martedì 30 settembre 2014

1821 - BRUSCHETTI, 1.1. Istoria dei progetti e delle opere per la navigazione-interna del milanese



§ I.

Sulla navigazione dal Lago di Como a Milano.

La navigazione dal Lago di Como al Naviglio della Martesana, già legato con Milano e con un’estesa comunicazione, tornò a formare sotto Carlo V.° la speranza della città di Milano, i cui rappresentanti vennero nella determinazione di tentarla anche a sola di lei spesa. Nel tempo però in cui quel Sovrano si tenne investito del Ducato di Milano, non si è fatto a questo riguardo che rimettere in piedi il progetto nato e tentato invano sotto gli Sforza e sotto il Re di Francia Francesco i.° Dichiarato in seguito Filippo ii.° Duca di Milano, tale città continuò nello stesso pensiero sino ad eleggere, dietro superiore approvazione, una nuova commissione secondo l’uso di que’ tempi composta di nobili e di ingegneri incaricati di rinnovare tutte le pratiche e tutte le operazioni preliminari per dare forma un’altra volta al progetto più conveniente della desiderata navigazione.[1] Dietro molte visite e molti discorsi su quest’oggetto fu deciso di attenersi ai disegni ed alle opere incominciate sotto il dominio francese, di cui restava ancora qualche secolo dopo un’avanzo detto lo Sperone-de’-Francesi al Sasso di S. Michele; ma la spesa, che secondo i nuovi calcoli ammontar doveva ad una somma molto maggiore dell’antica stima, in proporzione dell’aumento dei prezzi delle materie di fabbrica e della mano d’opera, parve in sulle prime insopportabile dalla sola città di Milano.[2]
Il progetto successivamente fu tenuto vivo da certo frate Giovanni Francesco Rizzo, il quale dimandò nel 1562 al Governatore dello Stato un privilegio di rendere navigabile l’Adda da Lecco all’imboccatura del Naviglio della Martesana per la somma di scudi 50 mila, com’era l’antica stima. Il Governatore ascoltò il progettante, quantunque male raccomandato da’ suoi confratelli, che in quell’occasione lo denunziarono uomo pessimo e scomunicato,[3] e l’affare fu rimesso al parere del Magistrato delle acque. L’idea del Rizzo, più ardita che nuova, si riduceva a quella di tagliare e levare tutti i massi di pietra che ingombravano il letto dell’Adda, di fabbricare attraverso di questo letto due chiuse di straordinaria altezza nel luogo delle maggiori cadute, e di provvedere al passaggio delle barche con alcuni sostegni di ordinaria forma eretti lateralmente alle chiuse o scavati nel vivo della montagna. La natura di un grosso fiume che scorre irregolarmente frammezzo a dirupi che ad ogni momento minacciano rovina, non lasciava concepire speranza alcuna di esito felice dalle chiuse e dai sostegni progettati dal Rizzo. Trattandosi però della proposizione di un privato che in generale si obbligava a rendere navigabile l’Adda per una data somma, il Magistrato non ha fatto che appoggiarla presso il Governatore sotto alcune condizioni per i lavori e per i relativi pagamenti a garanzia del pubblico tesoro. In seguito il Governatore rilasciò anche al Rizzo il privilegio dimandato, sotto la riserva della conferma sovrana; ma questa non deve mai essere arrivata, ed è poi certo che il progetto del Rizzo non ha dato luogo a tentativo di sorta.[4]
Posta così in disparte dalla Città e dal Governo di Milano l’idea della navigazione dell’Adda, tutte le mire per questo riguardo furono rivolte a rendere migliore la condizione del Naviglio della Martesana, che per continue sottrazioni d’acqua era ormai divenuto quasi del tutto impraticabile anche alla sua limitata navigazione da un punto solo del fiume Adda a Milano. Furono pertanto create alcune leggi che obbligavano indistintamente i proprietari delle acque di irrigazione di quel canale a chiudere le loro bocche d’estrazione in dati giorni della settimana; ma finchè veniva sovente il caso di usare di simili leggi, non tanto giuste quanto necessarie per sostenere la navigazione del canale, ognun vede che questo avrebbe avuto un rilevante difetto. L’idea di accrescervi il corpo d’acqua era facile a presentarsi, ed in quel secolo era già stata esternata più di una volta; ma l’onore di averla favorita e mandata ad effetto pienamente insieme ad altri miglioramenti si deve al presidente del Magistrato Filiodone. Fece questi rilevare verso l’anno 1671 dagli ingegneri camerali il progetto delle opere, consistenti principalmente nell’allargamento del letto del canale dal suo incile sino a Gropello verso l’alta costa di pietra viva che si erge sulla diritta; nell’ulteriore scavamento del letto stesso a luogo a luogo, per accrescervi possibilmente il corpo d’acqua derivato dall’Adda senza arrecare una maggior spinta agli argini, costrutti sulla sinistra del canale di due muraglie di pietra distanti tra loro di un intervallo riempiuto di terra compatta; e finalmente nella ricostruzione e rinnovamento del ponte-canale al passaggio del torrente Molgora e di una quantità di altri edifizi sparsi sul canale per adattarli tutti alla maggior ampiezza ed alla nuova circostanza del maggior corpo d’acqua. Presentato un tal progetto al Duca d’Albuquerque Governatore dello Stato ed al Consiglio segreto, esso venne approvato, e l’opera fu pubblicamente deliberata per appalto. Riferito il risultato di quest’appalto al Re di Spagna ed ottenuta da lui la necessaria conferma, si passò in Milano alla vendita per pagamento anticipato d’una porzione dell’acqua che dopo l’esecuzione dell’opera sarebbe cresciuta ai bisogni della navigazione. Da tale vendita la Regia Camera ricavò quasi il doppio della somma richiesta per tutta la spesa da farsi,[5] ed il Governo imparò così a valutare l’importanza di favorire consimili intraprese nella provincia del Milanese. Prima poi del 1574 il canale della Martesana era già ridonato a’ suoi moltiplici usi;[6] e visto l’esito felice della riaperta navigazione da Milano all’Adda, fu subito in campo nuovamente il progetto della navigazione dell’Adda onde estendere da Milano sino al Lago di Como la comunicazione per acqua.
