Sulla
navigazione dal Lago di Como a Milano.
La
navigazione dal Lago di Como al Naviglio della Martesana, già legato con Milano
e con un’estesa comunicazione, tornò a formare sotto Carlo V.° la speranza della città di Milano, i
cui rappresentanti vennero nella determinazione di tentarla anche a sola di lei
spesa. Nel tempo però in cui quel Sovrano si tenne investito del Ducato di
Milano, non si è fatto a questo riguardo che rimettere in piedi il progetto
nato e tentato invano sotto gli Sforza e sotto il Re di Francia Francesco i.° Dichiarato in seguito Filippo ii.° Duca di Milano, tale città continuò
nello stesso pensiero sino ad eleggere, dietro superiore approvazione, una
nuova commissione secondo l’uso di que’ tempi composta di nobili e di ingegneri
incaricati di rinnovare tutte le pratiche e tutte le operazioni preliminari per
dare forma un’altra volta al progetto più conveniente della desiderata
navigazione.[1] Dietro molte visite e
molti discorsi su quest’oggetto fu deciso di attenersi ai disegni ed alle opere
incominciate sotto il dominio francese, di cui restava ancora qualche secolo
dopo un’avanzo detto lo Sperone-de’-Francesi
al Sasso di S. Michele; ma la spesa, che secondo i nuovi calcoli ammontar
doveva ad una somma molto maggiore dell’antica stima, in proporzione
dell’aumento dei prezzi delle materie di fabbrica e della mano d’opera, parve
in sulle prime insopportabile dalla sola città di Milano.[2]
Il
progetto successivamente fu tenuto vivo da certo frate Giovanni Francesco
Rizzo, il quale dimandò nel 1562 al Governatore dello Stato un privilegio di
rendere navigabile l’Adda da Lecco all’imboccatura del Naviglio della Martesana
per la somma di scudi 50 mila, com’era l’antica stima. Il Governatore ascoltò
il progettante, quantunque male raccomandato da’ suoi confratelli, che in
quell’occasione lo denunziarono uomo pessimo e scomunicato,[3]
e l’affare fu rimesso al parere del Magistrato delle acque. L’idea del Rizzo,
più ardita che nuova, si riduceva a quella di tagliare e levare tutti i massi
di pietra che ingombravano il letto dell’Adda, di fabbricare attraverso di
questo letto due chiuse di straordinaria altezza nel luogo delle maggiori
cadute, e di provvedere al passaggio delle barche con alcuni sostegni di
ordinaria forma eretti lateralmente alle chiuse o scavati nel vivo della
montagna. La natura di un grosso fiume che scorre irregolarmente frammezzo a
dirupi che ad ogni momento minacciano rovina, non lasciava concepire speranza
alcuna di esito felice dalle chiuse e dai sostegni progettati dal Rizzo.
Trattandosi però della proposizione di un privato che in generale si obbligava
a rendere navigabile l’Adda per una data somma, il Magistrato non ha fatto che
appoggiarla presso il Governatore sotto alcune condizioni per i lavori e per i
relativi pagamenti a garanzia del pubblico tesoro. In seguito il Governatore
rilasciò anche al Rizzo il privilegio dimandato, sotto la riserva della
conferma sovrana; ma questa non deve mai essere arrivata, ed è poi certo che il
progetto del Rizzo non ha dato luogo a tentativo di sorta.[4]
Posta
così in disparte dalla Città e dal Governo di Milano l’idea della navigazione
dell’Adda, tutte le mire per questo riguardo furono rivolte a rendere migliore
la condizione del Naviglio della Martesana, che per continue sottrazioni
d’acqua era ormai divenuto quasi del tutto impraticabile anche alla sua
limitata navigazione da un punto solo del fiume Adda a Milano. Furono pertanto
create alcune leggi che obbligavano indistintamente i proprietari delle acque
di irrigazione di quel canale a chiudere le loro bocche d’estrazione in dati
giorni della settimana; ma finchè veniva sovente il caso di usare di simili
leggi, non tanto giuste quanto necessarie per sostenere la navigazione del
canale, ognun vede che questo avrebbe avuto un rilevante difetto. L’idea di
accrescervi il corpo d’acqua era facile a presentarsi, ed in quel secolo era
già stata esternata più di una volta; ma l’onore di averla favorita e mandata
ad effetto pienamente insieme ad altri miglioramenti si deve al presidente del Magistrato
Filiodone. Fece questi rilevare verso l’anno 1671 dagli ingegneri camerali il
progetto delle opere, consistenti principalmente nell’allargamento del letto
del canale dal suo incile sino a Gropello verso l’alta costa di pietra viva che
si erge sulla diritta; nell’ulteriore scavamento del letto stesso a luogo a
luogo, per accrescervi possibilmente il corpo d’acqua derivato dall’Adda senza
arrecare una maggior spinta agli argini, costrutti sulla sinistra del canale di
due muraglie di pietra distanti tra loro di un intervallo riempiuto di terra
compatta; e finalmente nella ricostruzione e rinnovamento del ponte-canale al
passaggio del torrente Molgora e di una quantità di altri edifizi sparsi sul
canale per adattarli tutti alla maggior ampiezza ed alla nuova circostanza del
maggior corpo d’acqua. Presentato un tal progetto al Duca d’Albuquerque
Governatore dello Stato ed al Consiglio segreto, esso venne approvato, e
l’opera fu pubblicamente deliberata per appalto. Riferito il risultato di
quest’appalto al Re di Spagna ed ottenuta da lui la necessaria conferma, si
passò in Milano alla vendita per pagamento anticipato d’una porzione dell’acqua
che dopo l’esecuzione dell’opera sarebbe cresciuta ai bisogni della
navigazione. Da tale vendita la Regia Camera ricavò quasi il doppio della somma
richiesta per tutta la spesa da farsi,[5]
ed il Governo imparò così a valutare l’importanza di favorire consimili
intraprese nella provincia del Milanese. Prima poi del 1574 il canale della
Martesana era già ridonato a’ suoi moltiplici usi;[6]
e visto l’esito felice della riaperta navigazione da Milano all’Adda, fu subito
in campo nuovamente il progetto della navigazione dell’Adda onde estendere da
Milano sino al Lago di Como la comunicazione per acqua.
Viveva a’
que’ tempi in Milano l’ingegnere e pittore milanese Giuseppe Meda, che, sentito
l’interesse di un tale progetto, si lasciò trasportare dalla lusinga, che i
suoi sforzi diretti a questo fine potessero riuscire utili alla propria patria.
Egli cominciò dal riflettere, che il fiume Adda faceva il salto di ben metr.
