CAPO II.
NOTIZIE STORICHE DEL
SECOLO DECIMOTTAVO.
Trascorsi
i due secoli 16.o e 17.o senza che le circostanze del
Milanese abbiano permesso di ridonare od aggiungere stabilmente alcuno dei due
Canali di Paderno e di Pavia al suo sistema di interna navigazione. Accresciuta
intanto nella stessa provincia italiana di ingegnosi e di arditi tentativi
l’arte dei canali navigabili, quelle due opere vi erano riservate a fissare il
carattere de’ tempi a noi più vicini. Questi, ad onta di tutte le umiliazioni
delle menti in confronto dell’antica gloria nazionale, si distinguevano pure
per l’amore della moderna scienza delle acque correnti sparso nel mondo dagli
insegnamenti degli idraulici italiani, e per lo spirito di sana economia
politica che anche in Italia fece generalmente risguardare le macchine come una
delle principali risorse conducenti alla prosperità delle nazioni, ed i canali
navigabili come il sistema delle macchine applicato alle strade.
Al
principio del passato secolo sopravvenne però un grande ostacolo al
conseguimento dello scopo nelle guerre per la successione alla monarchia
spagnuola. Diventato il Milanese uno de’ principali teatri di queste guerre fin
verso la metà dello stesso secolo non si ebbe nemmen campo di ripararvi
abbastanza i disordini arrecati dalle ingiurie di ogni maniera ai canali
navigabili preesistenti. Così per il Naviglio della Martesana le variazioni
avvenute principalmente al suo incile ed al suo sistema di paraporti e
scaricatori esposero la città di Milano e le sue più fertili campagne a sentire
di frequente insieme ai benefizi della navigazione artificiale gli effetti
delle piene di fiumi e torrenti lontani, posti in comunicazione con quel canale
navigabile. Così ancora non essendo sempre state riparate opportunamente le
diverse opere di presidio alle sponde del Ticino dissopra dell’imboccatura del
Naviglio Grande, quel fiume non vi ha risparmiato qualche rovina, e variatavi
in conseguenza la direzione e la tendenza tanto felicemente colpite dal Meda,
si è esso aperto qualche sfogo anche nel corpo di quella gran chiusa di
derivazione, come avremo occasione di far rimarcare in seguito.
Passato
successivamente il Milanese dal lungo dominio spagnuolo al dominio austriaco e
ridonato alla pace sotto Maria Teresa, è stato subito un grande oggetto delle
cure del Governo quello di conservarvi il sistema di navigazione-interna che si
è ritrovato, e di farvi rinascere le speranze di miglioramento sfumate davanti
ai due secoli anteriori. Ma per inoltrarci a parlare con qualche ordine dei
progetti e delle opere che sostennero l’onore del paese da quella Sovrana in
fino al principio del presente secolo, ci è pur forza distinguere in due
separati paragrafi anche questo secondo capitolo di notizie storiche sulla rete
di navigazione-interna del Milanese, considerandola composta di laghi, fiumi e canali
che entrano a formare due linee principali di navigazione da cui dipendono
tutte le altre.
§ I.
Sulla
navigazione dal Lago di Como a Milano.
L’idea
di aprire la continuata comunicazione per acqua da Milano al Lago di Como per
mezzo del fiume Adda è bensì rinata nel Milanese verso la metà dello scorso
secolo. Essa però non vi è stata accolta da una sol voce di approvazione,
specialmente pel timore che l’opera potesse riuscir dannosa agli interessi
particolari della Città dì Como colla deviazione del suo commercio di terra.
Anzi per evitare il temuto pericolo da questa Città del Milanese sono state
rinnovate sotto gli Austriaci le pratiche esaurite dianzi sotto i Francesi e
sotto gli Spagnuoli, ed inoltre si ebbe anche ricorso al partito di fare una
diversione al progetto della navigazione dell’Adda col proporre al Governo
l’unione del Lago di Como con Milano per mezzo di un canale di navigazione
tirato direttamente dall’una all’altra città. I rappresentanti della Città di
Milano per far sentire la difficoltà di una tale proposizione si limitarono
allora ad ordinare la ristampa del libretto di Carlo Pagnani, che contiene
qualche cenno in confutazione del Canale di Como unitamente al dettaglio
storico del progetto della navigazione dell’Adda tentata al principio del
secolo 16. I fermieri del Milanese
poi, regolando le acque pubbliche della provincia ed usando del fiume Adda per
far discendere galleggianti molti legnami d’opera bisognevoli alle loro
imprese, si trovavano più di tutti in circostanze di apprezzare l’importanza di
un facile e continuato barcheggio sul fiume Adda dal Lago di Como
all’imboccatura del Naviglio della Martesana. Quindi un primo piano di
quest’opera disteso dall’ingegnere Francesco Antonio Rusca da Lugano fu
accompagnato nel 1768 da un fermiere
al Conte Cristiani in allora Ministro plenipotenziario a Milano.
Per
schivare la tratta del fiume Adda sotto Paderno, che si trovava assolutamente
impraticabile ad ogni navigazione, progettava anche il Rusca di costruire un
nuovo canale di deviazione. Questo era da lui disegnato sulle tracce del piano
approvato ai tempi più addietro, sotto il Re Francesco, per ciò che riguarda la
chiusa di derivazione, l’incile e la linea del canale dal Sasso di S. Michele
sino ad arrivare in vicinanza del luogo detto la Rocchetta. Esso doveva avvicinarsi
di più al sistema di quello del Meda nella distribuzione dei sostegni verso il
luogo dello sbocco; difatti lateralmente alla Rocchetta il primo e men grande
sostegno del Meda secondo il Rusca doveva esservi ristaurato, compito ed
adattato agli usi del nuovo canale. Più sotto il secondo e grandioso sostegno
del Meda doveva essere ridotto alla metà circa della sua originaria altezza, e
con l’inoltrare alquanto lo sbocco del canale nel fiume inferiormente alla
Rocchetta si doveva dar luogo alla fabbrica di un sol terzo sostegno per
consumarvi la residua caduta.
Un tale
progetto, la cui stima per le spese si faceva ascendere a fiorini 577 m., venne
appoggiato dal Governo di Milano e spedito alla Corte di Vienna verso la
stessa, epoca, in cui da una parte gli abitanti della riviera del Lago di Como
sottoscrissero una nuova petizione diretta ad ottenere la desiderata
navigazione dell’Adda, e dall’altra la Città di Como aveva replicate le sue
opposizioni e riproposto il canale di navigazione da tirarsi direttamente da
Como a Milano.
Intanto
la circostanza che il Lago Maggiore ed il Ticino divennero linea di confine del
Ducato di Milano, in forza dei trattati fra le Corti di Torino e di Vienna,
servì a favorire indirettamente il progetto della continuata comunicazione per
acqua dal Lago di Como a Milano. Difatti dopo l’acquisto dell’alto e basso
Novarese fatto per parte del Re di Sardegna il commercio di transito fra
l’Italia ed i paesi d’oltremonte, attirato dall’industria di alcuni negozianti
assecondata da facilitazioni finanziere, si è aperto una nuova strada sulla
direzione della sponda novarese del Lago Maggiore per passare dal Mediterraneo
alla Svizzera senza neppur toccare le provincie italiane soggette al dominio
austriaco. L’esito di questa operazione commerciale fu anche assicurata dacchè
la nuova strada venne a decorrere lungamente sopra il solo Stato Sardo, mentre
quelle del Milanese non potevano più schivare o lo stesso Stato sulla direzione
da Pavia a Genova od altri Stati sulla direzione del Po per arrivare ai porti
del Mediterraneo. Quando poi si trattò di richiamare al Milanese il commercio
che si era portato a battere la nuova strada al di fuori di questa provincia
gli sforzi dovettero rivolgersi principalmente ai progetti di vieppiù facili comunicazioni
da aprirsi nel seno di essa. La considerazione pertanto che la navigazione
dell’Adda potesse riuscir utile all’oggetto speciale del succitato richiamo, ha
reso molto più interessante presso il Governo di Milano il progetto del Rusca.
Le altre considerazioni particolari che allora influirono a far sostenere il
discorso della navigazione medesima sono: la convenienza del Governo austriaco
di avere per essa aperta e libera una comoda strada dagli Stati germanici verso
il centro della Lombardia; e la necessità di non lasciare esposto il Milanese a
perdere in caso di guerra l’esteso commercio di un’unica comunicazione per
acqua dalla capitale a’ suoi laghi superiori, com’era fatalmente già avvenuto[1]
e come poteva verificarsi altre volte colla forzata diversione delle acque del
Naviglio Grande dal proprio letto.
Risoluta
per tutto ciò la Corte di Vienna di coltivare l’idea della navigazione
dell’Adda, passò ad ordinare al proprio ingegnere e generale Roberto Spalart di
portarsi in visita della località, e quindi riferire il suo sentimento sulle
opere progettate per aprire la desiderata comunicazione. La visita fu eseguita
dallo Spalart in compagnia dell’ingegnere camerale Dionigi Maria Ferrari delegato
per parte del Governo di Milano.
Nella
relazione di quel generale austriaco si riproponeva il progetto del Rizzo, di
fare cioè varie grandiose chiuse attraverso il Fiume Adda e di fabbricarvi a
fianco vari sostegni corrispondenti, preferendo la forma di quelli così detti accollati, per renderlo navigabile nella
tratta suddetta dal Sasso di S. Michele a quello della Rocchetta. Sotto al
Castello di Trezzo lo stato antico del fiume Adda essendo assai alterato pei
scogli caduti dalle laterali alture si lasciava in dubbio se vi si potesse
evitare la fabbrica di una chiusa e di un laterale sostegno per continuarvi la
navigazione. Nel caso però che la spesa per quest’opera si fosse trovata
indispensabile, consigliava lo Spalart di ridursi a farla più abbasso, cioè
all’imboccatura del Naviglio della Martesana; stimando egli di poter ivi con
tali opere provvedere a diversi fini e specialmente a quelli di continuarvi la
navigazione per una tratta inferiore di fiume Adda, rendervi men difficile in
tutti gli stati d’acque il passaggio delle barche dal fiume nel canale e
viceversa, e distribuirvi a proprio talento da quel punto le acque dirette
verso Milano e verso Lodi.
Al
rapporto Spalart tenne dietro in Milano la presentazione di altro rapporto
corredato di disegni del succitato ingegnere camerale Dionigi Maria Ferrari.
Questi dal canto suo dopo avere descritto minutamente lo stato del fiume Adda e
dell’abbandonato Canale di Paderno passava a proporre di procurare la
desiderata navigazione col riaversi a ristaurare ed ultimare tutte le opere
dell’ingegnere Meda. A maggiore schiarimento il Ferrari ha anche accompagnato
in quell’occasione al Conte De Firmian in allora Ministro plenipotenziario a
Milano le copie autentiche di alcune delle principali scritture relative alla tentata
navigazione dell’Adda che si conservarono presso la famiglia di
quell’architetto.
Arrivate
tutte le succennate pezze nelle mani del Principe Kaunitz a Vienna, questo
Ministro di Maria Teresa prese a favorire in particolar modo il progetto della
navigazione dell’Adda; e la guerra insorta a quell’epoca fra la Polonia e
l’Austria venne bensì a sturbare per alcuni anni tale pacifico oggetto, ma non
bastò a farlo perdere interamente di vista. Il generale Spalart richiamato
allora a Vienna, attese di là a presentare a Kaunitz ulteriori riflessioni sul
progetto della navigazione dell’Adda; e quando nel 1767 il Governo di Milano ne
richiese le superiori determinazioni, ebbe in risposta dal Kaunitz una lettera
molto lusinghiera per gli interessi del Milanese. Tanto poi il Conte De Firmian
quanto quel Principe avevano avuto campo di persuadersi «che senza la
collisione dei privati interessi, i quali per disgrazia dell’umanità fanno
quasi sempre la guerra al pubblico bene, si avrebbe condotta a fine un’opera tanto
importante per lo Stato almeno nel tempo che bolliva ed era in moto tale idea.
In tutti i tempi e in tutti i paesi, soggiunse allora specialmente il Kaunitz,[2]
si sono veduti spesse volte i fiumi obbedire all’industria degli uomini
eccitati e sostenuti da Principi, de’ quali la mente vasta ed intraprendente
eguagliò il loro amore per i popoli. Ma la grande difficoltà consiste nella
spesa, e questa io credo essere stata la cagione principale per cui
l’esecuzione del progetto restò sempre incagliata, e si volle piuttosto perdere
il frutto del già fatto che sagrificare il rimanente per condurre l’opera a
termine» Perciò volendo di nuovo rimettere in piedi lo
stesso progetto ambedue quei Ministri non sapevano dipartirsi dalla risoluzione
che sembrava loro la più conveniente, di addossare cioè l’opera intera ad una
compagnia di abili intraprenditori mediante contratto colla Regia Camera, e di
non far contribuire direttamente alle spese «alcuna cassa pubblica dello Stato
o provinciale per la ragione che i diversi fini dei rispettivi rappresentanti
nella maniera che già avevano prodotto un ritardo di secoli al suo compimento,
avrebbero potuto non lasciarla mai terminare». Per riguardo al piano
d’esecuzione dell’opera, si è allora deciso di farlo rilevare di nuovo da una
commissione di periti composta dall’ingegnere Spalart e da ingegneri italiani
per combinare il più utile anche in vista del succennato discorso di Guido
Mazenta sul Canale di Paderno abbandonato nel secolo antecedente, discorso che
dopo essere stato smarrito per molto tempo, erasi pur dianzi rinvenuto in
Milano nella libreria dei PP. Cappuccini di Porta Orientale, e ritrovato
opposto in molti punti al progetto del Meda.
In tale
stato di cose l’intraprenditore Pietro Nosetti incoraggiato dal Firmian a farsi
capo di una compagnia per aspirare all’impresa della nuova navigazione
dell’Adda, giunse in poco tempo a riunirla, e poscia si dichiarò pronto a
corrispondere alla confidenza in lui riposta dal Governo nell’oggetto
dell’opera desiderata. Invece però di attendere da altri il progetto d’appalto,
il Nosetti fin d’allora ne distese egli stesso un abbozzo conforme al suo modo
di vedere in simili imprese. Quel primo piano Nosetti per il Naviglio di
Paderno, collimando nell’antica idea di disegnarvi la chiusa di derivazione
alla sezione del fiume Adda detta del Sasso di S. Michele, si fondava
specialmente in ciò che per un caso consimile a quello dell’Adda presso la
sezione dei Tre Corna non avendosi mai veduto a servire una chiusa di pari
altezza a quella erettavi dal Meda e poi abbandonata, non bramava Nosetti farne
la prova a proprie spese ad onta di tutti i pregi che potesse avere il partito.