Viveva a’ que’ tempi in Milano l’ingegnere e pittore milanese Giuseppe Meda, che, sentito l’interesse di un tale progetto, si lasciò trasportare dalla lusinga, che i suoi sforzi diretti a questo fine potessero riuscire utili alla propria patria. Egli cominciò dal riflettere, che il fiume Adda faceva il salto di ben metr. 23,760 da lui riscontrato da pelo a pelo d’acqua nella breve tratta di qualche miglio dalle Tre Corna alla Rocchetta, e che altrettanta caduta dovevasi consumare in un qualunque canale navigabile ideato da derivarsi dal fiume e rimettersi nello stesso fra quelli estremi. Però non era forse il mezzo più conveniente quello di applicarvi i sostegni moltiplicati e di piccolo salto, simili cioè a quelli del Naviglio di Milano i cui salti si contenevano fra i limiti di m. 0,90 e m. 2,376 all’incirca; comunque tali fossero stati per l’addietro progettati per il canale all’Adda e venissero comunemente usati dagli architetti d’acque in tutti i paesi ove si intraprendevano nuove costruzioni dello stesso genere. Concepì poi il Meda che realmente potessero ottenersi vantaggi notabili nel caso concreto coll’adottare l’uso de’ sostegni di salto straordinario onde diminuirli in numero; ma appena afferrata quest’idea, si affacciò subito alla sua mente la serie di tutte le difficoltà inerenti alla materiale applicazione della struttura ordinaria dei comuni sostegni di piccolo salto per formare i sostegni di salto molto maggiore; e ciò servì a rendergli sufficiente ragione della timidezza sin allora mostrata nell’arte a questo riguardo. Passando poscia ad un maturo esame di tutte le circostanze del caso, le difficoltà proprie o temute dei sostegni di salto non ristretto fra i limiti dell’usato fin allora erano accompagnate, nell’idea del Meda, dalla speranza di un sensibile minor dispendio nel complesso dei lavori per la costruzione dell’opera e da molte altre considerazioni favorevoli al partito di tentare per la prima volta il loro uso. Così per esempio la fabbrica di un sostegno o due invece di dieci o dodici o più, massime in un terreno mal fermo in tutti i suoi punti come la costa dell’Adda, sembrava conforme alla ragionata economia, tanto più che non potendo prescindere dall’esaurirvi tutti i mezzi dell’arte per ottenere la necessaria solidità anche ne’ sostegni di piccola caduta, sarebbe bisognato di estendersi colle loro fondazioni a una grande profondità. La stessa cir sostanza del terreno falso in cui si doveva scavare il canale artefatto consigliava ad accorciare la linea di questo più che fosse possibile, e sulla linea così accorciata doveva restare ancora verso l’incile il primo tronco di canale affatto libero da sostegni e bastantemente lungo da potervi distribuire in sponda un sistema tale di travacatori e scaricatori che avanti di arrivare alla prima di quelle fabbriche sfogasse le acque esuberanti e le torbide introdotte dal fiume. L’idea stessa di usare un solo o al più due sostegni per consumare sul canale all’Adda una pendenza di circa metr. 23,76 andava anche unita alla fiducia di ottenere la maggior possibile speditezza della navigazione, e da una parte non meritava riguardi la maggior quantità d’acqua che potesse abbisognare per l’alimento della navigazione a sostegni alti, giacchè in quel caso del Meda si aveva disponibile l’intero fiume Adda. D’altra parte intorno all’uso dei sostegni di salto straordinario militavano ancora nel concetto del Meda le ragioni contrarie della poca sicurezza della fabbrica del sostegno per essere sempre scossa con maggior impeto quanto più dall’alto vi cade l’acqua, del pericolo delle barche che nel bacino assai alto soffrano maggiormente gli urti ed i vortici della stessa acqua cadente, e della difficoltà di maneggiare l’ordine di porte inferiori quand’esse fossero alte al di là di certi limiti. Finchè poi si parlava di sostegni della forma ordinaria unicamente conosciuta sin allora, questi riflessi contrari sembravano anche al Meda tali da superare il valore dei primi favorevoli succennati; per cui nello scopo della maggior convenienza in complesso non si sarebbe mai fatto luogo ad arbitrio di scelta su questo punto anche nei progetti del canale all’Adda. Ma indipendentemente da tale restrizione trovandosi il Meda in mezzo a quelle opposte considerazioni non vide più che l’imperfezione dell’arte, la quale avesse indotto gli architetti a fissare dei limiti poco estesi nell’altezza de’ sostegni anche nei casi consimili a quello del canale all’Adda; e forte d’ingegno come si sentiva tentò di rimediarvi in quella stessa circostanza coll’invenzione di una particolare struttura di sostegno alquanto diversa dalla comune.
Per accennare qui del sostegno immaginato dal Meda e da lui chiamato originariamente castello[7] soltanto le parti principali più propriamente dirette al perfezionamento del meccanismo del sostegno ordinario, onde renderlo utilmente applicabile ai casi di grande caduta immediata da consumarsi con un sol salto, citeremo primieramente il tavolato in forma di diaframma situato in vicinanza della soglia delle portine a dividere il bacino ordinario in due camere tra di loro comunicanti verso il fondo. Questo pezzo del castello del Meda era specialmente denominato il parapetto di legno e doveva servire, per usare le parole dello stesso Meda, a mortificare la cascata et a defendere che nel dar l’aqua per empire detto castello non bagni nè facia alcun danno alle naui. Una seconda particolarità del castello sopra i comuni sostegni è la vôlta che in esso occupava il posto del semplice arco di ponte eretto solitamente allo sbocco de’ bacini ordinari. Questa vôlta vi nasceva ad un’altezza di pochi metri sul fondo del bacino onde lasciarvi per di sotto un’uscita appena bastante al libero passaggio delle barche, come ne’ sostegni piccoli. Superiormente poi a tale vôlta si ergeva in forma di torre serrata a due lati dal terreno un muramento altrettanto esteso in grossezza, che serviva di parete frontale del bacino colla sua facciata anteriore e faceva le veci del solito ponte col suo piano supremo che riusciva a livello della cresta dei muri del bacino medesimo. Questo ripiego della vôlta e del soprapposto muro designato dal Meda col nome di arcone era in complesso immaginato per schivare i portoni alti oltre un certo limite che sarebbero riusciti di difficile maneggio. Perciò l’arcone era anche collegato saldamente nella sua facciata verso il bacino con una piattabanda così detta l’arcopiatto che veniva sormontata da un altr’arco per rinforzo e sporgeva in fuori dal piano della medesima facciata a coprirvi lo spazio vuoto triangolare lasciato dai portoni richiusi ad angolo e dalla retta d’unione dei loro perni. Per tal modo non restava impedito il perfetto riempimento del bacino del castello. Inoltre una comoda scala praticata tutt’al lungo di una parete laterale del bacino facilitava il maneggio e l’uso dei portoni posti ad una grande profondità sotto la cresta del bacino medesimo. Un terzo elemento importantissimo di questo castello del Meda era pure il recipiente disposto parallelamente al solito bacino delle barche, e colla discesa a diversi salti distribuiti sulla sua lunghezza per tutta la profondità del