23,760 da lui riscontrato da pelo a pelo d’acqua nella breve tratta di qualche
miglio dalle Tre Corna alla Rocchetta, e che altrettanta caduta dovevasi
consumare in un qualunque canale navigabile ideato da derivarsi dal fiume e
rimettersi nello stesso fra quelli estremi. Però non era forse il mezzo più
conveniente quello di applicarvi i sostegni moltiplicati e di piccolo salto,
simili cioè a quelli del Naviglio di Milano i cui salti si contenevano fra i
limiti di m. 0,90 e m. 2,376 all’incirca; comunque tali fossero stati per
l’addietro progettati per il canale all’Adda e venissero comunemente usati
dagli architetti d’acque in tutti i paesi ove si intraprendevano nuove
costruzioni dello stesso genere. Concepì poi il Meda che realmente potessero
ottenersi vantaggi notabili nel caso concreto coll’adottare l’uso de’ sostegni
di salto straordinario onde diminuirli in numero; ma appena afferrata
quest’idea, si affacciò subito alla sua mente la serie di tutte le difficoltà
inerenti alla materiale applicazione della struttura ordinaria dei comuni
sostegni di piccolo salto per formare i sostegni di salto molto maggiore; e ciò
servì a rendergli sufficiente ragione della timidezza sin allora mostrata
nell’arte a questo riguardo. Passando poscia ad un maturo esame di tutte le
circostanze del caso, le difficoltà proprie o temute dei sostegni di salto non
ristretto fra i limiti dell’usato fin allora erano accompagnate, nell’idea del
Meda, dalla speranza di un sensibile minor dispendio nel complesso dei lavori
per la costruzione dell’opera e da molte altre considerazioni favorevoli al
partito di tentare per la prima volta il loro uso. Così per esempio la fabbrica
di un sostegno o due invece di dieci o dodici o più, massime in un terreno mal
fermo in tutti i suoi punti come la costa dell’Adda, sembrava conforme alla
ragionata economia, tanto più che non potendo prescindere dall’esaurirvi tutti
i mezzi dell’arte per ottenere la necessaria solidità anche ne’ sostegni di
piccola caduta, sarebbe bisognato di estendersi colle loro fondazioni a una
grande profondità. La stessa cir sostanza del terreno falso in cui si doveva
scavare il canale artefatto consigliava ad accorciare la linea di questo più
che fosse possibile, e sulla linea così accorciata doveva restare ancora verso
l’incile il primo tronco di canale affatto libero da sostegni e bastantemente
lungo da potervi distribuire in sponda un sistema tale di travacatori e
scaricatori che avanti di arrivare alla prima di quelle fabbriche sfogasse le
acque esuberanti e le torbide introdotte dal fiume. L’idea stessa di usare un
solo o al più due sostegni per consumare sul canale all’Adda una pendenza di
circa metr. 23,76 andava anche unita alla fiducia di ottenere la maggior
possibile speditezza della navigazione, e da una parte non meritava riguardi la
maggior quantità d’acqua che potesse abbisognare per l’alimento della
navigazione a sostegni alti, giacchè in quel caso del Meda si aveva disponibile
l’intero fiume Adda. D’altra parte intorno all’uso dei sostegni di salto
straordinario militavano ancora nel concetto del Meda le ragioni contrarie
della poca sicurezza della fabbrica del sostegno per essere sempre scossa con
maggior impeto quanto più dall’alto vi cade l’acqua, del pericolo delle barche
che nel bacino assai alto soffrano maggiormente gli urti ed i vortici della
stessa acqua cadente, e della difficoltà di maneggiare l’ordine di porte
inferiori quand’esse fossero alte al di là di certi limiti. Finchè poi si
parlava di sostegni della forma ordinaria unicamente conosciuta sin allora,
questi riflessi contrari sembravano anche al Meda tali da superare il valore
dei primi favorevoli succennati; per cui nello scopo della maggior convenienza
in complesso non si sarebbe mai fatto luogo ad arbitrio di scelta su questo
punto anche nei progetti del canale all’Adda. Ma indipendentemente da tale
restrizione trovandosi il Meda in mezzo a quelle opposte considerazioni non
vide più che l’imperfezione dell’arte, la quale avesse indotto gli architetti a
fissare dei limiti poco estesi nell’altezza de’ sostegni anche nei casi
consimili a quello del canale all’Adda; e forte d’ingegno come si sentiva tentò
di rimediarvi in quella stessa circostanza coll’invenzione di una particolare
struttura di sostegno alquanto diversa dalla comune.
Per
accennare qui del sostegno immaginato dal Meda e da lui chiamato
originariamente castello[7]
soltanto le parti principali più propriamente dirette al perfezionamento del
meccanismo del sostegno ordinario, onde renderlo utilmente applicabile ai casi
di grande caduta immediata da consumarsi con un sol salto, citeremo
primieramente il tavolato in forma di diaframma situato in vicinanza della
soglia delle portine a dividere il bacino ordinario in due camere tra di loro
comunicanti verso il fondo. Questo pezzo del castello del Meda era specialmente denominato il parapetto di legno e doveva servire, per
usare le parole dello stesso Meda, a
mortificare la cascata et a defendere che nel dar l’aqua per empire detto
castello non bagni nè facia alcun danno alle naui. Una seconda
particolarità del castello sopra i
comuni sostegni è la vôlta che in esso occupava il posto del semplice arco di
ponte eretto solitamente allo sbocco de’ bacini ordinari. Questa vôlta vi
nasceva ad un’altezza di pochi metri sul fondo del bacino onde lasciarvi per di
sotto un’uscita appena bastante al libero passaggio delle barche, come ne’
sostegni piccoli. Superiormente poi a tale vôlta si ergeva in forma di torre
serrata a due lati dal terreno un muramento altrettanto esteso in grossezza,
che serviva di parete frontale del bacino colla sua facciata anteriore e faceva
le veci del solito ponte col suo piano supremo che riusciva a livello della
cresta dei muri del bacino medesimo. Questo ripiego della vôlta e del soprapposto
muro designato dal Meda col nome di arcone
era in complesso immaginato per schivare i portoni alti oltre un certo limite
che sarebbero riusciti di difficile maneggio. Perciò l’arcone era anche collegato saldamente nella sua facciata verso il
bacino con una piattabanda così detta l’arcopiatto
che veniva sormontata da un altr’arco per rinforzo e sporgeva in fuori dal
piano della medesima facciata a coprirvi lo spazio vuoto triangolare lasciato
dai portoni richiusi ad angolo e dalla retta d’unione dei loro perni. Per tal
modo non restava impedito il perfetto riempimento del bacino del castello. Inoltre una comoda scala
praticata tutt’al lungo di una parete laterale del bacino facilitava il
maneggio e l’uso dei portoni posti ad una grande profondità sotto la cresta del
bacino medesimo. Un terzo elemento importantissimo di questo castello del Meda era pure il recipiente
disposto parallelamente al solito bacino delle barche, e colla discesa a
diversi salti distribuiti sulla sua lunghezza per tutta la profondità del
sostegno. Tale recipiente parallelo veniva chiamato dal Meda il canale del soccorso per indicare che
mediante alcuni sfori o finestroni scaricatori
praticati a diverse altezze nel muro intermedio o muro di mezzo, non che i vari paraporti stabiliti similmente in
aperture corrispondenti e appositamente lasciate nelle altre sue pareti meno
isolate, era destinato a venire in aiuto degli ordinari artifici per ottenere
anche ne’ sostegni di salto straordinario un pronto riempimento e vuotamento
del bacino combinato colla sicurezza della fabbrica e della navigazione e col
minor dispendio di forze. Di qui è che nel sostegno del Meda lo spazio da
riempirsi e da vuotarsi d’acqua ad ogni passaggio di barche si componeva come
di tre camere formate dal parapetto di legno
e dal muro di mezzo e costantemente
comunicanti fra di loro. Il giuoco dell’innalzamento e dell’abbassamento
dell’acqua in sostegno doveva succedere più immediatamente nelle due camere che
si trovavano più prossime alla caduta dell’acqua dal tronco superiore di
canale. Nella terza più remota dalla caduta dell’acqua doveva starvi
propriamente la barca per passare da un livello all’altro molto differente;
così l’effetto degli ondeggiamenti e dei vortici dell’acqua cadente restar
doveva quasi tutto circoscritto e racchiuso nelle prime due camere, e la barca
nella terza camera doveva andar esente da ogni pericolosa agitazione o
sbattimento. Per riguardo poi alla solida costruzione della fabbrica, non
dubitava il Meda di poterla garantire colle risorse dell’arte da qualunque
pressione od impeto dannoso. A tale effetto il suo parapetto di legno era
congegnato in modo da resistere agli urti dell’acqua e delle barche. L’arcone e le altre pareti del sostegno vi
erano prescritte di una robustezza bastante per bilanciare gli sforzi a cui si
trovavano esposte. Il muro di mezzo,
benchè vi risultasse isolato sopra grandi dimensioni in lunghezza ed altezza,
si è potuto ancora disegnare di figura parallelepipeda e di moderata grossezza
per la circostanza che il bacino ed il canale
del soccorso vi si dovevano mantenere sempre in aperta comunicazione, e che
l’acqua non vi si poteva innalzare od abbassare di pelo che contemporaneamente.
