molti pezzi. L’eccessiva caduta del terreno da consumarsi
coll’uso della conca, invece di lasciarla uniformemente distribuita sopra piani
inclinati tutt’al lungo del letto del canale, fa ridotta a smaltirai fra i due
ordini di porte della conca stessa onde poter diminuire innocuamente l’altezza
del letto navigabile del canale, come pure quella del superiore ordine di porte
così detto le portine, a differenza
dell’inferiore denominato i portoni.
Questa caduta così smaltita in piccola tratta, venne inoltre data per salto
immediato che staccasse come in due tronchi il canal navigabile, onde disporre
il bacino della conca col fondo orizzontale acciò le barche vi potessero in
ogni tempo galleggiare. Il ripiego del salto a gradinata a qualche conca delle
più profonde fin allora usate non è stato risparmiato per ammorzare la violenza
dell’acqua cadente in bacino. La disposizione angolare delle porte da conca
così dette insteccate fu scelta per ottenere da esse maggior resistenza alla
corrente dell’acqua contro cui si richiudono. Il loro movimento sopra perni
fissi si è adottato come uno de’ più facili ad effettuarsi, e le loro
finestrelle praticate nelle stesse porte si sono usate per dare o chiudere il passaggio
all’acqua d’entrata e sortita dal bacino in un modo semplice. I condotti aperti
nelle grossezze delle muraglie muniti da porticelle amovibili vennero
riconosciuti per un altro modo di operare o di accrescere quest’efflusso
dell’acqua durante l’empimento e vuotamento dei bacini. I ponti annessi
solitamente alle conche furono eretti attraverso il canale al luogo della
sboccatura dei bacini, affinchè servissero alla più comoda comunicazione
dall’una all’altra parte del canale e della conca. Per ultimo lo scaricatore o
diversivo laterale o superiore al bacino fu aggiunto comunemente alla conca per
rendervi utile la caduta al movimento d’opifici, e nel tempo stesso per variare
a volontà il corpo d’acqua che deve presentarsi davanti le portine ad empire
più o meno celeremente il bacino stesso e convogliare innocuamente in canale
grossi corpi d’acqua oltre quello bisognevole alla navigazione. Fra le altre
adunque, tutte le accennate sono tante proprietà della conca usata in Italia al
secolo 15° per continuare la navigazione in mezzo a terreni di livello molto
ineguale, e per cui l’arte di navigare da basse pianure alle vette de’ monti si
ridusse fin d’allora al semplice movimento di una barca tirata orizzontalmente
nell’acqua e ad una meccanica regolata da un sol uomo per passare da un piano
all’altro. Del resto, come avviene delle grandi scoperte in tutte le arti e
scienze, anche in architettura idraulica la conca, i molini ad acqua e a vento,
la macchina a vapore e simili invenzioni, non hanno avuto un sol primo
inventore; la loro origine è stata ordinariamente il frutto dell’industria di
una intera nazione; la loro perfezione, il prodotto degli ingegni di tutte le
nazioni; quest’ultima poi è sempre relativa ai mezzi conosciuti, i quali si
accrescono e si migliorano anch’essi col tempo. Ma intanto se di tutte le
grandi scoperte si possono fissare epoche distinte corrispondenti alle relative
opere rimaste col tempo, l’applicazione della conca che si può additare per la
più celebre fra quelle del secolo 15° è ancora il Naviglio della città di
Milano, intorno alla cui solida ricostruzione ed ulteriore perfezionamento deve
essersi particolarmente occupato l’ingegnere di Lodovico il Moro, il grande
Lionardo, come si può arguire da qualche sua scrittura originale ed abozzi di
disegni attinenti a conche, che tuttora si conservano nella Bibilioteca
Ambrosiana di Milano.[31]
In sostanza poi il Naviglio di questa città al 1497[32]
