Sulla
navigazione dal Lago Maggiore a Milano
e da
Milano al Po.
La
prima spinta che abbia ricevuto nel corrente secolo la navigazione interna del
Milanese sopra di una tale linea, indipendentemente dal generale movimento del
commercio dello Stato, fu senza dubbio quella data dall’opera succennata della
strada del Sempione. Questa avanzandosi verso il Lago Maggiore co’ suoi lavori
diretti dall’ingegnere italiano sig. Carlo Gianella,[1]
lasciò al commercio del Milanese la comodità di scegliere fra il trasporto di
terra e quello per acqua onde penetrare nell’interno della provincia coi
prodotti e colle merci dell’Alto Novarese, del Vallese, del Ginevrino, della
Francia e di altri paesi. Pensandosi poi nel 1805 ad intraprendere nella stessa
provincia un’opera grande anche in genere di canali navigabili, ricorse subito
al pensiero l’idea della navigazione da Milano al Po, e specialmente quella del
Canale di Pavia che doveva perfezionarvi la rete di navigazione-interna in una
tal parte rimasta ineseguita sotto Maria Teresa.
Con
decreto di Napoleone 20 giugno 1805 venne pertanto stabilita in massima la
costruzione di un canal navigabile da Milano al Ticino presso Pavia e presso il
Po, come l’opera più propria da mandarsi ad effetto nel Milanese, e di cui ne
fu dimandato il regolare progetto d’esecuzione per il primo giorno del
successivo ottobre suddetto anno 1805.
Per
rilevare questo piano fu nominata dall’inallora Direttore generale d’acque e
strade signor Conte Giovanni Paradisi, ed approvata superiormente, la
commissione di periti composta del professore e matematico italiano Vincenzo
Brunacci, e degli ingegneri di Governo Ferrante Giussani ed Angelo Giudici.
Assunto dai tre delegati l’incarico, si sono distribuiti fra di loro per
maggiore facilità e speditezza le varie incumbenze per abilitarsi a distendere
un piano che a norma delle ricevute istruzioni precisasse la linea ed il
ricapito del canale; la pendenza e la sezione; il numero, sito, caduta e forma
de’ sostegni; le strade ed i condotti da attraversarsi, e conseguentemente i
ponti, e ponti-canali e botti e scaricatori e paraporti da costruirsi, non che
la quantità d’acqua necessaria alla perenne navigazione di barche che
pescassero per lo meno metri 0,594.
La
commissione delegata ha dato principio alle sue osservazioni coll’eseguire le
operazioni di campagna necessarie per il rilievo della planimetria e
livellazione del terreno fra Milano e Pavia coll’aggiunta di alcune sezioni e
dell’andamento di una tratta del fiume Ticino nelle vicinanze di quest’ultima
città. Successivamente la commissione si è recata alla visita degli altri
canali navigabili del Milanese, facendo diverse minute osservazioni ed
esperimenti che potevano dar lume intorno alle massime, ai canoni ed alle
regole da seguirsi nella compilazione del progetto del nuovo Naviglio di Pavia.
La
relazione di questo progetto venne distesa dal delegato Brunacci a nome
dell’intera commissione, e porta la data del giorno 21 ottobre 1805. La
descrizione e la stima delle opere vennero compilate similmente dagli altri due
delegati Giussani e Giudici. Tutte le altre pezze e disegni presentati in
quell’occasione servivano come di corredo del piano d’esecuzione pel canale
progettato.
Per gli
elementi della linea e dello sbocco del Canale di Pavia la commissione era
stata portata a conchiudere che il migliore andamento fosse quello di
distaccarlo dal Naviglio Grande fuori di Porta Ticinese al luogo dell’incile
antico, di continuarlo pure sulla linea antica costeggiando a diritta la strada
postale da Milano a Pavia, e di farlo piegare a sinistra della stessa strada
poco prima di arrivare a Binasco per fiancheggiare da quella parte tale
villaggio sino a riguadagnare sotto di esso la strada postale e mettersi
nuovamente alla sua sinistra entro l’antico alveo del Navigliaccio per restarvi
fino a un punto alquanto di sopra di Campeggi. Ivi si proponeva la commissione
di trasportare piuttosto una tratta della strada postale a sinistra nella
campagna onde dar luogo alla continuazione del canale nella sua linea retta,
anzicchè gettarsi col canale nelle bassure delle campagne laterali a destra.
Dal punto poi dell’edificio del Navigliaccio detto la travacca Campeggi in avanti si manteneva la commissione colla linea
del canale ancora a destra della strada postale, per il motivo di voler passare
avanti la Porta S. Vito di Pavia. Costeggiando la Roggia Caronna per arrivarvi,
essa ha inteso di disegnare una comoda voltata verso la stessa Porta e di
ridursi inoltre in un sito comodo a mettere in esecuzione l’antica idea di distaccare
un ramo d’acqua dal Naviglio di Pavia, che passando sotto un arco praticato
nelle mura di questa città andasse a terminare in una darsena davanti alla sua
Fonderia. Immesso di tal maniera il canale navigabile nella fossa di
fortificazione di Pavia, secondo il piano della commissione, ne doveva seguire
a sinistra l’andamento cingendo la città sino al di sotto della Porta di
Cremona, d’onde ne sortiva nuovamente per ispiccarsi ad un comodo e sicuro
sbocco in Ticino precisamente nel luogo occupato dal canale di scolo detto il Roggione, che si stabiliva di inalveare
alquanto più sotto perchè non avesse colla sua vicinanza ad interrare lo sbocco
del Naviglio.
A
riguardo di quest’ultima tratta della linea del Canale di Pavia la commissione
riteneva per ferma la massima generale, che lo sbocco di una corrente qualunque
in un fiume debba farsi di regola in luogo ove il fiume sia stabilito d’alveo e
di sponde, cioè a dire dove non più si alzi per deposizioni nè più s’abbassi
per iscavamento, e dove inoltre il fondo del l’influente possa andare a
spianarsi sopra quello del recipiente, ed abbia in fine una direzione non già
ad angolo retto ma quanto più si può cospirante con quella del recipiente
medesimo. Il motivo addotto dalla commissione per rifiutare la direzione
dell’angolo retto si era che le forze di ciascuno dei due confluenti cospirando
tra di loro fanno scorrere le acque dopo l’unione con una direzione risultante,
e che tale conflitto delle acque rendendo quasi stagnanti quelle che si trovano
nell’angolo superiore dei due filoni cagiona per conseguenza de’ depositi
davanti lo sbocco, mentre si cercava di evitarli colla scelta di un luogo in
cui il fiume fosse stabilito. A favore di questa massima era adottata dalla
commissione generalmente l’ipotesi che si dovesse conservare al canale,
dall’incile fin al suo sbocco nel fiume, un corpo d’acqua in un rapporto
sensibile colla portata di questo fiume; si facevano poi militare dalla stessa
commissione diverse ragioni particolari pel caso concreto del Canale di Pavia.
Si adduceva per esempio la circostanza che terminando la fossa di Pavia nel
Ticino in luogo di bassi fondi in ghiaia, non era opportuno il seguirla col
canale per avere lo sbocco in direzione prossima all’angolo retto col filone
del fiume. A questo riguardo si riferivano le sezioni ed i scandagli del fiume
i quali avevano mostrato che volendo continuare a correre col canale nella
fossa suddetta sino in Ticino, come fra gli altri aveva progettato Frisi nel
secolo passato, si rendeva ancora indispensabile una rilevante escavazione
artificiale del fiume per dare bastante fondo alle barche nel punto di
confluenza delle sue acque con quelle del canale. Si desumeva inoltre
dall’indole dei fiumi correnti in ghiaia che tale escavazione sarebbe stata presto
interrala dal Ticino nella sezione corrispondente alla punta del bastione
inferiore della città di Pavia. Finalmente si faceva riflettere, che dovendo
ordinariamente le barche cariche risalire e non discendere il fiume Ticino,
sarebbe riuscita incomoda all’ingresso in canale dello barche ascendenti assai
più la direzione ad angolo retto che quella obbliqua e cospirante. E come si
aggiungeva, anche l’ingresso in canale delle barche discendenti sul Ticino non
poteva essere altrimenti facilitato che con un opportuno molo internato dal
canale nel fiume in direzione cospirante col filone di questo per coprire le
dette barche dalla maggior violenza dell’acqua e proteggerle sin a tanto che
colla manovra dell’alzaia fossero arrivate ad infilare il canale.
Riteniamo
pertanto che appoggiata a tutti questi motivi la commissione ha giudicato
conveniente di deviare per il punto dello sbocca e per l’ultima tratta del
canale dall’angolo del bastione inferiore e dalla fossa di Pavia. Portandosi
poi più sotto nel luogo suindicato a ritrovare un basso fondo continuato di
circa met. 1,188 d’acqua ne’ tempi di magrezza del fiume senza allontanarsi di
troppo dalla città stessa di Pavia, divisava la commissione di assicurare
meglio lo sbocco del canale con un molo da piantarsi nel letto di Ticino sopra
fondi di ghiaia ancora più bassi di quello scelto per lo sbocco, e da
intestarsi ad un’isoletta che sorgeva in quella località a dividere il fiume
ne’ due rami così detti Maestro e Canarolo.
Stabilito
l’andamento del Naviglio, dall’incile fin al suo sbocco in Ticino, è passata la
commissione a determinare l’elemento della pendenza. E qui essendole risultato
dalle proprie osservazioni un’altezza di met. 54,60 per la totale caduta dal
fondo del Naviglio Grande presso l’incile del nuovo canale sino al fondo di
questo nel luogo fissato per lo sbocco in Ticino, ha dichiarato in progetto che
si dovesse dare al fondo stesso del nuovo canale una pendenza libera di met.
0,817 al miglio di met. 1782 per una misura ragguagliata, e che si dovesse
distribuire il restante di met. 39, 067 di caduta ne’ sostegni di salto vario
ma che riusciva limitato all’altezza di met. 4,752 all’incirca.
Per una
ragione di disporre il canale come ne’ progetti anteriori, cioè con una certa
pendenza e non orizzontalmente ne’ suoi diversi tronchi, si addusse dalla
commissione la convenienza di non accrescere il numero de’ sostegni oltre un
certo limite, per non andar incontro a tutti gli inconvenienti di un canale a
sostegni o moltiplicati di numero o troppo alti di salto. La commissione
soggiunse inoltre per un’altra ragione, che non credeva ammissibile l’idea di
un canale orizzontale ne’ suoi tronchi anche per il bisogno di farlo adattato
ad una portata d’acqua corrispondente agli usi di navigazione, irrigazione, movimento
d’opifici e simili.
I motivi
poi di non assegnare un’uniforme pendenza ai tronchi di tutta la linea del
canale e di tenerla soltanto compresa fra certi limiti, ad onta della dottrina
che raccomanda uniformità di pendenze nei letti delle correnti che si bramano
inalterabili e nei canali navigabili che si vogliono adattati alla più
scrupolosa economia di acqua e di tempo nei viaggi, non erano pochi nè deboli
secondo il parere della commissione, che in questa parte non si è dipartita
dalle prescrizioni degli antichi progetti del Canale di Pavia e degli altri
canali milanesi.
Fra le
circostanze particolari che in ciò potevano giustificare il piano della
commissione, vi era specialmente rimarcata la condizione di dover essere il
Canale di Pavia interrotto in molti tronchi diversissimi tra di loro nella
portata d’acqua, nella qualità, disposizione ed accidenti del terreno. Quindi
si dichiarava che fosse una determinazione economica e conveniente quella di
accomodare le pendenze del canale navigabile da Milano a Pavia, talvolta a
sostenere per modo il suo pelo d’acqua da potere far saltare per botte
sotterranea o per ponte-canale le acque trasversali che non si volevano o non
si potevano ricevere in naviglio da una parte e restituire dall’altra, e
talvolta invece ad abbassarlo in modo da lasciar passare liberamente sopra il
naviglio alcuni dei fossi trasversali alla linea per mezzo di elevati
acquedotti.
Con
questi principj inoltrandosi la commissione al dettaglio della distribuzione di
pendenze, riteneva per abbondante anzi che no il massimo di met. 0,990 al
miglio di met. 1782, fissato per la prima tratta di canale da Milano al Lambro;
ma credendolo ancora nei limiti richiesti dalla sua proporzione colla portata
d’acqua disponibile, essa lo ammetteva per non voler ingombrare di sostegni il
canal navigabile presso Milano, nè alzarsi col ciglio del medesimo canale
presso l’incontro del Lambro sopra il livello della laterale strada postale, e
nemmeno abbassarsi colla soglia all’incile del nuovo naviglio portando un corrispondente
abbassamento alle ultime tratte dei canali Naviglio Grande e Naviglio-interno
di Milano verso la Porta Ticinese di questa città.
Parlando
più specialmente della caduta del terreno da estinguersi col mezzo de’
sostegni, era questo nel concetto della commissione un problema da sè solo
assai indeterminato sì per rapporto alla collocazione che per rapporto ai salti
di ciascun di loro. Ma la considerazione delle circostanze locali e la
cognizione delle risorse dell’arte dovea servir di guida alla commissione per
arrivare a quella soluzione del problema che essa credeva non già la più
semplice ma la più conveniente sotto tutti i rapporti in complesso. Ideava
quindi la commissione di collocare sulla linea un primo sostegno al Lambro, un
2.° a Cassino, un 3.° a Binasco,un 4.° a Nivolto, un 5.° a Torre del Mangano ed
un 6.° davanti Porta S. Vito di Pavia. Presso le mura di Pavia disegnava la
stessa commissione un 1.° sostegno davanti Porta Stoppa, un 2.° prima di
incontrare sulla linea la strada postale da Pavia a Cremona, ed un 3.° di sotto
di questa strada prima di giungere allo sbocco in Ticino. In generale però sul
punto del salto dei sostegni mostrava la commissione di scegliere più per
convenienza del caso che per dettami dell’arte, i quali fossero generalmente
contrari alla massima dei sostegni pochi di numero e di salto straordinario. Il
solo bilancio dei pregi e dei difetti nel dare più o meno caduta ai sostegni
dei Canale di Pavia era quello che portava la commissione per un complesso di
motivi e di circostanze a non oltrepassare in essi di molto ancora il salto
immediato di met. 4,752. Così rimanendo per l’ultimo sostegno dello stesso
canale presso lo sbocco in Ticino una caduta di met. 6, 336 cioè alquanto
maggiore di quel limite, giudicava la commissione che si sarebbe benissimo
potuto consumarla in un sol salto senza alcun immaginabile timore per la
solidità della fabbrica o per la sicurezza della navigazione; ma poi
riflettendo alla possibilità di risparmiare in quel punto della linea l’uso di
una conca di discreta altezza in tempo delle piene e delle mezze piene di
Ticino, si era ridotta la stessa commissione a prescrivere la suddivisione di
quel salto in due conche accollate di
cui ciascuna non oltrepassasse l’altezza di met. 4,752.
Circa alla
forma dei sostegni a salto così moderato, si credeva dalla commissione
bastantemente idonea quella usata sul cadere del passato secolo al Naviglio di
Paderno; per cui si voleva da essa di conformità ridotto al Canale di Pavia il
vecchio sostegno al Lambro detto anche Conca
fallata.
Come nei
progetti anteriori, il piano della commissione prescriveva al Canale di Pavia
una larghezza di met. 10,692 misurata sul fondo, onde permettere almeno lo
scambio delle barche usate sugli altri canali milanesi; se non che nell’ultimo
tronco verso il Ticino il canale vi era segnato in larghezza di met. 16, 632,
onde farvi l’uffizio di una darsena per le barche di ogni grandezza obbligate a
trattenervisi per i bisogni del commercio. Nello stesso piano si conservava
ancora l’incile vecchio del canale, il Ponte Trofeo, il ponte-canale sul Lambro
e varie botti di quelle costrutte al principio del secolo 17.o sulla
linea. Le sponde del canale dovevano essere opportunamente armate soltanto dove
il bisogno lo richiedesse. Un ordine di porte attraverso il canale verso
l’incile doveva preservarlo dalle piene del fiume Olona. Un consimile artifizio
al luogo detto Conchetta doveva assicurare invariabilmente la competenza
d’acqua alla Roggia Carlesca che si dirama in quel punto della linea. Onde
provvedere al caso di piene che per avventura potessero introdursi in canale ed
alle altre solite occorrenze, non voleva risparmiare la commissione le
fabbriche di scaricatori a paraporti ne’ luoghi più idonei sulla linea ed in
ispecie all’incontro del Lambro, del Ticinello e del Navigliaccio di sotto
all’edifizio detto travacca Campeggi.
Le altre fabbriche prescritte dalla commissione 1805 per il Canale di Pavia si
riducevano principalmente a 14 ponti attraversanti il canale, oltre quelli da
aggiungersi alla sboccatura di ciascun sostegno; a 16 altri ponti per la strada
dell’alzaia; a 5 ponti-canali in due archi per il sottopassaggio delle acque
del Lambretto, della Colombaria, del Ruzzolone, della Roggia Caronna dei molini
e del Ticinello; a 3 acquedotti per passare col Naviglio di sotto a tre canali
d’irrigazione; a 2 botti sotterranee piane o con poco salto; a 38 altre botti a
sifone, ed a 122 edilizi da trasportarsi sul terreno in vicinanza del nuovo
naviglio per non disturbare il sistema preesistente di agricoltura e di
irrigazione sulla linea di campagne da Milano a Pavia ed al Ticino.