Così non vi era esposto lo stesso muro di
mezzo a risentire alcun movimento di spinte laterali prevalenti. Finalmente
non mancavano al castello del Meda
gli altri pregi dei comuni sostegni, e fra essi noi nomineremo quello di averlo
provveduto del solito scaricatore a paraporti superiormente alle portine, che
vi riusciva non solo utile in ordine al procurare il più pronto empimento e
vuotamento del bacino, ma anche indispensabile come diversivo per dare un
innocuo sfogo dell’acqua sopravvegnente nell’atto che il bacino fosse già
ripieno fino al ciglio delle portine e durante tutto il tempo del suo
vuotamento.
Conosciuti
per tal modo i più notabili particolari che devono aver indotto il Meda a
sperar bene della fabbrica, del maneggio e dell’uso di sostegni molto alti di
salto purchè costrutti nel modo per lui divisato, sembrerà naturale che questa
fiducia dovesse portare lo stesso Meda a giudicare definitivamente vantaggiosa
l’applicazione del suo sostegno a grande salto per operare la navigazione
dell’Adda nella tratta succennata. Trovandosi poi il Meda animato in questi
studi dal suo amico Martin Bassi, altro celebre ingegnere e pittore milanese di
quei tempi, non ha tardato a riflettere al modo di renderli utili in qualche
modo. E qui il Meda non poteva ignorare che in fatto di opere pubbliche altro è
l’idearle più perfette dell’ordinario, altro l’eseguirle con prospero successo
dietro un’idea nuova. Egli doveva inoltre sentire a questo proposito che non
essendosi sin allora dato al mondo alcun esempio di sostegni a salto molto
maggiore di quelli usati nel Milanese che l’avevano minore di met. 3, e che
essendo in generale nella caduta dei sostegni adottata la massima di non
sorpassare i due o tre metri, probabilmente il suo concetto, comunque
utilissimo potesse sembrare in se stesso per dati casi, non avrebbe mai
incontrata l’opinione degli immediati esecutori, finchè questi non fossero
convinti col fatto di un esempio luminoso. Ciò non ostante l’entusiasmo del
Meda per il ben pubblico superava ogni altro riguardo e doveva deciderlo a fare
tutti gli sforzi nell’occasione del progetto della navigazione dell’Adda perchè
venisse appunto offerto questo primo esempio al mondo.
Ecco
adunque il nostro Meda occupato in silenzio a dare nuova forma al progetto di
rendere navigabile il fiume Adda nel momento che la città di Milano ne sentiva
tutto il bisogno.
Come nel
progetto già approvato sotto il dominio francese, anche secondo il Meda il
mezzo più sicuro di venire a capo di quest’opera si riduceva alla costruzione
di un canale di derivazione per sortire dall’Adda colla navigazione nella
tratta di questo fiume più scabrosa e assolutamente impraticabile fra il Sasso
di S. Michele ed il Sasso della Rocchetta. Una gran chiusa trasversale doveva
pure servire nel disegno del Meda alla presa dell’acqua del canal navigabile da
derivarsi sulla destra del fiume. Ma la sezione del fiume scelta dal Meda per
collocarvi la chiusa di derivazione era inferiore a quella succitata dei tre corna di circa met. 70, ed a quella
del Sasso di S. Michele di circa un miglio metrico. Tale chiusa doveva essere
impostata obbliquamente nelle due ripe del fiume per modo che la sua direzione
venisse ancora a formare angolo acuto colla sponda destra superiore. Essa
doveva inoltre riuscire rilevata di circa met. 5,94 sul fondo naturale del
fiume, e garantita contro l’impeto dell’acqua da una gran dimensione in
grossezza che alla base sul fondo del fiume medesimo arrivasse ai met. 53,46, e
superiormente andasse diminuendo per doppia scarpa assai generosa sino alla
cresta. Questa cresta poi non doveva essere disposta a un sol livello dall’una all’altra
ripa del fiume, ma a poco a poco declinante dalle ripe verso il mezzo sino ad
esservi più bassa di met. 0,594 incirca per farla figurare come una cuna e
risparmiare così il grande travacatore all’incile del canale che non era
permesso dalla località senza grande dispendio per esservi lo spazio occupato
da un gran masso di monte. Intorno alla direzione, larghezza e forma del letto
del canale, il Meda si attenne prossimamente alle misure prescelte dal
Missaglia e dagli altri autori del progetto approvato sul principio di quel
secolo. La soglia del canale all’incile si prescrisse dal Meda a tale livello
rialzata sopra il fondo naturale del fiume davanti la chiusa, che vi avesse a
riuscire in tempo d’acque basse depressa sotto il pelo d’acqua presuntivo di
un’altezza di met. 1,188 all’incirca per sostenervi comodamente la navigazione.