Parimenti in quel primo disegno del Nosetti trovandosi distribuiti sei sostegni
sulla linea del canale, invece dei due soli di forma particolare eretti dal
Meda verso lo sbocco, ciò non si potrebbe ripetere da alcun difetto od
inconveniente riconosciuto o scoperto in questi ultimi rimasti fuori d’uso ed
abbandonati per motivi estranei al merito della loro costruzione; ma bensì dal
timore di averne a riscontrare nel loro uso, timore che non lasciava luogo ad
arbitrio di scelta in chi doveva esporsi a prendere l’opera a suo carico per
appalto ordinario. Se vi era poi una parte del progetto su cui si potesse
esercitare tutto lo studio di un ordinario esecutore per ottenere la maggior
economia compatibile colla necessaria sicurezza, era questa senza dubbio la
linea da darsi al canale fra gli estremi stabiliti del Sasso di S. Michele e
del Sasso della Rocchetta. Il Nosetti a questo riguardo ha preferito fin
d’allora di costruire la prima tratta del nuovo Canale di Paderno in vicinanza
del fiume Adda sino ad entrare nella traccia del letto dell’antico, e di
restare in mezzo alla piccola Valle della Rocchetta onde arrivare ai sostegni
del Meda, anzicchè penetrare colla linea del canale dal luogo della imboccatura
di contro al Sasso di S. Michele nella Valle di Paderno e successivamente in
altre valli sino a sboccare presso alla Rocchetta, come era stato altre volte
proposto. Finalmente un semplice ordine di porte all’imboccatura del canale ed
un sistema di travacatori o scaricatori a paraporti in sponda allo stesso
canale verso l’incile dovevano bastare, secondo il Nosetti, per regolarvi la
nuova presa d’acqua in tutti i tempi senza bisogno di avervi a rinnovare
interamente l’edificio del Bisnati, detto la conca-piana, e situato di sotto dell’antica imboccatura pel canale
del Meda.
Unitamente
a tale idea di progetto il Nosetti ha avanzato al Governo la sua prima
proposizione di dare l’opera della desiderata navigazione sicura e compiuta
entro quattro anni di tempo, e di mantenerla per due altri anni susseguenti, il
tutto per la somma di fior. 600 m., colla riserva di poter praticare ad
arbitrio la strada dell’alzaia sopra una delle due sponde del fiume Adda,
oppure per la somma di fiorini 650 m., colla strada tutta sulla sponda
milanese.
Questa
prima proposizione della compagnia Nosetti venne di seguito inviata a Vienna
colle più ampie dichiarazioni per parte del Governo di Milano in favore
dell’abilità del proponente e della garanzia de’ suoi compagni. Alla stessa
epoca altre proposizioni consimili furono fatte da altre compagnie di
intraprenditori; ma queste ultime, sopra rapporto degli ingegneri camerali,
vennero subito rigettate come inammissibili dallo stesso Governo di Milano.
Riflettendo poi alla dimanda Nosetti, assai maggiore della stima presentata
dallo Spalart negli anni precedenti, anche il principe Kaunitz da Vienna
riscontrò di voler attendere per allora il risultato della nuova visita
ordinata, alla quale soggiunse in quell’occasione di far intervenire lo stesso
Nosetti per procurarsi maggiori dilucidazioni sul merito del suo progetto.
Negli
ultimi giorni di quell’anno 1767 venne pertanto eseguita dagli ingegneri
militari Spalart e Baschiera coll’intervento del Nosetti la visita appuntata, e
ciascun membro della commissione si è riservato di presentare in iscritto le
proprie osservazioni al Governo di Milano sulla sistemazione del piano di
lavori più conveniente da adottarsi per aprire la desiderata comunicazione.
Nel
successivo anno 1768 lo Spalart presentò a Firmian la propria relazione di
visita, in cui, abbandonata l’idea di restare colla navigazione nel letto del
fiume Adda sotto Paderno, proponeva anch’egli di incominciare un canale di
deviazione dicontro al Sasso di S. Michele. Questo canale, secondo Spalart,
doveva continuarsi dietro l’antica idea per entro alla Valle di Paderno; se non
che dove l’escavazione fosse arrivata in altezza circa a metri 34, egli acconsentiva
di ripiegarne da questo punto la linea sopra quelle dell’alveo abbandonato più
dappresso alla sponda del fiume. In riguardo dei sostegni l’ingegnere Spalart
ha dichiarato in quell’occasione che non sarebbe stato nè impossibile nè
svantaggiosa cosa lo servirsi dei due di salto straordinario già eretti al
luogo della Rocchetta presso lo sbocco del canale; ma poi credeva che la
prudenza avesse giustamente consigliato agli esecutori, garanti dell’opera, di
ripartirne la caduta in un numero maggiore di salti per ridursi all’uso di
sostegni di minore altezza, come era già stato progettato al Governo dallo
stesso Nosetti. La relazione Spalart fu seguita davvicino da un Promemoria del
Nosetti diretto al Firmian in appoggio del proprio progetto. Si rappresentò in
tale circostanza, che volendo entrare colla linea del nuovo Canale di Paderno
nella valle di questo nome dietro l’idea antica e rinnovata dallo Spalart, si
andava incontro all’impegno di dover fabbricare sul fiume Adda una chiusa di
derivazione di rilevante altezza o di dover sostenere la spesa di un’enorme
escavazione. Si fece inoltre riflettere, che opinando per la stessa idea in
tutti i casi bisognava pensare a dar ricetto o passaggio innocuamente alle
acque pluviali della Valle di Paderno. Rispondendo poi più particolarmente alle
obbiezioni fatte dallo Spalart all’altra idea proposta di costruire cioè la
prima tratta di canale sopra un terreno mal fermo e molto dominato dall’azione
delle acque del fiume, sosteneva il Nosetti che una tale difficoltà non fosse
punto riflessibile dopo l’esempio sotto gli occhi del vicino Naviglio della
Martesana da secoli sussistente col suo grand’argine di molte miglia di
lunghezza fondato sopra un terreno di non dissimile natura.
Dal canto
suo l’altro membro della commissione di visita, il colonnello Baschiera,
cominciò dal proporre al Governo di Milano come indispensabile una lunga
manutenzione dell’opera a carico degli esecutori, laddove il Nosetti l’aveva
fissata a soli due anni; passò poi a valutare la spesa verosimile dell’opera in
fiorini 500 m., e per ultimo rassegnando il suo rapporto sulla visita eseguita
e sull’esame delle relazioni Spalart e Nosetti a lui rimesse, consigliò il
Baschiera di accertare meglio che non si fosse fatto sin allora i precisi punti
di livello per la soglia delle portine del primo sostegno verso l’incile del
canale e per la soglia dei portoni dell’ultimo sostegno verso lo sbocco. Così
Baschiera faceva consistere in questa determinazione adattata ai bisogni del
canale ed a tutti gli stati d’acque del fiume la principale difficoltà del
nuovo Canale di Paderno, per il quale sin d’allora approvava generalmente le
idee del Nosetti.
Di tal
maniera il Firmian si è trovato in grado verso la metà di quell’anno 1768 di
poter ragguagliare il Kaunitz del risultato della visita ordinata per l’oggetto
della navigazione dell’Adda, e di potere al tempo stesso esternargli il suo
particolare presentimento favorevole al progetto Nosetti. Ma dopo ciò il
Principe De Kaunitz desiderando ancora di continuare nella discussione dello
stesso progetto interpellò da Vienna il regio matematico ab. Marcy, che finì
per opinare precisamente come il Baschiera a favore del progetto Nosetti. Poi
per fondare meglio il giudizio definitivo sopra di un affare tanto importante
dimandò Kaunitz in proposito anche il parere dei matematici milanesi, richiese
notizie più positive sui dettagli delle opere contenute nel progetto Nosetti, e
per un semplice effetto della sua delicatezza ordinò di protrarre in ogni caso
la costruzione del canale fin a tanto che lo Spalart non fosse ripartito
d’Italia, onde rendergli così meno sensibile qualunque procedere contro le sue
idee.
Partito
il generale Spalart dall’Italia per non più ritornarvi, il discorso sul
progetto di ricostruzione, del Canale di Paderno fu ripreso dal Governo di
Milano con maggiore franchezza. Ottenuti quindi dal Nosetti i dettagli
richiesti dal Principe Kaunitz, furono riservatamente comunicati al Baschiera
nella sua residenza di Mantova coll’ordine di inviarli unitamente al proprio
ragionato parere. Allora in una nuova relazione di quel colonnello diretta al
Firmian venne rappresentato, che l’idea generale del progetto Nosetti, massime
dopo le avute dilucidazioni, non ammetteva più alcuna difficoltà; ma nella
stessa occasione si aggiunse anche dal Baschiera che, per essere sicuri di
avere addossati agli intraprenditori dell’opera tutti gli eventi contrari che
si potessero verificare, bisognava inoltre prescriver loro l’osservanza di
alcuni capitoli per la parte architettonica delle principali fabbriche del
canale. Passando quindi ad indicarne taluni dei più essenziali, nominava il
fondamento dei muri di pietra in sponda al canale, quantunque questi dovessero
posare sulla pietra ceppo della costa
dell’Adda; non che il loro rivestimento di mattoni per evitare i trapelamenti
dell’acqua attraverso quella pietra e le conseguenti rovine. Ritenne pure
necessario un generale assaggio del terreno ne’ luoghi di dubbia sodezza per
poter coprire di vôlte le cavità sotterranee nel modo più consistente,
e soprapporvi per fondo del canale una ricoperta di lastre di vivo. Alle
montagnuole di pietra immediatamente laterali al canale credeva indispensabile
una generosa scarpa colla cresta presa molto dall’alto per togliere il dubbio
che coll’andar del tempo avessero a sfasciarsi e rovesciarsi a danno del
canale. Non voleva insomma il Baschiera risparmiata alcuna precauzione all’atto
dei lavori, e specialmente nella costruzione del primo pezzo del nuovo canale
che si doveva trovare in molta vicinanza al fiume, ed intendeva inoltre che gli
intraprenditori dell’opera per una generale prescrizione di massima dovessero
essere obbligati a tutte le variazioni che a giudizio del Governo potessero
occorrere al nuovo Canale di Paderno dopo l’esperimento della sua navigazione.
Il
Firmian contemporaneamente si andò preparando in Milano ad eseguire gli altri
ordini del Kaunitz relativi al progetto Nosetti, e cominciò dal rivolgere gli
occhi sopra Antonio Lecchi, Francesco Maria De Regi e Paolo Frisi, che erano i
frati professori che in quegli anni, oltre al goder fama di valenti matematici
milanesi, erano specialmente celebri in Italia e fuori per le pubbliche
commissioni da essi esercitate nell’idraulica, sulla qual scienza ciascun di
loro aveva anche stampato vari libri scolastici. Il Lecchi aveva già percorsa a
quell’epoca una gran parte della sua lunga carriera, andava fregiato del titolo
di regio matematico ed ambiva naturalmente di essere chiamato all’onore di
portar giudizio in un’affare d’acque tanto importante per la sua patria come il
Canale di Paderno e la navigazione dell’Adda. Quel gesuita però vi dovette
essere in allora risparmiato perchè erano troppo recenti i dissapori insorti
fra lui ed il generale Spalart in occasione di alcuni lavori all’Adda ed alla Muzza
presso Cassano. Il De Regi era pur dianzi stato nominato da Maria Teresa regio
matematico ed idraulico; ma essendosi egli trovato in circostanze di
manifestare apertamente il suo parere favorevole alle idee del Nosetti, poteva
credersi la di lui scelta per un nuovo giudizio sullo stesso oggetto non esente
affatto da prevenzione e da parzialità. Il Frisi invece, presiedendo da alcuni
anni alla scuola per gli ingegneri instituita in Milano da quella Sovrana e non
avendo ancora discussa pubblicamente alcun’idea sul Canale di Paderno, pareva
il soggetto più adattato all’uopo del Governo, e quindi ne fu interpellato dal
Firmian per la prima volta in quell’occasione. Lo stesso matematico poi
nell’opuscolo intitolato Trattato dei
canali navigabili, stampato a Firenze nell’anno 1770, ha anche pubblicato
il suo parere contrario in massima a quanto sembrava da adottarsi dal Governo.
Perciò alla primavera dell’anno 1771 si era già deciso di farsi carico del
parere del matematico Frisi, protraendo ancora la discussione della parte
fisica del progetto finchè ogni suo punto fosse stato assentato per il migliore
partito. Inoltre a quell’epoca nuove e replicate lagnanze della Città di Como
contenenti una folla di asserzioni sulla parte economica del progetto erano arrivate
a rendere dubbioso il Kaunitz a Vienna sulla vera convenienza dell’opera che
dianzi le era sembrata della più grande utilità. Quindi questo Principe per
venire in chiaro della verità è passato ad ordinare di nuovo la determinazione
della spesa dell’opera, il calcolo del verosimile importo degli annui prodotti
che dovevano compensarla e l’indicazione degli altri vantaggi e danni sicuri o
probabili che potevano favorire o dissuadere l’idea della progettata
navigazione. Nell’atto poi che il Kaunitz dimandava la risposta a tutti questi
articoli economici, designava anche al Governo di Milano per l’uomo che avrebbe
potuto esserne specialmente incaricato il Consigliere Giuseppe Pecis, in allora
Sopraintendente alle acque, strade e confini dello Stato.
Radunata
successivamente a Milano la Giunta governativa dei confini, acque e strade,
venne affidata al Pecis l’incombenza di distendere una dettagliata relazione
sull’utilità del progetto della desiderata navigazione. Nella relazione fatta
entrò il Pecis a sviluppare la parte economica del progetto e a porre in piena
luce l’importanza della navigazione ideata per mettere in commercio su tutti i
punti del Milanese ogni sorta di combustibili abbondanti al Lago di Como e per
influire vantaggiosamente sopra ogni altro ramo d’industria dell’intera
provincia. Fermandosi poi a far riflettere qual fosse l’importanza di un’aperta
comunicazione fra il Milanese e gli Stati germanici dell’Austria, ha enumerato
il Pecis le strade di terra preesistenti verso l’estremità superiore dello
stesso lago, ha denotate quelle che vi si potevano rendere più agevoli, ed ha
fatto sentire il vantaggio del loro legame con un’estesa navigazione fino
nell’interno del Milanese per mezzo dell’opera progettata. Inoltrandosi più
specialmente all’oggetto del commercio di transito, ha instituito il Pecis per
ciascun genere un confronto fra le strade per acqua ed i trasporti di terra del
Milanese, onde far rimarcare il risparmio sperabile per le prime dalla aggiunta
della navigazione dell’Adda, non che la probabilità di ricuperare per essa al
Milanese il commercio di transito diretto da pochi lustri addietro a battere la
succennata strada situata tutta sul Novarese. Finalmente il Pecis ha distinto
fin d’allora il reale dall’immaginario ne’ timori e ne’ danni della città di
Como, ed ha preveduto, che sarebbe stato una cosa sprezzabile la perdita che
soprastava al di lei particolare commercio di terra in causa della navigazione
dell’Adda, anche senza contare i vantaggi che l’apertura di questa doveva sicuramente
procurarle.