già compito colle sue conche come si vede di presente, cioè legato per la
navigazione da una parte col Naviglio della Martesana derivato dal fiume Adda,
e dall’altra col Naviglio Grande, col Ticino, col Po e col Lago Maggiore, ed
usato per gli altri bisogni di irrigazione, movimento d’opifici, ornamento di
giardini e simili, divenne l’opera superiore ad ogni altra nella storia
dell’arte, poichè fra tutte quelle dello stesso genere eseguite in Italia al
secolo 15° era forse la più utile e la più atta a servire di modello alle
consimili costruzioni intraprese ne’ due secoli a quello immediatamente posteriori
in seno dell’Italia stessa, dell’Olanda, della Fiandra, della Francia e di
altre parti d’Europa.[33]
Essendosi
per tal modo riparato alla meglio il difetto fisico di situazione della città
di Milano prima del secolo 16.°, e mercè l’invenzione della conca, dappoi più
generalmente denominata sostegno, non essendo nemmeno l’assai rilevante
differenza di livello dei terreni un ostacolo insuperabile all’esecuzione di
molti utili progetti di canali navigabili, restava ai popoli milanesi di
desiderare la costruzione di varie opere perdute o ideate di nuovo per
estendere in diverse parti della loro provincia la rete di navigazione-interna,
a quell’epoca già formata dal Lago Maggiore, dai fiumi Ticino e Po, e dai
canali Naviglio Grande e Naviglio della Martesana, che termina col Naviglio
della città di Milano.
Al
principio del secolo 16.o nel Milanese, per mancanza di mezzi
economici disponibili dal suo governo, non si è potuto coltivare subito una
simile idea; anzi gli sforzi dei popoli per mantenere in buono stato il sistema
della navigazione-interna sin allora stabilitovi felicemente, non furono
corrispondenti ai bisogni dei propri Principi che si trovavano all’epoca della
loro decadenza. Difatti il commercio dei canali del Milanese era divenuto per
se stesso un articolo rilevante delle entrate ducali a motivo dei dazi ordinari
imposti sulle merci, che naturalmente affluivano in maggior copia nello stato
per godervi il vantaggio della navigazione non offerto dagli Stati vicini;
inoltre i dazi particolari detti della catena e della conca, istituiti
originariamente sulle merci e prodotti navigati per esonerare la Camera dalle
spese di riparazione e manutenzione dei canali medesimi, furono
all’istess’epoca cambiati in semplici diritti di navigazione devoluti al
Principe, e quindi regolati dietro tariffe fissate sulla norma di tutti gli
altri diritti consimili per sostenere i bisogni dello Stato e del Principe
stesso; finalmente a quell’epoca per una determinata somma fu pure fatta
vendita dal Principe al Comune di Milano della proprietà del Naviglio Grande,
quantunque questo fosse stato costrutto a spese della Repubblica Milanese più
secoli addietro; ma dopo aver esaurite tutte queste risorse, una buona porzione
delle acque dei canali milanesi necessarie alla loro navigazione venne ancora
separatamente alienata dallo stesso Principe sia per far denari, sia per
procurarsi il favore di persone e famiglie potenti.[34]
Vinti del
tutto successivamente i principi Sforza, Francesco i.° Re di Francia si trovava nel 1516 tranquillo possessore
del Milanese e degli altri Stati che formavano il Ducato di Milano, allorchè
tale città fece ricorso a quel Monarca perchè favorir volesse la costruzione di
un nuovo canale navigabile da scavarsi laddove si sarebbe dopo diligente esame
deciso che più facile ne dovesse riuscire l’opera e più estesa l’utilità. In
tale occasione il Re di Francia rilasciò in dono alla città di Milano dieci
mila annui ducati, destinondone la metà alla costruzione dell’opera desiderata.