Il fondo del canale dall’incile fin verso il suo shocco non si è dal Meda
tenuto orizzontale, per quanto si può almeno desumere da tutti gli altri
particolari di quel progetto, ma inclinato con una certa pendenza regolata
sulla misura dell’uno per ogni 3m. di lunghezza, essendo quella del pelo
modificata dalle porte dei sostegni. Gli edifici principali sparsi su tutta la
linea del canale nel progetto del Meda consistevano in un sistema di
travacatori e scaricatori distribuiti avanti di arrivare al succitato luogo
detto il Sasso della Rocchetta, in un primo castello
di met. 5,94 di salto fissato a questo punto del canale, in un secondo castello di salto met. 17,82 disegnato
in poca distanza sotto il primo, e finalmente nello sbocco del canale
immediatamente successivo al secondo castello
e formato da una soglia e da una specie di molo obbliquamente inoltrato nel
fiume sulla sinistra del medesimo canale in figura circolare nella parte
interna e rettilinea nell’esterna, e detto dal Meda il difensivo in Adda. Quella soglia dello sbocco del canale era
anch’essa dal Meda fissata in progetto a tale livello che entro il bacino del
prossimo superiore castello avesse
nei casi della massima sterilità d’acqua a rigurgitare questa dal fiume sino ad
un’altezza di pelo sufficiente alla libera e comoda navigazione in tutti i
sensi.[8]
Meditato
e disposto privatamente in tutte le sue parti questo nuovo progetto del canale
all’Adda, l’ingegner Meda non avea ancora mandata a lume della Città di Milano
alcuna notizia del medesimo, quando per togliere di mezzo le principali
opposizioni alla novità delle sue idee, si immaginò di poter assumere egli
stesso a suo carico l’esecuzione dell’opera mediante qualche convenzione. A
quest’effetto il Meda nell’anno 1574 indirizzò al Consiglio dei 60 Decurioni
della città di Milano un memoriale, in cui si prometteva da persona incognita
di dare navigabile il fiume Adda ed il canale di deviazione fra il Lago di Como
e l’imboccatura del Naviglio della Martesana nello spazio di poco più di due
anni per la somma di scudi 32 mille.[9]
In quell’occasione il nuovo progetto del Meda si qualificò soltanto diverso da
quello adottato sotto il dominio del Re di Francia e da qualunque altro
conosciuto sin allora perchè formato con nuove invenzioni, e si offrì di
dichiararlo subito dopo che si fosse ottenuta l’assicurazione dei patti
relativi. La Città di Milano non tardò allora ad eleggere fra i 60 Decurioni
del suo Consiglio generale una commissione incaricata di esaminare la
proposizione della persona incognita, ed il risultato dell’esame portò di
invitare subito l’autore del progetto a manifestarsi per venire a trattativa
sul proposito del memoriale presentato e per intraprendere l’opera al più
presto possibile. A questo punto però ogni cosa rimase sopita e la trattativa
sospesa per alcuni anni a motivo di diverse calamità sopraggiunte alla città di
Milano e specialmente della peste avvenuta al 1576.
Nell’anno
1580 si era già ripigliato il discorso sull’oggetto della navigazione dell’Adda
da tentarsi a spese della città di Milano, e fu eletta nuova commissione di
delegati per combinare qualche cosa coll’ingegner Meda, che nel frattempo si
era dichiarato per l’autore del memoriale del 1574. Si venne quindi subito ad
una convenzione, colla quale la Città di Milano dava l’opera per impresa ad una
compagnia di intraprenditori rappresentata dall’ingegner Meda. Questi vi si
obbligava ancora ad ultimare l’opera entro lo spazio di poco più di due anni
per la somma di scudi 36 mille, cioè di 4 mille maggiore della sua prima
offerta, e si assicurava inoltre con quella convenzione il diritto sulle due
terze parti del prodotto dal dazio da imporsi alla navigazione dell’Adda. Gli
obblighi di provvedere i terreni necessari ai lavori ed alle opere, di indurre
i proprietari alle variazioni da farsi agli opifici ed attrezzi pescherecci
sparsi sull’Adda e di pagare tutti i danni derivanti ai privati dai lavori e
dalla costruzione delle opere restavano espressamente, secondo la stessa
convenzione, alla Città di Milano.
In questi
termini nello stesso anno 1580 il contratto del Meda colla Città di Milano
venne realmente stipulato per la prima volta sotto la riserva delle superiori
approvazioni; per ottenerle quali la stessa Città s’indirizzò al Governatore
dello Stato colla convenzione conchiusa, colla dimanda del privilegio di poter
far eseguire l’opera a proprie spese e coll’offerta di cedere a favore della
Regia Camera un terzo dell’utile ricavabile dal traghetto di terra provvisorio
da stabilirsi immediatamente per la tratta del fiume Adda compresa fra le
sezioni dei Tre Corna e della Rocchetta dove cadevano i lavori più lunghi e più
difficili del progetto. Di seguito il Governatore non tardò a rilasciare dal
canto suo il dimandato privilegio, ma spedito esso alla Corte di Spagna per le
altre necessarie ratifiche, vi è rimasto per molti anni senza effetto alcuno.
Arrivata
finalmente nel 1590 l’approvazione del Re di Spagna del privilegio accordato
alla Città di Milano per l’impresa della navigazione dell’Adda e seguita ben
presto in Milano stessa dall’interinazione del Senato è rinata la speranza di
veder l’opera incamminata nella sua esecuzione. La Città di Milano passò allora
alla nomina di una deputazione di Prefetti all’impresa, e l’ingegnere Meda, che
nel frattempo si era sollevato sopra tutti gli ingegneri suoi contemporanei
colla direzione di molti altri lavori idraulici, non ha esitato a dichiararsi
pronto ad intraprendere anche quelli all’Adda; ma essendo trascorso a
quell’epoca il termine convenuto per le superiori ratifiche del privilegio
della Città, egli dimandò un aumento di prezzo proporzionato a quello del
valore delle cose. Avendosi quindi accordato per l’impresa dell’Adda 6 mila
scudi oltre a quelli fissati nell’anteriore convenzione, il contratto della
Città di Milano coll’ingegnere Meda venne riconfermato per nuovo istromento con
questa sola aggiunta. Richiesto successivamente dal Meda alla Città di Milano
il preventivo esame del progetto, venne anche ciò ordinato alla sunnominata
deputazione di Prefetti che si determinò ad una visita formale in cui si
potesse giudicare di tutti gli oggetti d’arte relativi alla sostanza del
progetto. Tale visita venne eseguita negli ultimi giorni di quell’anno (1590)
coll’intervenuto dell’ingegner Meda e di una commissione di periti addetti alla
deputazione della Città, ed in quell’occasione l’ingegner Meda nel consegnare i
suoi piani ed i suoi disegni alla deputazione li palesò per la prima volta e li
dichiarò in tutte le loro parti sulla faccia de’ luoghi onde persuadere meglio
gli astanti della possibilità e dell’utilità del proprio progetto. Ma poi per
evitare le quistioni che potevano nascere all’atto dei lavori dall’essere il
loro architetto al tempo stesso l’intraprenditore dell’opera, ebbe il Meda a
rappresentare la necessità di lasciare a lui la sola direzione dei lavori e di
commetterne ad altri l’esecuzione, il tutto sotto la sorveglianza della
deputazione dei Prefetti della Città di Milano, e salve sempre le sue
convenzioni colla Città medesima. Essendo in fine stato approvato il progetto
del Meda ed appoggiata anche tale sua rappresentanza sulla immediata esecuzione
dei lavori, la Città di Milano passò ad esporre al pubblico incanto l’impresa
delle opere per la nuova navigazione dell’Adda, quantunque già addossata per
anteriore contratto all’ingegner Meda, e dopo alcuni esperimenti d’asta la
deliberò a Francesco Vallezzo di Bergamo per il prezzo di scudi 36 mille da
pagarsi a poco a poco dietro una prescritta modalità e colla sigurtà
dell’ingegner milanese Pietro Antonio Barca.