Fissati
tutti questi e gli altri elementi della forma del canale, la commissione si è
voluta occupare in quella circostanza anche di un cenno sulla quantità d’acqua
che potesse abbisognare per formare la presa del Canale di Pavia, sebbene non
vi potesse esser dubbio sulla possibilità fisica di radunarne a Milano in una
copia più e più maggiore del puro bisognevole. Assunta quindi la condizione che
un’altezza d’acqua di metr. 1,188 fosse necessaria per far pescare alle barche
del canale progettato poco più di metr. 0,594, è passata la commissione ad
indicare il metodo di calcolare il corpo d’acqua che in questo caso sarebbe
riuscito strettamente obbligato al Canale di Pavia. E mentre per tale idraulica
ricerca in Italia nel passato secolo non si sarebbe esitato dal ricorrere
all’ipotesi delle tavole paraboliche,
come a quella che era la più generalmente ricevuta e che è bastantemente
spiegata nelle opere del Guglielmini, del Grandi e degli altri idraulici
italiani sino al De Regi, la commissione che non riposava tranquilla sulla
generalità di tale regola e della sua applicazione alle misure delle acque
correnti, si è attenuta invece ad altri precetti. Così ha ammesso la
commissione col Guglielmini per una legge di natura nel movimento delle acque
correnti ridotte allo stato di permanenza entro alvei di corso libero, che la
velocità media sia regolarmente maggiore quando maggiore è la declività
dell’alveo. Poscia per il rapporto più preciso tra le pendenze di due alvei e
le velocità medie dei corpi d’acqua, nella parità di tutte le altre
circostanze, si è supposto dalla commissione che le velocità medie siano
proporzionali alle radici quadrate delle pendenze. E preso per base questo
canone che si diceva confermato dall’esperienza, almeno nei casi di piccola
declività come di qualche metro al miglio, la commissione stessa avrebbe
desiderato di poter passare alla misura effettiva delle pendenze e delle
velocità medie di diversi tronchi dei canali milanesi; ma la ristrettezza del
tempo concesso per la redazione di quel progetto impedì per allora di
instituire alcuna di queste esperienze, sicchè la commissione si limitò a
valutare a giudizio empirico il corpo d’acqua da assegnarsi al Canale di Pavia
in once magistrali 150, che equivalgono a circa metr. cub. 360. Tuttavia per
accennare all’atto della presentazione di quel piano almeno il punto della
provincia da cui come dal più sicuro serbatoio e col più facile mezzo di condotta
si potesse ottenere il corpo d’acqua del Canale di Pavia, fu proposto dalla
commissione di ricorrere al Ticino ed al Naviglio Grande. Bramava però la
commissione stessa di lasciare intatto il sistema di opere, che alla libera
imboccatura del Naviglio Grande invita mirabilmente per una parte le acque del
fiume Ticino ad entrare nel letto di questo canale e dall’altra loro procura
una chiamata stabile e perenne verso il di lui proprio letto. Perciò si è
indicato in quell’occasione il ripiego di accrescere all’uopo la portata del
Naviglio Grande coll’impinguare il ramo d’acqua influente detto Roggia Molina
che si distacca dal Ticino superiormente all’imboccatura del Naviglio Grande e
si scarica in questo alcune miglia di sotto dell’incile, dopo aver servito nel
suo viaggio alla irrigazione ed al movimento d’opifici. Inoltre si è fatto
rilevare nel piano della commissione la necessità di alzare in taluni luoghi le
sponde del Naviglio Grande, di ricostruirvi in taluni altri qualche ponte in
un’elevazione maggiore, e di fare altre simili opere per adattate questo canale
alla nuova circostanza di un considerabile aumento di portata; ma anche qui
vedendo la commissione la difficoltà di stare alla precisione geometrica • per
determinare gli alzamenti di pelo che si sarebbero prodotti nelle diverse
tratte del Naviglio Grande dalla incorporazione di una nuova quantità d’acqua
conosciuta fra certi limiti nella sua misura, si ebbe ricorso ad alcune
pratiche notizie sulle variazioni di pelo che produce nelle stesse tratte del
Naviglio Grande il semplice chiudimento od aprimento de’ paraporti disposti
sulla sua sponda. Ciò per altro era ancora più che sufficente per servir di
norma nella compilazione della stima approssimativa delle spese necessarie per
ottenere a Milano il corpo d’acqua del canale progettato.
Tale è il
piano di lavori della commissione 1805 per il progetto del Canale di Pavia,
valutato a quell’epoca 6,200,388 lire di Milano nella totalità delle spese di
sua costruzione. Nella primavera del 1806 esso fu spedito, appoggiato dal
Governo di Milano, per l’approvazione di Napoleone a Parigi, ove fu rimesso
all’esame del matematico Prony. Questo celebre Direttore della R. Scuola de’
Ponti ed Argini di Francia, che aveva poco prima onorato di una visita i canali
di navigazione del Milanese, comunicò di là le proprie osservazioni al
progetto, che furono successivamente trasmesse dal Ministro Aldini a Milano.
Intorno
all’esposizione ed ai motivi del progetto, il sig. Prony nel suo rapporto trovò
meritevole di approvazione e di lode la linea prescelta dalla commissione, e
dichiarò specialmente bene studiata e saggiamente concepita la direzione
dell’ultimo pezzo di canale sotto Pavia, che terminar doveva in Ticino.
Parimenti intorno alle dimensioni del sostegno doppio disegnato per l’ultimo
della linea sotto Porta Cremona di Pavia, il sig. Prony non fece che degli
encomj agli autori del progetto, osservando che ebbero in vista di mettere la
superficie dell’acqua nel tronco anteriore al di sopra delle grandi piene di
Ticino col portare la somma dei due salti di quel sostegno alla misura di met.
6,336. Neppure sulla scelta del luogo dello sbocco non è occorso al sig. Prony
di far alcun rilievo in contrario, mentr’egli si è limitato a far avvertire,
che venendo a cadere questo sbocco quasi di contro all’imboccatura del ramo di
Ticino detto Predamasco, siffatta posizione esigeva forse delle particolari
precauzioni per facilitare l’entrata in canale alle barche che provenissero da
un tal ramo di fiume. Ma non così si può dire delle parti del progetto relative
alla distribuzione delle pendenze; al collocamento, dimensioni e forma degli
altri superiori sostegni; alla misura e condotta a Milano del corpo d’acqua che
doveva servire per la presa del nuovo canale.
E
primieramente risulta da quel rapporto che il sig. Prony riteneva per
inconveniente da evitarsi assolutamente tutto ciò che contribuisce ad indurre
una qualche irregolarità nelle pendenze da un tronco all’altro del canale.
Egualmente giudicava diffettosa il sig. Prony la distribuzione dei sostegni che
portasse una qualche disuguaglianza di lunghezza nei diversi tronchi. Trovando
poi il sig. Prony i salti dei sostegni disegnati del valor medio di circa metr.
4, non esitava a dichiarare che simili cadute sarebbero giudicate in Francia
come troppo forti, non ostante tutti i mezzi ed i ripieghi che si usassero per
introdurre l’acqua ne’ sostegni medesimi senza degradare la fabbrica di questi
e senza sturbare la loro manovra, e non ostante tutti gli esempi in contrario
offerti dall’Italia e simili a quello del suo Naviglio di Paderno. Quindi il
sig. Prony proponeva anche agli autori di quel progetto del Canale di Pavia di
ridurre i salti dei sostegni alla metà o al terzo della misura succennata per
non allontanarsi in ciò dai precetti sparsi nei libri francesi e messi in pratica sui canali di Francia. Circa agli elementi della forma dei sostegni, il
sig. Prony ha suggerito di non dipartirsi per maggiore semplicità dall’uso di
un canal diversivo a fianco di ciascun sostegno, in luogo del canale
scaricatore parallelo al bacino, per far passare l’acqua dal tronco superiore
all’inferiore, e di far inoltre riempire e vuotare questo bacino seguendo i metodi francesi.
Arrivato
col suo rapporto il sig. Prony all’elemento della quantità d’acqua, mostrava di
crederlo il più imporrante da determinarsi nel progetto del Canale di Pavia, e
poi faceva sentire che le esperienze e le
ricerche istituite in Francia negli ultimi tempi avessero fornito, con una
esattezza sufficente per la pratica, la soluzione di tutti i problemi relativi
ai rapporti che esistono tra le dimensioni dei canali e le quantità d’acqua che
portano. Quindi nella condizione assunta dagli autori del progetto che nel
canale si dovesse avere un’altezza d’acqua di met. 1,188, il sig. Prony ha
stimato esorbitante il corpo d’acqua assegnatogli di once magistrali 150, o
metr. cub. 360; tanto più che il canale era destinato a scorrere in mezzo ad un
paese la di cui ricchezza era già fondata principalmente sulle irrigazioni; e
dacchè in Francia si sarebbero
eseguite le più belle navigazioni con prodotti d’acqua assai minori. Inoltre
confrontando i risultati del proprio calcolo colla anzidetta quantità d’acqua,
e trovando da questo lato una considerabile differenza, ha anche esternato il
sig. Prony di temere che l’esecuzione del progetto del Canal di Pavia avesse a
trovarsi in difetto per mancanza d’acqua. Onde condurre a Milano la competenza
d’acqua del Canale di Pavia, lodava il sig. Prony la saggia determinazione di
non alterare il sistema di opere stabilito al l’imboccatura del Naviglio
Grande; ma temendo pure il sig. Prony di rendere più difficile la navigazione
in questo canale col farlo servire a quella condotta, proponeva di esaminare se
mai vi fosse qualch’altro espediente che non presentasse simile inconveniente
per alimentare il canale progettato. Infine riteneva il sig. Prony che fosse
assolutamente necessario di ripigliare la redazione del progetto, assicurandosi
in prevenzione con misure esatte della quantità d’acqua disponibile per il
nuovo canale, e di passare soltanto dopo avere acquistata questa cognizione a
fissare sì la pendenza da darsi ai tronchi del canale medesimo che tutti gli
altri elementi.
È questa
la sostanza delle osservazioni del sig. Prony sul progetto della commissione
pel Canale di Pavia. Comunicate che esse furono alla commissione medesima
coll’ordine di rimettere al più presto possibile i rischiarimenti relativi,
questi furono rassegnati al Governo di Milano per essere inviati a Parigi fin dal
giorno 20 giugno del suddetto anno 1806.
In tale
risposta si è parlato ampiamente di tutte le osservazioni del sig. Prony. Per
quella che si riferiva alla disuguaglianza di lunghezza e di pendenza dei
diversi tronchi del Canale di Pavia, si è replicato quanto di ragioni
presentava il caso per appoggiarne la massima; si è stabilito che la detta
disuguaglianza lungi dall’essere un difetto che ordinariamente porti seco
inconvenienti, il prescriverla nei casi consimili al Canale di Pavia sia invece
per lo più il capo d’opera dell’arte idrometrica. Per riguardo alla situazione
dei sostegni si aggiunse inoltre che i salti assegnati lungi dall’essere
eccedenti erano anzi assai moderati in confronto di quelli che si conoscevano e
che sembravano a taluni sforzi pericolosi dell’arte, perchè da essi non si
avverte a quanto possa arrivare l’arte medesima; si dichiarava di più che
queste ardite fabbriche non fanno sorpresa in Italia ove se ne incontrano molte
felicemente eseguite ed usate ed ove si ha notizia di quelle dell’antico Canale
di Paderno, le quali, come si aggiungeva «onorano il genio del celebre
architetto e pittore milanese Giuseppe Meda».
Sul
proposito della forma prescelta in quel progetto per i sostegni del Canale di
Pavia, essendo essa simile a quella dei sostegni usati al nuovo Canale di
Paderno, si riteneva ancora consentanea alla solidità della fabbrica, al minor
dispendio di tempo e di spese di costruzione, alla comodità e sicurezza del
barcheggio, ed a tutte le altre condizioni comandate dalle circostanze del
terreno e del caso, ad onta delle generiche osservazioni e dei dubbi
manifestati dal sig. Prony in contrario.
Circa
alla determinazione dell’elemento della quantità d’acqua che il sig Prony
stimava possibile di ottenere coll’applicazione delle formole analitiche
contenute nelle sue opere,[2]
ha fatto la commissione riflettere, che il geometra francese ha ricavato
dall’analisi quanto si poteva ricavare nello stato delle nostre cognizioni a
quell’epoca, allorchè sull’appoggio di esperienze si è giunto a formole così
semplici e così eleganti come le sue; ma aggiunse poscia la stessa commissione,
che niuno potrebbe lusingarsi di ricavare da queste formole delle regole
generali per il movimento e la misura delle acque correnti ne’ grandi canali e
ne’ fiumi, sul motivo che poste alla prova le formole del sig. Prony da vari
esperimentatori per molti casi, e specialmente per i canali e fiumi del
Milanese, si sono ritrovate poco sicure come tutte le altre sin allora
conosciute. Decise pertanto la commissione che il metodo indicato dal sig.
Prony nelle sue osservazioni fosse per nulla preferibile al processo
teorico-pratico da lei accennato in progetto per arrivare alla desiderata
determinazione; e dietro un’esperimento eseguito successivamente sul tronco del
Naviglio della Martesana che si stende dalla così detta Cassina de’ Pomi alle
mura di Milano, la stessa commissione riferì di essere veramente arrivata,
battendo una strada meno speculativa di quella indicata dal sig. Prony, ad
accertarsi dell’esistenza del corpo d’acqua che poteva comportare la pendenza,
l’altezza di pelo, e le altre dimensioni assegnate in progetto ai tronchi del
Canale di Pavia, anche senza stare strettamente alle prescrizioni originarie
del Governo.
Intorno
al dubbio esternato dal sig. Prony, che l’introduzione di una nuova quantità di
acqua nel Naviglio Grande, per formare la presa del nuovo Naviglio di Pavia da
costruirsi, potesse essere dannosa alla navigazione di quel primo canale già
sussistente e frequentato, la commissione ha fatto osservare che l’aumento
d’acqua, di cui si trattava, sarebbe stato molto sensibile su tutta la linea
del Naviglio Grande soltanto in tempo delle magre di Ticino, le quali durano
circa due mesi all’anno. Ha soggiunto specialmente la commissione, che a giudizio
de’ barcaroli se non si desidera il Naviglio Grande in piena, si brama però che
esso abbia un’altezza d’acqua maggiore del puro necessario al passaggio delle
barche; che si suole dire a questo proposito « più acqua sino a un
certo punto meglio regge la barca »; e che perciò si poteva credere molto
probabilmente che la nuova acqua da introdursi e da mantenersi nel Naviglio
Grande, lungi dal pregiudicare alla navigazione, avesse anzi a renderla più
facile. Avendo poi la commissione considerato l’aumento della velocità
dell’acqua corrispondente alla maggior introduzione da farsi nel Naviglio
Grande, come fosse tutto a scapito di una barca che rimonta il canale, si fece
a valutarne una misura approssimata colle note formole, desunte dall’ipotesi
del moto lineare de’ fluidi, e che erano le più accreditate presso gli
idraulici per simili ricerche. Nel risultato si trovò tale aumento affatto
sprezzabile in confronto della velocità osservata sui primi pezzi del Naviglio
Grande verso il suo distacco dal Ticino, e di poco riguardo in paragone di
quella esperimentata sugli altri pezzi successivi del Naviglio Grande fin verso
Milano, dove l’acqua, scorrendo sino allora con meno che moderata velocità,
poteva sopportarne una maggiore senza pena della navigazione retrograda.
Concedendo finalmente che qualche sensibile svantaggio potesse derivarne per
tal riguardo alla navigazione del Naviglio Grande, persistette la commissione
nel credere che il mezzo meno sconveniente onde avere a Milano la presa d’acqua
del Canale di Pavia fosse quello di ricorrere in ogni caso al Ticino ed al
Naviglio Grande; e poi rifiutò anche il sospetto che si era permesso il sig.
Prony nelle sue osservazioni, che questo cioè fosse un andar incontro ad un
male certo per una nuova navigazione semplicemente progettata; mentre avendosi
acqua per alimentare ambedue i canali a vantaggio del commercio e dello Stato,
non poteva cadere in mente umana alcun dubbio sopra la possibilità e la utilità
del nuovo Canale di, Pavia che si trattava di costruire.
Sul
riguardo della osservazione del sig. Prony che si riferiva all’ordine da
seguirsi nella determinazione degli elementi del progetto di un canale, e che
stabiliva generalmente per punto di partenza l’elemento della quantità d’acqua,
ha soggiunto la commissione la sua eccezione pel caso concreto del Canale di
Pavia e per ogni altro consimile, col dichiarare che, quando si è sicuri di
avere a disposizione quel corpo d’acqua che si desidera per avere possibile una
navigazione, si deve invece nel progetto incominciare dal fissare valori fra
certi limiti agli altri elementi che più importano, come per esempio alle
pendenze del canale da distribuirsi per modo che permettano il comodo
barcheggio in ogni senso, attenendosi sempre ad estremi conosciuti per
esperienza ed all’attenta considerazione di tutte le circostanze del terreno e
del caso.