sostegno. Tale recipiente parallelo veniva chiamato dal Meda il canale del soccorso per indicare che mediante alcuni sfori o finestroni scaricatori praticati a diverse altezze nel muro intermedio o muro di mezzo, non che i vari paraporti stabiliti similmente in aperture corrispondenti e appositamente lasciate nelle altre sue pareti meno isolate, era destinato a venire in aiuto degli ordinari artifici per ottenere anche ne’ sostegni di salto straordinario un pronto riempimento e vuotamento del bacino combinato colla sicurezza della fabbrica e della navigazione e col minor dispendio di forze. Di qui è che nel sostegno del Meda lo spazio da riempirsi e da vuotarsi d’acqua ad ogni passaggio di barche si componeva come di tre camere formate dal parapetto di legno e dal muro di mezzo e costantemente comunicanti fra di loro. Il giuoco dell’innalzamento e dell’abbassamento dell’acqua in sostegno doveva succedere più immediatamente nelle due camere che si trovavano più prossime alla caduta dell’acqua dal tronco superiore di canale. Nella terza più remota dalla caduta dell’acqua doveva starvi propriamente la barca per passare da un livello all’altro molto differente; così l’effetto degli ondeggiamenti e dei vortici dell’acqua cadente restar doveva quasi tutto circoscritto e racchiuso nelle prime due camere, e la barca nella terza camera doveva andar esente da ogni pericolosa agitazione o sbattimento. Per riguardo poi alla solida costruzione della fabbrica, non dubitava il Meda di poterla garantire colle risorse dell’arte da qualunque pressione od impeto dannoso. A tale effetto il suo parapetto di legno era congegnato in modo da resistere agli urti dell’acqua e delle barche. L’arcone e le altre pareti del sostegno vi erano prescritte di una robustezza bastante per bilanciare gli sforzi a cui si trovavano esposte. Il muro di mezzo, benchè vi risultasse isolato sopra grandi dimensioni in lunghezza ed altezza, si è potuto ancora disegnare di figura parallelepipeda e di moderata grossezza per la circostanza che il bacino ed il canale del soccorso vi si dovevano mantenere sempre in aperta comunicazione, e che l’acqua non vi si poteva innalzare od abbassare di pelo che contemporaneamente. Così non vi era esposto lo stesso muro di mezzo a risentire alcun movimento di spinte laterali prevalenti. Finalmente non mancavano al castello del Meda gli altri pregi dei comuni sostegni, e fra essi noi nomineremo quello di averlo provveduto del solito scaricatore a paraporti superiormente alle portine, che vi riusciva non solo utile in ordine al procurare il più pronto empimento e vuotamento del bacino, ma anche indispensabile come diversivo per dare un innocuo sfogo dell’acqua sopravvegnente nell’atto che il bacino fosse già ripieno fino al ciglio delle portine e durante tutto il tempo del suo vuotamento.
Conosciuti per tal modo i più notabili particolari che devono aver indotto il Meda a sperar bene della fabbrica, del maneggio e dell’uso di sostegni molto alti di salto purchè costrutti nel modo per lui divisato, sembrerà naturale che questa fiducia dovesse portare lo stesso Meda a giudicare definitivamente vantaggiosa l’applicazione del suo sostegno a grande salto per operare la navigazione dell’Adda nella tratta succennata. Trovandosi poi il Meda animato in questi studi dal suo amico Martin Bassi, altro celebre ingegnere e pittore milanese di quei tempi, non ha tardato a riflettere al modo di renderli utili in qualche modo. E qui il Meda non poteva ignorare che in fatto di opere pubbliche altro è l’idearle più perfette dell’ordinario, altro l’eseguirle con prospero successo dietro un’idea nuova. Egli doveva inoltre sentire a questo proposito che non essendosi sin allora dato al mondo alcun esempio di sostegni a salto molto maggiore di quelli usati nel Milanese che l’avevano minore di met. 3, e che essendo in generale nella caduta dei sostegni adottata la massima di non sorpassare i due o tre metri, probabilmente il suo concetto, comunque utilissimo potesse sembrare in se stesso per dati casi, non avrebbe mai incontrata l’opinione degli immediati esecutori, finchè questi non fossero convinti col fatto di un esempio luminoso. Ciò non ostante l’entusiasmo del Meda per il ben pubblico superava ogni altro riguardo e doveva deciderlo a fare tutti gli sforzi nell’occasione del progetto della navigazione dell’Adda perchè venisse appunto offerto questo primo esempio al mondo.
Ecco adunque il nostro Meda occupato in silenzio a dare nuova forma al progetto di rendere navigabile il fiume Adda nel momento che la città di Milano ne sentiva tutto il bisogno.
Come nel progetto già approvato sotto il dominio francese, anche secondo il Meda il mezzo più sicuro di venire a capo di quest’opera si riduceva alla costruzione di un canale di derivazione per sortire dall’Adda colla navigazione nella tratta di questo fiume più scabrosa e assolutamente impraticabile fra il Sasso di S. Michele ed il Sasso della Rocchetta. Una gran chiusa trasversale doveva pure servire nel disegno del Meda alla presa dell’acqua del canal navigabile da derivarsi sulla destra del fiume. Ma la sezione del fiume scelta dal Meda per collocarvi la chiusa di derivazione era inferiore a quella succitata dei tre corna di circa met. 70, ed a quella del Sasso di S. Michele di circa un miglio metrico. Tale chiusa doveva essere impostata obbliquamente nelle due ripe del fiume per modo che la sua direzione venisse ancora a formare angolo acuto colla sponda destra superiore. Essa doveva inoltre riuscire rilevata di circa met. 5,94 sul fondo naturale del fiume, e garantita contro l’impeto dell’acqua da una gran dimensione in grossezza che alla base sul fondo del fiume medesimo arrivasse ai met. 53,46, e superiormente andasse diminuendo per doppia scarpa assai generosa sino alla cresta. Questa cresta poi non doveva essere disposta a un sol livello dall’una all’altra ripa del fiume, ma a poco a poco declinante dalle ripe verso il mezzo sino ad esservi più bassa di met. 0,594 incirca per farla figurare come una cuna e risparmiare così il grande travacatore all’incile del canale che non era permesso dalla località senza grande dispendio per esservi lo spazio occupato da un gran masso di monte. Intorno alla direzione, larghezza e forma del letto del canale, il Meda si attenne prossimamente alle misure prescelte dal Missaglia e dagli altri autori del progetto approvato sul principio di quel secolo. La soglia del canale all’incile si prescrisse dal Meda a tale livello rialzata sopra il fondo naturale del fiume davanti la chiusa, che vi avesse a riuscire in tempo d’acque basse depressa sotto il pelo d’acqua presuntivo di un’altezza di met. 1,188 all’incirca per sostenervi comodamente la navigazione. Il fondo del canale dall’incile fin verso il suo shocco non si è dal Meda tenuto orizzontale, per quanto si può almeno desumere da tutti gli altri particolari di quel progetto, ma inclinato con una certa pendenza regolata sulla misura dell’uno per ogni 3m. di lunghezza, essendo quella del pelo modificata dalle porte dei sostegni. Gli edifici principali sparsi su tutta la linea del canale nel progetto del Meda consistevano in un sistema di travacatori e scaricatori distribuiti avanti di arrivare al succitato luogo detto il Sasso della Rocchetta, in un primo castello di met. 5,94 di salto fissato a questo punto del canale, in un secondo castello di salto met. 17,82 disegnato in poca distanza sotto il primo, e finalmente nello sbocco del canale immediatamente successivo al secondo castello e formato da una soglia e da una specie di molo obbliquamente inoltrato nel fiume sulla sinistra del medesimo canale in figura circolare nella parte interna e rettilinea nell’esterna, e detto dal Meda il difensivo in Adda. Quella soglia dello sbocco del canale era anch’essa dal Meda fissata in progetto a tale livello che entro il bacino del prossimo superiore castello avesse nei casi della massima sterilità d’acqua a rigurgitare questa dal fiume sino ad un’altezza di pelo sufficiente alla libera e comoda navigazione in tutti i sensi.[8]