Tale
relazione del Pecis ebbe il più felice esito e meritossi gli elogi del Principe
De Kaunitz, che confrontandola coll’ultima relazione del Baschiera, ove si
valutava l’opera intera colla sua manutenzione per anni dieci ancora in fiorini
500 m., restò persuaso nuovamente dell’utilità della progettata navigazione
dell’Adda e del Canale di Paderno. Ma risultando alla stessa epoca che eguali o
maggiori vantaggi si potevano sperare dall’esecuzione del progetto del Canale
di Pavia, anche quel Principe; urtò nello scoglio di consultare sulla scelta le
Città interessate di Como e di Pavia, ancorchè non si trattasse più di indurle
ad alcuno speciale concorso nelle spese.
È
rimarcabile l’aperta contraddizione in cui lo spirito d’opposizione trascinò in
tal circostanza i rappresentanti di queste due Città. Quantunque si
appoggiassero agli stessi motivi e producessero gli stessi timori, Como
rappresentava inevitabile la sua rovina perchè la linea del canale progettato
per unire il suo lago con Milano non partiva direttamente ma molto distante da
lei. Pavia invece aveva paura di seguire la medesima sorte perchè il Naviglio
diretto da Milano al Po doveva lambire le sue mura. Quindi prevedendo ambedue
le Città di non poter impedire la costruzione di un qualche nuovo canale
navigabile a vantaggio dell’intera provincia, supplicava l’una di farlo passare
per il proprio abitato, mentre l’altra si smaniava a dimandare come una grazia
particolare che fosse tenuto il canale in ogni caso lontano da essa più che fosse
possibile.
Non
ostante però il cattivo influsso di siffatte rappresentanze municipali, rimesso
il Promemoria della Città di Como al Consigliere Pecis per le sue osservazioni,
questi riferì nuovamente al Governo di non vedervi che timori mal fondati; e così
la parte economica del progetto rimase finalmente accertata. Per potere poi
dire lo stesso della parte fisica ed idrometrica, lasciato da banda il piano
Nosetti ed ogni altro consimile ventilato per l’addietro, il rilievo di un
nuovo piano dei lavori completo e regolare venne affidato al matematico Frisi.
Il
progetto Frisi è stato di seguito presentato all’Arciduca Ferdinando
Governatore, in forma di dotta relazione topografica ed idrometrica sulla
maniera di aprire la navigazione del tronco dell’Adda dal Lago di Como
all’imboccatura del Naviglio della Martesana. Costante il Frisi nella sua prima
determinazione, di stabilire la sezione dell’Adda così detta dei Tre Corna per
il luogo preciso dell’imboccatura del nuovo Canale di Paderno, ha dichiarato meglio
in tale occasione i motivi che lo autorizzavano a una tale scelta contro il
parere degli altri. E primieramente non essendo necessaria alcun’opera nè per
irregolarità di fondo, nè per quantità di caduta ond’essere riattivata la
navigazione nel letto del fiume Adda, dalla sezione del Sasso di S. Michele
fino all’imboccatura ed alla chiusa del Canale del Meda poco di sotto della
sezione dei Tre Corna, non sapeva trovare ragione il Frisi di allontanarsi di
molto all’insù dalla chiusa del Meda per fabbricarvene una nuova. Aggiungeva
poi in appoggio della propria opinione il Frisi, che al Sasso di S. Michele
sarebbe stata rilevante la spesa di una chiusa di derivazione attesa la natura
del fondo e delle ripe del fiume in quel punto; e che inoltre l’imboccatura e
l’argine del nuovo canale vi si sarebbero trovati esposti al bisogno di spese
continue in riparazioni, ed al pericolo di intera rovina; mentre tutti questi
inconvenienti, secondo lui, si sarebbero evitati alla sezione del fiume ove
sono i massi così detti i Tre Corna. Circa alla forma della chiusa di
derivazione il Frisi la prescriveva col ciglio sotto una sola linea retta
elevata sul fondo del fiume, nella sua parte superiore, di circa metri 5,94, e
sul fondo del canale all’incile, di metri 1,188. Per servire di sfogo alle
piene ed alle ghiaie arrestate dalla chiusa davanti all’imboccatura del canale,
voleva Frisi praticata un’ampia apertura nel mezzo del corpo di chiusa, ed allo
stesso oggetto voleva anche ristaurati in sponda al nuovo canale gli edifici di
travacatori e scaricatori di già eretti per l’abbandonato canale del Meda. La
linea di direzione del nuovo canale, secondo il Frisi, era indicata dalla
natura nella piccola Valle della Rocchetta e pure seguita dallo stesso Meda.
Per moderare la caduta del terreno, che fra i due estremi della linea dietro le
nuove misure era risultata di metri 27,522 da pelo a pelo del fiume, proponeva
il Frisi di abbassare di qualche metro la soglia delle portine del primo
sostegno del Meda, dando una caduta libera al fondo del canale in una ragione
non minore del 1/1500 della lunghezza, e di ripartire il salto del secondo
sostegno del Meda in, quattro o cinque salti contigui, riducendolo così a più
sostegni accollati in una serie di
salti non più alti di metr. 4,752 per ciascuno. Allo sbocco del nuovo canale
sotto la Rocchetta il Frisi adottava bensì l’antica idea della fabbrica di un
ordine di porte detto mezza-conca per
usarne in tempo di acque basse, ma poi non vi credeva necessaria alcun’altra
opera di presidio al fiume.
Nella
tratta del fiume Adda da rendersi navigabile di sotto del Canale di Paderno
nessun’opera di fabbrica progettava il Frisi per ispianarvi al puro necessario
il letto dai massi precipitati dalle laterali alture, e per prolungarvi la
navigazione sino al Naviglio della Martesana. Invece nella tratta superiore al
Naviglio di Paderno vi disegnava la fabbrica di un sostegno al punto di corso
eccessivamente rapido detto la Ravia
di Brivio, e diversi altri minori provvedimenti per rendervi comoda la navigazione
sino al Lago di Como.
Tale è la
sostanza del progetto del Frisi per la navigazione dell’Adda; progetto che in
vista dell’ordine sopravvenuto del Kaunitz di far istendere dallo stesso Frisi
unitamente al Consigliere Pecis ed agli ingegneri camerali i capitoli per la
deliberazione dell’opera all’asta pubblica in via d’impresa, non potè servire
di norma generale ed unica alla immediata direzione dei lavori, come era stato
destinato dal suo autore.
Ottenuta
contemporaneamente a Vienna dal Kaunitz l’approvazione dell’Imperatore e
dell’Imperatrice Madre per l’esecuzione dei due canali di Paderno e di Pavia,
da effettuarsi colla sopraintendenza del Consigliere Pecis e sotto la direzione
del professore Frisi, il corrispondente dispaccio 4 febbraio 1773 venne
indirizzato all’Arciduca Governatore. Appena conosciuta in Milano tale
favorevole disposizione sovrana, vi fu convocata una Giunta governativa
presieduta dallo stesso Arciduca ed incaricata di conferire sopra un sì
importante oggetto. Questa. Giunta dopo alcune sedute si è dichiarata di parere
che quantunque fosse sicura la riuscita e l’utilità di ambedue i canali
ordinati per estendere nel Milanese la libera e continuata navigazione dal Lago
di Como al Po, convenisse di più l’incominciare per allora uno di essi soltanto
sul motivo che facendoli tutti e due in una volta si correva pericolo di veder
aumentare di troppo nello Stato il prezzo de’ materiali di fabbrica e le
mercedi dei giornalieri, non che di distogliere un buon numero di contadini dai
lavori della campagna. Dovendo poi dare la preferenza ad uno dei due canali, la
stessa Giunta si decise per quello di Paderno onde secondare il più generale
desiderio degli abitami del paese. Ciò non ostante in Milano furono di seguito,
a norma delle superiori determinazioni di Vienna, ordinate le trattative per
l’asta pubblica dell’appalto di ambedue le opere a un tempo. Ma durante le
medesime trattative non è riuscito al Pecis, coll’assistenza del Frisi e degli
ingegneri camerali Dionigi Maria Ferrari e Giovanni Maria Robecco, di poter
conciliare i capitoli specialmente relativi all’opera del Canale di Paderno e
della navigazione dell’Adda. Stava pertanto il Pecis per fare rapporto al
Governatore sulle questioni insorte e sulla maniera di evitarle, quando fu prevenuto
dallo stesso Frisi che, non riferendosi unicamente al suo piano, ma dietro
nuove visite e nuove osservazioni in proposito, lasciò in sospeso cinque
articoli che credeva degni di essere esaminati in un congresso di altre persone
perite avanti di qualunque pubblicazione di capitoli od esecuzione di opere.
Gli articoli proposti dal Frisi erano: 1.° se si dovesse cominciare il Naviglio
di Paderno al Sasso dei Tre Corna, oppure un terzo di miglio più sopra, allo Sperone-de’-Francesi e al Sasso di S.
Michele; 2.° se nell’altezza e caduta libera dei sostegni del nuovo canale di
deviazione non si avesse da oltrepassare la misura di metr. 4,752; 3.° se,
considerato il profilo della livellazione, si potesse ribassare di metr. 1,188
la soglia superiore della prima conca del Meda, cosicchè la caduta sopra metr.
1092 riuscisse di metr. 2,079, e, computato il ritegno delle portine della
detta conca, riuscisse in quel primo tronco la caduta libera del fondo di circa
metr. 0,891; 4.° se all’incile del Naviglio della Martesana fosse necessario
per la più comoda navigazione il fare altre opere oltre le riparazioni
ordinarie; 5.° nell’ipotesi che il Naviglio nuovo di Paderno si dovesse
distaccare presso alla sezione dei Tre Corna, se la chiusa di derivazione si
dovesse fare precisamente al Sasso dei Tre Corna o portare alquanto più sotto
nel luogo di quella già fabbricata dal Meda; o se piuttosto, ritenuta la
prescrizione dell’altezza della chiusa, si dovesse lasciare a quelli che si
sarebbero incaricati della costruzione e manutenzione del naviglio per un dato
numero d’anni tanto la scelta del luogo preciso della chiusa, come la forma e
le dimensioni della doppia scarpa, e così pure la scelta de’ materiali ec.
L’esame
di tali proposizioni del Frisi venne ordinato dal Governo all’anzidetta
commissione composta di lui stesso, del Pecis, del Robecco e del Ferrari. Un
primo congresso per simile oggetto è stato infruttuoso a motivo che questi due
ultimi membri della commissione ebbero a dichiararvi di non trovarsi in grado
di rispondere per mancanza di notizie di fatto che richiedevano tempo e visite
in luogo. Un secondo congresso si apprestava, quando il Governo è stato
informato che l’appaltatore Nosetti era pronto colla sua compagnia a fare nuove
proposizioni per la costruzione del Naviglio di Paderno differenti da quelle
del 1767 e vantaggiose allo Stato. Allora l’Arciduca Governatore in persona si
è specialmente chiarito delle intenzioni degli appaltatori, e poi il secondo
congresso per discutere i punti proposti dal Frisi fu realmente tenuto davanti
quel Principe, il quale, vedendo impossibile in sul bel principio di conciliare
le parti riguardo al primo punto di discussione, presentò egli stesso all’esame
della commissione una nota di diversi capitoli che, togliendo di mezzo interamente
il progetto del Frisi ed ogni influenza di questo professore nella direzione
dei lavori, lasciava gli appaltatori in piena libertà di eseguire l’opera
dietro quel piano che loro fosse piaciuto.
I
capitoli proposti dall’Arciduca Governatore ed accettati dalla commissione
portavano che l’appaltatore dell’impresa dovesse obbligarsi a rendere il fiume
Adda da Brivio all’imboccatura del Naviglio della Martesana atto ad una comoda,
facile, libera e continuata navigazione. A tal uopo nella tratta di fiume
assolutamente innavigabile sotto Paderno si doveva derivare un nuovo canale
artificiale. Tutt’al lungo della linea di navigazione la strada per l’alzaia
doveva essere costrutta dalla parte del Milanese. L’acquisto dei terreni
bisognevoli ed il compenso dei danni derivanti ai privati dalla costruzione
delle opere restavano ancora espressamente a carico della Regia Camera.
Comunicata
ogni cosa dall’Arciduca Governatore al Principe De Kaunitz a Vienna, fu inviata
a Milano la sua risposta accompagnata da un rescritto di Maria Teresa del
giorno 31 maggio 1775, col quale quella Sovrana non solo si dichiarava pronta
ad approvare la seguita deliberazione, ma aggiungeva la rinuncia al privilegio
del Fisco per i ribassi che potessero essere offerti, e ciò a considerazione
della conosciuta esperienza del Nosetti nei lavori d’acque del Milanese ed a
patto che egli si assumesse alcuni nuovi obblighi specificati in quel sovrano
rescritto. Fra questi si voleva addossata al Nosetti la ricostruzione a sue
spese di tutti o parte di que’ molini che legittimamente sussistevano sull’Adda
e andavano ad essere levati. L’esecuzione delle opere per maggior solidità e
sicurezza si desiderava che fosse fatta conforme alle cautele presentate dal
Baschiera nelle succitate sue relazioni del 1768 o con altre equivalenti, a
norma di circostanze da riconoscersi dalle sunnominate persone già destinate a
quest’uopo. Precedentemente all’esecuzione dei lavori ne doveva essere
comunicato il diseguo alle persone medesime per togliere ogni dubbio sulla
comoda futura navigazione e per prevenire ogni successiva differenza.
Finalmente tutti gli ostacoli frapposti, sia al libero efflusso delle acque,
sia al naturale loro corso per modo che impedissero la comoda navigazione
dell’Adda, o contribuissero alle dannose escrescenze del Lago di Como, dovevano
essere rimossi come parte dell’impresa Nosetti,
Accettato
il partito dalla compagnia Nosetti, l’Arciduca Governatore spedì immediatamente
alla Corte di Vienna una sua rappresentanza sulla seguita accettazione che
rendeva vana l’istanza di altra compagnia di intraprenditori formatasi nel
frattempo. Vennero poi di seguito in riscontro la sovrana approvazione di
quanto era stato conciliato dall’Arciduca Governatore e l’ordine di passare
alla stipulazione del contratto colla compagnia Nosetti; sicchè il pubblico
istromento di questo venne celebrato il giorno 13 luglio 1773 con tutte le
formalità richieste dalle anteriori convenzioni fra la Regia Camera e la
compagnia Nosetti.