Durante
tutta questa discussione del piano per il Canale di Pavia redatto da quella
commissione, nuove leggi e nuovi regolamenti fissarono meglio ed estesero
maggiormente nello Stato gli attributi della Direzione generale d’acque e
strade, cui vennero aggiunti e un Corpo d’Ingegneri, e un Consiglio d’Ispettori
generali, ed in progetto anche una Scuola d’Ingegneri in Milano. Designato poscia
il lavoro del Canale di Pavia come un’opera straordinaria del Dipartimento
d’Olona, alle cui spese dovessero concorrere equamente tutti gli altri
Dipartimenti del Regno d’Italia, nel giugno del 1807 il suo progetto fu
ritenuto come determinato ed approvato. Di seguito l’inallora Vicerè d’Italia
Principe Eugenio ordinò al l’inallora Ministro dell’Interno sig. De-Breme che,
senza dar luogo ad ulteriori ritardi, si dovesse far mettere mano al lavoro.
Abbassato quest’ordine dal Ministro alla Direzione generale d’acque e strade,
venne definitivamente nominato l’Ispettore generale Brunacci a direttore degli
ordinati lavori, e gli Ingegneri in Capo signori Giussani e Giudici furono
invitati a sussidiare Brunacci, segnatamente il primo intorno ai lavori da eseguirsi
sul Naviglio Grande per disporre a Milano la presa d’acqua del nuovo canale, ed
il secondo intorno ai lavori da attivarsi per questo sulla linea da Milano a
Pavia ed al Ticino.
Il
Brunacci posto appena alla testa della direzione di tali lavori si occupò co’
suoi collaboratori del modo di far eseguire con regolarità le varie operazioni
preparatorie al travaglio, fissato da intraprendersi contemporaneamente verso
Milano e verso Pavia sulla linea del nuovo canale.
Quando
furono incominciate queste disposizioni, e che si attendeva specialmente a
rilevare un’accurata livellazione in dettaglio per tracciare sul terreno la
prima tratta di canale da Milano verso Pavia, si ebbe campo di farvi nuove e
più minute osservazioni sul punto della più conveniente distribuzione delle
pendenze del terreno. Di qui è che l’ingegnere Giudici desiderò fin d’allora di
assegnare al Canale di Pavia un sostegno di più oltre quelli fissati in
progetto, e propose di situarlo al luogo precedentemente detto Conchetta fra
l’incile ed il sostegno al Lambro da restituirsi. L’idea di questo nuovo
sostegno da erigersi per il primo della linea non fu male accolta dal Brunacci
che la manifestò alla Direzione generale d’acque e strade nel rassegnare il
preventivo delle spese per quell’annata di lavori al Canale di Pavia. Ma
contemporaneamente riandando il Brunacci l’intero progetto della commissione,
per meditarlo e perfezionarlo finchè si era ancora in tempo, si persuase della
necessità di studiare ulteriormente la linea del canale, onde scegliere anche
in ciò il partito veramente più convenevole che offrisse la natura del luogo e
del caso. Passò quindi il Brunacci ad ordinare la sospensione del tracciamento
del canale sulla linea approvata, e cercò di concertare co’ suoi collaboratori
una nuova stima dei lavori per mettersi in grado di provare al Governo i
vantaggi dei nuovi andamenti da lui ideati per lo stesso Canale di Pavia. Quel
professore non ha però potuto su quest’ultimo punto ottenere così facilmente il
suo intento, a motivo di alcuni spiacevoli incidenti che qui riferiamo, come
quelli che ebbero non poca influenza nella successiva condotta dei lavori.
Le
variazioni di linea che il Brunacci andava meditando nella sua qualità di
direttore dei lavori sembravano disdicevoli all’onore dei suoi collaboratori,
ingegneri Giudici e Giussani, per la circostanza che questi ultimi avevano
appartenuti come membri della commissione 1805 alla delegazione incaricata
della formazione del progetto. Però non si credeva dai medesimi di dover
prestare alcun aiuto nelle indagini relative a quelle variazioni per timore di
offrire con ciò l’apparenza del loro assenso, mentre nella realtà essi
persistevano nell’opinione contraria. In questo stato di cose, il Brunacci ebbe
a rappresentare alla Direzione generale d’acque e strade la necessità di un
superiore provvedimento, affinchè non avesse a venir incagliata la direzione
dei lavori per mancanza d’aiuto occasionato dall’altrui deferenza al progetto
del 1805. Tale rappresentanza del Brunacci venne però seguita davvicino da
altre consimili de’ suoi collaboratori, e specialmente da una del Giudici in
cui questi dimandava la sua dimissione da ogni incumbenza presso i lavori del
Canale di Pavia. La Direzione generale d’acque e strade in tale emergenza
avrebbe desiderato dal canto suo di potere con qualche saggia disposizione far
prendere buona piega a quei lavori; quando il Brunacci trovandosi di aver
perduto del tempo destinato alla loro attivazione e di non avere ancora
esaurite le sue indagini per migliorare l’andamento del nuovo canale, pensò di
riacquistarlo col dare tutte le disposizioni necessarie con una straordinaria
celerità.
Cedendo
così il Brunacci al proprio carattere impetuoso, sarebbe forse sortito
felicemente dagli imbarazzi della sua situazione, se per ottenere la massima
velocità nel travaglio non avesse senz’avvedersene trapassati i limiti
dell’autorità di un direttore d’opere pubbliche nel Milanese col far eseguire
il taglio di alcune piante cadenti su di una linea da lui ideata per la tratta
di canale da Annone a Binasco, avanti di prendere gli opportuni concerti d’uso
coi privati proprietari.
Appena
conosciuto il fatto che minacciava di fargli pagar caro il suo primo ingresso
negli affari d’acque del Milanese, pensò spontaneamente il Brunacci di ripararvi
a proprie spese e nella maniera più pronta. A quest’effetto nei primi giorni
dell’anno 1808 fece egli sospendere immediatamente i lavori d’escavazione
intrapresi al Canale di Pavia, e passò a far eseguire una stima delle piante
atterrate per di lui ordine sull’ideato andamento del medesimo canale dagli
ingegneri del Corpo addetti all’amministrazione del Dipartimento d’Olona, in
cui n’era seguito il taglio. D’altra parte la Direzione generale d’acque e
strade si era procurata una seconda stima delle stesse piante atterrate, e si
trattava di rassegnare ambe le stime alla scelta ed approvazione superiore,
allorchè non si fu più in tempo. Essendo stato prevenuto l’inallora Vicerè
d’Italia da rapporto del Ministero dell’Interno sull’accaduto, e contemporaneamente
inoltrate a quel Capo del Governo varie istanze dei privati interessati, i
quali rappresentavano fors’anco la cosa con quelle esagerazioni che sono comuni
in casi simili, non si potè risparmiare il vicereale decreto 8 febbraio 1808, a
riguardo dell’operato del Brunacci.
Portava
questo decreto la indennizzazione del valore intero delle piante atterrate a
spese del Brunacci; valore da regolarsi dal Prefetto del Dipartimento d’Olona
sull’estimazione contradditoria di ciascun proprietario e dell’Ingegnere in
Capo dello stesso Dipartimento. Collo stesso decreto, che per riguardo ai
meriti personali del Brunacci andò esente dalla stampa, venne incaricato
l’inallora Ministro dell’Interno di fare rapporto sulle nuove linee che il
medesimo Brunacci intendeva di proporre in sostituzione di quella dianzi
approvata, e fu anche stabilito che, venendo definitivamente adottata alcuna
delle nuove linee, si dovesse reintegrare il Brunacci del valore di quelle
piante da lui pagate, il cui taglio divenisse indispensabile per la condotta
dei lavori.
Messo in
corso il succitato decreto, in pochi giorni è stato eseguito nella parte che
risguardava l’indennizzo del taglio delle piante di ragione privata. Per
l’altra parte che si riferiva alla presentazione del progetto delle nuove linee
del canale, il sig. Carlo Parea, in allora Ingegnere in Capo del Dipartimento
d’Olona, sopra invito della Direzione generale d’acque e strade assunse
l’incumbenza di compilare per il Brunacci le stime a lui occorrenti. Spiegando
quindi Brunacci al sig. Parea le proprie idee sul proposito, cominciò dal
rappresentargli di aver verificato coll’esame delle circostanze locali, che lo
scavare la tratta di Canale di Pavia da Annone a Binasco in qualche distanza
dalla strada postale sulla destra, invece di starle colla linea esattamente
addosso dalla stessa parte, potesse essere cagione di assai minor dispendio per
il Tesoro dello Stato nella costruzione della grand’opera. Aggiunse Brunacci di
essersi perciò determinato ad assegnare due nuove linee dalla stessa parte
della strada postale da Milano a Pavia, l’una delle quali scorreva parallela
alla medesima e l’altra era disposta a formare un perfetto rettifilo, ossia una
sola linea retta per tutta quella tratta di canale di molte miglia di
lunghezza. Dimandando per ultimo il Brunacci al sig. Parea una stima dei lavori
per ciascuna delle tre linee fin allora designate, gli fornì anche tutti i dati
che risultavano dalla parte fisica del progetto.
Verso la
metà del marzo 1808 il sig. Parea ebbe rimesso la dimandata stima per le spese
del canale nella tripla ipotesi delle linee succennate, e successivamente con
tale stima alla mano il Brunacci si è indirizzato alla Direzione generale
d’acque e strade col regolare progetto della suddetta tratta di Canale di Pavia
seguendo le due linee nuovamente ideate. Un rapporto accompagnatorio fu
destinato dal Brunacci in quell’occasione a sviluppare tutti i motivi di
convenienza della proposta variazione di linea al progetto del 1805. Questi
motivi si facevano consistere specialmente in un rilevante risparmio di spese
di costruzione, nella maggiore solidità di manufatti inservienti al
sottopassaggio delle acque trasversali alla linea, nel minor numero dei canali
e delle roggie da sorpassarsi, e
nella maggiore indipendenza vicendevole della strada postale e del canale
navigabile.
Convocato
successivamente il Consiglio della Direzione generale d’acque e strade per
discutere il progetto Brunacci, esso ha concluso col voto de’ signori Ispettori
generali Cocoli e Stratico, adottando la prima delle linee proposte di nuovo,
la quale, invece di bordeggiare immediatamente la strada postale, restava di là
di tutti i canali di irrigazione che scorrono sulla stessa direzione a destra
della strada medesima. Appoggiato pertanto il progetto Brunacci dal favorevole
rapporto della Direzione generale d’acque e strade, è stato avanzato poscia al
Ministero dell’Interno. Di qui è stato rassegnato al Principe Eugenio, che dopo
nuova discussione, aperta in un congresso tenuto alla sua presenza dal sullodato
Consiglio della Direzione generale d’acque e strade, approvò definitivamente il
parere favorevole alla nuova linea proposta; e così fu derogato nel progetto
alla linea fissata dalla commissione del 1805 per la tratta di canale da Annone
a Binasco.
Avvisato
appena il Brunacci di questa approvazione che coronava la propria opinione, e
deciso di non voler continuare in una pubblica commissione, che era già per lui
divenuta una cagione di continui disgusti, si è affrettato di dimandare alla
Direzione generale d’acque e strade un abile successore alla testa dei lavori
pel Canale di Pavia, che li facesse ripigliare e li dirigesse al fine
desiderato; sebbene la qualità di pubblico professore sedente in un’Università
del Regno rendendo il Brunacci solamente Ispettore generale onorario, e questo
titolo in forza di un vicereale decreto essendo per se stesso incompatibile
coll’altra qualità di direttore di pubblici lavori, egli è stato
contemporaneamente invitato a determinarsi di lasciare o la cattedra a Pavia o
il posto di Ispettore generale in attività in servizio presso la Direzione
generale d’acque e strade a Milano.
Sciolto
il Brunacci dal suo impegno al Canale di Pavia, la Direzione generale d’acque e
strade è venuta nella determinazione di nominare in sua vece i due sullodati
Ingegneri in Capo Giudici e Giussani, delegando al tempo stesso l’Ispettore
generale Cocoli alla speciale sorveglianza dei lavori affidati alla loro
direzione immediata. La divisione delle incumbenze fra i due nuovi direttori fu
allora regolata superiormente per modo che essi dovessero concertare assieme il
piano dei lavori necessari sul Naviglio Grande per la derivazione e la condotta
del corpo d’acqua del nuovo canale; la direzione immediata di questi lavori fu
specialmente commessa al sig. Giussani, cui s’aggiunse per collaboratore
l’ingegnere del Corpo sig. Giacomo Fumagalli; mentre la direzione dei lavori
del Canale di Pavia restava interamente affidata al sig. Giudici sussidiato da
altri individui del Corpo d’Ingegneri d’acque e strade che vennero chiamati
successivamente a questo servizio in qualità di collaboratori.[3]
Assunto
quindi dalla nuova direzione dei lavori l’impegno addossatole, e stabilito di
riservare l’esecuzione dei lavori sul Naviglio Grande all’epoca in cui quelli del
Naviglio di Pavia fossero avanzati nella loro marcia, le prime cure del
Direttore Giudici furono rivolte a meditare sopra le diverse modificazioni od
alterazioni del piano 1805 che potevano essere suggerite come realmente utili
dopo le nuove osservazioni ed esperienze eseguite.
E
primieramente in riguardo alla distribuzione delle pendenze, desiderava il
Giudici di ridurre la pendenza ragguagliata del canale ne’ suoi diversi tronchi
dai met. 0,817 ai met. 0,594 per miglio, ossia alla 1/1000
parte della lunghezza; modificando di conformità tutto il progetto.
Nell’adottare una tale riforma intendeva il Giudici di portare delle utili
variazioni specialmente al sistema dei primi tronchi del Canale di Pavia verso
Milano. Del resto anch’egli con quella pendenza, presa per un ragguagliato di
diverse misure, pensava tuttavia di non doversi astringere per un tale elemento
ad un’esatta uniformità da un tronco all’altro del canale; e si riservava di
adattarsi alla meglio agli accidenti verificabili del pian di campagne e del
vario corpo d’acque del canale nei vari tronchi della linea, dove per
confluenze, dove per diramazioni e dove per altre circostanze del caso.
Un
secondo oggetto di ulteriore discussione si presentò al Giudici nella
dimensione in lunghezza da darsi ai bacini dei sostegni del nuovo canale. A
questo riguardo la commissione del progetto 1805 si era attenuta alla massima
di prescrivere la misura più comune sugli altri canali milanesi pei sostegni,
che sono generalmente capaci di contenere a un tempo una barca delle più grandi
usate ed un’altra mezzana o piccola. Questa determinazione si era appoggiata al
motivo che tali barche vanno per l’ordinario accoppiate ne’ viaggi, ed al
riflesso che altrimenti ad ogni passaggio di barche bisognerebbe rimuovere a ciascuna
di esse dal centro d’appoggio il lungo albero che porta la pala ossia il timone
più adattato alla navigazione dell’Adda e del Ticino. Il Brunacci per altro
aveva mostrato desiderio di diminuire all’atto dell’esecuzione dei lavori
l’assegnata lunghezza dei bacini per risparmiare e spese e tempo ed acqua nella
navigazione a barche isolate che si potevano spogliare ogni volta dell’albero
della pala.
Pensava
di più il Direttore Giudici che potesse esser utile il procurarsi da principio
del grande lavoro un pezzo di canale finito, anzicchè estendersi subito ad
abbracciare una linea di lavori sopra di una tratta molto lunga, come avea
fatto il Brunacci. Egli si decise quindi dal canto suo di ordinare la sola
attivazione dei lavori di costruzione pel primo sostegno del canale nel luogo
detto la Conchetta, e di ristaurazione e riforma della Conca fallata per il secondo sostegno del nuovo Canale di Pavia.
Per tutto
ciò il Giudici, avanti di far riprendere sotto la sua direzione i lavori al
Canal di Pavia, ha chiesto alla Direzione generale d’acque e strade
l’approvazione a quelle fra le riferite modificazioni ed alterazioni al piano
del 1805 ed alla condotta dei lavori del 1807 che fossero credute utili tanto
in linea d’arte che in linea d’economia, onde avere determinate e stabilite le
massime principali che dovevano servire di norma nella rifusione del progetto
per la tratta parziale di canale da Milano al Lambretto.
Invitato
quindi l’inallora Ispettore generale d’acque e strade sig. Conte Stratico ad
assumere in assenza del sig. Cocoli la sorveglianza della direzione de’ lavori
per il Canale di Pavia, comunicò per tale oggetto col Brunacci e col Giudici, e
passò a riferire poscia su tutte quelle viste di variazione al progetto ed alla
condotta dei lavori che restavano da discutersi e risolversi nel Consiglio
della Direzione generale d’acque e strade.
Appoggiando
il sig. Stratico le accennate determinazioni del Giudici, si ridusse a proporre
degli studi e delle mature riflessioni sul punto della lunghezza da darsi ai
bacini dei sostegni del nuovo canale. Egli opinò per allora di conservare la
lunghezza sussistente al vecchio sostegno al Lambro già adattato al passaggio
contemporaneo delle due barche, e di limitarsi invece al puro necessario per il
contenuto di una barca sola spogliata del suo timone nel bacino del nuovo
sostegno da erigersi alla Conchetta che doveva risultare di un piccolo salto.
Così il pilota trovandosi su di una barca nel più basso livello dell’acqua in
bacino avrebbe potuto sempre e facilmente elevare la pala fuori d’acqua per
modo da sorpassare la cresta delle portine e dei portoni senza l’incomodo di
rimuovere ad ogni volta l’albero della pala medesima dal suo punto d’appoggio.