Meditato e disposto privatamente in tutte le sue parti questo nuovo progetto del canale all’Adda, l’ingegner Meda non avea ancora mandata a lume della Città di Milano alcuna notizia del medesimo, quando per togliere di mezzo le principali opposizioni alla novità delle sue idee, si immaginò di poter assumere egli stesso a suo carico l’esecuzione dell’opera mediante qualche convenzione. A quest’effetto il Meda nell’anno 1574 indirizzò al Consiglio dei 60 Decurioni della città di Milano un memoriale, in cui si prometteva da persona incognita di dare navigabile il fiume Adda ed il canale di deviazione fra il Lago di Como e l’imboccatura del Naviglio della Martesana nello spazio di poco più di due anni per la somma di scudi 32 mille.[9] In quell’occasione il nuovo progetto del Meda si qualificò soltanto diverso da quello adottato sotto il dominio del Re di Francia e da qualunque altro conosciuto sin allora perchè formato con nuove invenzioni, e si offrì di dichiararlo subito dopo che si fosse ottenuta l’assicurazione dei patti relativi. La Città di Milano non tardò allora ad eleggere fra i 60 Decurioni del suo Consiglio generale una commissione incaricata di esaminare la proposizione della persona incognita, ed il risultato dell’esame portò di invitare subito l’autore del progetto a manifestarsi per venire a trattativa sul proposito del memoriale presentato e per intraprendere l’opera al più presto possibile. A questo punto però ogni cosa rimase sopita e la trattativa sospesa per alcuni anni a motivo di diverse calamità sopraggiunte alla città di Milano e specialmente della peste avvenuta al 1576.
Nell’anno 1580 si era già ripigliato il discorso sull’oggetto della navigazione dell’Adda da tentarsi a spese della città di Milano, e fu eletta nuova commissione di delegati per combinare qualche cosa coll’ingegner Meda, che nel frattempo si era dichiarato per l’autore del memoriale del 1574. Si venne quindi subito ad una convenzione, colla quale la Città di Milano dava l’opera per impresa ad una compagnia di intraprenditori rappresentata dall’ingegner Meda. Questi vi si obbligava ancora ad ultimare l’opera entro lo spazio di poco più di due anni per la somma di scudi 36 mille, cioè di 4 mille maggiore della sua prima offerta, e si assicurava inoltre con quella convenzione il diritto sulle due terze parti del prodotto dal dazio da imporsi alla navigazione dell’Adda. Gli obblighi di provvedere i terreni necessari ai lavori ed alle opere, di indurre i proprietari alle variazioni da farsi agli opifici ed attrezzi pescherecci sparsi sull’Adda e di pagare tutti i danni derivanti ai privati dai lavori e dalla costruzione delle opere restavano espressamente, secondo la stessa convenzione, alla Città di Milano.
In questi termini nello stesso anno 1580 il contratto del Meda colla Città di Milano venne realmente stipulato per la prima volta sotto la riserva delle superiori approvazioni; per ottenerle quali la stessa Città s’indirizzò al Governatore dello Stato colla convenzione conchiusa, colla dimanda del privilegio di poter far eseguire l’opera a proprie spese e coll’offerta di cedere a favore della Regia Camera un terzo dell’utile ricavabile dal traghetto di terra provvisorio da stabilirsi immediatamente per la tratta del fiume Adda compresa fra le sezioni dei Tre Corna e della Rocchetta dove cadevano i lavori più lunghi e più difficili del progetto. Di seguito il Governatore non tardò a rilasciare dal canto suo il dimandato privilegio, ma spedito esso alla Corte di Spagna per le altre necessarie ratifiche, vi è rimasto per molti anni senza effetto alcuno.
Arrivata finalmente nel 1590 l’approvazione del Re di Spagna del privilegio accordato alla Città di Milano per l’impresa della navigazione dell’Adda e seguita ben presto in Milano stessa dall’interinazione del Senato è rinata la speranza di veder l’opera incamminata nella sua esecuzione. La Città di Milano passò allora alla nomina di una deputazione di Prefetti all’impresa, e l’ingegnere Meda, che nel frattempo si era sollevato sopra tutti gli ingegneri suoi contemporanei colla direzione di molti altri lavori idraulici, non ha esitato a dichiararsi pronto ad intraprendere anche quelli all’Adda; ma essendo trascorso a quell’epoca il termine convenuto per le superiori ratifiche del privilegio della Città, egli dimandò un aumento di prezzo proporzionato a quello del valore delle cose. Avendosi quindi accordato per l’impresa dell’Adda 6 mila scudi oltre a quelli fissati nell’anteriore convenzione, il contratto della Città di Milano coll’ingegnere Meda venne riconfermato per nuovo istromento con questa sola aggiunta. Richiesto successivamente dal Meda alla Città di Milano il preventivo esame del progetto, venne anche ciò ordinato alla sunnominata deputazione di Prefetti che si determinò ad una visita formale in cui si potesse giudicare di tutti gli oggetti d’arte relativi alla sostanza del progetto. Tale visita venne eseguita negli ultimi giorni di quell’anno (1590) coll’intervenuto dell’ingegner Meda e di una commissione di periti addetti alla deputazione della Città, ed in quell’occasione l’ingegner Meda nel consegnare i suoi piani ed i suoi disegni alla deputazione li palesò per la prima volta e li dichiarò in tutte le loro parti sulla faccia de’ luoghi onde persuadere meglio gli astanti della possibilità e dell’utilità del proprio progetto. Ma poi per evitare le quistioni che potevano nascere all’atto dei lavori dall’essere il loro architetto al tempo stesso l’intraprenditore dell’opera, ebbe il Meda a rappresentare la necessità di lasciare a lui la sola direzione dei lavori e di commetterne ad altri l’esecuzione, il tutto sotto la sorveglianza della deputazione dei Prefetti della Città di Milano, e salve sempre le sue convenzioni colla Città medesima. Essendo in fine stato approvato il progetto del Meda ed appoggiata anche tale sua rappresentanza sulla immediata esecuzione dei lavori, la Città di Milano passò ad esporre al pubblico incanto l’impresa delle opere per la nuova navigazione dell’Adda, quantunque già addossata per anteriore contratto all’ingegner Meda, e dopo alcuni esperimenti d’asta la deliberò a Francesco Vallezzo di Bergamo per il prezzo di scudi 36 mille da pagarsi a poco a poco dietro una prescritta modalità e colla sigurtà dell’ingegner milanese Pietro Antonio Barca.