Seguita tale disposizione sovrana dall’interinazione del Senato, venne ordinata
alla città di Milano la elezione di persone idonee e perite da incaricarsi di
una simile impresa, e specialmente di rimettere i piani dei lavori al Senato
per l’opportuno esame. Delegati in seguito alcuni nobili e gli ingegneri
Bartolomeo Della Valle e Benedetto De Missaglia a portarsi alla visita di tutta
la catena dei colli dell’alto Milanese per determinare dove e come si avesse a
derivare il nuovo canale, è stata eseguita una revista generale di tutti i
progetti di nuovi canali navigabili fisicamente possibili per il Milanese onde
scegliere il più conveniente. Nella circostanza di quella pubblica commissione
che potrebbe servire di modello per altre province, fu primieramente esaminato
se facendo uso dell’acqua dei laghi di Oggionno, di Pusiano, di Alserio
conveniva rendere navigabile il fiume Lambro oppure derivare da esso un canale
diretto a Milano. Si è passato inoltre ad osservare se da qualche punto del
Lago di Lugano si poteva trarre acqua sufficente a tale intento. Non isfuggì
l’idea della navigazione del fiume Tresa cha unisce i laghi di Lugano e
Maggiore. Non si è neppure lasciato di riflettere al modo di servirsi delle
valli e delle acque della Molgora, del Seveso, della Lura e dell’Olona. Ma ora
la scarsezza dell’acqua disponibile, ora le gravi spese per superare la difficoltà
del terreno, ora la minore utilità sperabile, sono i motivi addotti a
quell’epoca per posporre tutti gli indicati ed altri simili pensieri a quello
di aprire la comunicazione per acqua dal Lago di Como a Milano a vantaggio di
un più esteso commercio.
Fissato
così l’oggetto d’aversi di mira nell’impiegare il denaro donato per una nuova
navigazione, si rivolsero ad esso tutti gli studi degli ingegneri Della Valle e
De Missaglia. La prima loro idea fu quella di derivare dal fiume Adda al paese
di Brivio un grandioso canale, al tempo stesso di irrigazione e di navigazione,
da condursi per Vimercate e Monza direttamente a Milano. Ben presto però le
ragioni d’economia fecero abbandonare il pensiero di un canale che doveva
riuscire troppo esteso in confronto dei mezzi disponibili. Successivamente si è
coltivata soltanto l’altra idea meno grandiosa di servirsi del Naviglio della
Martesana e del fiume Adda da Trezzo a Brivio col provvedere alla sua
navigazione in questa tratta; il che si giudicava eseguibile nello spazio di
due anni e colla somma di 50 m. scudi all’incirca. Il Senato di Milano ai 26
settembre 1518 decretò l’esecuzione dell’opera di rendere navigabile il fiume
Adda nella tratta divisata, ed incaricò i rappresentanti della città stessa per
l’amministrazione dell’impresa. Ai 6 di novembre dello stesso anno 1518 una
deputazione della città era già occupata dell’esame dei disegni presentati
dagli ingegneri per l’opera ordinata. L’esame venne istituito con visita
formale e con aperta discussione sulla sponda del fiume Adda alla presenza
della deputazione, degli ingegneri eletti, di molti altri ingegneri accreditati
presso la città, e di una quantità di altre persone pratiche dei luoghi e delle
cose.
Uno dei
modi proposti a quell’epoca per ottenere la totale desiderata navigazione dal
Lago di Como a Milano per mezzo del fiume Adda e del Naviglio della Martesana,
si riduceva a stare nel letto del fiume che poteva sperarsi, dove di renderlo
navigabile col solo sbarazzarlo da ogni impedimento, e di supplire altrove
colla fabbrica delle opportune conche nel letto dello stesso fiume. Il secondo
modo invece schivava in alcune tratte la navigazione nel letto del fiume Adda
con canali derivati sulla costa di quel fiume dalla parte milanese, e
specialmente con uno da incominciarsi poco di sopra del luogo detto le Tre
Corna e da continuarsi per lo spazio di poche miglia sino all’altro luogo detto
la Rocchetta, da dove rientrare in Adda colla navigazione e giungere
all’imboccatura del Naviglio della Martesana.