Essendo
stato approvato successivamente nel Consiglio della Direzione generale d’acque
e strade tale parere del sig. Stratico, pervennero di conformità gli ordini al
Direttore Giudici. Questi allora imprese a fare nuove visite sopra i canali
milanesi e principalmente al Naviglio di Paderno che era l’esemplare della provincia
di più recente costruzione e l’opera nei suo genere di canale di semplice
navigazione più commendata dai piloti del paese. Così egli ottenne da quel
canale già eseguito e sussistente un fatto il più sicuro per molte massime e
dettagli da applicarsi a quello di Pavia da costruirsi di nuovo. Per dilucidare
la questione della lunghezza dei bacini fu destinata una visita particolare sul
Naviglio della Martesana al sostegno detto della Cassina de’ Pomi e che ha il
bacino capace in lunghezza di contenere al tempo stesso due barche, ancorchè
fossero delle più grandi usate, una armata e l’altra spogliata del lungo albero
del loro timone. Scelto quindi due di siffatte barche ed introdotte cariche in
quel bacino, si sono rilevate le dimensioni necessarie perchè non vi fosse
d’uopo di disarmare alcuna barca dell’albero del timone, e perchè due ad un
tempo vi fossero comodamente contenute. Dando luogo in seguito a tutte le
considerazioni favorevoli e sfavorevoli all’idea di modificare l’assegnata
lunghezza dei sostegni al Canale di Pavia, sì le prime che le seconde si
fondarono sopra un complesso di più o meno ragionevoli motivi. Il risparmio di
spese di costruzione e manutenzione, il minor consumo d’acqua e di tempo, e la
buona pratica del barcheggio consigliavano ancora la riforma suggerita dal
Brunacci per quell’elemento. Di più si presentavano a di lei favore i seguenti
riflessi, 1.° che due soli uomini di servizio alle barche bastavano per
disarmarle dell’albero della pala col farlo strisciare e scorrere sul vertice
della poppa e sul carico o sul cassero; 2.° che avendo l’avvertenza di eseguire
questa manovra viaggio facendo per arrivare al sostegno, essa non poteva
esigere un particolare consumo di tempo a scapito della comoda navigazione; 3.°
che al Canale di Pavia non era per nulla necessaria la forma di timone a lungo
albero invece del timone a ventola che poteva sostituirsi all’ingresso delle
barche in canale dall’incile e dallo sbocco. Le considerazioni contrarie a
quella riforma traevano invece origine specialmente dalla massima di procurare
i vantaggi della maggior compatibile uniformità nell’uso dei sostegni di tutti
i canali milanesi. Si addusse inoltre per un motivo di non adottarla il costume
del paese che ad onta di tutti i vigenti regolamenti lascia volontieri in balìa
di un sol uomo la condotta delle barche, entrate che queste siano dai fiumi nei
canali navigabili; e per ultimo l’ordinaria avversione dei paroni del Milanese a cambiar sistema nei loro viaggi Alla fine
queste ultime riflessioni la vinsero sopra le prime nell’idea del Giudici e lo
fecero propendere per le dimensioni in lunghezza dei bacini a un di presso
eguali a quelle fissate in progetto dalla commissione del 1805.
Ripresi a
questo punto i lavori del Canale di Pavia per l’esecuzione di tutte le opere
comprese nel pezzo da Milano al Lambretto, una maggiore giustificazione delle
massime seguite nel prescrivervi la struttura delle fabbriche principali fu poi
resa dal Giudici all’atto della presentazione dei relativi progetti di
dettaglio per gli appalti parziali che dovevano ottenere la superiore
approvazione.
A tale
riguardo bisogna osservare primieramente, che se nella nuova diramazione da
farsi dal Naviglio Grande a Milano per il Canale di Pavia non si aveva a
vincere la natura dei fiumi Adda o Ticino nel modo che si è detto di sopra, la
buona sistemazione dell’incile e del primo tronco del Canale di Pavia non era
per ciò senza difficolta. Si trattava cioè di conciliare i fini diversi ed
opposti, che si combinano verso il centro principale della rete dei canali
milanesi e dove con essi si immischia e si perde anche il fiume Olona
settentrionale.
Indipendentemente
però da qualunque riforma di piano di penderne al nuovo Canale di Pavia, si
presentava come utile l’idea di aggiungervi un primo sostegno alla Conchetta e
di ritenere la Conca fallata per
secondo sostegno, affine di risparmiarvi ogni particolare artifizio di ordine
di porte verso l’incile prescritto nel progetto del 1805. Difatti fissando la
soglia superiore del bacino pel sostegno della Conchetta definitivamente allo
stesso livello della soglia del canale all’incile, ossia disponendo
orizzontalmente il pelo d’acqua del primo tronco di canale, e tenendo alquanto
rilevato questo pelo col prescrivere le portine dell’anzidetto primo sostegno
più alte dell’ordinario, si era sicuri da una parte di provvedere a tutti i
bisogni delle chiuse prescritte in progetto verso l’incile. D’altra parte nel
Canale di Pavia ad opera finita si doveva poter invitare e sfugare liberamente
un considerabile corpo d’acqua più dell’ordinario, sia per impedire fino a un
certo limite il rialzamento del pelo d’acqua delle ultime tratte del Naviglio
Grande e del Naviglio della città di Milano, sia per non ismaltire a Milano in
canali di ragione privata le acque pubbliche soprabbondanti agli ordinari
bisogni del Canale di Pavia, sia finalmente per immettere innocuamente nel
Canale di Pavia in caso di estremo bisogno una qualche porzione delle piene del
fiume Olona. E per effetto di quel primo sostegno della Conchetta anche il
bisogno opposto di questo sfogo vi veniva pure soddisfatto e garantito dai
paraporti del solito scaricatore attiguo al bacino; tanto più che per maggior
precauzione si è creduto di dover disporre con una qualche pendenza il fondo
effettivo del primo superior tronco di canale, tenendo bassa in corrispondenza
la soglia di detto scaricatore laterale alle portine del medesimo primo
sostegno.
Circa al
salto di quel primo sostegno, i dati, della determinazione prescelti furono 1.°
che avesse ad essere permesso l’abbassamento della soglia superiore al bacino
della Conca fallata, per qualche
metro di più del fissato in progetto al 1805; 2.° che si avesse definitivamente
da adottare per la pendenza del tronco di canale intermedio fra il primo ed il
secondo sostegno una misura ancor qualche poco minore della ragguagliata dianzi
proposta, cioè il 1/3600 della lunghezza. Così non si
alterava il livello della soglia superiore al terzo sostegno del canale,
fissato in progetto da erigersi davanti il paese di Cassino, e si veniva
coll’accennata minor pendenza ad approfondarsi, tanto più colla soglia
inferiore della Conca fallata, in
modo da evitarvi delle forti e dispendiose arginature. Ma da tali ulteriori
deduzioni sulla distribuzione di pendenze al Canale di Pavia è poi risultato
che il sostegno della Conchetta, dianzi ritenuto di salto assai moderato, venne
ad acquistarlo rilevante, ed a portare la necessità di un bacino di
ragguardevole altezza, anche a considerazione della maggior elevazione delle
sue portine oltre l’ordinario in causa delle succitate circostanze. Di qui è
derivata la impossibilità di usarsi dai piloti nella navigazione del canale il
ripiego succennato di rialzare l’estremità dell’albero del timone nelle loro
barche anzichè rimuoverlo ogni volta dal punto d’appoggio stando in bacino di
quel sostegno, qualora la sua lunghezza si fosse ritenuta adattata alla
capacità di una sola barca. Essendo poi stato riproposto di adottare
definitivamente anche la lunghezza per quel bacino proporzionata all’ingresso
contemporaneo di due barche di medie dimensioni fra le usate sui canali
milanesi, tale dimensione passò ad essere la normale nella costruzione degli
altri sostegni del Canale di Pavia.
Circa
alla struttura sì di quel primo sostegno della Conchetta, che del l’altro da
riformarsi per secondo al Lambro, fu seguito generalmente il piano del 1805 che
prescriveva di imitare inciò il nuovo Naviglio di Paderno; se non che all’atto
della formazione dei progetti di dettaglio vi si è introdotta qualche particolarità
più o meno utile. Così per esempio, mentre la forma interna del bacino del
vecchio sostegno al Lambro e di tutti gli altri costrutti nei secoli passati
sui canali milanesi si trova disegnata a base rettangola, pei nuovi sostegni
del Canale di Pavia fu scelta dove la figura poligona, dove la circolare per
assecondare in qualche modo la curvatura delle barche colle pareti dei bacini.
Alla gradinata prescritta in progetto 1805 per ammorzare la violenza dell’acqua
cadente in bacino fu sostituito ed adottato in quell’occasione per tutti i
sostegni del nuovo Canale di Pavia il ripiego di maggiore effetto consistente
nella travata o parapetto di legno
che abbiamo veduto usato dal Meda nel sostegno di sua invenzione, e che dopo
molti studi fatti su questo punto era anche stato riproposto dal Brunacci, il
quale ha creduto di averlo immaginato per il primo.[4]
Intanto
poi che sul principio del 1809 continuavano regolarmente con queste massime i
lavori della tratta di canale da Milano al Lambretto, le cure dell’ingegnere
Giudici si rivolsero a predisporre il piano di massima ed i progetti di
dettaglio per l’appalto delle opere da eseguirsi sopra un’inferiore successiva
tratta di canale, attenendosi al progetto del 1805 colle modificazioni ed
alterazioni sino allora assentate
La caduta
del terreno da estinguersi coll’artifizio dei sostegni dal Lambretto a Binasco
si era accresciuta notabilmente in conseguenza delle succennate modificazioni
introdotte nel piano generale di pendenze. Ritenendosi inoltre dal sig. Giudici
come inalterabile e determinato il livello non solo della soglia superiore del
terzo sostegno del canale disegnato verso Cassino, ma anche quello del fondo
del canale a Binasco presso al quarto sostegno, per la condizione di dare
innocuo passaggio alle acque trasversali alla linea colle botti sotterranee,
tutto l’eccesso di caduta si sarebbe potuto smaltire dando un maggior salto al
terzo sostegno del canale oltre la misura stabilita in progetto al 1805; ma
accrescendosi con ciò di molto pel successivo tronco di canale il salto delle
numerose botti già disegnate abbastanza ardite in progetto, ed aumentando
simultaneamente i movimenti di terra, le armature delle sponde ed altri capi di
spesa necessari, il bilancio delle circostanze ha fatto preferire al Giudici
l’idea di suddividere il salto risultante fra Cassino e Binasco in due minori
cadute per due separati sostegni da situarsi sulla linea che unisce questi due
villaggi.
Per
precisare maggiormente la situazione del terzo sostegno del canale si è avuto
riguardo 1.° alla qualità del terreno più opportuno per la fondazione di simil
genere di fabbriche; 2.° all’incontro di varie ragguardevoli acque passanti
poco di sotto di Cassino, nella vista di schivare alle loro botti un salto
troppo ardito; 3.° alla disposizione del piano delle laterali campagne,
nell’altra vista di risparmiare ogni pericolosa arginatura al canale. Fu però
fissato definitivamente di collocarlo presso il paese di Rozzano, che resta di
sotto alquanto di Cassino, e che offriva la maggiore convenienza in complesso;
e ciò tanto più che per la formazione delle necessarie arginature fra Cassino e
Rozzano si era presentato per ottimo materiale uno strato di terra creta
scoperto in molta vicinanza di quella tratta della linea.
Il
disegno di quel terzo sostegno del canale non vario gran fatto dalla massima
precedentemente stabilita per i due primi, mentre la sua più notabile
particolarità fu il ripiego aggiunto dei condotti praticati nelle grossezze
delle muraglie laterali al bacino coll’imboccatura superiormente alle portine e
collo sbocco in bacino nello spazio compreso fra il muro del salto e la travata
ad esso di fronte, e muniti di paraporti per empire il bacino in modo consimile
a quelli destinati ed usati per vuotarlo.
Approvate
che furono anche tutte queste massime coi relativi progetti di esecuzione, ed
estesa realmente nel 1809 la linea de’ travagli del Canale di Pavia a tutta la
tratta da Milano a Rozzano, si pensò al modo di rendere immediatamente utili i
primi suoi tronchi di mano in mano che i lavori ne fossero ultimati. A
quest’oggetto erasi eseguita una visita apposita al Ticino ed al Naviglio
Grande per decidere della possibilità di disporre a Milano fin d’allora il
corpo d’acqua necessario. Il risultato di tale visita si fu, che onde aver l’acqua
per attivare in qualche modo la navigazione nei primi tronchi del Canale di
Pavia non faceva bisogno di aspettare l’esecuzione di alcun’opera particolare,
mentre all’uopo poteva bastare ed essere innocua una variazione tale nel
regolamento degli scaricatori a paraporti del Naviglio Grande che si avesse a
conservare in questo fino a Milano il maggior corpo d’acqua necessario.
Appena
poi si ebbero perfezionate le opere del Canale di Pavia fra gli accennati
estremi dell’incile e del Lambretto, vi venne introdotta per l’imboccatura del
Ponte Trofeo a Milano l’acqua disponibile che fu diramata in parte nella Roggia
Carlesca di sopra delle portine del sostegno alla Conchetta, ed in parte
sfogata innocuamente nel Lambro e nel Lambretto da presso alla Conca fallata.
Per
assicurarsi del buon esitò di un tal pezzo di canale fu destinato il giorno 28
agosto di quello stesso anno 1809 al di lui formale esperimento. Questo si è
realmente eseguito alla presenza del Direttore generale d’acque e strade, e
riuscì abbastanza felice; sicchè fin d’allora fu praticata la navigazione di
quella prima tratta di nuovo canale della lunghezza di alcune miglia. In tale
circostanza dallo spirito di opposizione non si è trascurato di spargere nel
pubblico alcune vociferazioni a discredito dei nuovi lavori al Canale di Pavia.
Queste miravano ancora a far credere sbagliate le livellazioni e le
corrispondenti distribuzioni di pendenze. Ma l’uso non interrotto di quel primo
pezzo del nuovo canale ad onta che non vi fosse introdotto tutto il Corpo
d’acqua, ed il rapido avanzamento dei lavori nei tronchi inferiori hanno fatto
svanire ben presto tutti i dubbi a questo riguardo. Anzi si può aggiungere, che
quel pezzo di nuovo Canale di Pavia appena si trovò finito e navigabile a’
nostri giorni, col produrre un qualche risparmio alle spese delle inferiori
costruzioni per la facilitazione del trasporto di materiali, e col servire
prontamente di decoro alla città di Milano, animò vieppiù, al proseguimento
della grand’opera verso il suo termine.
Del resto
probabilmente in simili imprese è vano il figurarsi che si possano aver
presenti all’atto della prima redazione dei progetti tutte le circostanze dei
casi e che tutto si possa concertare con precisione di misure prima di mettere
mano all’esecuzione; mentre bene spesso bisogna lasciarsi guidare dalle
osservazioni fatte e dalle notizie assunte nel corso dei lavori. Così non è da
maravigliarsi che, dopo aver attivata la navigazione in quel pezzo di nuovo
Canale di Pavia con una data porzione del corpo d’acqua fissato per la sua
competenza a lavori ultimali, si sia nuovamente discusso sulla più conveniente
misura di pendenze da adottarsi pei tronchi di canale inferiori al sostegno al
Lambro. A principale motivo di questa nuova indecisione da parte della
Direzione dei lavori è stata rappresentata la convenienza di non legare ai
bisogni della navigazione tutto il corpo d’acqua del canale in vicinanza del
suo incile. Per tal modo si poteva rendere alla libera disposizione della
irrigazione e degli altri usi delle acque una porzione considerabile della
competenza intera del canale, che era dianzi fissata per un più lungo viaggio
sulla linea del canale medesimo. Questo nuovo riflesso era sembrato opportuno
specialmente dopo le ulteriori indagini fatte sul miglior profitto delle acque
disponibili dalla linea del Canale di Pavia per usi privati di irrigazione,
movimento d’opifici e simili. Per dare forma al relativo pensiero, il Giudici
aveva mostrato desiderio di istituire delle apposite esperienze sulla pendenza
assunta dal pelo d’acqua nel secondo tronco di canale già ultimato ed usato con
una data porzione della sua portata; ma afflitto a quell’epoca il Giudici da
varie successive malattie, non ha potuto nè assistere in persona ad
alcun’osservazione, ne dirigere continuamente nel loro progresso i lavori del
canale. Avendo però il Giudici incaricato di queste esperienze gli ingegneri
del Corpo suoi collaboratori, esse vennero realmente eseguite sul secondo
tronco del nuovo canale che principia alla soglia inferiore del sostegno della
Conchetta e termina alla soglia superiore del sostegno al Lambro. Le medesime
esperienze diedero per risultato che entrando nel detto tronco di canale di
date dimensioni, per mezzo di efflusso dal primo tronco immediatamente superiore,
un corpo d’acqua valutato coll’ipotesi delle tavole paraboliche la metà circa della misura assegnata al Canale
di Pavia a lavori compiuti, e lasciando che il corso dell’acqua vi si rendesse
permanente, il pelo suo sulla soglia dei portoni al sostegno della Conchetta si
sosteneva all’altezza di met. 0,817 mentre sulla soglia delle portine del
sostegno al Lambro si manteneva invariabilmente, cito met. 1,337 coll’uso dei
paraporti dell’attiguo scaricatore. Si ebbe di qui la certezza che, a canale
impinguato di tutta la sua competenza d’acqua, sulla soglia dei portoni al
sostegno della Conchetta il pelo d’acqua fin d’allora sostenuto a met. 0,817 di
altezza si sarebbe elevato a più del necessario, non solo per la comoda
navigazione con barche che pescano poco più di met. 0,594, ma anche con barche
di maggior immersione fino a met. 0,792, ossia alla massima cui arrivano sugli
altri canali milanesi. Si continuò inoltre a coltivare incessantemente l’idea
che, nella vista di nuovo suggerita di dispensare acqua dal Canale di Pavia per
usi estranei alla navigazione in poca distanza dal suo incile a Milano, non
fossero più giustificate le ragguagliate pendenze dianzi proposte del 1/3000
e 1/3600 della lunghezza. Si ritenne finalmente che
potesse essere conveniente una diminuzione di queste misure fin da quel momento
in cui si andavano spingendo i lavori di costruzione al terzo tronco del canale
che termina al sostegno di Rozzano. Ma intanto sul cadere di quell’anno 1809
l’ingegnere Giudici è stato prevenuto dal suo destino, e dalle sue malattie
condotto alla tomba nella più robusta virilità, ha dovuto anch’egli lasciar ad
altri le cure e gli onori di dirigere la grande opera colla speranza di poterla
mandare felicemente a termine per cavarne i desiderati vantaggi.