I lavori
intrapresi subito dopo quel giorno e prima dell’esame del piano, riservato nel
contratto a norma delle sovrane intenzioni, si ridussero a quelli di far
saltare i massi di pietra caduti nell’Adda sotto Trezzo, di disporre il letto
del fiume ad essere reso navigabile in diverse tratte superiormente ed
inferiormente al nuovo Naviglio di Paderno, e di, incominciare in qualche punto
i tagli della costa per la costruzione della strada dell’alzaia sulla sponda
destra del fiume.
Redatto e
presentato successivamente il piano dei lavori, che combinava nelle massime del
primo succennato progetto Nosetti del 1767, venne il medesimo rimesso
dall’Arciduca Governatore al Consigliere Pecis coll’ordine di esaminarlo, farne
rapporto e passarlo per il simile oggetto al professore Frisi. Ma qui appunto ricominciarono
le discussioni e le questioni sulle parti più o meno fine del progetto del
Canale di Paderno, che si era tentato di evitare dianzi col lasciare agli
intraprenditori una piena facoltà di attenersi al piano più ad essi gradito.
Il parere
del Pecis rassegnato in quella circostanza fu favorevole generalmente al
progetto della compagnia Nosetti, colla restrizione per altro che tutte le
opere venissero all’atto pratico eseguite a norma de’ capitoli assentati e
delle cautele già prescritte dal Raschiera, per tenere da esse lontane le
sinistre eventualità. Sul riguardo dei pregi rispettivi dei sostegni di forma
particolare al Canale di Paderno del Meda e di quelli progettati dal Nosetti in
loro vece al canal nuovo, ecco come si espresse il Pecis: «Se si fosse
intrapresa l’opera per economia potevasi esperimentare la gran conca del Meda,
tanto più che vi ha tutta la ragione di presumere che mediante il
giudiziosissimo meccanismo con cui è ideata e costrutta ne sarebbe stato facile
e sicuro il maneggio, e non può negarsi che come singolare cosa saria stata
riguardata, e d’ornamento e gloria avria servito al nazionale ingegno. Ma
trattandosi di un appalto, compatisco se chi deve dar comoda la navigazione e
risponderne per tanti anni ne teme qualche fatale conseguenza e si riduce
all’uso di conche di discreta profondità, poichè non superano le otto braccia.» Concesso
poi una volta agli appaltatori del Canale di Paderno di introdurre questa
modificazione al piano del Meda, la maggior difficoltà che restava nel progetto
del nuovo canale, secondo il Pecis, era quella di regolare il suo primo tronco
verso l’incile per modo che il primo sostegno inferiore non avesse a
sconcertarsi presto per azione delle acque e delle materie introdotte in canale
dal fiume. Quindi, secondo lui, essendo indispensabile la fabbrica di un
sostegno disegnata dal Nosetti verso l’incile per non disporvi il canale in
un’eccessiva pendenza di fondo, bisognava approvare il partito di fare la
chiusa al Sasso di S. Michele anche per il motivo che il primo tronco di canale
sarebbe riuscito in questo caso sì lungo da permettervi la distribuzione di un
ben inteso sistema di travacatori e scaricatori a paraporti, come sarebbe
avvenuto coll’attenersi al luogo scelto dal Meda in tutt’altra supposizione.
Dalle
mani del Pecis essendo passato il progetto della compagnia Nosetti in quelle
del Frisi, non tardò questi a produrne il suo parere in un lungo rapporto, da
cui noi cercheremo qui di estrarne la sostanza.
Rilevandosi
primieramente dal progetto degli appaltatori, che la chiusa di derivazione,
disegnata obbliquamente attraverso la sezione del fiume Adda detta al Sasso di
S. Michele e lasciata aperta alle sue estremità, doveva elevarsi col ciglio
metr. 1,188 soltanto sopra il fondo ragguagliato dell’Adda in quella località,
e la soglia dell’incile o imboccatura del canale spianarsi nello stesso fondo
dell’Adda, era questo l’articolo che presentava agli occhi del Frisi la prima e
principale difficoltà, sulla quale egli credette prezzo dell’opera il fermarsi
maggiormente colle sue disamine. Non ignorava altrimenti il Frisi, che gli
appaltatori avevano in vista di tenere il fondo del naviglio all’incile
sensibilmente rilevato sopra quello dell’Adda; ma dovendo egli, a tenore del
sovrano dispaccio, esporre il proprio sentimento sopra i disegni esibiti,
cominciava dal dubitare che non fosse abbastanza compreso questo punto, e
temeva poi che all’atto pratico avesse ad essere trascurato. Indi entrava a
dichiarare, che se a norma di questi disegni si fosse tenuto il fondo del
naviglio sul fondo o vero o ragguagliato dell’Adda, si avrebbero avute bensì a
principio due braccia d’acqua in canale, ma in progresso di tempo, dovendosi
rialzare il fondo dell’Adda dinanzi a quella come a qualunque altra chiusa,
sarebbe scemato d’altrettanto il corpo d’acqua, e, per lento che fosse il
rialzamento, sarebbe arrivato una volta a sconcertare tutto il sistema di
navigazione. «Il rialzamento del fondo innanzi tutte le chiuse, diceva il
Frisi, è una dottrina insegnata da tutti gli scrittori d’acque Guglielmini,
Manfredi, Zendrini, Grandi ec., ed è un fatto altamente verificato in tutte le
chiuse che conosciamo. La ragione si è, che la pendenza de’ fiumi in
qualsivoglia tronco è determinata dal corpo d’acqua e dalla qualità e quantità
delle materie che portano. Epperò date le materie e dato il corpo di acqua,
diminuendo la pendenza libera del fondo coll’opposizione di qualche chiusa, si
deve co’ successivi interrimenti restituire la pendenza superiormente alla
quantità istessa di prima. Il limite di tutti i rialzamenti deve essere una
linea parallela al fondo vecchio e tirata all’insù non dalla sommità della
chiusa, ma da quel punto superiore dove finisce l’accellerazione che le acque
inferiori precipitando liberamente dalla chiusa colla loro tenacità ed adesione
producono in quelle che non vi sono ancora arrivate.» In seguito a tali
deduzioni, che il Frisi credeva applicabili al caso concreto del Canale di
Paderno, riteneva egli per certo che le aperture disegnate dagli appaltatori sulla
estremità sinistra del corpo di chiusa, ad imitazione di quanto si osserva
all’imboccatura del Naviglio della Martesana, dovessero riuscire assai piccole
in proporzione della larghezza del fiume e non potessero servire che al fine di
dare uno sfogo più libero alle acque soprabbondanti nelle piene. A questo
proposito Frisi soggiungeva: «se per quelle aperture si rivolgesse una parte
sensibile del fiume, anche il filone devierebbe da quella parte e gli
interrimenti si disporrebbero al lungo della chiusa». Ma dopo tutte queste
dichiarazioni del Frisi sopra la chiusa di derivazione del Canale di Paderno,
si è da lui ingenuamente confessato, che intorno all’altezza precisa che
potesse bastare per la continuata sicurezza della navigazione, non sapeva
nemmen egli che cosa dire di certo. Ad ogni modo ei proponeva la chiusa di
Trezzo pel Canale della Martesana come la più opportuna di qualunque altra per
somministrare qualche lume in un articolo sì delicato. Inoltre aggiungeva, che
verificato precisamente l’altezza a cui il fondo del Naviglio della Martesana
nella prima sua costruzione si è tenuto sopra il fondo naturale dell’Adda,
bisognava ritenere il fondo del Naviglio di Paderno ad un’altezza maggiore per
due particolari ragioni. Difatti, prima la caduta dell’Adda sotto a Paderno
essendo maggiore che a Trezzo, potevasi facilmente dimostrare che in parità di
tutte le altre circostanze ne’ luoghi di maggior caduta deve essere maggiore il
rialzamento di fondo cagionato da un dato ostacolo. Secondariamente, conservata
la medesima parità di tutte le altre circostanze, portano i fiumi ne’ tronchi
superiori materie più grosse e in maggior numero che negli inferiori, e la
nuova chiusa del Canale di Paderno doveva appunto venir fabbricata molte miglia
al di sopra di quella del Naviglio della Martesana.
Esposta
diffusamente dal Frisi tale difficoltà toccante la sostanza del progetto
Nosetti, mentre variando l’altezza della chiusa di derivazione bisognava
variare ancora l’argine e soprattutto la soglia e la cadente del nuovo naviglio,
si fece strada quel matematico ad altre considerazioni risguardanti alcune
facili modificazioni del medesimo progetto Nosetti, che egli credeva
combinabili colla maggior economia del lavoro, e che noi passeremo qui a
riferire succintamente.
Si ritenga
che fissata la soglia e l’imboccatura del nuovo naviglio ai piedi del Sasso di
S. Michele, tutto il primo tronco di canale, dietro il progetto Nosetti, doveva
disporsi senza caduta alcuna per più di metr. 782 sino al luogo destinato per
una conca di circa metr. 1,782 di altezza di salto. Nel tronco di circa altri
metr. 964,755 susseguenti, sino ad arrivare alla prima delle due conche del
Meda, si doveva lasciare al fondo la sola caduta effettiva di metr. 0,891.
Nell’intervallo fra queste due conche, da riformarsi e ridarsi a minor altezza,
se ne segnava una nuova, ed anche in ciascuna di queste tre non si credeva di
dover oltrepassare i metr. 4,752 d’altezza nei salti. Finalmente al di sotto
della gran conca del Meda continuandosi il nuovo naviglio progettato per circa
metr. 2 35, prima di giungere allo sbocco nel fiume, vi si avevano ad erigere
le altre due conche nuove che nel profilo presentato non superavano la stessa
misura di metr. 4,752 nell’altezza dei loro salti.
Parlando
ora intorno a questo articolo della qualità precisa e distribuzione delle
cadute del Canale nuovo di Paderno, il Frisi lodava l’idea che mostravano di
avere gli architetti appaltatori di non eccedere nei salti immediati dei
sostegni l’altezza di metr. 4,752. Era stato questo limite da lui dianzi
adottato, insegnato e sparso in tutte le occasioni come un precetto invariabile
dell’arte de’ canali navigabili. Sul merito della forma particolare dei
sostegni del Meda, che non aveva rispettato quel limite, si era egli parimenti
di già pronunziato, forse con un po’ troppo di precipitazione; e ne avea
parlato come di un’invenzione assai ingegnosa bensì, ma che per non essere
ancora in uso in alcun paese non potesse proporsi per modello da imitarsi e da
ritentarsi al nuovo Canale di Paderno, a preferenza dei sostegni accollati, altre volte dallo stesso
Frisi prescritti e specialmente nel proprio progetto di tal canale.
Quest’ultimo motivo contro la invenzione del Meda sarà sempre compatibile in
bocca di un semplice appaltatore, a meno che non diventasse comune sui canali
l’uso de’ sostegni a grandi salti come lo è presentemente quello dei sostegni a
piccoli salti; ma forse non si sarebbe aspettato di trovarlo in bocca di un
dotto idraulico e valente matematico come il Frisi prima che l’uscire dai
confini delle dimensioni usate fosse dimostrato troppo cimento da qualche
luminoso esempio. Dichiarava poi lo stesso Frisi, che da qualunque sezione e
livello dovesse incominciare il nuovo Naviglio di Paderno, ei non credeva
conveniente di tenerne il primo tronco orizzontale o pressocchè orizzontale,
giacchè, soggiungeva, tutti gli altri navigli e condotti d’acque conosciuti
hanno il fondo inclinato successivamente dal principio al fine. Così la soglia
del Canale di Paderno del Meda si è rinvenuta alquanto più rilevata del piano
superiore della conca che si incontrava inferiormente per la prima; il Naviglio
Grande pende verso l’incile sino in ragione di metr. 2,970 per miglio di m.
1782, ed il Naviglio della Martesana poco meno di metr. 1,188 in un miglio
eguale. E supposto anche che gli altri navigli fossero disposti diversamente,
per quello di Paderno faceva riflettere il Frisi che vi erano delle ragioni
particolari di non lasciare il suo primo tronco orizzontale o senza pendenza
libera. Sembrava in primo luogo a lui più espediente l’usare di questa pendenza
del canale onde avanzarne tanto meno per le conche, che per il loro numero ed
altezza già dovevano imbarazzare abbastanza la navigazione del nuovo canale. In
secondo luogo inclinava a credere che, terminando il primo tronco suddetto alle
porte di una conca senz’alcuna pendenza, si sarebbe formato un naviglio quasi
ad acqua stagnante, nè l’acqua vi sarebbe stata richiamata dalla prima
imboccatura con quella facilità e copia che nel Naviglio della Martesana per
esempio si porterebbe sempre dalla libertà del tronco inferiore, quand’anche il
tronco superiore fino all’incile fosse veramente orizzontale. Queste avvertenze
sulla distribuzione di pendenze erano ritenute dal Frisi tanto più importanti,
perchè il primo tronco del nuovo Naviglio di Paderno, dovendo essere scavato
attraverso una costa ghiaiosa ed arenosa e profondamente in un ceppo assai disuguale, vi si avrebbe
sempre dovuto aspettare qualche sensibile dispersione d’acqua, e senza una
inclinazione sensibile del letto si avrebbe potuto temere che l’acqua
scarseggiasse, se non per il bisogno preciso della navigazione sui tronchi di
canale, almeno per l’uso e maneggio più pronto delle conche.
Oltre a
contenere gli accennati riflessi risguardanti l’altezza e la situazione della
chiusa di derivazione, il livello della soglia dell’incile e la pendenza del
canale, il salto ed il numero de sostegni, il resto di quella relazione Frisi
sul progetto della compagnia Nosetti si riduceva a proporre di moderare al
passo di Trezzo ed all’altro superiore del Paradiso la caduta del fiume Adda
per ottenervi in ogni stato d’acque un libero e sicuro barcheggio, ed a
progettare pel passo detto la Ravia
di Brivio, pure eccessivamente declive, non solo la variazione del chiusone che vi tiene in collo le acque
del superior laghetto di Olginate, ma anche qualche altra opera, come p. e.
qualche conca per procurarvi maggiormente il comodo della navigazione.
Alla
relazione del Frisi sul progetto degli appaltatori tennero dietro ben presto e
la difesa del proprio parere per parte del Pecis, e la risposta in difesa del
proprio progetto per parte degli stessi appaltatori.