Le difficoltà
ed i difetti del pensiero di restare colla navigazione nel fiume Adda in tutta
l’indicata tratta dai Tre Corna alla Rocchetta, fabbricandovi sopra i sostegni
e gli altri edifizi necessari, furono però sentite allora in tutta la debita
estensione; e quindi il risultato della visita fu favorevole all’idea di quel
canale di derivazione, per il quale fu scelta la linea proposta dall’ingegnere
Benedetto De Missaglia che doveva tendere dall’incile allo sbocco passando pel
terreno meno instabile e più sicuro che presentasse la località, non senza
allontanarsi alquanto dal letto del fiume a tracciare la prima tratta di
canale. Di più secondo le prime generali risoluzioni il canale doveva
incominciare da una chiusa di derivazione piantata sul fiume in un punto di
sezione ampia, di alveo piano e di corso temperato, per modo che essa riuscisse
della minor altezza possibile. Doveva lo stesso canale avere verso il suo
incile un sistema di travacatori e scaricatori per tutti gli usi di un canale
derivato dal fiume, ed inoltre un doppio ordine di porte amovibili e insteccate
attraverso il canale per servire in tempo di piene di chiusa destinata a
moderare il corpo dell’acqua all’imboccatura del canale. I sostegni bisognevoli
inferiormente dovevano essere della forma di quei del Naviglio della città di
Milano.
Approvata
dalla città di Milano quest’idea di piano, si passò ad ordinare il rilievo
delle misure che dovevano servir di norma alla determinazione di ogni parte
dell’opera ed alla immediata esecuzione dei lavori. A quest’incombenza furono
spediti gli ingegneri Ambrogio Della Valle, Benedetto De Missaglia e Gerolamo
De Giussani, presieduti dal Deputato Filippo Guasconi. La nuova commissione
stabilì per ultimo risultato della livellazione e delle altre misure prese, di
restare definitivamente nel letto del fiume Adda opportunamente spianato da
Brivio fino al Sasso di S. Michele. Per togliere l’ostacolo che presentavano
alla navigazione i molini sparsi sul fiume Adda, si progettò di farne muovere
alcuni da un sol ramo d’acqua appositamente derivato e sostenuto sulla costa,
non che di trasportarne altri nella tratta di fiume dal Sasso di S. Michele al
luogo della Rocchetta ove doveva costruirsi a fianco il canal navigabile.
Fissato avendo l’incile di questo canale più precisamente poco al di sotto del
Sasso di S. Michele, si è disegnato di erigere quivi attraverso l’Adda la
chiusa di derivazione. Ad onta della massima suggerita dalla prima commissione,
non si è temuto di tenere tale chiusa rilevata di met. 4,257 sopra il letto del
fiume, affine di estendervi alquanto superiormente la linea del rigurgito. Col
disegnare elevata la soglia del canale sopra il fondo del fiume medesimo
davanti la chiusa si intendeva di diminuire possibilmente l’altezza enorme cui
doveva giungere in qualche sito l’escavazione del canale sulla direzione
prescelta. Questa direzione del canale subito dopo l’incile si allontanava dal
fiume Adda per entrare nella Valle così detta di Paderno, passata la quale
continuava in altre vallette, rivolgendosi però a poco a poco verso Adda in cui
terminava al di sotto dei succitato luogo della Rocchetta. La lunghezza del
canale riusciva ancora di poche miglia di lunghezza, e la pendenza totale presa
da’ suoi estremi e misurata da pelo a pelo del fiume, nell’ipotesi di quella
fabbrica di chiusa, veniva ad essere di met. 27,324 all’incirca. Tutta questa
pendenza si voleva consumare con dieci sostegni, ciascun de’ quali fosse a un
di presso di met. 2,673 di salto, lasciando così il fondo del canale
orizzontale ne’ suoi diversi tronchi.
Ultimate
per la fine del 1519 le operazioni preparatorie, gli amministratori della città
di Milano pensarono anche a dar principio ai lavori. In poco tempo dovea essere
sbarazzato il letto del fiume Adda nelle tratte da ridursi navigabile, e si
doveva stabilire un traghetto di terra nella breve tratta dal Sasso di S.