In tale
emergenza il sig. Carlo Parea che continuava ad essere Ingegnere in Capo del
Dipartimento d’Olona e che era contemporaneamente occupato di molti altri
lavori idraulici di privata speculazione nel Milanese, ottenne un grande
pubblico attestato della confidenza in lui riposta dal Governo coll’essere
chiamato anche a succedere al Giudici nella direzione di una delle più
difficili opere dell’arte, qual era il Canale di Pavia.
All’arrivo
del signor Parea alla testa dei lavori di questo canale, le prime disposizioni
ehbero per iscopo di estendere entro l’anno 1810 la sua navigazione da Milano
fin oltre il paese di Moirago, situato a circa un terzo dalla linea. Innanzi
però di far por mano ad alcun dettaglio delle opere che restavano ad
intraprendersi per compirne questa tratta, avvisò il signor Parea di presentare
alla superiore approvazione i suoi particolari pensamenti intorno al punto più
delicato della sistemazione del canale, che era tuttavia la distribuzione delle
pendenze del terreno lungo la sua linea, massime in seguito ai nuovi
suggerimenti sulla dispensa delle acque per usi privati.
In
quell’occasione il signor Parea instò più che non si fosse mai fatto per
l’addietro sulla necessità di procurarsi al Canale di Pavia una navigazione per
lo meno tanto comoda e spedita dal Ticino a Milano quanto da Milano al Ticino.
A tale effetto passò egli a fare l’enumerazione delle circostanze locali e
commerciali da cui si poteva presumere che la navigazione ascendente del nuovo
canale dovesse essere più attiva della discendente. Indi propose lo stesso sig.
Parea la pratica distribuzione di pendenze che egli, accomodando in diverse
maniere gli elementi del problema, trovava la più adattata alle circostanze del
caso nuovamente considerate. Questa nuova determinazione portava di ridurre le
pendenze del canale nei tronchi che rimanevano da costruirsi alla sola misura
di 3/10 di metri al miglio, corrispondente alla sei mill.a
parte della lunghezza, e segnatamente di rialzare tanto la soglia d’ingresso
del terzo sostegno detto di Rozzano, quanto la cresta delle anteriori
arginature del canale per met. 0,594 sopra il livello dianzi stabilito.
Tale
proposizione fu allora sottoposta alla discussione del Consiglio della
Direzione generale d’acque e strade, e venne una prima volta approvata, anche
per essere favorevole alla considerazione che si sarebbe potuto estendere
tratto tratto verso Pavia ed il Ticino la navigazione del nuovo canale, di mano
in mano che le opere vi venivano ultimate, e indipendentemente dall’esecuzione dei
lavori sul Naviglio Grande per avere preparato e perenne l’intero corpo d’acqua
del nuovo canale. Essa offriva inoltre la comodità di poter sfogare
innocuamente il piccolo corpo d’acqua del canale su qualunque punto della linea
inferiore al Lambretto e superiore a Campeggi. Ma essendo venuto in quel
frattempo alla sorveglianza della direzione dei lavori presso il Canale di
Pavia l’ispettore generale Cocoli, mostrò questi in sulle prime di non essere
abbastanza persuaso sì dei motivi della proposta nuova sistemazione di pendenze
sviluppabili nei tronchi di quel canale, che dell’accuratezza degli sperimenti
sin allora praticati per misurare la pendenza assunta in superficie da un dato
corpo d’acqua decorrente nello stesso canale. Riconobbe bensì di seguito il
sig. Cocoli le gelose circostanze delle continue guerre in cui veniva avvolto
lo Stato in quegli anni e che impegnavano gli sforzi comuni di chi prendeva
interesse all’ultimazione della grand’opera a non dar luogo ad alcuna
interruzione de’ suoi lavori, pei quali erano state pur allora assegnate
vistose somme dal Governo. Tuttavia non sapeva rinunciare quel matematico
italiano alla sua prima idea sull’opportunità dell’occasione che si presentava
nel Canale di Pavia in attualità di costruzione per istituire una serie di
osservazioni e di esperienze dirette a rischiarare alcuni punti di idraulica
non abbastanza certi, ed a determinare specialmente i rapporti precisi che
passano fra i corpi d’acque e le loro pendenze superficiali ne’ canali
interrotti da sostegni. Di qui è che il sig. Cocoli per qualche tempo non volle
pronunciare cosa alcuna sul punto della proposta riduzione di pendenze. In tale
frangente l’oggetto fu demandato per la seconda volta alla discussione e
decisione del Consiglio della Direzione generale d’acque e strade, e fu
richiesto del suo parere anche il signor Stratico come specialmente informato
della condotta dei lavori diretti dal Giudici al Canale di Pavia. Allora
l’ideata riduzione di pendenze, sull’appoggio degli sperimenti eseguiti e dei
motivi addotti precedentemente, fu dichiarata opportunissima per soddisfare
alle viste di una ben intesa economia nel complesso degli usi del canale.
Vennero inoltre in quell’occasione significati i motivi particolari per i
quali, nella convenienza di rialzare di livello la cresta delle portine del
sostegno di Rozzano, si credeva di dover preferire l’alzamento di soglia
all’aumento d’altezza delle stesse portine; e ciò col far osservare, che nel
caso di rialzare le portine oltre l’ordinario, si rendeva più faticoso il loro
maneggio senza necessità, e che d’altronde la fabbrica del sostegno si sarebbe
dovuta elevare egualmente, tanto variando il livello della soglia che
accrescendo l’altezza delle portine. Allo stesso tempo fu per altro dichiarata
lodevole e conveniente la proposizione di lasciare ancora al fondo del terzo
tronco di canale la pendenza effettiva del 1/3000 o del 1/3600
della lunghezza, affine di regolarvi con una soglia sensibilmente depressa
l’efflusso dell’acqua all’estremità inferiore munita dei paraporti dello
scaricatore parallelo al bacino del terzo sostegno sullo stesso canale. E per
giudicare dell’opportunità di conservare tale pendenza effettiva di fondo al
terzo tronco del canale, si soggiunse ancora che ne’ giorni di navigazione
cessante si avrebbe sempre per essa procurato il vantaggio di potervi far
scorrere un corpo d’acqua molto considerabile e dotato della desiderabile
velocità, affine di spurgare naturalmente il letto di quel tronco di canale per
la sola apertura dei paraporti suddetti aventi la soglia sensibilmente più
bassa di quella delle laterali portine del sostegno. Per tutto ciò la Direzione
generale d’acque e strade ha approvato una seconda volta l’alzamento della
soglia d’ingresso del sostegno di Rozzano e prescrisse di attenersi per allora
alle massime di una pendenza in ragione del 1/6000 della
lunghezza dall’una all’altra soglia de’ tronchi di canale navigabile, e di una
pendenza effettiva del fondo di questi tronchi regolata invece dalla misura del
1/3000 o del 1/3600 colla soglia
dello scaricatore attiguo a ciascun sostegno. Ritenuta quindi tale sistemazione
di pendenze per il terzo e quarto tronco di canale, si rimetteva alle ulteriori
esperienze desiderate la decisione, se essa fosse eccessiva o scarsa all’intento,
per potersi regolare con tutta sicurezza nei successivi tronchi inferiori di
canale senza portare veruna alterazione ai superiori.
Conformemente
ad una simile risoluzione furono attivati i lavori di varie importanti opere
cadenti sulla tratta di canale dal Lambretto al villaggio di Badile. Così il
ponte di pietra che attraversa il canale davanti al paese di Cassino, e che per
la comunicazione delle campagne in quella località non si è potuto schivare coi
compensi ai privati, come si è fatto di tanti altri prescritti nel progetto del
1805, è stato eretto appunto in quell’annata di lavori del 1810. Fu nella
stessa occasione che s’introdusse per la prima volta sui canali del Milanese il
buon uso delle stradelle sottoposte alla vôlta dei ponti e diramate dalle
superiori strade dell’alzaia, per l’oggetto di operare le necessarie
comunicazioni dell’attiraglio senza incontrare gli incomodi e la perdita di
tempo e forza cagionata alla navigazione nel passaggio di que’ ponti, dove
l’attiraglio è obbligato ad ascendere per piani molto elevati, non che a
distaccare e riattaccare l’alzaia. L’opera del 4.o sostegno
disegnata sulla linea prima di arrivare al paese di Binasco, e già motivata dal
Giudici sul risparmio di spesa in complesso che si otteneva a riservarla per un
punto verso il paese di Moirago, fu riproposta dal sig. Parea davanti lo stesso
paese anche per la riconosciuta convenienza che vi era di abbassarsi col letto
del canale sotto il piano delle laterali campagne nell’avanzarsi verso il
territorio ed il villaggio di Binasco. Difatti i timori sulla salvezza dei
terreni tendenti al sortumoso avevano
già fatto riclamare il canale tutto incassato sotto il piano di campagne nelle
vicinanze di Binasco; e la prudenza consigliava di non accrescere il pericolo
della perdita dell’acqua per sotterranee filtrazioni col ridursi a formare il
canale arginato sopra terra fra Moirago e Binasco. Scelto pertanto al paese di
Moirago il punto più opportuno sulla linea, entro lo stesso anno 1810 fu pure
intrapresa e spinta colla desiderabile velocità e sopra un piano di struttura
consimile a quello del sostegno di Rozzano anche la fabbrica del sostegno di
Moirago.
Essendosi
poi assicurato per tal modo il sig. Parea dell’ottimo progresso dei lavori del
canale inoltrati sulla linea fino al villaggio di Badile oltre Moirago, ed
abilitato d’altra parte a tenervi attivati i travagli anche nella stagione
d’inverno per dare evasione a tutti i fondi assegnati dal Governo per le spese
dell’anno 1810 al Canale di Pavia, avrebbe potuto maturare a parte il piano
definitivo d’esecuzione del pezzo di canale da Badile a Binasco, come si era
fatto sin allora pei superiori ultimati o in attualità di costruzione. Questo
per lo meno era il mezzo di sollecitare tanto la redazione dei progetti di dettaglio,
quanto l’approvazione delle opere e l’esecuzione dei relativi appalti. Ma il
piano di quel pezzo di canale si trovava legato per molti rapporti con quello
dei tronchi di canale da eseguirsi sotto Binasco per arrivare a Pavia.
D’altronde non si era più costretti a quell’epoca per mancanza di progetti
appaltati ad interrompere i lavori del canale, onde dar luogo ad ulteriori
indagini dirette ad ottenere quella maggior perfezione che potesse attingere la
grande intrapresa. Perciò il sig. Parea all’autunno del 1810 si determinò di
coltivare l’idea di una nuova variazione di linea per la continuazione dei
lavori al Canale di Pavia, e di far presente il bisogno di un nuovo piano
generale d’esecuzione, seguendo tutte le modificazioni ed alterazioni sia allora
ideato od introdotte nel progetto del 1805. La proposizione di questo nuovo
piano essendo stata ben accolta dalla Direzione generale d’acque e strade, ne
fu tosto ordinata la redazione al sig. Parea per essere rassegnato alla
superiore discussione od approvazione.
Compiuti
intanto i lavori sulla tratta di canale dal Lambretto al 4.° sostegno detto di
Moirago; eseguito alla presenza del Direttore generale d’acque e strade il
formale esperimento della navigazione estesa da Milano fino a Moirago negli
ultimi giorni di quell’anno 1810; inoltrati a passi di gigante i lavori
sull’altra tratta di canale da Moirago a Badile; attivato il proseguimento dei
lavori residui su questa medesima tratta colla desiderabile velocità anche nel
cuore di quell’invernata; fatta alla presenza dell’inallora Ispettore generale
sig. Antonio Tadini un’altra esperienza sul 2.o tronco di canale per
verificarvi la pendenza assunta in superficie dal corpo d’acqua introdottovi a
quell’epoca dalla Conchetta; rinnovato indarno contemporaneamente dal sig.
Parea presso il Governo il desiderio dei mezzi per fare sul canale di Pavia una
serie di ben disposte e meditate esperienze idrauliche che per pochi mesi
continuate potrebbero rendere incalcolabili vantaggi allo Stato col fornire
qualche lume in un’arte quanto utile e necessaria per esso, altrettanto incerta
sinora e congetturale nell’applicazione alla generalità de’ casi pratici, è poi
stato presentato nel gennaio del successivo anno 1811 il piano ordinato per
l’esecuzione dei lavori del Canale di Pavia dal villaggio di Badile allo sbocco
in Ticino.
In tale
piano suddivisa l’intera tratta di canale che restava da costruirsi delle tre
parti distinte da Badile a Binasco, da Binasco alle mura di Pavia e da queste
mura al Ticino, si cominciò dal dichiarare che invece di lambire colla
direzione del canale l’abitato di Binasco per tutta la lunghezza di questo
villaggio, e gettarsi di sotto ad esso nel Cavo Navigliaccio per restarvi sino
a Campeggi, fosse più conveniente il distaccarsi da quell’abitato per andare in
linea retta a raggiungere per mezzo alle campagne la strada postale da Milano a
Pavia in un punto poco di sotto di Binasco, da dove continuare a scorrere le
campagne a sinistra e parallelamente alla stessa strada per lo meno fino a
Campeggi. Da quest’altro punto si faceva vista di dirigersi ancora col canale
attraverso la strada postale alla volta di un tratto di cavo fatta aprire nel
1807 dal Brunacci presso le mura di Pavia e sulla linea fissata nel progetto
del 1805. Invece poi di entrare nella fossa esterna alle mura di quella città
presso Porta S. Vito, e di rivolgersi in essa a sinistra per restarvi sino al
fiume o per sortirne almeno soltanto nelle sue vicinanze a spiccare lo sbocco
in sito opportuno, si è determinato allora di disegnare l’andamento del
Naviglio in qualche distanza dalla fossa di Pavia e di attenersi press’a poco
allo stesso punto fissato per lo sbocco nel progetto del 1805. Del resto
mancavano a quell’epoca le ulteriori osservazioni di Ticino che dassero sicuro
indizio dell’indole di questo fiume in ordine allo stabilimento del proprio
letto dopo la chiusura di alcuni suoi rami al di sotto del Ponte di Pavia.
I motivi
soggiunti in quell’occasione in appoggio delle accennate variazioni d’andamento
del canale offrivano in generale risparmio di rilevante spesa nel complesso
delle opere, e maggior brevità di linea per ciò che riguarda la tratta di
canale in fronte al paese di Binasco. Parlando specialmente della lunga tratta
di canale dall’abitato di Binasco fino a Campeggi, gli inconvenienti che si
venivano a sfuggire erano di più sorta. 1 principali però si riducevano a
quelli dipendenti dalla mescolanza delle acque del Navigliaccio che sono
soggette a piene considerabili, obbligate ad avere il loro pelo a livelli
fissi, incertissime nella quantità, inferiori in qualità per l’uso delle
irrigazioni, e devolute ad un gran numero di privati possessori, colle acque
del canal navigabile che erano di sicura provenienza, di determinata quantità e
pelo, di nota bontà per le irrigazioni e di ragione pubblica. Discorrendo
finalmente della discesa del canale dal pian superiore della costa di Ticino al
basso letto di questo fiume, i motivi addotti in favore della nuova linea
proposta si fondavano sulla convenienza di abbandonare la fossa di Pavia per
evitare ogni pericolo sì di trapelazione ai luoghi sotterranei dei vicini
abitati, che di fondo mal fermo e inetto a sostenere le fabbriche del canale, e
per tenere inoltre il Naviglio non troppo profondamente incassato, comodamente
accessibile per i carichi e scarichi delle barche ed esposto meno lungamente ai
geli delle invernate, non essendo coperto ai lati di mezzogiorno e ponente
dalle mura di fortificazione di quella città.
Passando
dall’elemento della direzione del canale a quello della distribuzione di
pendenze, ed appoggiandosi a tutte le circostanze del caso sin allora
presentatesi nel corso dei lavori ad alterare i dati del problema, non che alla
succitata nuova esperienza appositamente eseguita, si proponeva dal sig. Parea
di continuare ad attenersi ancora alle surriferite misure adottate ed usate per
il 3.° e 4° tronco di canale dianzi ultimati. Circa però al collocamento degli
altri sostegni segnati nel progetto del 1805 per consumare l’eccesso di
pendenza del terreno in confronto di quella sviluppabile sulla linea di
navigazione, si è proposto in quell’occasione di distribuirli definitivamente
in modo da averne superiormente a Pavia uno a Casarile, un secondo a Nivolto,
un terzo a Torre del Mangano ed un quarto a Cassinino, ed inferiormente ancora
un numero di tre per la discesa della costa di Ticino, da situarsi il primo a
Porta S. Vito di Pavia, il secondo al bastione della botanica, ed il terzo a
Porta Cremona della stessa città. Nel mentre poi che si facevano tali
proposizioni sulla determinazione dell’elemento più importante per il sistema
del canale, si riservava anche dal sig Parea la facoltà di poter permettersi
all’atto dei lavori qualche varietà nelle pendenze, da tronco a tronco e da
sostegno a sostegno, per adattarsi alle disuguali circostanze che si sarebbero
verificate nel rilievo dei progetti di dettaglio.