In tale
occasione si prese a confermare col ragionamento la massima di dare alla chiusa
di derivazione del Naviglio di Paderno la sola altezza di metr. 1,188, ed alla
soglia del canale all’incile soltanto metr. 0,594 di rilievo sopra il fondo
dell’Adda. Si dichiarò unanimemente dal Pecis e dagli appaltatori, che la
dottrina degli idraulici italiani, la quale insegna il rialzamento di fondo
innanzi a tutte le chiuse, e prescrive il limite accennato dal P. Frisi, va
soggetta a molte modificazioni a seconda delle diverse circostanze che
s’incontrano in natura o s’introducono dall’arte. così è p. e. che risulta in
alcuni casi la pendenza dei letti de’ fiumi unicamente dalla qualità del fondo
inamovibile, cioè duro e costituito in maniera che l’acqua comunque copiosa e
veloce non vi può esercitare la sua azione nello scavare e disporre l’alveo
secondo il sistema ordinario di pendenze. Laonde argomentavano que’ periti che
questa sola circostanza, propria del fiume Adda su molti punti della linea di
nuova navigazione, bastasse ad alterare e sconvolgere tutta quella dottrina,
non che la sua applicazione al caso concreto. Dagli stessi periti sono poi
state accennate le particolarità, che all’Adda ed al Naviglio di Paderno
dovevano tener lontano ogni pericolo di successivo rialzamento di fondo, ed il
timore del conseguente sconcerto della navigazione in causa della nuova chiusa
di derivazione. Fra esse particolarità si nominarono una dopo l’altra le
seguenti, cioè: 1.a le aperture prescritte nel corpo di questa
chiusa non minori di quelle esistenti nella consimile chiusa del Naviglio della
Martesana, per isfogare una buona porzione delle acque e delle ghiaie dello
stesso fiume Adda; 2.a l’adattamento dell’argine del nuovo canale
all’incile per uso di travacatore; 3.a l’effetto mirabile che nelle
piene dell’Adda, del Ticino e di altri fiumi consimili non solo le piccole
ghiaie, ma anche i grossi sassi ed altre materie di trasporto si balzano dalla
corrente dal basso piede delle chiuse sino alla loro cresta, e di là ritornano
nel fiume inferiormente; 4.a il corso che doveva prendere
naturalmente il filone del fiume in causa dell’obbliquità della chiusa e della
sua forma a doppia scarpa; 5.a l’effetto de’ paraporti disposti a
lavorare sul fondo del naviglio in poca distanza dall’incile; 6.a
l’aprimento delle portine delle conche o dei vicini scaricatori a paraporti; 7.a
il moto stesso cagionato nell’acqua verso il fondo dalle navi tirate a ritroso
o a seconda, e valevole a staccare dal fondo e tenero sollevata fino ad un
certo punto un’altra parte delle materie fluviali che potessero depositarsi
davanti la imboccatura del nuovo canale. Per tutto ciò lo spurgo manufatto, che
potesse abbisognare all’incile ed al primo tronco del nuovo Canale di Paderno,
si voleva dal Sopraintendente Pecis e dagli esecutori dell’opera che avesse a
riuscirvi per nulla maggiore di quello assolutamente inevitabile anche ne’
canali più ben costrutti. Dai medesimi relatori si conchiudeva quindi per il
niun bisogno al Naviglio di Paderno di deviare dal partito già preso a riguardo
della chiusa e dell’imboccatura, e di abbracciare l’idea suggerita dal Frisi di
una chiusa più alta e di una imboccatura col fondo del canale assai rilevato
sopra quello del fiume.
Tutti gli
altri suggerimenti del Frisi vennero similmente rifiutati in quell’occasione.
Specialmente per rigettare la proposta delle conche accollate fecero valere gli appaltatori la stessa ragione che gli
aveva indotti ad abbandonare l’idea della ristaurazione e compimento dei
grandiosi edifizi da sostegno del Meda; vale a dire che, volendo essi camminar
sicuri nella loro impresa, non amavano di affidarne l’esito a metodi per essi
non troppo comuni e famigliari. Per riguardo alla distribuzione di pendenze nei
primi due tronchi di canale, che riuscir dovevano di considerabile lunghezza,
le risposte degli appaltatori furono: che l’importantissimo motivo di
cautelarsi contro le irruzioni del fiume, temibili al caso delle sue massime
piene, gli aveva determinati a dare ai primi tronchi del nuovo naviglio una
disposizione di fondo di moderata pendenza, ed al primo sostegno intermedio la
succennata caduta fissata; che si erano però immaginati gli spedienti per poter
variare questa parte della sistemazione del canale senza sconcerto dell’opera
nel caso che la sperienza lo dimostrasse necessario; che per altro si doveva
essere persuasi che gli scaricatori a paraporti situati vicino all’imboccatura
del canale attirerebbero bastantemente lo spirito delle acque anche sopra
l’alveo di fondo orizzontale; e che qualora il terreno si ritrovasse ghiaioso,
il canale non poteva soffrire dispersione d’acqua, dovendo essere artefatto
contro ogni travenazione a tenore del capitolato.
Il
Governo di Milano, ricevute che ebbe le varie succennate relazioni sul piano
d’esecuzione degli appaltatori della navigazione dell’Adda, inclinò per qualche
tempo a lasciarne cadere ogni esame preventivo; ma il Principe De Kaunitz da
Vienna chiedeva ad ogni momento lo stato dei lavori all’Adda ed il risultato
dell’esame del progetto. Non acquetavasi quel Principe alle risposte: 1.a
che gli appaltatori delle opere continuassero nei semplici lavori di rimuovere
ostacoli alla navigazione nel letto del fiume e di preparare l’escavazione del
canale e il taglio della costa per la strada dell’alzaia; 2.a che
quando essi avrebbero dovuto dar principio a fabbricare la chiusa per la
derivazione delle acque e le altre opere di fabbrica del Canale di Paderno, non
si avrebbe mancato a Milano di destinare i periti fissati dalla Corte di Vienna
alle visite dei lavori, perchè tutto fosse fatto a norma degli obblighi degli
appaltatori. Avendo poi lo stesso Principe replicato che tali visite non
dovevano differirsi ad opera avanzata, ma farsi eseguire fin da quel momento e
continuarle di tempo in tempo, l’Arciduca Ferdinando Governatore ed il Conte De
Firmian Ministro a Milano gli riscontrarono, che si era determinato di spedire
alla comandata visita il Consigliere Pecis, il professore Frisi e gl’ingegneri
camerali Robecco e Ferrari. Questi due ultimi periti, stando al tenore delle
sovrane carte, non erano veramente più chiamati a far parte di alcuna commissione
per l’esame del progetto, addossato unicamente al Pecis ed al Frisi; ma è forse
stata la loro intrusione un ripiego immaginato dal Governo per togliere di
mezzo ogni questione nocevole al progresso dei lavori, con una maggioranza di
voti favorevoli al progetto Nosetti.
Di giorno
in giorno è però stata differita successivamente questa visita governativa sino
ad aspettare l’apertura della stagione di primavera del 1774, alla quale epoca
i lavori all’Adda e al nuovo Naviglio di Paderno si trovavano già estesi a
tutta la linea della navigazione appaltata. Fissato definitivamente il giorno
28 marzo 1774. Per la partenza da Milano a tale visita, furono comunicati i
relativi ordini precisi dal Ministro De Firmian al Consigliere Pecis, che in
qualità di Presidente della commissione e a norma delle istruzioni ricevute le
comunicò agli altri membri durante il viaggio per arrivare ai luoghi dei
lavori. Portavano quegli ordini di visitare l’opera tracciata sul terreno ed
incominciata, e di farne relazione di comun consenso all’Arciduca Governatore
in Milano. Ma all’atto di quella visita il Pecis e gli ingegneri camerali
Robecco e Ferrari esternarono la loro piena approvazione al progetto ed alle
opere intraprese dagli appaltatori che si trovavano presenti; mentre il Frisi,
che dagli altri venne interpellato diverse volte del suo parere, si limitava
sempre a rispondere, che gli ordini del Governo dianzi significati portavano
soltanto di estendere per l’Arciduca Governatore a Milano una relazione col
proprio sentimento, ma che non prescrivevano di fare alcun rilievo o discorso
sul fatto. Instando poscia gli ingegneri camerali perchè si avesse a
pronunciarsi sul luogo dei lavori, e si dovesse esprimere il proprio sentimento
all’atto stesso della visita a norma della consuetudine del paese, ebbe a
replicare il Frisi, che per dare il suo sentimento ragionato su di un affare
tanto importante non aveva bisogno meno di alcuni giorni di riflessione, non
bastandogli la semplice ispezione oculare, comunque poi da altri si praticasse diversamente.
Questo contegno del Frisi diede luogo ad alcuni dissapori fra lui e gli
ingegneri succitati nei giorni della visita. Ultimata questa e di ritorno a
Milano la commissione, i suoi membri passarono ad indirizzare diverse separate
rappresentante e relazioni al Ministro De Firmian ed all’Arciduca Ferdinando
Governatore.
Paolo
Frisi per il primo in una lettera confidenziale al Firmian, dopo aver accennati
i disgusti che arrecò al suo animo l’eseguita visita, mentre non sospirava che
il momento di essere cavato dagli imbarazzi della sua situazione per la
incombenza dell’Adda e del Canale di Paderno, si fece a chiedere come una
grazia particolare di poter mandare semplicemente la sua relazione di visita al
Consigliere Pecis, e non dissimulò in quella circostanza, come in seguito la
sua convenienza e la salute sua lo avrebber messo nella necessità di implorare
la grazia più generale, di non essere cioè più mescolato in affari di acque,
per poter attendere unicamente agli altri suoi studi più pacifici.
Presentate
successivamente varie relazioni di visita dai membri della commissione e dagli
appaltatori, in esse non si fece che aggiungere varie riflessioni secondarie e
di poco momento a quant’era già stato detto prima, da una parte dal Frisi per
sostenere le proprie idee, e dall’altra dagli appaltatori ed ingegneri camerali
per avvalorare il progetto Nosetti; laddove il Consigliere Pecis si limitò
quella volta ad informare direttamente l’Arciduca Governatore dello stato dei
lavori all’Adda con una sua particolare relazione, in cui non si entrava più in
alcun dettaglio od esame di progetto.
Visto
pertanto il cattivo successo delle prese risoluzioni per l’esame del progetto
degli appaltatori, l’Arciduca Ferdinando ed il Conte De Firmian si trovarono
indecisi per qualche tempo sulla più conveniente determinazione da prendersi
ulteriormente, onde eseguire gli ordini avuti da Vienna in riguardo
dell’impresa Nosetti, che intanto si spingeva con raddoppiata velocità verso il
suo termine. Alla fine prevalse l’idea di disporre e far eseguire una nuova
visita che riconciliasse le parti ed evitasse ogni questione che poteva
derivare dalla sospensione dell’esame del progetto. Pensando poi al modo di
condurre quest’altra visita ad ottenere un migliore successo, si è stabilito
dal Governo di aggiungere alla commissione un maggior numero di periti, e di
far cadere la scelta del capo sopra la persona del celebre Conte Gian-Rinaldo
Carli, il quale co’ suoi studi era salito in fama di uomo enciclopedico, godeva
la pubblica estimazione come magistrato, ed occupava in allora in Milano fra le
altre sue cariche anche quella di Presidente Camerale.
Ciò
risoluto verso la fine dell’anno 1974, ed approvato pienamente dal Kaunitz,
questo Principe avrebbe desiderato di vedere ordinata la pronta esecuzione
della nuova visita, e di avere presto nelle mani un dettagliato rapporto del
suo esito per riposare tranquillo sull’andamento dell’impresa; ma il Presidente
Carli al primo invito ricevutone nel cuor dell’inverno ha trovato nella sua età
e nella sua salute alcuni giusti motivi per esimersi dalla gelosa incumbenza
che gli si voleva affidare. In tale frangente l’Arciduca Ferdinando ed il Conte
De Firmian ottennero il permesso da Vienna, sopra inchiesta al Principe
Kaunitz, di lasciar trascorrere anche tutto quell’inverno per obbligare il
Carli ad accettare l’incarico. Impegnata realmente a questo patto la sua
parola, e la scelta dei periti, da aggiungersi al Pecis, al Frisi ed agli
ingegneri camerali Robecco e Ferrari, essendo caduta sopra l’ingegnere militare
Baschiera ed i regi matematici Lecchi e De Regi, fu stabilito dall’Arciduca
Governatore il giorno 4 maggio 1775 per la partenza da Milano alla visita
concertata, sicchè la commissione dei delegati al mattino del giorno 5
susseguente si è trovata al Sasso di S. Michele, ov’erano pronti a riceverla
gli appaltatori Nosetti e Fè.
Dato
principio alla visita da quel luogo coll’esame dei lavori intrapresi alla
chiusa di derivazione del Canale di Paderno, è stata minimamente osservata e
scandagliata quella importante parte dell’opera. In seguito il Presidente Carli
ha fatti riunire nello stesso punto tutti i delegati alla visita, affinchè
facessero le loro riflessioni e dassero il loro giudizio sulla solidità e
regolare disposizione della chiusa in costruzione; Si è osservata specialmente
la caduta che andava a risultare dalla cresta di essa chiusa al fondo del fiume
inferiore. Questo fondo si è riconosciuto più basso in confronto di quella
parte dell’Adda che doveva scorrere all’imboccatura del nuovo naviglio; onde
si è rimasti persuasi che la chiusa avrebbe prodotto il suo buon effetto e che
avrebbe facilmente trasportato alla parte inferiore del fiume la ghiaia,
massime per mezzo delle aperture lasciate alle sue estremità. Solamente è
stato proposto dal De Regi, ed appoggiato dal Raschierà, di restringere
l’apertura disegnata da farsi nella chiusa verso la sponda bergamasca,
allargando invece l’altra apertura della chiusa praticata all’altra estremità
vicina all’imboccatura del canale. Su questo punto è stato dalla commissione
deliberato ed ordinato a Pietro Nosetti di formare in misura esatta un disegno
del sito sul quale cadeva il fatto rilievo e di spedirlo in breve tempo a
Milano, dove il Presidente della commissione avrebbe adunati in un particolare
congresso tutti i delegati della visita per esaminare e proporre all’Arciduca
Governatore quanto si sarebbe creduto conveniente alla definitiva risoluzione
di quest’oggetto parziale. Essendo poi stata continuata la visita dal sito
della chiusa sino allo sbocco del naviglio in Adda, si è giudicato in quella
giornata se non economico ed ingegnoso, almeno possibile ed eseguibile il
progetto Nosetti in ogni sua parte, e si è ammirato inoltre il notabile
progresso dei lavori e la costruzione meccanica apparentemente solida delle
opere; onde da questi lati è stato comune in tutti i componenti la commissione
di quella visita il sentimento d’approvazione a favore degli appaltatori.
Protratta ancora la visita nel susseguente giorno 6 maggio del suddetto anno, non
si è parimenti messo in campo alcun dubbio sulla possibilità della desiderata
navigazione dopo la piena ultimazione delle opere intraprese dalla compagnia
Nosetti; ciò non ostante, per determinare esattamente con quale facilità e
comodità si sarebbe eseguita la navigazione specialmente per il nuovo Canale di
Paderno, si è veduto che non si poteva pronunciare alcuna cosa di preciso senza
la verificazione della corrispondente distribuzione di pendenze fra
l’imboccatura e lo sbocco del medesimo canale. E siccome tale verificazione
dipendeva dalla ripetizione di un’accurata livellazione e dalla rettificazione
di un esatto profilo, così è stato riconosciuto dall’intera commissione della
visita, che essa non si trovava in grado di pronunciare il suo accertato parere
da. questo lato, ma che però siffatta parte era un articolo di pura convenienza
per gli appaltatori, i quali volessero evitare inutili dispendi per la
sistemazione del canale a norma del loro contratto dietro un maggior numero di
esperimenti.