Michele alla Rocchetta onde far sentire prontamente qualche vantaggio
dell’opera al commercio del Lago di Como con Milano, e specialmente a quello
che già si faceva per la via di terra da Brivio a Porto sull’Adda. La spesa di
questa parte dell’opera si valutò in circa 6 mila ducali, ed i lavori relativi
vennero realmente intrapresi nel successivo anno 1520.[35]
A quell’epoca però non si ebbe tempo di portarli molto avanti, e, sospesi
tutt’a un tratto in causa della guerra tanto fatale al Re Francesco, furono poi
abbandonati interamente per le vicende di Stato sopravvenute nel Milanese.
Limitate
così le glorie idrauliche del Milanese ai tempi del Re di Francia Francesco i.° ad eseguire una visita ed una
livellazione generale della parte montuosa della provincia, ad esaminare quali
progetti di nuovi Canali di navigazione vi fossero o da proporsi o da
escludersi, ed a studiare, disporre ed incominciare i lavori per aprire la
comunicazione per acqua dal Lago di Como a Milano, tutti questi passi avevano
poi anche di mira l’oggetto di estendere ulteriormente la rete di
navigazione-interna del basso Milanese ed in ispecie l’antico progetto di
unirvi Milano al Po con un nuovo canale; cosicchè i voti dei popoli per unire
Milano al Lago di Como non andavano disgiunti fin d’allora dal desiderio della
libera e facile comunicazione per acqua dal mare Adriatico alla stessa città di
Milano. Le idee degli scrittori contemporanei non potevano essere più precise a
questo riguardo. Essi vedevano cioè che resa navigabile l’Adda, aggiunte
diverse opere alle imboccature dei due canali già condotti dal Ticino e
dall’Adda sino a Milano, e radunata l’acqua disponibile nella parte più bassa
del piano di questa città, si poteva destinarla ad un nuovo canale di
navigazione che portasse fino al Lambro a S. Angelo o per altra via al maggior
fiume dell’Italia onde formare del Milanese una provincia in certo modo
mediterranea e marittima.[36]
Queste
sono semplici idee consegnate alle stampe nel Milanese ai tempi del Re
Francesco e poste in esecuzione soltanto a’ nostri giorni; ma pure esse bastano
a provare come ne’ passati secoli non si è lasciato sfuggire occasione
favorevole di mettere in campo il progetto più importante per la
navigazione-interna del Milanese, vale a dire quello della libera, facile,
continuata e diretta comunicazione per acqua da Milano al Po.
Allorchè
poi Francesco ii.o
Sforza fu restituito per mano straniera alla sovranità di Milano, non si trovò
più in caso di favorire o di far sostenere al suo Stato alcun’opera pubblica di
qualche importanza; quindi sotto quell’ultimo Principe milanese non hanno
avanzato di un sol passo i progetti di rendere l’Adda navigabile, di aprire la
diretta comunicazione da Milano al Po e gli altri della stessa natura. Una sola
variazione sopra uno dei canali di navigazione del Milanese si riferisce ancora
ai tempi del Principato, e merita di essere qui ricordata.
Al luogo
dell’intersezione del fiume Lambro col Naviglio della Martesana era stato
costrutto; in origine un ponte-canale per l’innocuo passaggio delle acque del
fiume, e più sotto sulla continuazione del canal navigabile un sostegno detto
la Conca di Gorla. Ignorandosi ora lo stato preciso della prima costruzione di
tali edifizi non si saprebbero indicare i loro difetti; ma si sa però che la
posteriore sistemazione delle ultime tratte del Canale Martesana vi portò la
costruzione di un sostegno nel luogo così detto la Cassina de’ Pomi posto a
qualche miglio di distanza da Milano. Questo sostegno rendeva inutile la conca
di Gorla, e per il motivo di schivare diversi inconvenienti venne rappresentato
a Francesco iio Sforza
come cosa utile il far levare ambedue quegli edifizi ed il lasciar decorrere
liberamente le acque del fiume Lambro nel letto del Naviglio della Martesana.