Sul
principio del 1591 incominciarono i lavori all’Adda sotto la direzione
dell’ingegner Meda, dichiarato inventore dell’impresa, e colla forza di 300 a
400 giornalieri e per mezzo di subappalti parziali abbracciarono quasi tutta la
linea del canale di deviazione dal Meda progettato per supplire alla
navigazione di una tratta del fiume Adda. Ma fin da quell’anno, portata che fu
la costruzione del canale a qualche grado di avanzamento, si cominciò a
dubitare, per varie mancanze dei subappaltatori, di vedere l’opera terminata
nel tempo convenuto; onde fu invocato tutto il braccio della Città di Milano
per costringere gli immediati esecutori ad essere fedeli ai propri impegni
intanto che il Meda si andò preparando alla presentazione dei piani delle altre
opere cadenti su tutta la linea della nuova navigazione dal Lago di Como
all’imboccatura del Naviglio della Martesana.
Alla
primavera del 1592 i lavori all’Adda sono stati riattivati, ma essi non
progredirono coll’ardore della prima campagna, mentre alla metà di quell’anno
l’appaltatore generale Vallezzo aveva già inoltrata una supplica alla Città di
Milano per ottenere una protrazione di termine dei lavori ed un aumento di
prezzo per opere addizionali eseguite dietro nuovi perfezionamenti del progetto
del Meda suggeriti nel corso dei lavori stessi. Tale supplica venne rigettata
dalla Città di Milano colla protesta de’ danni al Vallezzo e con un’intimazione
all’ingegner Meda per la convenzione che lo riguardava direttamente. In seguito
a ciò l’ingegnere Barca ha cercato ogni mezzo per incagliare la direzione dei
lavori finchè fu liberato dal suo impegno di sigurtà per il contratto del
Vallezzo colla sostituzione dell’ingegnere Alessandro Bisnati, il quale fin
d’allora dev’essere stato non altro che una persona sommessa dell’ingegner
Meda, dacchè essendo questi caduto ammalato in mezzo alle sue gravi
occupazioni, si servì del Bisnati anche per la direzione dell’opera. La Città
di Milano non tardò poscia a sospendere la somministrazione di danaro, per cui
l’impresa Vallezzo non fu spinta più colla forza e coll’ordine che si
richiedevano; ma dopo un esatto rendiconto delle spese fatte sin allora dalla
Città colla verificazione dello stato dei lavori per parte della Città stessa,
fu decisa la continuazione dei pagamenti al Vallezzo nella modalità convenuta,
ed ordinata l’esecuzione delle varie opere lungo l’Adda prescritte dai progetti
e dai disegni del Meda e comprese nell’appalto.
All’apertura
della stagione nel 1593, per approfittare dello stato d’acque basse del fiume
Adda, i lavori dell’impresa per qualche tempo si estesero realmente su tutta la
loro linea sotto la direzione dell’ingegner Meda che si era riavuto della sua
malattia; ma per altra parte venne in quell’inverno un gelo straordinario ad
accrescere le sventure dell’impresa. I muri degli edifici e le ripe del canale
in costruzione ne furono intaccati; cosicchè invece di far progredire l’opera
si dovette in quell’anno consumare molto tempo e danaro nel riparare ai guasti
avvenuti. Il Vallezzo rinnovò allora l’istanza presso la Città di Milano onde
ottenere l’assicurazione di un’aumento di prezzo; ma ciò non essendo stato
accordato neppur quella volta, l’impresa della navigazione dell’Adda fu
abbandonata tutta alle spalle dell’ingegner Meda. In tale stato di cose non
disperava ancora il Meda di dare ultimata l’opera entro un qualche anno; ma
altre cagioni di una natura diversa fecero svanire ben presto anche questa
fiducia. Le opere fatte intraprendere lungo l’Adda dalla Città di Milano sotto
la direzione dell’ingegner Meda divennero il soggetto di mille quistioni, in
ciascuna delle quali la persona del direttore dei lavori a dritto o a torto
veniva sempre implicata ed additata all’odio comune. La strada per l’alzaia
disegnatavi dal Meda in parte sulla sponda sinistra onde procurare il minor
dispendio alla Città di Milano fu considerata come un alto affare di Stato fra
il Milanese ed il Veneziano. E finalmente le sollevazioni suscitate ad ogni
momento fra gli operaj dell’impresa, favoriti nei loro eccessi
d’insubordinazione dalla stessa località disabitata e posta sopra un confine
dello Stato, misero il Meda nella necessità di chiedere la continua assistenza
della pubblica forza per tenerli all’ordine, non che la licenza di portar le
armi per difesa della propria persona. In mezzo a tutte queste emergenze le
opere sul fiume Adda e sul canale di deviazione del Meda non erano ancora
prossime alla loro perfezione verso la fine di quell’anno 1595; anzi i lavori ai due grandi sostegni si trovavano ancora più vicini al loro
principio che alla loro ultimazione.
Ne’ primi
mesi dell’anno 1594 era già deposto il pensiero di dare aperta a un tratto la
navigazione dell’Adda continuata dal Lago di Como al Naviglio della Martesana,
e tutti gli sforzi si rivolsero a rendere praticabile almeno una navigazione
interrotta coll’uso di un traghetto di terra al luogo del canale in
costruzione. In breve tempo il fiume Adda fu allora realmente abilitato ad una
tale navigazione, per la quale la Città di Milano non volendo aspettare in
eterno la risoluzione della lite coi possessori bergamaschi, si determinò di
far eseguire sulla destra ripa del fiume tutta la strada dell’alzaia, cui
l’economia del progetto aveva dianzi suggerito di trasportare in parte alla
ripa sinistra; ma la natura del terreno smosso e cavernoso di quella costa
dell’Adda, su cui si stava costruendo il canale di deviazione, si manifestò con
diverse rotture ai muri che formavano argine verso il fiume anche in
quell’epoca che si trovavano esposti esternamente alla sola azione delle
pioggie e delle altre meteore. Questo adunque fu un nuovo passo retrogrado
dell’impresa del Meda all’Adda, che oltre il danno della spesa per il
necessario riparo arrecò un generale timore negli animi sul buon esito degli
ulteriori sforzi per compire l’opera; timore che venne anche accresciuto dagli
ingegneri spediti dalla Città di Milano alla visita dei lavori. Difatti questi
ne’ loro rapporti non esitarono ad attribuire ogni disordine avvenuto a quei
lavori a puro difetto o di piano o di esecuzione, e perciò in ogni caso a colpa
del direttore. D’altronde il tempo trascorso nei lavori ed il danaro pagato
dalla Città di Milano a conto dell’opera avevano a quell’epoca sorpassati i
limiti strettamente convenuti. Di qui è che la Città di Milano invece di far
spingere colla massima desiderabile velocità i travagli sino alla loro
perfezione, come faceva d’uopo per non avervi ad incontrare i danni di una
cessazione di lavori ad opera imperfetta, pensò allora piuttosto ad intentare
regolarmente la lite contro il Meda per essere indennizzata dei danni
provenienti dalla sua cattiva direzione e dai difetti d’esecuzione dell’opera
convenuta. Per questa lite il Meda non solo non abbandonò il posto dei lavori;
ma dividendo le cure della loro direzione coll’ingegnere Alessandro Bisnati,
potè vedere verso la fine dello stesso anno 1594 praticata in qualche modo la
navigazione dell’Adda col traghetto di terra intermedio. Tuttavia richiedendo
questa già per se stessa alcuni anni di tempo ond’essere frequentata nel
massimo grado di cui fosse suscettibile; non potendo convenire gran fatto sopra
gli altri ordinari trasporti di terra a motivo della sua interruzione al luogo
del traghetto, dovendo essere fin allora incomoda anche per la ragione che la
Città di Milano non aveva ottenuto il diritto di sistemare a suo talento gli
edifici posti sulla sponda sinistra del fiume appartenente allo Stato Veneto,
tutto lo scredito che a quell’epoca doveva avere nel commercio la imperfetta
navigazione dell’Adda fu aggiunto come un nuovo aggravio al Meda nella vertenza
fra lui e la Città di Milano. Finalmente gli sforzi del Meda e del Bisnati per
ottenere obbedienza dai giornalieri impiegati nella continuazione dei lavori
trascinarono ora l’uno ora l’altro in processi criminali, da cui non si
liberarono che dopo alquanti mesi di prigionia.