L’esame
riservato a Milano venne poscia deferito ad un congresso che fu tenuto presso
il Presidente Carli il giorno 17 luglio dello stesso anno 1775. In questa
circostanza si rinnovò la questione dianzi promossa all’alto della visita
intorno alle aperture lasciate nel corpo della chiusa di derivazione per il
Canale di Paderno. Al De Regi ed al Baschiera, che avevano chiesto una
modificazione in ampiezza ad una di quelle aperture per dare maggior corso e
sfogo alle acque e materie davanti alla chiusa ed all’imboccatura del Canale di
Paderno, si unì anche il Frisi che allo stesso fine desiderava invece una nuova
apertura già da lui proposta verso il mezzo della chiusa; e quindi si diede
luogo alla libera discussione sulla diversità dei pareri. In mezzo a dibattimenti
che si facevano vivi, il Carli ha ridotta la proposizione ai minimi termini col
dimandare ai membri della commissione, se la proposta variazione fosse
indispensabile e di un bisogno istantaneo per la riuscita della nuova
navigazione, o almeno se la credessero necessaria per la sicurezza di questa.
Mandata a partito tal proposizione, che scioglieva il nodo della questione,
nessuno vi fu che non opinasse che veramente la discussa operazione non era di
immediata necessità, e che però potevasi fare a meno per allora di ordinarla
agli appaltatori. Terminò finalmente l’ispezione del Carli e degli altri membri
della commissione con una relazione al Ministro Firmian e con una consulta
all’Arciduca Governatore, in cui si dava ragguaglio della condotta e dell’esito
della visita.
Riferito
tale risultato dell’esame del progetto della compagnia Nosetti alla Corte di
Vienna, il Principe Kaunitz ebbe a manifestarne al Governo di Milano il suo
pieno gradimento; ed i lavori all’Adda ed al Canale di Paderno dopo quella
celebre visita si proseguirono per modo, che verso la metà del 1776 si
trovavano a un punto da far credere possibile l’ultimazione dell’opera anche
prima del termine convenuto. Difatti alla metà del mese di Ottobre di
quell’anno 1776 gli appaltatori dell’impresa incominciarono i loro esperimenti
dell’introduzione dell’acqua nel nuovo Canale di Paderno.
Il primo
esperimento era particolarmente diretto a provare la qualità del fondo in un
sito del canale ov’erasi da qualche tempo concepito maggiore diffidenza, cioè
nel punto fra il primo ed il secondo sostegno, in cui il canale scostandosi
dalla sponda del fiume s’interna nella valle che termina alla Madonna della
Rocchetta, e dove il fondo di esso canale è più sollevato del pelo d’acqua del
fiume di circa metr. 16. Per l’oggetto di questo esperimento si è fatta
decorrere in canale dalla sua imboccatura l’acqua, che si è tenuta in collo al
luogo del primo sostegno sino al conveniente livello per la navigazione con
opportune traverse provvisorie. Indi passeggiandosi dagli appaltatori tutta la
linea del canale, apparve in diversi punti sensibile il disperdimento d’acqua
per filtrazione; ma questa si presentò senza indizio di apparente rottura.
Portata in fine l’osservazione al sito succennato, non si è tardato a discoprire
che ivi si scompaginava anche il fondo del canale, e per rami sotterraneamente
apertisi molto più acqua si disperdeva che nella tratta superiore. In poco
tempo si affossò notabilmente quel fondo, cedette piegandosi l’argine alla
sinistra del canale, e l’acqua di questo trapelata di sotto terra si vide
zampillare in diversi punti sopra il pelo d’acqua dell’Adda a guisa di tante
fontane e per effetto della grande differenza di livello che vi era dal letto
del canale al letto del fiume.
Ritolta
pertanto al canale l’acqua in esso dianzi, introdotta, si è potuto riconoscere
che la tratta smossa della sua linea si estendeva in lunghezza a circa met. 90.
Questa prima sventura del nuovo Canale di Paderno servì allora di riprova che
la natura di quel terreno non era per nulla cambiata dopo le rovine avvenute ai
tempi del Meda e del Bisnati; che i dubbi insorti sulla dispersione d’acqua nel
letto del canale non erano men veri e fondati all’epoca che questo era appena
scavato; che le pendenze dei tronchi di canale, fino allora appositamente
lasciate maggiori del prescritto in progetto per solo comodo di semplice
esperimento, erano riuscite eccessive. Prima di ottenere l’altezza d’acqua
bisognevole all’imboccatura, ad incile sistemato, avriano portato tali pendenze
l’ingresso in canale di tant’acqua da cospirare colla sua forza a produrre più
facilmente nuove rovine sopra e sotto il primo sostegno del canale medesimo,
che restava situato inferiormente a tenerla in collo colle sue portine di
ordinaria altezza in considerabile distanza dall’incile. Per tutto ciò gli
appaltatori hanno veduta la necessità di usare ulteriori diligenze per impedire
ogni travenazione d’acqua nel fondo sotterraneo al letto del nuovo canale. Si
sono determinati di diminuire definitivamente, anzichè accrescere, la pendenza
dei primi tronchi dello stesso canale, se non a ridurli orizzontali a norma
delle prime idee, almeno ad una misura media molto limitata, accrescendo invece
il salto del suo primo sostegno. Inoltre hanno adottato il partito di non
risparmiare alle estremità della chiusa le aperture disegnate, e di disporre la
stessa chiusa di derivazione nella parte che rimaneva a costruirsi, per modo
che il suo ciglio risultasse in una giacitura meno obbliqua, ossia più
ortogonale alle sponde del fiume, ed investisse più al di sotto che non si era
fissato fin allora il Sasso di S. Michele alla sponda bergamasca per mantenere
una maggior tendenza del filone del fiume da questa parte, e per rendere
conseguentemente più placida e sicura contro le irruzioni delle piene
l’imboccatura del canale dall’altra parte.
Dovendo
poi gli appaltatori riparare prontamente al contrario evento del succitato
esperimento, pensato avevano in sulle prime di rimettere la tratta di canale
smossa allo stato in cui si trovava anteriormente al disordine; ma riflettendo
poi che l’argine rovinato ed il suolo ceduto erano pure stati eretti e
fabbricati per sè stessi di sodissima costruzione, si sono accorti che
coll’istaurare quel pezzo di canale, rifacendolo nello stesso luogo e nella
stessa maniera di prima, si era sicuri per lo meno di non togliere per nulla la
cagione sotterranea del male, e si sono invece appigliati al partito di tentare
una miglior sorte col tagliare a destra della tratta di canale smossa una
montagnuola di pietra viva che vi si trovava per escavarvi il letto di nuova
tratta di canale da surrogarsi alla rovinata. Adottando tale ripiego, si viveva
nella fiducia di incontrare un fondo innocente e fermo, quale sembrava che
dovesse essere quello da cui doveva venir rimossa la soprastante enorme massa
di circa metr. 36 di altezza. Qualunque irregolarità si potesse discoprire nel
nuovo fondo da spianarsi, si credeva correggibile dall’arte. Quindi gli
appaltatori intrapresero con coraggio i lavori per la costruzione del nuovo
pezzo di Canale di Paderno, e proseguirono anche quelli necessari per
l’ultimazione della chiusa in Adda e delle altre opere cadenti sulla linea
della nuova navigazione. Ma intanto il fatto della prime rotture al nuovo
Canale di Paderno, oltre al portar seco le indicate modificazioni ed aggiunte
al piano dei lavori, fu anche causa che gli appaltatori rinunciassero alla loro
primiera sollecitudine di dare la navigazione avanti il tempo convenuto, ed
annunciassero come cosa appena sperabile, di tenersi in misura col termine
prescritto dal loro contratto. Aggiungasi che tale risultato del primo
esperimento del nuovo Canale di Paderno lasciò generalmente nell’apprensione di
avervi ad incontrare altre nuove sventure negli esperimenti successivi. Tuttavia
gli sforzi raddoppiati degli appaltatori per rinnovare tali esperimenti del
canale, e la loro ferma risoluzione di replicarli tante volte finchè l’opera
fosse condotta una volta al suo termine, fecero rinascere nel pubblico la
smarrita speranza di buon successo, e verso l’autunno dell’anno 1777 ogni
lavoro al nuovo Canale di Paderno si trovò realmente ultimato, come anche ogni
altra opera intrapresa dagli appaltatori sulla linea della nuova navigazione da
Brivio all’imboccatura del Naviglio della Martesana.
A
quest’epoca nessun notabile accidente sfavorevole contrassegnò i nuovi
esperimenti diretti dagli appaltatori ad assicurarsi della resistenza del fondo
e delle sponde del canale, e della sua idoneità a contenere l’acqua
introdottavi dal fiume al luogo della sua attuale imboccatura e della soglia
sistemata del suo incile, in riguardo però della più o men buona costruzione
degli edifizi parziali del nuovo Canale di Paderno, si è verificato in
quell’occasione l’incidente contrario che qui passiamo a riferire. La conca
grande del Meda all’alto dei lavori della compagnia Nosetti era stata rialzata
dal fondo del suo bacino di circa metr. 7,128, e decapitata dal suo ciglio di
altri circa metr. 4,752. Per tal modo quella conca fu ridotta ad avere ancora
più del terzo della sua originaria altezza, e non già il quarto dianzi
prescritto in progetto per rispetto alla massima del Frisi. Adottando per essa
ancora la forma ordinaria dei sostegni, si era creduta compatibile l’altezza
dei portoni di circa metr. 8 colla loro sicurezza e facilità di maneggio.
Ora,
essendo stata all’occasione di quegli esperimenti al nuovo Canale di Paderno
introdotta l’acqua in questa conca sino ad ottenere il riempimento del bacino,
ed avendo lasciato che lo sforzo dell’acqua medesima si fosse continuato per
qualche tempo contro i portoni della succennata dimensione in altezza, all’atto
dell’aprire verso il fondo del bacino le finestrelle a ventola praticate nel
laterale muro di mezzo per operare il suo vuotamente, avvenne che uno di questi
portoni andò in pezzi e l’acqua, sgorgando dal piede del rotto portone
coll’ascesa corrispondente alla pressione che soffriva in bacino a
quell’altezza, vi ha formato un getto molto esteso attraverso il vicino fiume.
I portoni medesimi furono rifatti in pochi giorni; e per assicurarsi
maggiormente della loro stabilità si procurò che quando furono richiusi, i loro
battenti, tenuti alquanto rialzati secondo il solito sopra la loro cresta,
andassero ad appoggiare contro di una grossa trave fermata alle sue estremità
nei muri delle due sponde del bacino verso il ponte di sboccatura.
Accertatosi
così del buon esito della nuova navigazione, si è passato a fissare per la
funzione pubblica della sua apertura il giorno 11 ottobre 1777. Il popolo
accorso in folla da tutte le parti del Milanese e dalle vicine provincie
italiane partecipò al successo di un’opera tanto importante e desiderata da
molti secoli. L’Arciduca Ferdinando Governatore, che aveva fino allora mostrato
non poco interessamento a riguardo dell’impresa della compagnia Nosetti
all’Adda, si recò personalmente ad eseguirne l’esperimento in compagnia del
Ministro De Firmian e di altre autorità. Tale esperimento fu continuato per
tutta la tratta di nuova navigazione, e la comitiva che s’imbarcò sul Lago di Brivio
scese felicemente a terra a Vaprio fra le acclamazioni del popolo e colla
persuasione che la grande opera fosse condotta a buon termine.
Da
quest’epoca ebbe anche principio a vantaggio. del commercio la nuova
navigazione dal Lago di Como a Milano che durò per qualche anno senza essere
interrotta; ma il nuovo Canale di Paderno, dopo d’aver servito al suo uso e
sostenuto per più di un anno senza guasto apparente l’effetto delle pioggie e
delle piene del fiume Adda, ebbe a soffrire una seconda e più rilevante
sventura colla rotta avvenutagli nella notte del giorno 9 al giorno 10 gennaio
1779, al luogo ove era stato costrutto dianzi il primo sostegno detto conchetta interrotta allora sull’istante
la navigazione del canale ed annunziata al Governo la disgrazia occorsa colla
supplica per parte degli appaltatori di far entrare anche la Regia Camera a
sostenere il carico delle spese di ristauro, l’Arciduca Ferdinando delegò
immediatamente il Consigliere Pecis, il professore Frisi e gli ingegneri
camerali Ferrari e Robecco a recarsi in visita della nuova rotta avvenuta al
Naviglio di Paderno ed a riferirne il proprio sentimento.
L’oggetto
di quella visita, precisato dallo stesso Arciduca a modo di alquanti quesiti,
era di dichiarare 1.° la presumibile cagione del seguito sconcerto: 2.° se
questa era prevedibile e da prevenirsi dagli appaltatori; 3.° quale
fosse il rimedio più opportuno per ristaurare il canale. Nei giorni 21 e 22
dello stesso mese di gennaio 1779 venne eseguita la detta visita ordinata; e
rilevate in disegno all’atto di essa tutte le circostanze di fatto e corredato
il disegno di una breve spiegazione sottoscritta di comun concerto da tutti i
membri della commissione sunnominati, restò stabilita qualche massima che
doveva servire di norma per distendere le relazioni all’Arciduca Ferdinando col
parere de’ rispettivi delegati. Di questa maniera venne unanimemente deciso,
che nel caso di dover distruggere il sostegno smosso e surrogarne un’altro
nuovo in una località differente, si dovesse situare questo superiormente in un
punto del canale che si riteneva pel fondo più solido e consistente dei
dintorni e che restava di sopra ad uno degli scaricatori a paraporti disposti
in sponda al canale medesimo nel primo suo tronco verso l’incile.