Una tal opera essendo di pura distruzione, e perciò non incompatibile colle
finanze dello Stato a quell’epoca, fu ordinata ed eseguita verso il 1533, Dopo
di ciò restava per altro ancora un grande difetto al Naviglio della Martesana
nella libera intersecazione delle sue acque con quelle del fiume Lambro, la
quale in tempo di piena metteva in pericolo le barche cariche al loro
passaggio, e ad ogni momento cagionava dispendi alla Camera e incomodi alla navigazione
colle rotture e cogli interrimenti. Per riparare pertanto una volta per sempre
anche a questi disordini del passaggio del Lambro fu progettata fin d’allora
una fabbrica di ponte-canale in sei archi; ma tale idea, avendo poi finito
coll’essere abbandonata per mancanza di mezzi economici, vi ha dato luogo al
ripiego tuttora sussistente. Questo sta nell’aver ridotto le sponde in quel
punto del Naviglio della Martesana al puro necessario per contenere soltanto le
acque ordinarie; nell’avere di più sulla sinistra aperto molti ampi paraporti
per sfogo delle acque e delle materie portate sulla destra dal fiume, e
nell’avervi fabbricato sopra i paraporti un ponte di pietra a diversi archi per
la continuazione della strada dell’alzaia.[37]
Caduto
successivamente sotto il pieno dominio spagnuolo il Ducato di Milano smembrato
a quelle epoche della Valtellina, del Luganese, del Bellinzonese e dei contadi
di Bormio e di Chiavenna, si conservarono ancora le stesse idee di estendere
nelle altre parti del Milanese la già stabilita navigazione artificiale, da cui
dipendeva principalmente il resto di pubblica prosperità della provincia.
Siccome però i tentativi e le opere di questo genere furono eseguite d’allora
in poi contemporaneamente su diversi punti della stessa provincia, e d’altronde
le memorie storiche ci offrirono occasione di entrare in maggiori dettagli a
loro riguardo, così ne viene la necessità di esporre fin d’ora partitamente,
secondo l’ordine de’ luoghi, le altre notizie di qualche interesse che si riferiscono
ai tempi anteriori al secolo 18.o
[1] Vedi
Muratori, De rerum ital. script., t. iv, lib. 2, car. 24.
[2] V. idem, Ant. ital., t. ii,
diss. 19. Diploma di
Liutprando re de’ Longobardi avanti la metà del secolo 3.o.
[3] V. Delle ant. longob. mil. illustrata
con argomentazioni dai Monaci della Congr. Cisterc. di Lomb., vol. ii, diss. 12.
[4] V. pref. del libretto di Carlo Pagnani
sulla navigazione dell’Adda, ed i manoscritti di Martin Bassi nell’archivio
privato dell’ingegnere Bernardino Ferrari in Milano.
[5] V. Mari., Idr. prat.
ragion., t. i, pag. 11.
[6] V. Benaglio, Relaz.
istor. al Magistr.
[7] Fra gli altri
scrittori v. Galvan. Flamm. al cap. ccxviii.
Donat. Bossi nella sua cronaca; Bernardino Corio nella sua Storia di Milano.
Sigonio, Histor. de reg. ital., lib. xiv. Benagl., Relaz. succit. Racc. del
Muratori, t. xi. Giulini, Mem.
stor., t. vi. Antich. long, mil.
illustrate, diss. succit.
[8] V. prefaz. al t. iii delle Ant. long. mil.
[9] V. oltre gli autori
sopraccitati l’autore anonimo degli Annali di Milano al cap. 29 nel t. xvi della Racc. di Muratori.
[10] V. le Mem. stor. del
Giulini, t. viii e seg.; e le Ant.
long. mil., succit. diss. 12 del t. ii.
[11] V. Ant. long. mil.,
diss. succit.
[12] V. Statut. ant. fra
quelli del 1396. Giulini, Mem. stor., t. ii,
all’anno 1396.
[13] V. Gaspare Bugatti,
Stor. univ., lib. iv.
[14] V. Aut. anon. succit.,
cap. 127. La Cronaca di Piacenza. La Storia del Corio. Le Mem. stor. del
Giulini, t. xi.