Durante
un simile stato di cose i lavori ai due grandi sostegni dei canale del Meda e
degli altri punti della linea progredirono ancora, sebben lentamente a norma
de’ mezzi economici disponibili, negli anni 1595, 1596 e 1597.
Verso il
principio del 1598 si è poi pensato di esperimentare un primo pezzo del canale
in costruzione coll’introdurvi dal fiume l’acqua necessaria, e ciò anche nella
vista di accorciare al commercio il traghetto di terra che impediva più d’ogni
altra cosa alla navigazione dell’Adda di rendersi molto attiva. Serrata quindi
la chiusa di derivazione sul fiume ed aperta invece l’imboccatura del canale al
passaggio dell’acqua, venne questa estesa sino al luogo stabilito. L’esito di
un tale esperimento non fu infelice in apparenza per qualche tempo, in cui
dev’essere stata praticata la navigazione di quel primo pezzo di canale; ma
sopravvenute diverse straordinarie piene al fiume, si palesarono subito alcuni
movimenti nel terreno sottoposto al canale, che produssero abbassamenti e
rotture agli argini ed al fondo e furono di conseguenza maggiore dei guasti
avvenuti nel 1594. Allora fu attribuita generalmente la sventura accaduta alla
precipitazione dell’esperimento ed ai difetti di quel primo pezzo di canale
dietro i rapporti degli ingegneri spediti dalla Città di Milano alla visita del
fatto. Ancorchè fra questi si trovassero alcuni nemici personali dichiarati del
Meda, come lo erano un Barca ed un Rinaldi, quel direttore dei lavori fu
costretto a sentire con nuova prigionia e con nuove malattie gli effetti
dell’odio loro combinati con quelli della natura del terreno alla costa
dell’Adda. Seguita appena tale rovina al canale in costruzione, la Città di
Milano vi avrebbe abbandonato subito ogni lavoro per timore di gettarne inutilmente
le spese; ma l’idea di rendere utili le grandi spese già fatte prevalse ancora
a quell’epoca in cui la Città di Milano aveva finalmente ottenuto il diritto di
poter adattare la sponda sinistra dell’Adda ad una comoda navigazione di questo
fiume. Quindi fu ordinato a Francesco Romussi ingegnere della Città di Pavia e
della Regia Camera di recarsi in visita dei lavori all’Adda e di riferire sul
loro stato e sulla possibilità di eseguire le opere mancanti per ottenere i
vantaggi sperati della libera e continuata navigazione dal Lago di Como al
Naviglio della Martesana.
L’ingegnere
Romussi eseguì la sua visita nel marzo del successivo anno 1599, e nella sua
relazione a stampa 7 maggio dello stesso anno dichiarò quasi perfetti i lavori
in muro al canale di deviazione; non fece caso dell’altrui suggerimento di
sostituire all’arcopiatto di pietra
un sistema di legnami per coprire l’intervallo fra la cresta dei portoni e la
fronte dell’arcone nel castello del
Meda, e combinò pienamente nelle altre idee del Meda per riguardo alle
fabbriche de’ suoi due grandiosi sostegni, a cui mancavano a quell’epoca le
sole opere in legno come portine, portoni ec. per essere servibili al loro uso.
Parimente non propose il Romussi alcuna variazione allo sbocco dello stesso
canale ed ai progetti dei lavori che restavano da ultimarsi o da eseguirsi
lungo il fiume Adda per rendervi la navigazione più comoda. Intorno all’incile
ed alla prima tratta di quel canale suggerì il Romussi alcune poche
modificazioni ed aggiunte onde evitarvi ogni timore sopra difetti di sfogo
nelle piene o pericolo d’interrimento all’imboccatura. In generale poi il
Romussi giudicò l’opera del Meda riuscibile e durabile quando fosse stata una
volta ultimata e perfezionata sopra il proprio disegno. Di seguito fu incominciato
a riparare il guasto del canale sotto la direzione dell’ingegnere Bisnati che
era rimasto presso i lavori durante la prigionia e la malattia del Meda; ma
intanto quest’ultimo, processato per imputazione che avesse defraudata la Città
di Milano nei progetti e nella costruzione dell’opere per la navigazione
dell’Adda, poco dopo essere stato rilasciato da prigione, è morto verso
l’agosto di quell’anno in mezzo alla causa civile pei debiti da lui contratti
colla Città medesima per quella sua mal’augurata impresa che non ha potuto
vedere finita.
Possa
almeno la memoria del suo progetto per la navigazione dell’Adda farlo
distinguere come ingegnere in faccia alla più remota posterità! E possa la
rimembranza della sua avversa sorte farlo annoverare fra quei tanti italiani
che nei passati secoli hanno sagrificato alla pubblica utilità ed alla patria e
ingegno e beni e vita!