Il Frisi
quella volta preparò la sua risposta alle dimande dell’Arciduca prima di
ripartire dall’Adda, e ridusse le sue osservazioni ai seguenti capi. Lo
sconcerto avvenuto non poteva esser proceduto da cattiva costruzione dei
fabbricati, che in sè stessi sembravano abbastanza solidi. La linea del nuovo
canale essendo contigua a quella del canale del Meda, che ebbe a rovinare per
poca stabilità del terreno su cui posava, si giudicava prevedibile e da prevenirsi
al primo lo stesso disastroso effetto all’epoca della sua costruzione. Non
essendosi poi riconosciuto alcun preesistente vestigio nè di correnti nè di
sorgive sotterranee, nè di corrosioni, vortici o cavità interne del fiume, nè
di altre simili particolari circostanze, si riteneva che i movimenti dei
fabbricati del canale osservati in quell’occasione non dovessero avere altra
origine, che il sedimento irregolare del fondo cavernoso e instabile di tutta
quella costa del fiume Adda. Esaminato il terreno sulla diritta del sostegno
rovinato e considerate massimamente le piccole caverne e le fenditure
orizzontali che si ritrovavano nella parte più elevata di tutto il terreno
smosso, non vi sarebbe da guadagnar nulla trasportando il cavo più addentro
nella costa. Quantunque il progresso delle crepature e dei peli dassero da temere
che il terreno smosso non fosse ancora giunto allo stato di quiete e di
consistenza nelle vie nuove circostanze si credeva che non convenisse fare
l’esperimento di un nuovo cavo. Finalmente si riteneva, che si dovesse
trasportare la conca guastata nel luogo superiore succitato; e in un’opera di
tanta importanza, per togliere tutti i dubbi sulla natura del fondo sottoposto,
si approvava l’idea e il tentativo proposto dagli appaltatori di incominciare
l’escavazione del terreno alla fabbrica del nuovo sostegno sin verso il livello
dell’Adda per riconoscere il fondo istesso e proporzionarvi meglio i lavori. Da
Milano poi gli altri delegati Consigliere Pecis ed ingegneri camerali Robecco e
Ferrari compilarono di comun concerto la loro risposta ai quesiti dell’Arciduca,
cui la presentarono in forma di relazione di visita, accompagnando i disegni
rilevati e sottoscritti dall’intera commissione. Secondo tale relazione
pertanto la rotta del 1779 al nuovo Canal di Paderno altro non fu che un totale
sedimento del terreno su cui si era dagli appaltatori costrutta la prima conca
denominata la conchetta ed i contigui
pezzi di canale. Gli autori della stessa relazione presumevano che la causa del
male dovesse ricercarsi fin sotto il pelo d’acqua del vicin fiume Adda, e che
quindi non potesse essere stato altro se non che un vacuo sotterraneo cagionato
dalle acque di filtrazione del fiume medesimo, oppure dalle acque pluviali
delle valli esistenti a destra del canale; e che perciò l’accaduto fosse un
caso straordinario non prevedibile nè
possibile da prevenirsi coll’uso di
qualunque siasi cautela, per il motivo che non potesse essere praticabile verun
scandaglio del fondo ad una profondità che arrivasse al pelo basso dell’Adda
dicontro la seguita rottura, vale a dire ad un’altezza non minore di met. 10
partendo dalla soglia inferiore della conchetta
rovinata. Si deduceva inoltre la conseguenza che non si potesse attribuire a
colpa degli appaltatori il seguito sconcerto; meno poi si credeva di poter fare
a’ medesimi verun carico sopra di una cattiva costruzione dell’opera, dacchè la
si aveva invece riconosciuta lodevole e solida in tutte le sue parti anche in
vista delle osservazioni istituite al sito delle fenditure. Circa al rimedio
del disordine combinarono quei delegati, come si disse, nell’idea del Frisi di
trasportare la conca al sito di maggior sodezza secondo tutte le apparenze, per
essere fiancheggiato da due monti di pietra ceppo,
e di adattare il terreno al luogo della conca smossa per semplice continuazione
del canale, otturando tutte le fenditure e rialzando il fondo ceduto con
bitume. Di più per impedire la travenazione delle pluviali nel terreno
circonvicino proposero di far riempire di consimile bitume tutte le fenditure
manifestatesi intorno alla conchetta
da levarsi, e di incominciare al di sotto di essa un cavo raccoglitore delle
acque provenienti dalle laterali vallette sino a farle sboccare nel naviglio.
Finalmente per maggiore precauzione progettarono di abbassare la cima del
grosso masso di ceppo che si ergeva a
foggia di alta guglia in testa alla conchetta
smossa e dalla parte del fiume Adda, per allegerirne il suo peso e servirsi dei
pietrami risultanti dal taglio onde riempire il vuoto formatosi dall’azion
dell’acqua alla sua base nel fiume stesso. La spesa di tutti questi lavori di
ristauro si stimava dagli stessi periti in 4000 gigliati per verosimile, e si
fissava la fine del successivo aprile dello stesso anno 1779 per l’epoca di
rimettere in corso la sospesa navigazione del Canale di Paderno.
Dietro
tali risultanze della visita alla seconda rotta del nuovo Naviglio di Paderno
essendo stato rilevato che i periti convenivano concordemente nel trasporto
della conca guastata e nella conversione in puro canal navigabile del sito da
essa occupato, il Ministro De Firmian, d’ordine dell’Arciduca Ferdinando,
ingiunse di dar pronta esecuzione a queste due opere, e dichiarò che riguardo
al dimandato concorso alle spese, dipendendo questo dall’arbitrio della Corte
di Vienna, l’Arciduca medesimo avrebbe additate le sovrane determinazioni.
Allora gli appaltatori non esitarono a por mano al lavoro, durante il quale il
Governo di Milano informò il Principe Kaunitz a Vienna della nuova sventura del
Canale di Paderno, appoggiò il parere del maggior numero dei delegati alla
visita favorevole agli appaltatori ed intercesse la clemenza sovrana onde poter
accordare in tutto o in parte un compenso agli appaltatori per tutte o parte
delle spese che andavano ad incontrare nel ristauro. Dal cauto loro gli
appaltatori in pochi mesi ebbero eseguito appuntino gli ordini governativi,
cioè trasportata più all’insù nel sito fissato il primo sostegno detto conchetta al Canale di Paderno; adattato
a semplice canal navigabile l’edificio smosso di questo nome preesistente di
sotto all’attuale; aperto superiormente alla nuova conchetta in sponda al canale uno scaricatore a paraporti pure
nuovo in surrogazione di quello rimasto di sotto in vicinanza alla conchetta rovinata e che pel di lei
trasporto era riuscito inutile e inoperoso; provveduto per ultimo alla meglio
allo sfogo innocuo dalle acque pluviali di quei dintorni del canale. Ciò fatto,
hanno gli appaltatori restituita la navigazione del nuovo Canale di Paderno, e
per conseguenza la navigazione non interrotta dal Lago di Como a Milano, ed
hanno poi fatto rapporto al Governo di tutto l’operato, implorando nuovamente
il patrocinio dell’Arciduca Governatore presso la Corte di Vienna onde essere
in parte sollevati dalle spese sostenute in causa di quella considerabile
sventura della loro impresa.
Successivamente
il Ministro De Firmian, d’ordine dell’Arciduca Governatore, avvisò i membri
della commissione che avevano eseguita l’ultima antecedente visita al Canale di
Paderno a recarsi nuovamente a riconoscere le opere di riparazione fatte dagli
appaltatori.
Appena
ebbe ricevuto quest’invito il regio matematico Frisi, ha voluto rispondere
colla preventiva dichiarazione che i suoi dubbi vertevano originalmente sulla
natura del fondo cavernoso ed instabile, a cui parevagli che si potesse
attribuire la rottura vecchia e nuova in quella località; che inoltre, onde
prendere lumi ulteriori per il ristauro, avrebbe desiderato che si fossero
fatti o si facessero dei pozzi molto profondi nel terreno dubbio; che nel
progetto di trasportare la conchetta
egli non aveva saputo lodar altro che l’idea proposta dagli appaltatori di
sprofondare lo scavo sino al livello dell’Adda e riconoscere il terreno
sottoposto; che finalmente l’ulteriore ispezione di opere esterne non lo poteva
rendere più coraggioso da ripromettersene una vera stabilità, che per altro
augurava con ogni espressione lunghissima.
La nuova
visita di collaudazione succitata venne poi eseguita il giorno 6 ottobre di
quell’anno 1779. La relazione del Sopraintendentc Pecis e degli ingegneri
camerali fu, come tutte le altre anteriori, favorevole agli appaltatori. Il
regio matematico Frisi ha dato anco allora il suo parere separato, che però, se
si eccettuino i dubbi esternati in prevenzione al Ministro De Firmian,
combinava con quello degli altri delegati. L’Arciduca Governatore incaricò
successivamente De Firmian di scrivere in proposito al Kaunitz, replicando le
istanze perchè questo Principe da Vienna volesse interporre i suoi favorevoli
uffici presso Maria Teresa a sollievo degli appaltatori dell’impresa per la
navigazione dell’Adda, i quali nel solo ristauro alla rotta avvenuta in
quell’anno avevano dovuto rimetterei a conti fatti la somma di circa lir. 68480
di Milano, Di qui è che alla fine la compagnia Nosetti, col trovarsi
benignamente sollevata di circa la metà di tale spesa dalla Regia Camera, ha
anche quella volta sentito gli effetti della propria condotta lodevole verso il
Governo di Milano e la Corte di Vienna; il che nella storia della navigazione
dell’Adda, per dirlo di passaggio, viene a fare un grande contrasto colle
avventure dell’impresa dell’ingegner Meda da noi superiormente narrate, come
quelle che rimontano a due secoli più addietro e si riferiscono all’epoca del
dominio spagnuolo.
Sistemato
per tal modo il nuovo Canale di Paderno, esso ha continuato a servire
felicemente al suo uso per molti anni. Giunto l’istante la cui tutte le opere
comprese nell’appalto della compagnia Nosetti per la navigazione dell’Adda
dovevano essere riconosciute ed esaminate dai periti camerali e consegnate alla
Regia Camera in buono stato, manutenibili e di struttura lodevole
corrispondente al loro fine, venne destinato a ciò l’ingegnere camerale
Ferrante Giussani. Questi nella sua relazione al Governo ha poscia dichiarato
la piena esecuzione di quanto erasi addossata la compagnia Nosetti, sì in
riguardo al nuovo Canale di Paderno come in riguardo al fiume Adda sulla linea
da Brivio all’imboccatura del Naviglio della Martesana. Soddisfatti poi
interamente e puntualmente per parte della Regia Camera gli obblighi da lei
assunti verso la compagnia Nosetti per l’impresa all’Adda, si potè additare nel
Milanese una grande opera condotta a termine nella seconda metà del secolo 18.°
intorno al sistema della navigazione interna di questa provincia.
Il nuovo
Canale di Paderno non solo segnò nella storia della navigazione del paese
codest’epoca, che ora viene a porsi immediatamente dopo quelle segnate dal
Naviglio Grande, dal Naviglio della città di Milano, dal Naviglio di Bereguardo
e dal Naviglio della Martesana; ma inoltre esso occupò un posto distinto nella
storia dell’arte in Italia principalmente per la felice riuscita tanto della
sua imboccatura come del suo sbocco, e restò un’opera ammirabile nel suo genere
anche per la qualità de’ suoi sostegni tuttavia di salto straordinario, se non
in confronto dei particolari sostegni eretti dianzi dal Meda allo stesso luogo,
almeno in paragone di tutti quelli usati e sussistenti negli altri paesi. Circa
alla forma di questi sostegni, che riuscirono di maneggio sicuro e facile come
i più piccoli di salto, le loro particolarità per renderli adattati alle
circostanze locali e a quella del maggior salto di uso non comune, risguardano
principalmente la ubicazione del solito scaricatore a paraporti annesso ai
sostegni in testa ad ognuna di queste fabbriche, ed il modo di vuotare i loro
bacini. E primieramente se per tutti gli usi di un ampio canal navigabile è
necessario un ampio canale scaricature diversivo superiore a ciascun edificio
da sostegno e munite di paraporti, di quest’aggiunta non potevano certamente
essere sprovvedute le conche del nuovo Naviglio di Paderno che sono di salto
considerabile. Ma l’angustia dei luoghi e le difficoltà del terreno sulla costa
dell’Adda consigliavano a riunire il disegno del diversivo con quello delle
altre parti del sostegno nel modo più semplice ed occupante minore spazio.
L’avere poi sotto gli occhi il canale del
soccorso degli abbandonati sostegni del Meda, già situato in direzione
parallela al bacino, doveva suggerire l’idea di collocare precisamente al suo
posto il canale scaricatore dei nuovi sostegni, ossia di tradurre al suo uso
quel canale del soccorso che,
trattandosi della sola caduta di salti non maggiori di metri sette, non si è
creduto indispensabile pel sicuro e pronto empimento e vuotamente del bacino.
Quindi, adottando la maniera più semplice e comune nel Milanese per ottenere
l’effetto di questo empimento e vuotamente del bacino, nelle portine dei
sostegni si disegnarono le due solite finestrelle che, aperte che siano,
lasciano entrar l’acqua in bacino e da cui continua l’efflusso sino a che
l’acqua in bacino siasi messa allo stesso livello della cresta dei portoni. I
paraporti del canale scaricatore a lato delle portine riuscirono comodi per la
loro vicinanza anche all’oggetto di regolare a piacimento col loro maneggio la
velocità dell’efflusso dell’acqua in bacino. Parimenti risultò utile in que’
sostegni l’applicazione del ripiego di far cadere l’acqua nel bacino sopra una
scalinata di pietra, la quale vadi derompendo a gradi a gradi la sua forza. È
ben vero che con questo mezzo si portano un poco più avanti nel bacino i
vortici formati dall’acqua, e che le barche, se non si legassero a luoghi
stabili, non vi sarebbero egualmente sicure come dovevano esserlo p. e.
nell’idea del Meda di un bacino scompartito in due camere da un diaframma e
comunicanti tra di loro per mezzo di fori praticati verso il fondo del
diaframma medesimo. Difatti in quest’ultimo caso i vortici dell’acqua cadente
in bacino dal ciglio e dalle finestrelle delle portine estinguendosi quasi
tutti nella prima camera, sarebbe restata l’acqua pressochè tranquilla
nell’altra contenente la barca da farsi passare da un livello all’altro.
Potendosi finalmente vuotare il bacino di un sostegno in diversi modi, cioè o
col fare le finestrelle nelle parti inferiori dei portoni, come si vede in
tutti i sostegni de’ più antichi canali milanesi, o col praticare ne’ muri
laterali del bacino varie aperture a diverse altezze munite di cateratte e per
le quali l’acqua sbocchi in un canale diversivo che la conduca dove più si
brama, come si era fatto dal Meda ai sostegni del suo Canale di Paderno. Questo
secondo mezzo, che riesce molto più comodo nel caso di salti considerabili, è
stato prescelto nella costruzione del nuovo Naviglio di Padeno col solo aprire
nella grossezza del così detto muro di
mezzo dei sostegni alcuni sfori muniti di ventole o paraporti che danno e
tolgono a volontà l’efflusso dell’acqua dal bacino allo scaricatore parallelo
senza bisogno di alcun particolare canale diversivo. In generale poi, per
quanto fossero pregevoli le variazioni ai metodi più usitati introdotte nella
forma di costruzione dei sostegni del nuovo Canale di Paderno, siccome esse
erano ancora molto distanti dall’originalità e dal merito della forma di
sostegno immaginata dal Meda, così il totale abbandono e la distruzione del
Canale di Paderno diretto da quest’ingegnere ha dovuto lasciare nelle persone
dell’arte un senso di rincrescimento che venne allora pubblicamente espresso da
due dotti italiani, il regio matematico Antonio Lecchi ed il vivente ingegnere
Bernardino figlio di Dionigi Maria Ferrari.[3]
Essendoci
condotti fino a questo punto colle avventure del nuovo Naviglio di Paderno e
della navigazione dell’Adda, possiamo ora ripigliare la narrazione storica di
molti altri oggetti contemporaneamente discussi o disimpegnati nella vista di
favorire e di estendere il commercio della stessa navigazione.