Sul principio del 1591 incominciarono i lavori all’Adda sotto la direzione dell’ingegner Meda, dichiarato inventore dell’impresa, e colla forza di 300 a 400 giornalieri e per mezzo di subappalti parziali abbracciarono quasi tutta la linea del canale di deviazione dal Meda progettato per supplire alla navigazione di una tratta del fiume Adda. Ma fin da quell’anno, portata che fu la costruzione del canale a qualche grado di avanzamento, si cominciò a dubitare, per varie mancanze dei subappaltatori, di vedere l’opera terminata nel tempo convenuto; onde fu invocato tutto il braccio della Città di Milano per costringere gli immediati esecutori ad essere fedeli ai propri impegni intanto che il Meda si andò preparando alla presentazione dei piani delle altre opere cadenti su tutta la linea della nuova navigazione dal Lago di Como all’imboccatura del Naviglio della Martesana.
Alla primavera del 1592 i lavori all’Adda sono stati riattivati, ma essi non progredirono coll’ardore della prima campagna, mentre alla metà di quell’anno l’appaltatore generale Vallezzo aveva già inoltrata una supplica alla Città di Milano per ottenere una protrazione di termine dei lavori ed un aumento di prezzo per opere addizionali eseguite dietro nuovi perfezionamenti del progetto del Meda suggeriti nel corso dei lavori stessi. Tale supplica venne rigettata dalla Città di Milano colla protesta de’ danni al Vallezzo e con un’intimazione all’ingegner Meda per la convenzione che lo riguardava direttamente. In seguito a ciò l’ingegnere Barca ha cercato ogni mezzo per incagliare la direzione dei lavori finchè fu liberato dal suo impegno di sigurtà per il contratto del Vallezzo colla sostituzione dell’ingegnere Alessandro Bisnati, il quale fin d’allora dev’essere stato non altro che una persona sommessa dell’ingegner Meda, dacchè essendo questi caduto ammalato in mezzo alle sue gravi occupazioni, si servì del Bisnati anche per la direzione dell’opera. La Città di Milano non tardò poscia a sospendere la somministrazione di danaro, per cui l’impresa Vallezzo non fu spinta più colla forza e coll’ordine che si richiedevano; ma dopo un esatto rendiconto delle spese fatte sin allora dalla Città colla verificazione dello stato dei lavori per parte della Città stessa, fu decisa la continuazione dei pagamenti al Vallezzo nella modalità convenuta, ed ordinata l’esecuzione delle varie opere lungo l’Adda prescritte dai progetti e dai disegni del Meda e comprese nell’appalto.
All’apertura della stagione nel 1593, per approfittare dello stato d’acque basse del fiume Adda, i lavori dell’impresa per qualche tempo si estesero realmente su tutta la loro linea sotto la direzione dell’ingegner Meda che si era riavuto della sua malattia; ma per altra parte venne in quell’inverno un gelo straordinario ad accrescere le sventure dell’impresa. I muri degli edifici e le ripe del canale in costruzione ne furono intaccati; cosicchè invece di far progredire l’opera si dovette in quell’anno consumare molto tempo e danaro nel riparare ai guasti avvenuti. Il Vallezzo rinnovò allora l’istanza presso la Città di Milano onde ottenere l’assicurazione di un’aumento di prezzo; ma ciò non essendo stato accordato neppur quella volta, l’impresa della navigazione dell’Adda fu abbandonata tutta alle spalle dell’ingegner Meda. In tale stato di cose non disperava ancora il Meda di dare ultimata l’opera entro un qualche anno; ma altre cagioni di una natura diversa fecero svanire ben presto anche questa fiducia. Le opere fatte intraprendere lungo l’Adda dalla Città di Milano sotto la direzione dell’ingegner Meda divennero il soggetto di mille quistioni, in ciascuna delle quali la persona del direttore dei lavori a dritto o a torto veniva sempre implicata ed additata all’odio comune. La strada per l’alzaia disegnatavi dal Meda in parte sulla sponda sinistra onde procurare il minor dispendio alla Città di Milano fu considerata come un alto affare di Stato fra il Milanese ed il Veneziano. E finalmente le sollevazioni suscitate ad ogni momento fra gli operaj dell’impresa, favoriti nei loro eccessi d’insubordinazione dalla stessa località disabitata e posta sopra un confine dello Stato, misero il Meda nella necessità di chiedere la continua assistenza della pubblica forza per tenerli all’ordine, non che la licenza di portar le armi per difesa della propria persona. In mezzo a tutte queste emergenze le opere sul fiume Adda e sul canale di deviazione del Meda non erano ancora prossime alla loro perfezione verso la fine di quell’anno 1595; anzi i lavori ai due grandi sostegni si trovavano ancora più vicini al loro principio che alla loro ultimazione.
Ne’ primi mesi dell’anno 1594 era già deposto il pensiero di dare aperta a un tratto la navigazione dell’Adda continuata dal Lago di Como al Naviglio della Martesana, e tutti gli sforzi si rivolsero a rendere praticabile almeno una navigazione interrotta coll’uso di un traghetto di terra al luogo del canale in costruzione. In breve tempo il fiume Adda fu allora realmente abilitato ad una tale navigazione, per la quale la Città di Milano non volendo aspettare in eterno la risoluzione della lite coi possessori bergamaschi, si determinò di far eseguire sulla destra ripa del fiume tutta la strada dell’alzaia, cui l’economia del progetto aveva dianzi suggerito di trasportare in parte alla ripa sinistra; ma la natura del terreno smosso e cavernoso di quella costa dell’Adda, su cui si stava costruendo il canale di deviazione, si manifestò con diverse rotture ai muri che formavano argine verso il fiume anche in quell’epoca che si trovavano esposti esternamente alla sola azione delle pioggie e delle altre meteore. Questo adunque fu un nuovo passo retrogrado dell’impresa del Meda all’Adda, che oltre il danno della spesa per il necessario riparo arrecò un generale timore negli animi sul buon esito degli ulteriori sforzi per compire l’opera; timore che venne anche accresciuto dagli ingegneri spediti dalla Città di Milano alla visita dei lavori. Difatti questi ne’ loro rapporti non esitarono ad attribuire ogni disordine avvenuto a quei lavori a puro difetto o di piano o di esecuzione, e perciò in ogni caso a colpa del direttore. D’altronde il tempo trascorso nei lavori ed il danaro pagato dalla Città di Milano a conto dell’opera avevano a quell’epoca sorpassati i limiti strettamente convenuti. Di qui è che la Città di Milano invece di far spingere colla massima desiderabile velocità i travagli sino alla loro perfezione, come faceva d’uopo per non avervi ad incontrare i danni di una cessazione di lavori ad opera imperfetta, pensò allora piuttosto ad intentare regolarmente la lite contro il Meda per essere indennizzata dei danni provenienti dalla sua cattiva direzione e dai difetti d’esecuzione dell’opera convenuta. Per questa lite il Meda non solo non abbandonò il posto dei lavori; ma dividendo le cure della loro direzione coll’ingegnere Alessandro Bisnati, potè vedere verso la fine dello stesso anno 1594 praticata in qualche modo la navigazione dell’Adda col traghetto di terra intermedio. Tuttavia richiedendo questa già per se stessa alcuni anni di tempo ond’essere frequentata nel massimo grado di cui fosse suscettibile; non potendo convenire gran fatto sopra gli altri ordinari trasporti di terra a motivo della sua interruzione al luogo del traghetto, dovendo essere fin allora incomoda anche per la ragione che la Città di Milano non aveva ottenuto il diritto di sistemare a suo talento gli edifici posti sulla sponda sinistra del fiume appartenente allo Stato Veneto, tutto lo scredito che a quell’epoca doveva avere nel commercio la imperfetta navigazione dell’Adda fu aggiunto come un nuovo aggravio al Meda nella vertenza fra lui e la Città di Milano. Finalmente gli sforzi del Meda e del Bisnati per ottenere obbedienza dai giornalieri impiegati nella continuazione dei lavori trascinarono ora l’uno ora l’altro in processi criminali, da cui non si liberarono che dopo alquanti mesi di prigionia.