Dichiarate
e motivate nella stessa occasione tutte le altre dimensioni ed edifici del
canale, ne fu rassegnato il piano alla superiore approvazione. Rimesso questo
piano all’esame dell’Ispettore generale sig. Tadini, che è subentrato al sig.
Cocoli nella sorveglianza alla direzione dei lavori del Canale di Pavia, la
Direzione generale d’acque e strade ha poi ottenuto in pochi giorni il relativo
rapporto sui principali articoli del nuovo piano progettato.
Circa
all’andamento del canale, il sig. Tadini, dopo aver enumerati taluni dei pregi
della nuova linea proposta, finiva col dichiararla meritevole d’approvazione a
fronte di quella del 1805. Circa alla più convenevole direzione della
confluenza del canale col fiume, il sig. Tadini vedendola nel piano esibito
disegnata non così cospirante come nel progetto del 1805 prese occasione di
fermarsi ad avanzare la sua particolare opinione su questo punto delicato
dell’arte. E ritenendo egli che le confluenze naturali ed artificiali dei fiumi
e dei canali si facciano ordinariamente ad angoli poco men che retti, e che
inoltre l’imboccare colle barche un canale che ricapita in un fiume ad angoli
retti sia sempre un affare nè incomodo nè difficile, non esitò a rappresentare
come assolutamente migliore di quella dell’originario progetto la direzione
dello sbocco del Canale di Pavia di nuovo proposta, ed a mostrare il suo
desiderio che questa venisse definitivamente adottata anche dopo le ulteriori
osservazioni riservate per la precisa determinazione della scelta del punto di
confluenza sotto il Ponte di Pavia.
Intorno
poi alla distribuzione delle cadute, mentre la più recente esperienza sulla
pendenza superficiale dell’acqua decorrente in allora nel secondo tronco di
canale aveva indicata la misura del 1/6000 per
abbondarne, si poteva però credere col sig. Purea che non lo fosse stando
invece al complesso delle viste e dei motivi che si riferivano all’epoca
dell’opera ultimata. Ma qui il sig. Tadini non è stato dello stesso sentimento
del sig. Parea. Opinando il primo di doversi attenere più strettamente al
risultato di quella esperienza, come a un dato poco o nulla variabile in
progresso di tempo, ha proposto di pendenza il 1/9000
della lunghezza, come quella misura che era ancor maggiore dell’osservata in
occasione della succitata esperienza sul tronco di canale fra la Conchetta e la
Conca fallata. Assegnando soltanto
tale pendenza del 1/9000 alla superficie fluida del corso
del canale ne’ tronchi inferiori di circa due miglia in lunghezza, secondo il
sig. Tadini, veniva ad essere sempre possibile ancora il moltiplicare
all’occorrenza con un piccolo aumento d’altezza la portata d’acqua del canale.
Inoltre la custodia e la regolare manutenzione dovevano, secondo lui,
preservare il canale da ogni alterazione, dipendente da piene o da depositi ed
altri ostacoli; per cui non era presumibile che potesse mai accrescersi la
pendenza del pelo oltre quella misura regolata sulla norma della perennità e
facilità della navigazione unita alla massima economia delle acque di
irrigazione ne’ tempi e ne’ luoghi del maggior bisogno. Combinò generalmente il
sig. Tadini nella massima di stare alla uniforme distribuzione di pendenze sol
per quanto lo permettono le circostanze del caso da tronco a tronco di canale e
da sostegno a sostegno. A riguardo di queste fabbriche ne dichiarò ben inteso
il proposto numero ed il loro collocamento al Canale di Pavia. Aggiunse che
«malgrado il suggerimento di qualche autorevole architetto degli idraulici
edifizi la sperienza non ha ancora ben additato entro qual limiti sia più
conveniente l’accrescere il salto a dei sostegni o invece il loro numero»; che
in mancanza di una massima ben accertata a questo riguardo si può dire
unicamente che lo scopo dell’arte è quello di ottenere il migliore e più sicuro
servigio della navigazione e del canale per gli altri suoi usi, e che con ciò
non si deve intendere «d’imbrigliare la sagacità nel cercare di migliorare se è
possibile anche i metodi più usitati di questa parte dell’idraulica
architettura.»
Sull’articolo
finalmente di tutti gli altri elementi del canale subordinati a quelli della
direzione e della pendenza, che ne costituiscono il sistema, non ha fatto il
sig. Tadini in tale occasione alcuna osservazione in contrario; se non che
riflettendo egli alle diverse circostanze del commercio del canale sui diversi
punti della sua linea, ammise la necessità di un seno in forma di darsena alla
Porta S. Vito di Pavia, e propose pei bisogni del grande commercio del Ticino e
del Po, nell’ipotesi che dovesse continuare a far capo e stazione appena di
sotto del Ponte di Pavia, un grande scalo per l’approdamento generale delle
barche di quella gran via commerciale dell’alta Italia.
Mandati
successivamente alla discussione del Consiglio della Direzione generale d’acque
e strade tanto il piano Parea che il parere Tadini sui lavori del Canale di
Pavia, nella seduta del giorno 21 gennaio 1811, dopo lungo dibattimento sui
principj dell’arte e sulle considerazioni che favorivano le particolari
opinioni, fu appuntata la conclusione che approvava il piano Parea colle
osservazioni Tadini, e fu prescritto di fare sopra tale decisione dettagliato
rapporto all’inallora Ministero dell’Interno, perchè fosse rassegnata
all’approvazione del Vicerè la nuova variazione di linea onde abilitarsi ad
abbandonare quella indicata nel progetto del 1805.
Ripigliando
ora i dettagli storici de’ lavori del Canale di Pavia, quelli attivati e
condotti felicemente a termine nel 1811 non sono meno rilevanti degli altri
riferiti di sopra, che formarono la campagna de’ lavori dell’anno precedente
1810. Specialmente è nato in mezzo ai lavori di quell’anno 1811 e stato
adottato il pensiero di munire con modica spesa il Canale di Pavia di una
seconda strada per l’alzaia, ciò che riuscì molto comodo ed utile per la
navigazione delle barche in senso contrario e per lo sfuggimento del pericolo
di caduta ai passaggeri che avrebbe presentato la frequente interruzione di un
argine del canale ad ogni fabbrica di botte o ponte canale per il passaggio de’
fossi trasversali alla linea. Una quantità di progetti di dettaglio per opere
parziali fermò successivamente l’attenzione del Consiglio della Direzione
generale d’acque e strade; ma il più interessante di tutti i progetti
presentati in quell’annata di lavori è senza dubbio il piano d’esecuzione del
5.° tronco del canale che termina al sostegno di Casarile.
Nel
determinare il livello della soglia delle portine di questo sostegno, il sig.
Parea si era attenuto alla distribuzione di pendenze dianzi fissata nella
misura dell’uno per ogni novemila di lunghezza. Egli però al 5° tronco di
canale continuava a regolare in una misura diversa la pendenza effettiva del
fondo, a somiglianza di quanto si era fatto superiormente per altri tronchi.
Più precisamente pensava il sig Parea li disporre i tronchi di canale che
restavano a costruirsi sino alle mura di Pavia pendenti sul fondo nella ragione
dell’uno per ogni seimila di lunghezza, preso dalla soglia dei portoni di un
sostegno alla soglia dello scaricatore alligno alle portine del sostegno immediatamente
inferiore. Si veniva così a lasciare una differenza di livello fra le soglie
delle portine e del vicino scaricatore di ciascun sostegno che nel caso
concreto del tronco appena superiore al sostegno di Casarile riusciva di metr.
0,366. La principale ragione addotta per continuare i lavori nell’assunto di
una tal disposizione di fondo si aggirava generalmente sopra il vantaggio di
poter dare per essa in ogni occorrenza e con tutta la certezza desiderabile un
più libero ed innocuo sfogo alle acque del naviglio.
Sottoposta
l’accennata massima, sulla sistemazione del fondo del canale ne’ suoi diversi
tronchi, all’esame del sig. Tadini, si è questi dichiarato di parere, che dal
conservare la pendenza effettiva del fondo in una ragione maggiore di quella del
pelo d’acqua e delle soglie dei sostegni, non venisse altrimenti abilitato il
canal naviglio a portare all’uopo alcun maggiore corpo d’acqua. In appoggio di
tale opinione soggiunse come un principio d’arte il sig. Tadini, che la
velocitazione dell’acqua ed in conseguenza la più o meno velocità sua ne’
tronchi di canale simultaneamente dipende dalla declività della superficie e
non da quella del fondo. Di qui si ricavò poi dallo stesso sig. Tadini la
conclusione, che conservato costante il livello dell’acqua avanti le portine di
un sostegno, non potesse giammai crescere la massa dell’acqua stessa decorrente
nel tronco superiore di naviglio senza che questa si alzasse corrispondentemente
di pelo sopra la coglia de’ portoni del sostegno superiore, onde acquistare
quell’aumento di pendenza in superficie che gli abbisogna per essere velocitata
quanto si richiede per la simultaneamente accresciuta sua massa. Ammesso ciò,
il sig. Tadini e passato a far riflettere, che piuttosto, col dare al fondo
maggior caduta che alla superficie, un reale vantaggio che si otteneva
sicuramente era quello di aumentare la sezione del canale per offrire al corso
della navigazione minori resistenze; ma tuttavia pensando a scompartire
regolarmente questo vantaggio su tutta la lunghezza dei tronchi, propose il
sig. Tadini di ridursi a tenere un poco più elevato il livello delle sponde del
canale ed il ciglio delle portine sopra le soglie de’ sostegni che formano i
limiti di ciascun tronco.
A questi
rilievi del sig Tadini tenne dietro la risposta del sig. Parea il quale, sul
proposito delle maggiori o minori pendenze del fondo in un canale libero
indefinito e non interrotto da sostegni e da altra simile cagione di rigurgito,
rammentò come una verità di esperienza la influenza di quel fondo sulla
maggiore o minore velocitazione dell’acqua che scorre per esso canale ed in
conseguenza anche sulla maggiore o minore velocità. Dedusse inoltre il sig.
Parea che quella velocitazione e questo più o meno di velocità simultaneamente
dipendessero dalla declività della superficie e da quella del fondo, in luogo
di credere col sig. Tadini che fossero unicamente da ripetersi e considerarsi
dipendenti dalla pendenza superficiale. Aggiunse per ultimo il sig. Parea, che
secondo lui una qualche somiglianza di effetti si manifesta pure sui canali
interrotti da sostegni a date considerabili distanze, per cui inclinava a
credere che nei tronchi del Canale di Pavia il più pendente sul fondo fosse
anche quello che portar dovesse maggior corpo d’acqua sotto la stessa pendenza
di pelo e nella parità di tutte le altre circostanze. Volendo poi decidersi nel
caso concreto ad una scelta sopra cose secondarie, si ricordò dal sig. Parea la
comodità che presentava la soglia più bassa sul fondo del canale, in
corrispondenza più pendente, nella circostanza di riparazione o di spurgo del
canale per poter essere questo più sollecitamente e più perfettamente
rasciugato e sbarazzato da depositi. Non è neppure sfuggita l’altra comodità
che la corrente attratta dalle luci aperte al di sopra della stessa soglia più
depressa vi si sarebbe trovata ad una tale profondità sotto il pelo d’acqua,
che essa ordinariamente poco o nulla avrebbe potuto influire sulla direzione
delle barche all’ingresso dei sostegni col deviarle dalla parte delle portine e
trascinarle con impeto a quella dello scaricatore a danno della fabbrica ed a
dispendio di tempo nella navigazione. La questione però fu tolta di mezzo dalla
proposizione del sig. Parea, che dimandò al Consiglio della Direzione generale
d’acque e strade di ritenere le cose come erano state da lui progettate pel
tronco di canale in costruzione da Moirago a Casarile e di adottare
l’applicazione delle nuove rimarche del sig. Tadini soltanto nella costruzione
dei tronchi inferiori di canale. Questi non essendo intrapresi sino allora, non
richiedevano alcuna alterazione di lavoro e perdita di tempo nella rinnovazione
dei progetti; anzi in essi il corpo d’acqua del canale dovendo diminuire per
successive diramazioni, non sussisteva l’eguale bisogno di far servire la
maggior pendenza di fondo al più grande smaltimento d’acqua che si potesse
desiderare sotto la stessa linea della navigazione. Ciò è quanto venne
definitivamente assentato dal Consiglio della Direzione generale d’acque e
strade nella seduta del giorno 19 marzo 1811 e preparato da mettersi in pratica
successivamente sui tronchi di canale inferiori al sostegno di Casarile. Col
tenervi le sponde due decimetri più alte dell’usato sui tronchi superiori fino
ad arrivare alla Conchetta e coi regolarvi definitivamente anche la pendenza
effettiva del fondo alla misura del 1/9000 della
lunghezza, si è reso così il ciglio del bacino dei sostegni allo stesso livello
del ciglio dei vicini scaricatori.
Di
quell’anno 1811 è pure la costruzione dei ponti di Badile e di Binasco cadenti
sul tronco succennato del canale che si stende da Moirago a Casarile.
L’oggetto
del ponte di Badile era la comunicazione dell’abitato del paese di questo nome
e delle vicine campagne, la quale restava tagliata coll’apertura del nuovo
canale. In sulle prime esso venne progettato di pietra e simile al ponte di
Cassino; ma siccome avanti l’esecuzione di una qualunque idea o lavoro si fa
sempre luogo ai miglioramenti ed all’ulteriore perfezione; così all’atto stesso
in cui si stava per appaltare i lavori del ponte di pietra a Badile è suggerito
al sig. Parea che potesse essere un ripiego vantaggioso la sostituzione di una
forma di ponte di legno, il quale, galeggiando sul canale, servisse con
discreta comodità alla necessaria comunicazione, ed a guisa di ponte-levatoio
si adattasse facilmente, dopo aver fatto il suo uffizio, in un seno
appositamente costruito da un lato del canale per non recar incomodo alla sua
navigazione. Ne l’economia di quel ponte-galleggiante, che a giudizio dell’Istituto
italiano ottenne al sig. Parea l’onore della medaglia d’argento in occasione
della distribuzione de’ premj d’arte ed industria per l’anno 1811, va rilevata
soltanto dal minor dispendio che richiese in confronto per esempio del ponte di
Cassino per la sua costruzione; ma specialmente dal risparmio procurato per la
sua disposizione da presentare il palco in un sol piano colle laterali campagne
e colla strada postale in paragone del tempo e della forza consunta dal
carreggio in un’erta salita che vi sarebbe riuscita ancora indispensabilmente
meno comoda di quella del ponte di Cassino.
All’ingresso
in Binasco dalla parte di Milano era inevitabile il dare al canale o alla
strada postale un’aspra svolta, qualora al ponte da costruirsi in quella
località della linea non si fossero assegnate che le solite dimensioni. Nelle
vicinanze dello stesso ponte concorrendo la Roggia Matrignana ad attraversare
le linee del canale, delle due strade laterali per l’alzaia, e della strada
postale; e di più cadendo ivi per l’economia del progetto il passaggio della
principale strada per l’alzaia dalla destra alla sinistra sponda del canale,
rendevasi necessaria una fabbrica che presentasse un disimpegno proporzionato
alla varietà delle combinazioni locali ed alla libera continuazione del canal
navigabile, del canale d’irrigazione, della strada postale e delle due strade
per l’alzaia. L’intento si è poi conseguito in parte col trasportare per una
tratta l’alveo della Matrignana per modo che la sua botte venisse a intersecare
ad angoli retti la direzione del Naviglio e a passare precisamente sulla linea
centrale del ponte ideato, ed in parte coll’estendere in guisa la vôlta di
questo ponte che il suo piano superiore riuscisse di figura ottagona, e
restasse accessibile da quattro lati per il comodo e generale incrocicchiamento
delle strade, e da quattro altri lati formasse facciata verso il Naviglio e la
Roggia Matrignana.
Approvati
regolarmente i progetti di queste opere e di tutte le altre comprese nel tronco
di canale da Moirago a Casarile, ne furono immediatamente intrapresi i lavori,
che progredendo colla massima desiderabile velocità arrivarono verso la fine
del suddetto anno 1811 al segno, che si è potuto inoltrar l’acqua in canale
fino al paese di Binasco, eseguirvi il formale esperimento della navigazione
alla presenza del Direttore generale d’acque e strade ed attivarvi il corso di
una prima barca corriera pel giornaliero servizio del pubblico nel trasporto
de’ viandanti e delle piccole merci.
Passando
ora a qualche cenno storico dei progetti e delle opere eseguite al Canal di
Pavia nei successivi anni, diremo primieramente che nel 1812 spingendosi i
lavori per ultimarlo nella tratta da Binasco al sostegno di Casarile, vennero
contemporaneamente predisposti ed approvati dietro le norme stabilite e da noi
di sopra riferite i piani d’esecuzione con tutti i dettagli desiderabili per la
continuazione ed ultimazione dei due tronchi di canale inferiormente
susseguenti da Casarile a Nivolto e da Nivolto a Torre del Mangano.