[15] V. il Frisi, il Mari
ed ogni altro autore che ha riportati cenni storici sul Naviglio di Pavia.
[16] V. la Vita di Filippo
Maria Visconti scritta da P. Cand. Decembrio; la Relaz. Benaglio succit.; e le
Mem. stor. del Giulini, t. xii.
[17] V. Giulini, idem; Ant. long. mil., diss. succit.; ed
i documenti riportati in fine della presente Storia sotto i nn. i e ii.
[18] V. il Corio che scrivendo la sua Storia
del 1492 e nominando questo canale disse: Naviglio
che andava da Milano a Pavia. V. Pagnani che nel suo libretto del 1520
parlando di diramare canali dal Naviglio Grande verso il Po non cita
alcun’opera preesistente di questo genere. Fra le carte dell’arch. gen. di
Governo in S. Fedele a Milano e dell’arch. Ferrari succ. vedi quelle del secolo
16.o relative ai navigli di Pavia e di Bereguardo che confermano
questo punto storico.
[19] V. Settala, Relaz. del
Naviglio della Martesana. Benaglio, Relaz. succit.; e la dissert. succit. delle
Ant. long. mil.
[20] V. idem, non che le lettere ducali
riportate in fine della presente Storia al succ. n. i.
[21] V. il succitato libro
di Carlo Pagnani.
[22] V. Pagnani succitato.
[23] Antich. long. mil.,
diss. succit.
[24]
Antich. long. mil., diss. succit.
[25] V. idem, ed anche nel libretto di Carlo
Pagnani le lettere di Plinio a Trajano, nel Diodoro Siculo i cenni sulle
cateratte del Nilo, e nel Discorso sulla navigazione dell’Adda di Guido Mazenta
l’opinione di questo patrizio milanese.
[26] V. C. Amoretti, Mem.
stor. sulla vita e sugli scritti di Lionardo da Vinci; le Ant. long. mil.,
dissert. succit.; e P. Cand. Decembrio, Vita succit. di F. M. Visconti.
[27] V. gli stessi libri.
[28] V. Benaglio e Settala
nelle loro Relazioni storiche stampate.
[29] V. Amoretti, Mem.
stor. succit.
[30] V. le lettere ducali
riportate in fine della presente Storia; fra le carte dell’arch. gen. di Gov.
quelle del Naviglio di Pavia; e nella Relaz. ist. del Benaglio il cap. che
tratta dello stesso canale.
[31] V. Codici dei
manoscritti di Lionardo nella succitata Biblioteca.
[32] V. Ant. long. mil., diss. succit. Amoretti, Mem. stor. succit., e l’iscrizione
del monumento che si conserva tuttora presso la Conca di Viarenna a Milano.
[33] In una scrittura
dell’Amministrazione della fabbrica del Duomo di Milano, che si riferisce ad
un’epoca posteriore di qualche secolo alla perfezione del Naviglio di Milano, e
che fu da me letta fra le carte della navigazione dell’Adda presso la famiglia Stampa
in Milano, si chiamava la conca usata su quel canale mirabile inuentione per equilibrare le aque dell’Adda et Tesino et
delli dua nauigli, et di eleuare le naui et le aque del Lago Maggiore ad
altezza della città con modo miracoloso a’ forastieri, sebbene per essere il
benefitio a’ ogni giorno più non l’ammirammo noi.
[34] V. le Relazioni
succit. del Settala e del Benaglio, gli scritti del Somaglia, le Mem. stor.
Succit. dell’Amoretti, le Ant. long, mil., diss. succ., e l’Iscrizione pure
succit.
[35] V. nell’arch. Ferrari
fra le carte sul Naviglio di Paderno una scrittura per copia di alcuni capi di
un libro di P. Mart. Spanzotto Cancelliere dell’ufficio di Provvisione di
Milano al 1520, e v. pure il succit. libretto stampato di Carlo Pagnani.
[36] V. la prefaz. del
succit. libretto di Carlo Pagnani.
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