Durante un simile stato di cose i lavori ai due grandi sostegni dei canale del Meda e degli altri punti della linea progredirono ancora, sebben lentamente a norma de’ mezzi economici disponibili, negli anni 1595, 1596 e 1597.
Verso il principio del 1598 si è poi pensato di esperimentare un primo pezzo del canale in costruzione coll’introdurvi dal fiume l’acqua necessaria, e ciò anche nella vista di accorciare al commercio il traghetto di terra che impediva più d’ogni altra cosa alla navigazione dell’Adda di rendersi molto attiva. Serrata quindi la chiusa di derivazione sul fiume ed aperta invece l’imboccatura del canale al passaggio dell’acqua, venne questa estesa sino al luogo stabilito. L’esito di un tale esperimento non fu infelice in apparenza per qualche tempo, in cui dev’essere stata praticata la navigazione di quel primo pezzo di canale; ma sopravvenute diverse straordinarie piene al fiume, si palesarono subito alcuni movimenti nel terreno sottoposto al canale, che produssero abbassamenti e rotture agli argini ed al fondo e furono di conseguenza maggiore dei guasti avvenuti nel 1594. Allora fu attribuita generalmente la sventura accaduta alla precipitazione dell’esperimento ed ai difetti di quel primo pezzo di canale dietro i rapporti degli ingegneri spediti dalla Città di Milano alla visita del fatto. Ancorchè fra questi si trovassero alcuni nemici personali dichiarati del Meda, come lo erano un Barca ed un Rinaldi, quel direttore dei lavori fu costretto a sentire con nuova prigionia e con nuove malattie gli effetti dell’odio loro combinati con quelli della natura del terreno alla costa dell’Adda. Seguita appena tale rovina al canale in costruzione, la Città di Milano vi avrebbe abbandonato subito ogni lavoro per timore di gettarne inutilmente le spese; ma l’idea di rendere utili le grandi spese già fatte prevalse ancora a quell’epoca in cui la Città di Milano aveva finalmente ottenuto il diritto di poter adattare la sponda sinistra dell’Adda ad una comoda navigazione di questo fiume. Quindi fu ordinato a Francesco Romussi ingegnere della Città di Pavia e della Regia Camera di recarsi in visita dei lavori all’Adda e di riferire sul loro stato e sulla possibilità di eseguire le opere mancanti per ottenere i vantaggi sperati della libera e continuata navigazione dal Lago di Como al Naviglio della Martesana.
L’ingegnere Romussi eseguì la sua visita nel marzo del successivo anno 1599, e nella sua relazione a stampa 7 maggio dello stesso anno dichiarò quasi perfetti i lavori in muro al canale di deviazione; non fece caso dell’altrui suggerimento di sostituire all’arcopiatto di pietra un sistema di legnami per coprire l’intervallo fra la cresta dei portoni e la fronte dell’arcone nel castello del Meda, e combinò pienamente nelle altre idee del Meda per riguardo alle fabbriche de’ suoi due grandiosi sostegni, a cui mancavano a quell’epoca le sole opere in legno come portine, portoni ec. per essere servibili al loro uso. Parimente non propose il Romussi alcuna variazione allo sbocco dello stesso canale ed ai progetti dei lavori che restavano da ultimarsi o da eseguirsi lungo il fiume Adda per rendervi la navigazione più comoda. Intorno all’incile ed alla prima tratta di quel canale suggerì il Romussi alcune poche modificazioni ed aggiunte onde evitarvi ogni timore sopra difetti di sfogo nelle piene o pericolo d’interrimento all’imboccatura. In generale poi il Romussi giudicò l’opera del Meda riuscibile e durabile quando fosse stata una volta ultimata e perfezionata sopra il proprio disegno. Di seguito fu incominciato a riparare il guasto del canale sotto la direzione dell’ingegnere Bisnati che era rimasto presso i lavori durante la prigionia e la malattia del Meda; ma intanto quest’ultimo, processato per imputazione che avesse defraudata la Città di Milano nei progetti e nella costruzione dell’opere per la navigazione dell’Adda, poco dopo essere stato rilasciato da prigione, è morto verso l’agosto di quell’anno in mezzo alla causa civile pei debiti da lui contratti colla Città medesima per quella sua mal’augurata impresa che non ha potuto vedere finita.
Possa almeno la memoria del suo progetto per la navigazione dell’Adda farlo distinguere come ingegnere in faccia alla più remota posterità! E possa la rimembranza della sua avversa sorte farlo annoverare fra quei tanti italiani che nei passati secoli hanno sagrificato alla pubblica utilità ed alla patria e ingegno e beni e vita!