Presso il
6.° sostegno detto di Nivolto l’intreccio dei fossi d’irrigazione cadenti sotto
la linea del canale navigabile non era ancora dei più mirabili che s’incontrano
nel Milanese, ma pure complicato a segno da rendervi necessaria una quantità di
opere dispendiose in piccolo spazio di terreno. Non si è trascurato però di
indurre i privati proprietari ad alcuni scambi per evitare la costruzione di un
maggior numero di queste opere oltre quelle che si eseguirono su tal punto del
canale e che consistono in varie botti e ponti e trasporti di diverse tratte di
canali d’irrigazione. Nel tracciare sul luogo all’atto dell’esecuzione dei
lavori la linea precisa dei tronchi di canale inferiori a Binasco, si è
prescelto di stare un poco distante dalla strada postale, lasciandovi
interposta una lingua di terreno più o meno rilevata in forma di banchina per
servire di maggior sicurezza alla strada medesima. Così si è schivato di
adattare la strada al profilo delle sponde del canale col sottoporla a
dispendiosi movimenti di terra. Nell’avvicinarsi a’ sostegni si è preferito di
dare qualche svolta o gombito alla linea del naviglio, anzichè rendere incomodi
e faticosi i passaggi sopra i ponti annessi a quelle fabbriche. Al paese di
Torre del Mangano trovandosi l’intersecazione della linea del naviglio col
viale che conduce al celebre e magnifico Tempio della Certosa di Pavia, la
fabbrica del 7.o sostegno del canale fissato in quella località
venne situata più precisamente per modo che il solito ponte alla sboccatura del
sostegno servisse nel tempo stesso alla continuazione di questo viale
attraverso il naviglio per arrivare alla strada postale. Inoltre, per non
interrompere minimamente la bella visuale da questa strada postale alla
facciata di quella Chiesa, si è anche schivata ogni sensibile ascesa al ponte
stesso coll’impostare alquanto più basso dell’ordinario l’arco suo sulle sponde
del canale, giacche il salto di quel sostegno lo permetteva senza danno del
libero passaggio delle barche cariche. Finalmente facendovi discendere con
dolce declivio le stradelle dell’alzaia laterali al sostegno dal livello del
suo ciglio al piano del ponte annesso, si venne a lasciare innocuamente che una
parte del sostegno sorgesse al di sopra del piano del terreno circostante e
servisse anzi come di parapetto al viale della Certosa ed alle strade laterali
al naviglio.
Volgeva
l’anno 1813 quando il Governo di Milano, che adempiva puntualmente i suoi
impegni per le spese dei lavori del Canale di Pavia, ha voluto dare una nuova
spinta alla grande opera col nominare il suo direttore sig. Carlo Parea al
posto di Ispettore generale d’acque e strade, sollevandolo così dalla gravosa
incumbenza di Ingegnere in Capo presso l’amministrazione del Dipartimento
d’Olona. Per la stessa epoca erano stati parimenti innalzati di un grado alcuni
degli Ingegneri del Corpo, che erano rimasti a principali collaboratori nella
direzione dei medesimi travagli.[5]
Nella
supposizione poi che la marcia dei lavori al Canale di Pavia dovesse continuare
senza interruzione verso il termine col passo accellerato degli anni
precedenti, furono preparati ne’ primi mesi del 1813 sì il piano d’esecuzione
dell’ottavo sostegno della linea fissato da situarsi a Cassinino, che i
dettagli per la costruzione delle altre opere necessarie sul canale fra Torre
del Mangano e Campeggi.
Contemporaneamente
il Direttore Parea ha creduto bene di non differire più oltre la definitiva
sistemazione dell’andamento del naviglio nella tratta da Campeggi alla Porta S.
Vito di Pavia. Intorno a questo punto si è fatto allora riflettere che,
essendosi trovato conveniente di scavare il Naviglio superiormente a Campeggi
alla sinistra della strada postale da Milano a Pavia, non era più partito
economico l’attraversare due volte questa strada colla linea del canale nella breve
tratta da Campeggi a Pavia per il semplice motivo di andare ad investire sulla
sinistra un cavo fatto eseguire dal Brunacci nel 1807 dietro il progetto del
1805. Si è inoltre aggiunto allo stesso riguardo, che i due ponti necessari per
questa doppia flessione della linea del canale sarebbero riusciti colla loro
obbliquità di qualche incomodo alla navigazione, e coll’interrompere senza
necessità la continuazione della linea retta le avrebbero tolto quell’unità di
pensiero e quell’avvenenza che nell’opera grande si presentavano da conciliarsi
senza deviare dai principj economici che devono sempre presiedere a simili
costruzioni. Per ultimo si è avvertito che l’escavazione fatta lungo la Roggia
Caronna da Campeggi verso Pavia poteva tornar utile anch’essa per la condotta
del ramo d’acqua ritenuto in progetto da dirigersi alla Fonderia di quella
città pel movimento de’ suoi opifici od anche pel trasporto in acqua de’ suoi
materiali, che per essere di molto peso e poco volume avrebbero richiesto luci
di ponte di non molto impegno e di niun incomodo sotto la strada postale e
sotto le mura di Pavia.
Approvata
successivamente nel Consiglio della Direzione generale d’acque e strade l’idea
di questa nuova piccola modificazione alla linea del canale fissata nel 1805,
furono ordinati di conformità i regolari progetti di dettaglio delle opere
residue da Campeggi in avanti per ultimarlo fino alla Porta S. Vito di Pavia.
D’altra parte l’acqua nel Canale di Pavia è stata prodotta in quello stesso
anno 1813 fino a Nivolto e la navigazione attivata in tutta la tratta superiore
fino a Milano, previo il formale felice esperimento eseguito alla presenza del
Direttore generale d’acque e strade. Ma contemporaneamente avanzandosi i lavori
d’escavazione nella tratta intermedia da Cassinino a Campeggi in un terreno
interamente composto di limo e di pura sabbia mista a minuta ghiaia, ciò vi
diede luogo a sorgenti d’acque di filtrazione in tanta copia che avrebbero
potuto servire da sole a sostenervi fin d’allora la navigazione. Appena verificatosi
quest’accidente, non si è risparmiato di mettere in avvertenza il Governo della
necessità di applicare immediatamente qualche vistosa somma all’oggetto della
più pronta esecuzione delle armature delle sponde in tutta la tratta di canale
che destava timori. Fatalmente però le guerre in cui era stato involto lo Stato
arrivarono allora appunto ad assorbire i fondi destinati per le spese dei
lavori del Canale di Pavia e di altre simili opere pubbliche; cosichè la
tardanza dei pagamenti convenuti cogli appaltatori delle opere in corso, verso
la fine del 1815, non solo impedì di metter mano a quelle armature piuttosto
urgenti, ma aveva anche rallentato sensibilmente i lavori di già intrapresi.
Questi per altro non sono subito stati del tutto interrotti, grazie alle cure
della Direzione generale d’acque e strade e degli ingegneri addetti alla
Direzione del canale.
Difatti
nei primi mesi del 1814 venne introdotta l’acqua anche nel tronco di canale da
Nivolto a Torre dei Mangano. La sua navigazione, appena estesa dopo il solito
esperimento da Milano fino a questo villaggio della linea distante circa miglia
cinque da Pavia, acquistò subito una certa attività specialmente colle barche
corriere. Essendo avvenute di seguito le ultime vicende politiche d’Italia e
ritornato il Milanese come parte del Regno Lombardo-Veneto al dominio
austriaco, le cure si sono dovute limitare da principio alla speranza di poter
protrarre la grand’opera almeno da Milano fino alla Porta S. Vito di Pavia.
Così è che essendo ancora in attualità di costruzione l’edificio del sostegno a
Torre del Mangano, e l’altro edilizio di sostegno a Cassinino, come pure le
opere appaltate per la ultimazione del pezzo di canale da Cassinino a Campeggi,
venne sollecitamente preparato il progetto di dettaglio per la costruzione
dell’intero tronco di canale che rimaneva da intraprendersi superiormente fra
Torre del Mangano e Cassinino. Approvato nel Consiglio della Direzione generale
d’acque e strade anche un tale piano di opere, ed appaltati immediatamente di
seguito i lavori relativi, si fece desiderare la presentazione degli altri
dettagli di lavori necessari per arrivare colla navigazione del canale da
Milano fin davanti alla detta Porta S. Vito di Pavia. Mentre poi si cominciava
a sentire col fatto l’importanza de’ vantaggi che si potevano sperare
dall’ultimazione del Canale di Pavia fino allo sbocco in Ticino, dal vedere
l’affluenza del suo piccolo commercio stabilito fra Milano e Torre del Mangano,
l’inallora Direttore generale d’acque e strade sig. Conte Cossoni si prefisse
di rassegnare al sig. Conte De Bellegarde, nominato dianzi Governatore della
Lombardia, i principali tipi e disegni che valessero a dare un’idea della
qualità della grand’opera che si trovava in costruzione nel Milanese in fatto di
canali navigabili. Venne inoltre dalla Direzione generale d’acque e strade
ordinato in quell’anno l’allestimento del progetto di costruzione del 9.°
sostegno che si era ritenuto di collocare sulla linea del canale davanti Porta
S. Vito di Pavia, e fu anche avanzata alla Reggenza provvisoria di Governo in
Milano la proposizione di far intraprendere i lavori residui del canale fra
Torre del Mangano e Porta S. Vito di Pavia. A riguardo di quest’ultima
proposizione si è ottenuto in risposta il dispaccio governativo che portava
l’ordine di far eseguire entro quell’inverno i soli lavori d’escavazione che si
trovavano compresi nei progetti d’appalto di già finiti e presentati. E siccome
il precipuo oggetto per cui si era arrivato a tenerli attivati consisteva in
quello di impiegare il maggior numero possibile di lavoratori per procurare un
mezzo di sussistenza alla classe degli indigenti dello Stato nella più critica
stagione di quell’annata scarsa di generi di prima necessità, così si è anche
stabilito che giornalmente fossero applicati alle ordinate escavazioni non meno
di 700 uomini. Qualche disturbo al più sollecito travaglio venne però recato
dalla sfavorevole circostanza di essersi verificato verso la stessa epoca lo
stato di piena straordinaria del Cavo Navigliaccio che lambisce da un lato la
strada postale da Milano a Pavia, la quale ha dall’altro il nuovo canale in
costruzione. In tale occasione influirono a danno dell’opera il fondo
sabbioniccio e scorrevole di cui è formata essa strada presso a Campeggi, la
succennata mancanza di armatura delle sponde al canal navigabile in quella
località, e fors’anco la preesistenza di qualche botte od altro edificio cavo
nel corpo della medesima strada e l’inavvertenza di non aver aperti
puntualmente all’uopo tutti i paraporti della travacca Campeggi per dare sfogo alla piena del Navigliaccio.
Nell’insieme tutti questi accidenti non hanno potuto risparmiare la rotta della
strada postale da Milano a Pavia in un punto superiore alla stessa travacca Campeggi. Immediato effetto di
questa rotta fu l’ingresso della piena del Navigliaccio nella tratta di Canale
di Pavia che era rimasto imperfetto da Cassinino a Campeggi. Ciò rese
necessario un’altro taglio della strada postale di sotto della medesima travacca Campeggi per rimettere di là la
piena nel proprio alveo a sfogare in Ticino.
Al
principio del successivo anno 1815 si attendeva in Milano da chi era
all’amministrazione dell’opera pubblica del Canale di Pavia a non frapporre il
minimo ritardo all’esecuzione degli ordini superiori che si bramavano
favorevoli alla sua continuazione. Perciò il sig. Parea direttore dei lavori
mandò in prevenzione all’esame del Consiglio della Direzione generale d’acque e
strade le proprie ulteriori determinazioni sul progetto dell’ultima e più importante
grande tratta di canale che doveva estendersi dalla Porta S. Vito di Pavia al
basso letto del Ticino di sotto del suo celebre Ponte. Quest’esame non venne
però istituito subito allora, sul motivo che il loro oggetto risguardava lavori
di cui non erasi ancora autorizzato ad ordinarne l’esecuzione. Ma intanto dalla
Direzione generale d’acque e strade si era richiesto per la seconda volta il
progetto d’esecuzione del 9.° sostegno del canale che poteva considerarsi per
una delle opere necessarie all’ultimazione ordinata del canale tra Milano e
Pavia, e sotto quest’aspetto mettersi in corso più facilmente fin da quel
momento. Nella stessa occasione non furono trascurate altre consimili cure per
conseguire l’intento del più rapido progresso dei lavori al Canale di Pavia;
allorchè la Reggenza provvisoria di Governo con suo dispaccio 11 aprile 1815 ha
determinato dietro ordine superiore che venissero sospese tutte le opere
relative al Canal di Pavia come ogni altro pubblico lavoro straordinario che
alla stessa epoca si trovasse in costruzione nello Stato. Tutti i lavori in
corso al Canale di Pavia sono stati pertanto interrotti immediatamente dopo
quell’ordine, ad eccezione del ristauro della rotta di Campeggi. Vestendo
questo il carattere di un opera urgente per evitare ulteriori danni, fu
ordinato, intrapreso ed eseguito di seguito, anche in pendenza della lite
insorta sulla determinazione del riparto delle spese occorrenti fra i privati
utenti del Cavo Navigliaccio, l’appaltatore della strada postale, e gli
appaltatori del pezzo di canal navigabile dov’era seguita la rovina.
Approfittando poi di questa occasione venne compresa nel progetto d’appalto di
quel ristauro anche l’opera di uno stabile scaricatore del Naviglio che
immettesse al di sotto della trabacca
Campeggi nel Cavo Navigliaccio e che il fatto della succennata rottura
aveva dimostrato indispensabile sul tronco di canale da Cassinino alle mura di
Pavia.
Successivamente
il sig. Parea, direttore dei lavori, avendo penetrato che fosse superiore intenzione
di far pagare gli appaltatori del Canale di Pavia per le opere non ultimate
all’epoca dell’ordinata sospensione, prese coi medesimi gli opportuni concerti
e propose quindi alla Direzione generale d’acque e strade di inoltrare alla
Reggenza provvisoria di Governo l’offerta di lasciar loro ultimare i lavori già
intrapresi sotto alcune condizioni per il successivo pagamento. All’atto
istesso si rappresentò tale misura come conveniente per lo Stato, onde
risparmiare i compensi giustamente riclamati, dipendentemente dalle provviste
di materiali fatte prima dell’annuncio della sospensione dei lavori, in forza
de’ contratti cogli appaltatori, e per tutti gli altri motivi che da questi non
si avrebbe mancato di far valere. Fu pure dichiarato il vantaggio di quella
misura favorevole all’altro oggetto di ultimare il canale da Milano fino alle
Porte di Pavia senza che il Governo fosse obbligato a sborsare altre somme per
qualche anno oltre quelle cui intendeva già di pagare per lavori dianzi
eseguiti. Veniva in somma a conciliarsi in tal modo il progresso della grande
opera colle critiche circostanze del momento. Alla fine l’offerta fu accettata
dalla Reggenza provvisoria di Governo sotto l’espressa condizione che i lavori
da riprendersi avessero ad essere ultimati entro quell’anno 1815, ed i
pagamenti relativi spediti soltanto al termine del successivo anno 1816.
Sul
principio pertanto del settembre 1815 i travagli al Canale di Pavia erano già
ripresi dopo circa quattro mesi di interruzione. Crescendo poi di giorno in
giorno la fiducia che venisse presto ordinato dalla Corte di Vienna la
continuazione ed il prolungamento del Canale di Pavia sino al suo sbocco in
Ticino, sono state richiamate all’esame ed alla discussione del Consiglio della
Direzione generale d’acque e strade le ulteriori idee sul piano dei lavori per
la discesa del canale dalla costa di Ticino. Queste idee si riferivano alla
sezione del canale in quella gran tratta ed alla più importante darsena di
tutta la linea della nuova navigazione per una parte, e per un’altra parte
risguardavano la forma dei sostegni cadenti sulla stessa gran tratta di canale
sotto Pavia.
Essendo
state adottate nel progetto originario del 1805 le dimensioni del Canale di
Pavia soltanto alla portata delle barche che frequentano gli altri canali
milanesi, e volendo continuarne i lavori sullo stesso piede fino al suo sbocco
in Ticino, si era sempre fin allora ritenuto di costruire la più ampia darsena
del canale o sull’ultimo tronco di questo o presso il suo sbocco in sponda a quel
fiume. Ma l’aver osservato che la navigazione più attiva doveva essere
l’ascendente dal Po in Ticino e dal Ticino in canale, indicava pure che la
stazione delle barche sarebbe riuscita per tutti i rapporti più comoda, più
facile e più sicura in un punto del canale superiore a tutte le piene del fiume
e in un bacino di acqua placida e di livello costante. Perciò si poteva credere
che vi fosse un gran motivo di più per adattare la sezione del canale
navigabile sotto le mura di Pavia al passaggio delle barche del Po. Si è
calcolato inoltre che la portata dei barconi di Po essendo per lo meno tripla
delle maggiori barche del canale, il minor dispendio di tempo, di acqua e di
servizio alla navigazione nel far il passaggio dal Ticino a Porta S. Vito di
Pavia prima di fare il traghetto in barche minori, riusciva un vantaggio
indubitato e considerabile. Si è messo al confronto parimenti l’incomodo che
poteva incontrarsi in questo passaggio, per disarmare del tutto o in parte i
barconi del Po dell’albero dell’alzaia, colla spesa di ridursi a fabbriche di
maggior impegno nei ponti che su quella tratta dovevano attraversare il canale.