Fra
questi oggetti alcuni occuparono il Governo di Milano all’epoca in cui i lavori
all’Adda si trovavano ancora in attualità di costruzione; ma miravano tutti a
predisporre il commercio a fare buon uso della nuova navigazione all’epoca
della sua apertura. Abilitato il Consigliere Pecis a fare qualche indagine di
questa natura, ha cominciato dai viaggi e dalle perlustrazioni per istudiare
completamente la statistica delle più importanti vallate che cingono il Lago di
Como. Successivamente non ha tardato a progettare di stabilirvi opportune
corrispondenze commerciali fra il Milanese e gli Stati germanici, e di
favorirvi l’introduzione delle pratiche usate altrove per la coltura de’ boschi
e per il trasporto de’ loro prodotti dall’interno delle vallate sino alla riva
del lago, non che l’uso della forma di barche richiesta dalle circostanze della
navigazione sul fiume Adda e sugli altri fiumi e canali milanesi.
Specialmente
poi delegato il Consigliere Pecis a procurarsi ulteriori lumi sull’oggetto
summentovato di rendere utile la navigazione dell’Adda, anche col farla
contribuire a tenere in fiore nel Milanese il commercio di. transito all’estero
diminuito in causa dell’industria e degli sforzi dei vicini Stati, non ha
trascurato di assumere tutte le notizie che avevano qualche rapporto sì alla
strada ideata da Chiavenna a Coira pel monte Splügen, che all’altra strada
disegnata da Gravedona al S. Gottardo pel monte S. Iorio. Le analisi economiche
istituite in quell’occasione dal Pecis sul costo del trasporto delle merci nel
passaggio da Genova agli Svizzeri ed ai Grigioni diedero per risultato, che
mercè la navigazione dell’Adda da aprirsi, la costruzione di nuove strade
superiormente al Lago di Como ed alcune saggie operazioni finanziere, si poteva
sperare di riacquistare al Milanese tutto il commercio di transito tra Genova e
Coira; ma le stesse analisi economiche hanno anche dimostrato all’evidenza che
non era egualmente fattibile di ottenere un consimile effetto per il commercio
di transito fra Genova ed il S. Gottardo senza ulteriori più notabili
miglioramenti del sistema di opere per la navigazione-interna della provincia e
senza vistosi sagrifici di alcuni anni per parte della Finanza dello Stato.
Furono
dunque messe in campo tali idee presso il Governo di Milano prima dell’anno
1777, in cui fu aperta la nuova navigazione dell’Adda. Questa poi non mantenendosi
attiva entro qualche anno al grado di cui era sembrata suscettibile per
l’addietro, fu dimostrata la necessità di nuovi provvedimenti per avviare i
popoli al buon uso della nuova comunicazione onde trarne il massimo partito.
Veruno dei mezzi dianzi suggeriti dal Consiglier Pecis a quest’intento non era
ancora stato ordinato superiormente verso la fine del suddetto anno 1777,
quando dal Sindaco Delegato dell’ex-Contado di Como si chiese e si ottenne in
nome dei propri amministrati il permesso di far allestire a spese delle nove
pievi componenti quell’ex-contado una flottiglia di nove grosse barche munite
di quanto era bisognevole per la loro navigazione fra Milano ed il Lago di
Como. Tali barche di pubblico servizio intrapresero realmente a fare il loro
viaggio con ben regolata vicenda, affinchè non mancasse al commercio il comodo
di frequentare la nuova navigazione; e per eseguire questa navigazione fluviale
con maggior sicurezza, si propose e si addottò allora anche il ripiego di
assoldare alcuni esperti paroni del
Ticino, che guidando a principio le navi sull’Adda, servissero come di scuola
agli altri che la dovevano affrontare per le prime volte. Il Pecis poi dal
canto suo, nella relazione dettagliata 30 agosto 1780 da lui diretta alla Corte
di Vienna, propose allo stesso effetto fra le altre cose 1.° di moderare il
prezzo della condotta delle barche sull’Adda coll’indurre a principio molti paroni del Ticino a stabilire
definitivamente il loro domicilio sulla linea della nuova navigazione; 2.° di
conformare nel resto la pratica della navigazione dell’Adda a quella del
Ticino, da secoli frequentata, con apposite istruzioni al pubblico; 3.° di
assicurare il ricarico alle barche del Lago di Como, che facessero il viaggio
di Milano, coll’ordinare il trasporto per acqua del sale della finanza
destinato pel Lago di Como e collo stabilire un magazzino di depositi ed un
nuovo mercato in un villaggio sul littorale del Lago di Como proprio per
attirare all’Adda le granaglie e molti altri generi di commercio.
Successivamente
lo stesso Consigliere Pecis si è posto in grado di presentare all’Arciduca
Ferdinando Governatore un’altra relazione economica sui mezzi ulteriori di
dirigere l’industria del paese a profittare dei vantaggi dell’aperta
navigazione dell’Adda. In tale occasione la materia si può dire che fu dal Pecis
esaurita. Parlando egli delle comunicazioni che restavano fra il Lago di Como
ed altri paesi, da aprirsi o da migliorarsi, non ne trascurò alcuna delle
principali. La strada dell’Engaddina od altra consimile per passare dal Lago di
Como al Tirolo, e quella della Spluga per entrare nei Grigioni, vi furono
rammentate come progetti utili alla navigazione dell’Adda e in generale al
commercio degli Stati limitrofi; ma a quell’epoca il Pecis ha dovuto
rappresentare che in riguardo alla desiderata comunicazione per Gravedona e per
la Valle Mesolcina, nella vista di attirare al Lago di Como una parte del
commercio proveniente dal S. Gottardo per la strada di Leventina, sarebbe stata
un’impresa troppo ardua, volendo seguire la linea dianzi designata alla Corte
di Vienna da Polegio a Rovereto e di là a Gravedona Attraversando le due catene
di monti che formano la Valle di Blegno ed il monte S. Torio. La linea invece
che il Pecis, dopo nuove ispezioni e nuovi studi su questo proposito, credeva
di poter additare come la più conveniente all’uopo, era quella di principiare
la diramazione della nuova strada da quella di Leventina al villaggio di Claro,
onde portarsi più facilmente per Castiglione a Rovereto e di là a Gravedona
come prima. L’idea di rintracciare comunicazioni fra il Lago di Como e la
strada di Leventina non già per Rovereto e altri siti di Mesolcina, ma bensì
direttamente per Bellinzona e per mezzo alla Valle Morobbia fu soltanto
accennata dal Pecis, dacchè venne istruito che vi si poteva rendere praticabile
una strada anticamente frequentata. Le altre strade credute dal Pecis opportune
per avvivare la nuova navigazione del Milanese, oltre le nominate sin qui, si
riducono principalmente a quella diretta dalla Valtellina al pian di Colico
situato all’estremità superiore del Lago di Como, all’altra dal pian di Colico
a Lecco sulla riva orientale del lago stesso e all’altra ideata sulla sua
sponda occidentale; ma al tempo stesso non si dimenticavano da lui le strade
secondarie, come per esempio quella da Porlezza sul Lago di Lugano a Menaggio
sul Lago di Como, le strade dall’interno della Valsassina e della Valle Assina
al Lago di Como, alcune comode discese carreggiabili dal pian superiore della
costa dell’Adda al basso letto di questo fiume, e specialmente una presso il
Canale di Paderno. Passando il Pecis dall’articolo delle nuove strade a
considerare in quell’occasione anche l’altro non meno importante dei naturali
prodotti del terreno che aspettavano vita dalla mano industriosa degli abitanti
diretta dal buon influsso del Governo, per rendere più attiva la nuova
navigazione, ebbe specialmente a richiamare l’attenzione sulla necessità di
ulteriori provvide disposizioni onde bonificare per asciugamento o per colmate
le estese paludi del comune di Soríco e del pian di Colico
succitato; giacchè tali paludi una volta ricuperate avrebbero servito ad
accrescere notabilmente il commercio della nuova navigazione.
In
seguito a tutte le accennate relazioni del Pecis e dietro varie consulte della
commissione di Ministri appositamente delegata allora in Milano a promuovere la
nuova navigazione dell’Adda, alcune delle proposizioni meno dispendiose vennero
superiormente approvate. Ma il Principe De Kaunitz da Vienna, non contento di
questi piccoli provvedimenti, ebbe a sollecitare ulteriori disposizioni per
parte del Governo di Milano, finchè il Conte De Wilzeck, Ministro
plenipotenziario successore del Firmian indirizzò anch’esso le proprie
rappresentanze sui provvedimenti più decisivi che restavano a prendersi.
Secondo Wilzeck pertanto l’idea di attirare all’Adda e al nuovo Canale di
Paderno il commercio di Chiavenna che dopo aver navigato sopra il Lago di Como
prendeva tuttavia la vecchia strada di terra per arrivare a Milano, aveva
contrario principalmente il timore del pericolo inerente ad una nuova
navigazione fluviale che non godeva ancora in commercio la comune opinione e
che d’altronde mancava sin allora di corrispondenze commerciali simili a quelle
stabilite sulla vecchia strada di Como. Mentre poi quel Ministro era persuaso
che il tempo e la rimozione delle difficoltà residue sulla linea della nuova
navigazione dovessero trionfare di ogni contraria prevenzione, la mira
principale del Governo di Milano onde promuoverla maggiormente sembrava anche a
lui quella di riguadagnare al Milanese i transiti delle merci dirette a battere
da Coira e dal S. Gottardo per Bellinzona la strada dello Stato Sardo sino a
Genova. I progetti delle strade di S. Iorio, della Spluga e dell’Engaddina,
ideate fra le altre a quest’intento, erano però tutti sospesi a quell’epoca per
diverse particolari ragioni, e specialmente i primi due per le molte pretese
dei Governi interessati della Svizzera e dei Grigioni, ed il terzo per la
necessità di far precedere un ribasso dei dazj di transito in tutto il Tirolo
in parità di quelli di Feldkirk. Del resto ben vedeva anche il Wilzeck che
ottenuto che si avesse l’avviamento desiderato della strada o dell’Engaddina od
altra dalla Valtellina al Tirolo, aperta la comunicazione colla Svizzera e coi
Grigioni pei monti S. Iorio e Splügen, facilitata la comunicazione alle vallate
laterali al Lago di Como colle strade o proposte dal Consiglier Pecis o
consimili, e liberata interamente la nuova navigazione da tutti gli ostacoli
fisici e finanzieri, si poteva sperare di vedere una grande affluenza di generi
di commercio diretti al trasporto per acqua dal Lago di Como a Milano e
viceversa.
A tutte
queste dichiarazioni del Wilzeck rispose da Vienna il Principe De Kaunitz
instando, perchè venissero ordinati ed eseguiti immediatamente i lavori
tuttavia occorrenti per togliere almeno gli impedimenti fisici più notabili
rimasti dopo l’impresa Nosetti sul letto di navigazione dal Lago di Como a
Milano e perchè si procurasse anche l’esecuzione delle strade progettate sin
allora onde estendere il commercio della nuova navigazione. Sul cadere del
passato secolo qualche ulteriore perfezionamento fu recato realmente al
Naviglio della Martesana. Specialmente all’incile vi fu resa stabile la soglia
del fondo, e fu innalzata la cresta del grande travacatore unito alla chiusa di
derivazione per tenervi maggiormente in collo le acque di piena da poter
imboccare il canale colle barche discendenti in tutte le stagioni. Per non
nuocere però al necessario sfogo delle medesime piene, questo rialzamento del
travacatore vi venne fatto mediante una serie di pilastri di pietra, coperti da
lastre simili e che lasciano altrettanti vacui intermedi per il passaggio
dell’acqua esuberante. Un nuovo sfogatoio al Canale Martesana fu pure aggiunto
a quell’epoca verso l’incile ed un altro ampliato verso il termine presso le
mura di Milano. La fabbrica del grandioso ponte-canale al passaggio del
torrente Molgora vi fu rinnovata un’altra volta molto sodamente e in modo più
comodo alla navigazione del canale ed allo sfogo del torrente. Al Canale di
Paderno poi l’esperienza e l’osservazione continuate per una serie d’anni hanno
dimostrato la convenienza di otturare definitivamente quasi del tutto le
aperture lasciate in origine nella chiusa di derivazione verso la sponda
opposta all’imboccatura, e di adattarvi all’uso di scaricatore a paraporti
anche il semplice travacatore dianzi ritenuto in sponda al canale verso
l’incile. Queste opere di addizione non vi furono risparmiate prima che cadesse
il passato secolo, come non vi furono trascurate all’occasione le proposte di
altri ovvi provvedimenti, fra i quali noi nomineremo quello adottato di
dichiarare il Naviglio di Paderno esente dal solito dazio della catena
percepito dalla finanza sugli altri canali milanesi;[4]
ma con tutto ciò i grandi progetti di avvivare il suo commercio coll’aprire
nuove comunicazioni al Nord, del Milanese furono sospesi allora per motivi di
economia, ed appena tenuti vivi fino a tanto che durarono i tempi pacifici.
Sopraggiunte finalmente le guerre in paese e le conseguenti vicende politiche
del Milanese e dell’Italia, dal Governo di Milano si dovette assolutamente
porre da parte ogni discorso di opere di questa natura, ed abbandonare alle
speranze del secolo corrente ogni progetto di miglioramento alla navigazione
dell’Adda, o di estensione ed avvivamento del suo commercio.[5]
[1] V. presso gli storici
la narrazione della famosa campagna di Tornavento.
[2] V. la sua lett. 27
Aprile 1767 fra le carte del Nav. di Paderno nel succ. arch. gen. di Governo.
[3] V. il Trattato de’
canali navigabili del Lecchi, Milano 1776; e la Lettera di B. Ferrari sulla
Conca di Paderno, Milano 1777.
[4] V. l’Editto di M.
Teresa 10 giugno 1778, che stabilisce la tariffa del dazio catena pei canali navigabili milanesi coll’abolizione del quinto di
dazio addizionale imposto nel 1745.
[5] V. fra le carte del
Naviglio di Paderno nei succitati archivi quelle del secolo 18.o,
dalle quali sono trascritti anche i documenti n.° vii e viii
della presente Storia.
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