Alla
morte dell’ingegnere Meda fu eletto dalla Città di Milano il suo aiutante
Bisnati a direttore dei lavori per la desiderata perfezione dell’opera; ma in
seguito a nuove piene avvenute al fiume Adda nell’autunno del suddetto anno
1599 vi si manifestarono nuovi movimenti del terreno della costa che produssero
nuovi guasti al canale dianzi riparato; motivo per cui la Città di Milano si
determinò a far cessare l’attivata navigazione in una prima tratta di canale ed
a far rimettere questo all’asciutto colla costruzione di una chiusa
attraversante la sua imboccatura per risparmiargli ulteriori rovine. La
speranza poi di riuscire con nuovi sforzi nella ultimazione di un’opera che era
divenuta il segnale di continue sciagure si può dire che fin da quel momento
fosse generalmente svanita; ma fu allora appunto che Guido Mazenta, uno dei 60
del Consiglio generale della Città di Milano, si fece interprete dei sentimenti
di chi amava di fare qualche nuovo sagrificio di spese per non perdere
inutilmente un lavoro già vicino a divenire una delle principali ricchezze
dello Stato. Egli divisò di richiamare coll’eloquenza tutti i rappresentanti della
Città di Milano al partito più ragionevole e di persuadere che Milano tutta
unita non doveva sgomentarsi ad eseguire quello che un cittadino suo solo con
le private sue forze ha voluto ridurre a perfetione. Il Mazenta in quella
circostanza ha anche parlato del modo più convenevole per ottenere una tal
perfezione dell’opera, ed ha azzardata la sua opinione sul progetto del Meda.[10]
Riteneva
primieramente il Mazenta poco felice la scelta del luogo della chiusa di
derivazione fatta dal Meda in una sezione del fiume Adda delle più ristrette, e
poco sicuro l’esito della stessa chiusa disegnata ed eseguita di un’altezza
assai rilevante. Pensava inoltre che per conseguire il miglior effetto da una
di tali chiuse per la presa dell’acqua non bastasse il disporla di figura
particolare in linea obbliqua al filone del fiume e formante imboccatura al
canale; ma voleva che essa dovesse costruirsi più precisamente in linea
continuativa con quella dell’argine risultante fra l’incile del canale ed il
fiume. Quest’argine poi si prescriveva dal Mazenta indispensabilmente munito di
un travacatore esteso quanto quello del Naviglio della Martesana che resta
attiguo alla sua chiusa di derivazione. In conseguenza poi di questi principj
propose il Mazenta l’abbandono della grandiosa chiusa fabbricata dal Meda
dissotto della sezione detta i Tre Corna sull’Adda e la costruzione di una
nuova chiusa in altro sito superiore e dietro le norme da lui adottate. Circa
al letto del canale, volendo premunirsi maggiormente contro i movimenti ed i
guasti cagionati dalla spinta delle acque fluenti per strade sotterranee, si
ridusse il Mazenta a progettare di ricostruirlo in alcune tratte bastantemente
solido e colle fondamenta che arrivassero fino al livello del pelo d’acqua del
vicino fiume Adda. In generale però anche il Mazenta ha approvato il progetto
del Meda nelle altre sue parti e specialmente nella forma particolare de’ suoi
grandi sostegni, dai quali ei si prometteva tuttavia una buona riuscita ad onta
della prevenzione sparsa in contrario nel pubblico.
Continuando
ora nei dettagli storici del canale del Meda, il discorso del Mazenta scritto
in uno siile tumido e soverchiamente immaginoso deve aver fatta qualche
impressione sugli animi dei rappresentatiti della Città di Milano, se troviamo
subito dopo rinnovato al Bisnati l’ordine di attendere alla continuazione dei
lavori per la ultimazione del canale del Meda. Veramente il Bisnati non adottò
alcuna delle modificazioni proposte dal Mazenta o da altri che fosse
essenzialmente contraria al progetto del Meda; ma poi abbracciò la prima
riforma già suggerita al Meda stesso al Romussi e ad altri periti, quella cioè
di accrescere i mezzi di sfogo delle acque del canale al suo incile e di
regolamento della giusta presa d’acqua per la sua navigazione in tutti gli
stati del fiume. Si può aggiungere che a tale effetto fra i ripieghi possibili,
e invece del più ovvio che sembrava quello di moltiplicare all’uopo i
travacatori ed i scaricatori a paraporti lungo la linea del canale, scelse
allora il Bisnati l’altro di disegnare al suo incile un unico congegno detto la
conca-piana e poco dissimile dal
doppio ordine di porte che vi abbiamo veduto prescritto nel più antico progetto
del Missaglia e degli altri ingegneri sunnominati. Più propriamente doveva
avere questa conca-piana una specie
di bacino che, invece di staccare come in due tronchi il fondo del canale col
solito salto intermedio dei sostegni, veniva formato da due ordini di porte
disposte bensì a guisa di portine e portoni ma egualmente rilevate e secondo il
bisogno colla loro cresta sopra il fondo del canale navigabile all’incile. Di
più parallelamente a questo particolare bacino doveva essere situato nella conca-piana il solito diversivo o canale
scaricatore munito verso l’estremità inferiore di ampi paraporti e detto dal
Bisnati il canale del soccorso dalla
consimile collocazione e denominazione fissata dal Meda ad un importante pezzo
del suo castello. Per tal modo nei
tempi di magra e di acque ordinarie del fiume Adda, stando aperte le porte del
bacino della conca-piana e richiusi
invece i paraporti del suo laterale canale
del soccorso, la presa d’acqua per il canal navigabile si sarebbe venuto a
farla ancora come si dice a bocca libera, e la conca-piana in questi casi sarebbe restata fuori d’uso. Verificandosi
poi qualche piena del fiume, le acque esuberanti introdotte in canale, invece
di percorrerlo sino ai travacatori e scaricatori a paraporti situati sulla
sponda del canale a molta distanza dall’incile, si sarebbero più facilmente
arrestate nel loro corso e smaltite più dappresso all’incile coll’uso della conca-piana. Questa difatti facendole
rigonfiare superiormente alle porte insteccate del bacino, e sfogandole
lateralmente coi paraporti dell’annesso canale
del soccorso, vi avrebbe servito in tal caso di un vero sostegno di forma
pressocchè ordinaria. Ma in tutto il resto di quell’anno 1599 non è però stato
appaltato lavoro di sorta per l’avanzamento del canale del Meda, e quindi
nemmeno in riguardo della conca-piana
del Bisnati.
Nel
successivo anno 1600 gli ingegneri Alessandro Bisnati, Dionigi Campazzo ed
Ercole Turate vennero pure delegati dalla Città di Milano a rilevare di comun
concerto lo stato preciso del canale all’Adda colla descrizione e stima delle
opere di perfezionamento e di ristauro per renderlo utile. In tale circostanza
si proposero definitivamente tutte le idee di miglioramento al piano del Meda
che si erano presentate dietro nuove riflessioni d’arte e dietro l’esperienza.