Alla morte dell’ingegnere Meda fu eletto dalla Città di Milano il suo aiutante Bisnati a direttore dei lavori per la desiderata perfezione dell’opera; ma in seguito a nuove piene avvenute al fiume Adda nell’autunno del suddetto anno 1599 vi si manifestarono nuovi movimenti del terreno della costa che produssero nuovi guasti al canale dianzi riparato; motivo per cui la Città di Milano si determinò a far cessare l’attivata navigazione in una prima tratta di canale ed a far rimettere questo all’asciutto colla costruzione di una chiusa attraversante la sua imboccatura per risparmiargli ulteriori rovine. La speranza poi di riuscire con nuovi sforzi nella ultimazione di un’opera che era divenuta il segnale di continue sciagure si può dire che fin da quel momento fosse generalmente svanita; ma fu allora appunto che Guido Mazenta, uno dei 60 del Consiglio generale della Città di Milano, si fece interprete dei sentimenti di chi amava di fare qualche nuovo sagrificio di spese per non perdere inutilmente un lavoro già vicino a divenire una delle principali ricchezze dello Stato. Egli divisò di richiamare coll’eloquenza tutti i rappresentanti della Città di Milano al partito più ragionevole e di persuadere che Milano tutta unita non doveva sgomentarsi ad eseguire quello che un cittadino suo solo con le private sue forze ha voluto ridurre a perfetione. Il Mazenta in quella circostanza ha anche parlato del modo più convenevole per ottenere una tal perfezione dell’opera, ed ha azzardata la sua opinione sul progetto del Meda.[10]
Riteneva primieramente il Mazenta poco felice la scelta del luogo della chiusa di derivazione fatta dal Meda in una sezione del fiume Adda delle più ristrette, e poco sicuro l’esito della stessa chiusa disegnata ed eseguita di un’altezza assai rilevante. Pensava inoltre che per conseguire il miglior effetto da una di tali chiuse per la presa dell’acqua non bastasse il disporla di figura particolare in linea obbliqua al filone del fiume e formante imboccatura al canale; ma voleva che essa dovesse costruirsi più precisamente in linea continuativa con quella dell’argine risultante fra l’incile del canale ed il fiume. Quest’argine poi si prescriveva dal Mazenta indispensabilmente munito di un travacatore esteso quanto quello del Naviglio della Martesana che resta attiguo alla sua chiusa di derivazione. In conseguenza poi di questi principj propose il Mazenta l’abbandono della grandiosa chiusa fabbricata dal Meda dissotto della sezione detta i Tre Corna sull’Adda e la costruzione di una nuova chiusa in altro sito superiore e dietro le norme da lui adottate. Circa al letto del canale, volendo premunirsi maggiormente contro i movimenti ed i guasti cagionati dalla spinta delle acque fluenti per strade sotterranee, si ridusse il Mazenta a progettare di ricostruirlo in alcune tratte bastantemente solido e colle fondamenta che arrivassero fino al livello del pelo d’acqua del vicino fiume Adda. In generale però anche il Mazenta ha approvato il progetto del Meda nelle altre sue parti e specialmente nella forma particolare de’ suoi grandi sostegni, dai quali ei si prometteva tuttavia una buona riuscita ad onta della prevenzione sparsa in contrario nel pubblico.
Continuando ora nei dettagli storici del canale del Meda, il discorso del Mazenta scritto in uno siile tumido e soverchiamente immaginoso deve aver fatta qualche impressione sugli animi dei rappresentatiti della Città di Milano, se troviamo subito dopo rinnovato al Bisnati l’ordine di attendere alla continuazione dei lavori per la ultimazione del canale del Meda. Veramente il Bisnati non adottò alcuna delle modificazioni proposte dal Mazenta o da altri che fosse essenzialmente contraria al progetto del Meda; ma poi abbracciò la prima riforma già suggerita al Meda stesso al Romussi e ad altri periti, quella cioè di accrescere i mezzi di sfogo delle acque del canale al suo incile e di regolamento della giusta presa d’acqua per la sua navigazione in tutti gli stati del fiume. Si può aggiungere che a tale effetto fra i ripieghi possibili, e invece del più ovvio che sembrava quello di moltiplicare all’uopo i travacatori ed i scaricatori a paraporti lungo la linea del canale, scelse allora il Bisnati l’altro di disegnare al suo incile un unico congegno detto la conca-piana e poco dissimile dal doppio ordine di porte che vi abbiamo veduto prescritto nel più antico progetto del Missaglia e degli altri ingegneri sunnominati. Più propriamente doveva avere questa conca-piana una specie di bacino che, invece di staccare come in due tronchi il fondo del canale col solito salto intermedio dei sostegni, veniva formato da due ordini di porte disposte bensì a guisa di portine e portoni ma egualmente rilevate e secondo il bisogno colla loro cresta sopra il fondo del canale navigabile all’incile. Di più parallelamente a questo particolare bacino doveva essere situato nella conca-piana il solito diversivo o canale scaricatore munito verso l’estremità inferiore di ampi paraporti e detto dal Bisnati il canale del soccorso dalla consimile collocazione e denominazione fissata dal Meda ad un importante pezzo del suo castello. Per tal modo nei tempi di magra e di acque ordinarie del fiume Adda, stando aperte le porte del bacino della conca-piana e richiusi invece i paraporti del suo laterale canale del soccorso, la presa d’acqua per il canal navigabile si sarebbe venuto a farla ancora come si dice a bocca libera, e la conca-piana in questi casi sarebbe restata fuori d’uso. Verificandosi poi qualche piena del fiume, le acque esuberanti introdotte in canale, invece di percorrerlo sino ai travacatori e scaricatori a paraporti situati sulla sponda del canale a molta distanza dall’incile, si sarebbero più facilmente arrestate nel loro corso e smaltite più dappresso all’incile coll’uso della conca-piana. Questa difatti facendole rigonfiare superiormente alle porte insteccate del bacino, e sfogandole lateralmente coi paraporti dell’annesso canale del soccorso, vi avrebbe servito in tal caso di un vero sostegno di forma pressocchè ordinaria. Ma in tutto il resto di quell’anno 1599 non è però stato appaltato lavoro di sorta per l’avanzamento del canale del Meda, e quindi nemmeno in riguardo della conca-piana del Bisnati.