Così fu stabilito di prolungare alquanto alla estremità destra verso l’incile
del canale la chiusa di derivazione eretta sul fiume Adda, onde ridursi a
ricevere in canale in tempo di piene una minor altezza d’acqua a proporzione
del ristringimento del suo incile. La fabbrica della conca-piana fu ritenuta utile affine di allontanare ogni pericolo
di debordo delle acque dal canale all’evenienza di qualche sinistro accidente,
per il quale una piena vi avesse ad introdursi. Si è inoltre approvato ed
adottato l’alzamento delle sponde del canale del Meda in alcune tratte. Si è
avuta anche l’idea di abbandonare per qualche altra tratta di canale l’alveo
che aveva sofferto dalle rotture degli anni 1598 e 1599, e di internarsi con
nuovo pezzo di canale alla destra del rovinato nella costa più distante dal
fiume in traccia di un terreno più sodo e fermo. Del resto anche allora si è
deciso di conformare al piano del Meda la sistemazione del canale, e
specialmente le opere tuttavia mancanti ai suoi edifici da sostegno e di
presidio allo sbocco. Soltanto nell’ipotesi poi che col tempo e coll’esperienza
si avesse da concepire ragionevolmente qualche timore sull’uso di un salto
immediato di circa met. 18 pel sostegno più vicino allo sbocco del canale, si è
passato a far riflettere che sarebbe stato sempre possibile e facile il diminuire
di qualche metro quel salto, elevando la sua soglia inferiore e lasciandovi di
sotto a questa una seconda caduta per un semplice ordine di porte insteccate
detto la mezza-conca da aggiungersi
precisamente allo sbocco del canale. Questa mezza-conca
sarebbe riuscita fuori d’uso in tempo di piena del fiume come non necessaria
per il passaggio della navigazione, e nei tempi di acque mezzane e basse del
fiume, restando essa prossima all’altro superior sostegno del Meda, sarebbe
venuta a formarvi sulla linea di navigazione dal Lago di Como a Milano un
esempio de’ sostegni a tre ordini di porte accoppiate di seguito con due salti
intermedi, e più comunemente conosciuti sotto il nome di sostegni accollati. Ma anche quell’anno non si è
posta mano ad alcun lavoro di considerazione intorno al canale del Meda; anzi
l’ammontare della stima per le spese di tutte le opere proposte essendosi
trovato di troppa rilevanza in confronto dei mezzi disponibili all’istante
dalla Città di Milano, si è deposto fin d’allora il pensiero di farle eseguire
tutt’a un tratto, e si è pensato invece a farne intraprendere immediatamente la
parte che abbracciava l’edificio della conca-piana
all’incile e degli altri lavori prescritti nella relazione Bisnati, Campazzo e
Turate all’oggetto di rendere prontamente perfezionata e servibile per la
navigazione la prima tratta di canale del Meda dianzi esperimentata ed usata.
Eseguiti
poi realmente sotto la direzione del Bisnati per la fine dell’anno 1602 questi
lavori alla prima tratta del canale del Meda, si è passato a disporre ogni cosa
per ridonarvi l’acqua. Tale sperimento è stato fatto sul principio del 1603 ed
ebbe felice successo, per cui le navi che discendevano per l’Adda dal Lago di Como
poterono estendere nuovamente il loro viaggio nel pezzo di canale riadattato
alla comoda navigazione; ma ecco finalmente a che si riduce l’esito del canale
del Meda per la navigazione dell’Adda, mentre per ragioni di economia la Città
di Milano non vi ha più fatto continuare nei successivi anni l’esecuzione delle
opere residue. Quella prima tratta di canale ultimata ed usata, trovandosi
sopra di un confine dello Stato abbandonata a sè stessa, fu ben presto cagione
di ruberie e rotture continue, e nel tempo stesso i possessori della costa
dell’Adda non lasciarono con impedimenti d’ogni genere di sturbare il sistema
del letto di questo fiume reso dianzi in qualche modo navigabile e di
sostituirvi le loro opere private dirette a tutt’altro che alla navigazione.
Successivamente
e in occasione che nel 1617 fu spedito dalla Città di Milano l’ingegnere
Bisnati un’altra volta in visita dello stato del fiume e del canale, egli
stesso, vedendo svanita del tutto la speranza di mettere mano alla perfezione
dell’opera entro poco tempo, ha dovuto proporre, per evitarvi ulteriori guasti
e ruberie, di levare nuovamente l’acqua al canale col richiudere la sua
imboccatura, di vendere tutti i residui materiali di provvisione e di mantenere
soltanto la navigazione dell’Adda coll’uso del traghetto di terra esteso a
tutta la linea del canale del Meda. Essendo poi state ordinate tutte queste
disposizioni del Bisnati, vennero puntualmente eseguite per ciò che riguarda
l’abbandono della tratta di canale e della vendita de’ materiali di costruzione
preparati sul luogo de’ lavori; ma non è passato molto tempo che per incuria
degli uomini, per le guerre in paese e per le vicende del governo civile del
Milanese si è anche perduta ogni navigazione dell’Adda stabilita in quel
secolo.
La posteriore
risoluzione di ritentarla se non fu più quella di un semplice privato o della
sola Città di Milano, fu bensì quella del Governo dello Stato e delle sue
popolazioni più interessate. Così troviamo specialmente che nell’anno 1679 il
Magistrato delle acque venne informato dell’intenzione governativa di far
eseguire la ristaurazione ed il compimento del canale del Meda, già denominato
sin d’allora Naviglio di Paderno dal nome di un vicin villaggio, sotto la
direzione dell’ingegnere olandese Cornelio Meyer che dimorava di quell’epoca a
Roma. Quel Magistrato assecondò in tale occasione le viste e le intenzioni del
Governatore col delegare dal canto suo l’ingegnere camerale Giovanni Sebastiano
Robecco a visitare ed a riferire sullo stato del canale abbandonato e sul mezzo
più opportuno per renderlo utile; ma anche quella volta la circostanza delle
guerre sopravvenute mandò a monte e la incombenza del Meyer ed il rapporto del
Robecco. Ne’ successivi intervalli di tempi pacifici i primi a mettere
nuovamente in campo l’idea della navigazione dell’Adda furono le Comunità e gli
abitanti dei dintorni del Lago di Corno, e specialmente quelli del ramo di
Lecco, che dimandarono nel 1698 al Governatore dello Stato la ristaurazione
delle due conche dell’antico Naviglio di Paderno per passare colla navigazione
dal Lago di Como a Milano. Avendo però il Governatore di quell’epoca occupato
qualche anno di tempo nel riandare tutta la storia del progetto ordinato allo
stesso effetto dal suo antecessore, è arrivata una nuova guerra a troncare ogni
discorso di tal natura; talchè alla fine del secolo 17.o la
navigazione dal Lago di Como a Milano era ancora interrotta per tutta l’estesa
tratta di fiume Adda dal paese di Brivio all’imboccatura del Naviglio della
Martesana.[11]
[1] V. nel succit. arch.
gen. di Gov. una lettera magistrale del 1557 diretta alla città di Milano per
quest’oggetto.
[2] V. Settala, Relaz.
succit. del Naviglio della Martesana.
[3] V. la stessa denunzia
fra le carte del suddetto arch. gen. di Gov.
[4] V. Settala, Relaz.
succ. del Naviglio della Martesana. V. fra le carte dell’arch. gen. di Gov. i
privilegi accordati alla città di Milano per l’esecuzione dell’opera della
navigazione dell’Adda.
[5] V. Settata, Rel.
succit.
[6] V. idem.
[7] V. le carte del
Naviglio di Paderno nei succit. arch., e specialmente i capitoli stampati per
l’appalto della navigaz. del fiume Adda.
[8] V. i succit. capitoli
per la navigaz. dell’Adda.
[9] V. le carte del Navig.
di Paderno nell’arch. Ferrari succit.
[10] V. il succ. Discorso
stampato di Guido Mazenta intorno il far navigabile il fiume Adda.
[11] V. fra le carte de’
succit. archivio Ferrari ed archivio generale di Governo tutte quelle relative
al Naviglio di Paderno dei secoli 16.o e 17.o
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