Nel successivo anno 1600 gli ingegneri Alessandro Bisnati, Dionigi Campazzo ed Ercole Turate vennero pure delegati dalla Città di Milano a rilevare di comun concerto lo stato preciso del canale all’Adda colla descrizione e stima delle opere di perfezionamento e di ristauro per renderlo utile. In tale circostanza si proposero definitivamente tutte le idee di miglioramento al piano del Meda che si erano presentate dietro nuove riflessioni d’arte e dietro l’esperienza. Così fu stabilito di prolungare alquanto alla estremità destra verso l’incile del canale la chiusa di derivazione eretta sul fiume Adda, onde ridursi a ricevere in canale in tempo di piene una minor altezza d’acqua a proporzione del ristringimento del suo incile. La fabbrica della conca-piana fu ritenuta utile affine di allontanare ogni pericolo di debordo delle acque dal canale all’evenienza di qualche sinistro accidente, per il quale una piena vi avesse ad introdursi. Si è inoltre approvato ed adottato l’alzamento delle sponde del canale del Meda in alcune tratte. Si è avuta anche l’idea di abbandonare per qualche altra tratta di canale l’alveo che aveva sofferto dalle rotture degli anni 1598 e 1599, e di internarsi con nuovo pezzo di canale alla destra del rovinato nella costa più distante dal fiume in traccia di un terreno più sodo e fermo. Del resto anche allora si è deciso di conformare al piano del Meda la sistemazione del canale, e specialmente le opere tuttavia mancanti ai suoi edifici da sostegno e di presidio allo sbocco. Soltanto nell’ipotesi poi che col tempo e coll’esperienza si avesse da concepire ragionevolmente qualche timore sull’uso di un salto immediato di circa met. 18 pel sostegno più vicino allo sbocco del canale, si è passato a far riflettere che sarebbe stato sempre possibile e facile il diminuire di qualche metro quel salto, elevando la sua soglia inferiore e lasciandovi di sotto a questa una seconda caduta per un semplice ordine di porte insteccate detto la mezza-conca da aggiungersi precisamente allo sbocco del canale. Questa mezza-conca sarebbe riuscita fuori d’uso in tempo di piena del fiume come non necessaria per il passaggio della navigazione, e nei tempi di acque mezzane e basse del fiume, restando essa prossima all’altro superior sostegno del Meda, sarebbe venuta a formarvi sulla linea di navigazione dal Lago di Como a Milano un esempio de’ sostegni a tre ordini di porte accoppiate di seguito con due salti intermedi, e più comunemente conosciuti sotto il nome di sostegni accollati. Ma anche quell’anno non si è posta mano ad alcun lavoro di considerazione intorno al canale del Meda; anzi l’ammontare della stima per le spese di tutte le opere proposte essendosi trovato di troppa rilevanza in confronto dei mezzi disponibili all’istante dalla Città di Milano, si è deposto fin d’allora il pensiero di farle eseguire tutt’a un tratto, e si è pensato invece a farne intraprendere immediatamente la parte che abbracciava l’edificio della conca-piana all’incile e degli altri lavori prescritti nella relazione Bisnati, Campazzo e Turate all’oggetto di rendere prontamente perfezionata e servibile per la navigazione la prima tratta di canale del Meda dianzi esperimentata ed usata.
Eseguiti poi realmente sotto la direzione del Bisnati per la fine dell’anno 1602 questi lavori alla prima tratta del canale del Meda, si è passato a disporre ogni cosa per ridonarvi l’acqua. Tale sperimento è stato fatto sul principio del 1603 ed ebbe felice successo, per cui le navi che discendevano per l’Adda dal Lago di Como poterono estendere nuovamente il loro viaggio nel pezzo di canale riadattato alla comoda navigazione; ma ecco finalmente a che si riduce l’esito del canale del Meda per la navigazione dell’Adda, mentre per ragioni di economia la Città di Milano non vi ha più fatto continuare nei successivi anni l’esecuzione delle opere residue. Quella prima tratta di canale ultimata ed usata, trovandosi sopra di un confine dello Stato abbandonata a sè stessa, fu ben presto cagione di ruberie e rotture continue, e nel tempo stesso i possessori della costa dell’Adda non lasciarono con impedimenti d’ogni genere di sturbare il sistema del letto di questo fiume reso dianzi in qualche modo navigabile e di sostituirvi le loro opere private dirette a tutt’altro che alla navigazione.
Successivamente e in occasione che nel 1617 fu spedito dalla Città di Milano l’ingegnere Bisnati un’altra volta in visita dello stato del fiume e del canale, egli stesso, vedendo svanita del tutto la speranza di mettere mano alla perfezione dell’opera entro poco tempo, ha dovuto proporre, per evitarvi ulteriori guasti e ruberie, di levare nuovamente l’acqua al canale col richiudere la sua imboccatura, di vendere tutti i residui materiali di provvisione e di mantenere soltanto la navigazione dell’Adda coll’uso del traghetto di terra esteso a tutta la linea del canale del Meda. Essendo poi state ordinate tutte queste disposizioni del Bisnati, vennero puntualmente eseguite per ciò che riguarda l’abbandono della tratta di canale e della vendita de’ materiali di costruzione preparati sul luogo de’ lavori; ma non è passato molto tempo che per incuria degli uomini, per le guerre in paese e per le vicende del governo civile del Milanese si è anche perduta ogni navigazione dell’Adda stabilita in quel secolo.
La posteriore risoluzione di ritentarla se non fu più quella di un semplice privato o della sola Città di Milano, fu bensì quella del Governo dello Stato e delle sue popolazioni più interessate. Così troviamo specialmente che nell’anno 1679 il Magistrato delle acque venne informato dell’intenzione governativa di far eseguire la ristaurazione ed il compimento del canale del Meda, già denominato sin d’allora Naviglio di Paderno dal nome di un vicin villaggio, sotto la direzione dell’ingegnere olandese Cornelio Meyer che dimorava di quell’epoca a Roma. Quel Magistrato assecondò in tale occasione le viste e le intenzioni del Governatore col delegare dal canto suo l’ingegnere camerale Giovanni Sebastiano Robecco a visitare ed a riferire sullo stato del canale abbandonato e sul mezzo più opportuno per renderlo utile; ma anche quella volta la circostanza delle guerre sopravvenute mandò a monte e la incombenza del Meyer ed il rapporto del Robecco. Ne’ successivi intervalli di tempi pacifici i primi a mettere nuovamente in campo l’idea della navigazione dell’Adda furono le Comunità e gli abitanti dei dintorni del Lago di Corno, e specialmente quelli del ramo di Lecco, che dimandarono nel 1698 al Governatore dello Stato la ristaurazione delle due conche dell’antico Naviglio di Paderno per passare colla navigazione dal Lago di Como a Milano. Avendo però il Governatore di quell’epoca occupato qualche anno di tempo nel riandare tutta la storia del progetto ordinato allo stesso effetto dal suo antecessore, è arrivata una nuova guerra a troncare ogni discorso di tal natura; talchè alla fine del secolo 17.o la navigazione dal Lago di Como a Milano era ancora interrotta per tutta l’estesa tratta di fiume Adda dal paese di Brivio all’imboccatura del Naviglio della Martesana.[11]



[1] V. nel succit. arch. gen. di Gov. una lettera magistrale del 1557 diretta alla città di Milano per quest’oggetto.
[2] V. Settala, Relaz. succit. del Naviglio della Martesana.
[3] V. la stessa denunzia fra le carte del suddetto arch. gen. di Gov.
[4] V. Settala, Relaz. succ. del Naviglio della Martesana. V. fra le carte dell’arch. gen. di Gov. i privilegi accordati alla città di Milano per l’esecuzione dell’opera della navigazione dell’Adda.
[5] V. Settata, Rel. succit.
[6] V. idem.
[7] V. le carte del Naviglio di Paderno nei succit. arch., e specialmente i capitoli stampati per l’appalto della navigaz. del fiume Adda.
[8] V. i succit. capitoli per la navigaz. dell’Adda.
[9] V. le carte del Navig. di Paderno nell’arch. Ferrari succit.
[10] V. il succ. Discorso stampato di Guido Mazenta intorno il far navigabile il fiume Adda.
[11] V. fra le carte de’ succit. archivio Ferrari ed archivio generale di Governo tutte quelle relative al Naviglio di Paderno dei secoli 16.o e 17.o

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