Si è bilanciato successivamente la minor spesa di prima costruzione e di
manutenzione, richiesta dalla darsena a Porta S. Vito anzichè al Ticino, colla
maggiore, che presumibilmente avrebbe costato l’opportuno aumento di met. 4
nella larghezza dell’alveo del canale, e di met. 2 nella larghezza dei bacini
dei sostegni. Si è fatto rimarcare finalmente che, per il motivo di avere dei
sufficienti serbatoi d’acqua per uso della navigazione su quei brevi tronchi da
Porta S. Vito al Ticino, vi tornava comoda una sezione di canale più ampia di
quella prescritta in progetto ai tronchi superiori. E dietro tutto ciò si è
potuto acquistare in complesso la vera idea della convenienza di rendere almeno
l’ultima gran tratta del Canale di Pavia capace delle grosse barche del Po e
provveduta dell’ampia darsena nel sito più comodo della linea.
Riguardo
alla forma dei sostegni cadenti sulla stessa tratta di canale, poche di queste
fabbriche a salti discretamente grandi essendovi comandate dalle circostanze
del terreno e del caso nella discesa dalla costa del Ticino, anche a’ nostri di
si è sempre pensato di andarne fuori con tre o quattro al più di forma ordinaria
o di quelli così detti accollati. Ma
il Canale di Pavia sotto questa città avendo cessato a poco a poco di far
l’uffizio di grande canale d’irrigazione, il suo letto poteva ridursi a portare
in quella tratta soltanto l’acqua destinata agli usi della navigazione, affine
di ommettervi il grandioso canale scaricatore aperto e parallelo ai bacini dei
sostegni, e sostituirvi al suo luogo un piccolo scaricatore coperto per tutti
gli usi della navigazione. Così procuravasi una rilevante diminuzione delle spese
delle opere che restavano a costruirsi ed una qualche maggiore comodità al
commercio colla facilità del carreggio e della manovra dell’alzaia da ambe le
parti del bacino di que’ sostegni.
Radunato
per tutto ciò il Consiglio della Direzione generale d’acque e strade, venne
definitivamente approvata quest’ultima variazione che doveva rendere meno
dispendiosa la costruzione dei residui sostegni del Canale di Pavia da Porta S.
Vito allo sbocco, e furono inoltre dichiarate generalmente utili le altre idee
di variazione al progetto relative al luogo della darsena ed alla sezione del
canale; sebbene allora la maggiore spesa richiesta a riguardo di esse nel
momento che si sospirava in qualche modo navigabile il Canale di Pavia sino al
Ticino, inclinò a farne deporre il pensiero ed a sostenere le massime per quei
capi precedentemente stabilite.
Non era
poi senza fondamento la speranza di ottenere una sovrana disposizione
favorevole agli interessi dello Stato, che riclamavano la continuazione della
grande opera sino al suo termine. Vennero bene accolti i tipi rappresentanti i
lavori eseguiti e da eseguirsi al Canale di Pavia, accompagnati da analoga
relazione 15 ottobre 1814 del sig. Isp. Parea direttore dei lavori medesimi, ed
inoltrati dal sig. Conte Cossoni Direttore generale d’acque e strade al
Feld-Maresciallo sig. Conte De Bellegarde in allora Governatore della
Lombardia. Successivamente gli stessi disegni furono inviati alla Corte di
Vienna con rappresentanza governativa 7 febbraio 1815, in cui si parlava estesamente
dei mezzi economici per far fronte alle spese del canale e dell’utilità che
doveva derivare dalla sua ultimazione. In quell’occasione il sig. Bellegarde
dopo aver giustificate le risoluzioni prese interinalmente dalla Reggenza
provvisoria di Governo in Milano finiva col chiedere la norma delle sovrane
determinazioni, e col proporre il compimento dell’opera senza ulteriore
ritardo.
Rimessa
la rappresentanza Bellegarde dalla Corte di Vienna a quel l’Aulica Commissione
Centrale d’Organizzazione, con foglio presidenziale 21 marzo dell’anno suddetto
1815 furono richieste al Governo di Lombardia alcune dilucidazioni sui fondi in
addietro proposti ed assegnati per le spese de’ lavori del Canale di Pavia, sui
vantaggi reali dell’opera in riguardo alle rispettive Provincie o Dipartimenti
dello Stato da comprendersi nel riparto di quelle spese, e per ultimo sui
diritti di finanza che già si percepissero o che si potessero stabilire di
nuovo lungo la linea del nuovo canale. Appena arrivate a Milano tali dimande, il
sig. Conte De Saurau, che fu rivestito nel frattempo della carica di
Governatore civile della Lombardia, con suo dispaccio 25 aprile 1815 vi
sollecitò le relative risposte presso la Reggenza provvisoria. Questa con
ordinanza del giorno 26 prossimo susseguente ne incaricò alla sua volta la
Direzione generale d’acque e strade, che le preparò e le spedì nel dettagliato
rapporto 3 luglio 1815 del sig. Conte Cossoni.
In tale
rapporto venne specialmente dichiarato che dai tempi del Kaunitz in avanti
l’opera del Canale di Pavia è sempre stata ritenuta del genere di quelle così
dette nazionali, e non già di quelle
dipartimentali o provinciali; che la tassa speciale addossata soltanto in
alcuni anni al Dipartimento d’Olona sotto il cessato Governo, a titolo di contributo
straordinario per le spese del Canale di Pavia, fu unicamente ordinata in
massima come un ovvio ripiego per avere danari dalla Finanza dello Stato ne’
momenti del più urgente bisogno; e che volendo stare appoggiati ai soli
principj di sana economia politica bisognava conchiudere per la mancanza di un
giusto titolo onde chiamare sì quello che alcun’altro Dipartimento ad uno
speciale concorso di spese. Nella stessa occasione venne rappresentata la
convenienza di risparmiare ogni diritto di finanza alla nuova navigazione,
almeno fino a tanto che essa non fosse stabilita ed avviata discretamente, per
non vederla scoraggiata ed avvilita nel commercio al suo nascere. Finalmente,
per dare almeno qualche idea dei rami di rendita demaniali sperabili dal nuovo
canale all’epoca della futura floridezza della sua navigazione, non si è
trascurato di rammentare il rilevante prodotto ch’esso assicurava nella
diminuzione delle spese di trasporto dei sali e degli altri generi di finanza,
indipendentemente dai diritti di navigazione, di pesca e simili che col tempo
si volessero imporre lungo la sua linea. Allo stesso oggetto si è accennato il
vistoso guadagno che in causa del nuovo Canale di Pavia ne sarebbe provenuto
alla cassa di prodotti dei dazi della catena,
della conca e della darsena, già percepiti sulla linea degli
altri canali milanesi in una misura tale che fruttavano fin d’allora la somma
netta di circa annue italiane lir. 130,000. Per ultimo si è fatto rimarcare sul
medesimo proposito l’utile esteso che la Finanza dello Stato poteva ricavare ad
opera ultimata e perfezionata anche dal dirigere la maggior parte della
competenza d’acqua del Canale di Pavia agli usi della irrigazione e del
movimento d’opifici nella pianura del basso Milanese. Di seguito la Reggenza provvisoria
modellò, dietro l’accennato rapporto Cossoni, la propria Consulta all’Aulica
Cancelleria di Vienna; e quando le fu richiesto il preventivo delle spese per
le opere pubbliche da attivarsi in tutto lo Stato nell’anno camerale 1816, non
ha tralasciato di inserirvi anche quelle risguardanti i lavori per la
desiderata continuazione del nuovo Naviglio di Pavia, di cui la parte economica
del progetto restava in tal maniera nuovamente decifrata ed appianata per
quanto dipendeva dal Governo di Milano.
D’altra
parte i disegni ed il rapporto Parea inviati alla Corte di Vienna sono stati di
là rimessi all’esame di quell’Aulico
Consiglio delle pubbliche costruzioni. Quest’Ufficio con relazione 20
giugno 1815 ha riferito sul proposito all’Aulica Commissione Centrale
d’Organizzazione in Vienna, d’onde le emerse osservazioni furono accompagnate
di nota 3 luglio 1815 alla Reggenza provvisoria di Milano coll’ordine di
rinviarle corredate del proprio ragionato parere.
Nella
relazione di quell’Aulico Consiglio delle
pubbliche costruzioni si cominciava dal giudicare oggetto della somma
importanza la continuazione del canale sino al suo termine. Si dichiarava più
che giusto, anzi necessario, che gli sforzi per compire la grand’opera, le cui
vicende rimontano a molti secoli addietro, venissero raddoppiati subito,
giacche ormai trattavasi di rendere utile la maggior parte del lavoro
coll’eseguirne la minore. Sull’appoggio poi delle massime generalmente sparse,
e dei principi più universalmente seguiti fuori d’Italia per la costruzione dei
canali navigabili posteriori di epoca ai primi modelli italiani, nella stessa
relazione si emetteva una poco favorevole opinione intorno ad alcuni punti del
particolare sistema di costruzione del Canale di Pavia, come che desso fosse
non abbastanza giustificato sotto tutti i rapporti. I principali rilievi fatti
in quest’occasione versavano sulla linea del nuovo canale, sulla disuguaglianza
e varietà delle dimensioni de’ suoi tronchi e sostegni intermedi, che sono
lunghezze, pendenze, salti e simili. Si estendevano inoltre le stesse
osservazioni sulla rilevanza di salto e sulla particolare forma dei sostegni.
Ma più specialmente abbracciando la parte architettonica si di queste che di
tutte le altre fabbriche del canale e trattando anche delle spese di
costruzione dell’opera intera, si giudicava troppo magnificente questa, e si
dicevano eccessive le spese e calcolate sui
metodi di Francia e de’ Paesi bassi, perchè generalmente superiori di molto
a quelle consunte in Inghilterra dai
privati speculatori nella costruzione dei canali navigabili.
Dal canto
suo la Direzione de’ lavori del Canale di Pavia si era limitata ad indicare nel
precedente rapporto i principali articoli che potevano dare una qualche idea
dell’estensione dell’opera e delle sue fabbriche, senza entrare in alcun
dettaglio nè in alcuna esposizione delle leggi che costituirono il sistema
particolare sino allora seguito al nuovo Canale di Pavia. Vedendo poi la stessa
Direzione dalle anzidette osservazioni che i disegni inviati a Vienna avevano
determinato quell’Aulica Commissione Centrale d’Organizzazione a sottoporli ad
un esame da farsi sotto i rapporti d’arte, si è data premura di inoltrate per
ischiarimento alla Reggenza provvisoria in Milano la propria circostanziata
relazione 18 settembre 1815 sui principj e sulle particolari circostanze che si
ebbero presenti nella costruzione del nuovo Canale di Pavia.
In tale
relazione, dopo aver esposte e dichiarate ad una ad una le principali massime
che presiedettero alla direzione di quest’opera, si è concluso: « 1.° che le
variazioni introdottevi in confronto del sistema ordinario de’ canali
navigabili sono giustificate abbastanza dalle condizioni particolari di questo
canale, dalle circostanze del luogo e dalla espererienza; 2.° che il metodo di
costruzione è conforme alla natura del paese ed alle costumanze già da secoli
stabilite con buon successo in Italia e non tolte dal metodo francese od olandese;
3.° che sebbene la spesa riesca ragguardevole e superiore di quella di altri
canali, ciò non deve imputarsi al metodo di costruzione, ma specialmente alle
combinazioni particolari del canale; 4.° che è difficile il pronunciare se il metodo italiano, a parità di
circostanze, sia più dispendioso dell’inglese,
finchè non sia dimostrato a qual segno convenga fermarsi nella spesa di
originaria costruzione aggravando quella della manutenzione. »
Spedita a
Vienna anche tale relazione sul Canale di Pavia, quell’Aulico Consiglio delle pubbliche costruzioni vi ha riscontrato con
nuovo rapporto, che ha la data degli ultimi giorni dell’anno 1815. In questo si
sosteneva che le riflessioni soggiunte alle precedenti osservazioni non fossero
abbastanza valevoli per distruggere la già emessa opinione, e si passava a
confermarsi nel parere che le circostanze del Canale di Pavia non
autorizzassero a deviare per la sua sistemazione dai principi seguiti nella
costruzione degli altri canali navigabili. Questi principi, giudicando dal
complesso dei due sullodati rapporti pervenuti da Vienna alla Direzione dei
lavori, si facevano consistere principalmente ancora nella semplicissima teoria
che in fatto di canali di pura navigazione è la più comune in Europa, e che
prescrive di disegnare i tronchi di canale col fondo e col pelo d’acqua
orizzontali, terminati da sostegni equidistanti, di salto piccolo ed uniforme,
e della struttura più semplice e più adattata all’economia dell’acqua. Inoltre
nel secondo di quei rapporti si continuava a rappresentare che il Canale di
Pavia fosse troppo magnificente nella sua costruzione, e che esso non potesse
servire di modello ad altre opere consimili da intraprendersi per il bene dello
Stato senza erigere meri monumenti.
Presso la
Direzione de’ lavori del Canale di Pavia si è per altro continuato a ritenere
che la teoria dei canali di navigazione debba essere modificata moltissimo a
seconda delle circostanze de’ luoghi e dei casi, e massime pei canali simili a
quello di Pavia e ad altri del Milanese, che colla rilevante copia delle loro
acque sono al tempo stesso grandi canali di irrigazione e servono a dar vita e
movimento a un’immenso numero di opifici sparsi nella provincia. Parlando
specialmente de’ salti assegnati ai sostegni del Canale di Pavia, che
sorpassano in misura i limiti ordinariamente rispettati oltremonte, dichiarò la
stessa Direzione dei lavori che «il contrario sentimento di alcuni idraulici[6]
non distolse dal costruire dei sostegni di circa 5 metri di salto ove le
opportunità del luogo e le altre circostanze lo consigliavano». Essa soggiunse
poi allo stesso proposito: «L’esito felice che se ne ottenne confermò
l’opinione già concepita a questo riguardo, che cioè la massima di non
oltrepassare l’altezza di due o tre metri nella caduta de’ sostegni sia
piuttosto dedotta dalla mira di economizzare l’acqua anzichè dal timore di
mettere a pericolo la solidità dell’opera e di rendere troppo faticosa la
manovra pel passaggio delle barche». In generale si era fin d’allora
riconosciuto coll’esperienza che il Canale di Pavia fosse condotto nella sua
costruzione coi principj della grande economia ragionata e che perciò poteva
utilmente servir d’esempio a consimili future costruzioni. Di più si credeva
lodevole, anzichè da riprovarsi, l’uso degli italiani di non trascurare mai il
pubblico decoro ed una certa avvenenza o venustà nelle opere pubbliche del
genere dei canali e delle strade, perchè il bello non si può più riservare dai
popoli inciviliti ai meri monumenti
che non cadono ordinariamente sotto ai sensi della moltitudine. Ma poi
ammettendosi anche nell’altrui rapporto sul Canale di Pavia che dovesse pur
continuarsi ed ultimarsi quest’opera dietro il sistema fin allora adottato
nella tratta di già eseguita, si è preso il partito di troncare ogni discussione
d’arte per apparecchiarsi a riattivarne i lavori al minimo cenno superiore. Del
resto farà maraviglia all’uomo intelligente e giusto, che, scorrendo i dettagli
storici del presente paragrafo, s’accorgerà che i dotti delle altre nazioni, a
proposito di canali di navigazione, si permettono ancora a’ nostri giorni di
essere inesatti nelle loro espressioni al segno di chiamare metodo francese, metodo olandese e metodo
inglese ciò che in sostanza risulta alla più lieve notizia della storia
dell’arte metodo italiano, italianissimo.
Finita
una volta anche l’accennata discussione sul merito del Canale di Pavia
sopraggiunta quand’era questo avanzato ne’ suoi lavori ma non per anco
ultimato, si passò a preparare tutti i dettagli del progetto di costruzione
della tratta di naviglio che si stende dalla Porta S. Vito di Pavia alla Porta
Stoppa della stessa città e che comprende la fabbrica del 9.° sostegno di tutta
la linea del canale. Questo sostegno, invece di essere disegnato a norma del
piano generale dei lavori davanti la prima di quelle due Porte, fu allora
prescritto da erigersi dirimpetto alla seconda per motivi di nuovo soggiunti,
come sono quelli di risparmiare un ponte attraverso il canale
sull’intersecazione della linea colla strada postale da Pavia a Lodi, e di non
profondarsi ancora troppo col canale sotto il pian di campagne in quella
località che doveva riuscire una delle stazioni delle barche più proprie per la
comodità del commercio. In quella tratta la sezion del canale fu portata
dall’ordinaria larghezza di met. 10,692 alla maggiore di met. 20, perchè avesse
lo stesso canale a farvi le veci di darsena. Un’estesa linea di nuovi
caseggiati venne eretta allora per cura della Città di Pavia fra il canale e la
fossa esterna delle mura, ed è destinata a tutti i bisogni della nuova
navigazione all’epoca della sua floridezza. Contemporaneamente la qualità del
terreno sabbioso e permeabile all’acqua che si andava scoprendo nell’eseguire
le appaltate escavazioni del canale verso la città di Pavia, non che l’indole
delle piene del vicin Cavo Navigliaccio che vi avevano già cagionata una prima
rotta, si manifestarono un’altra volta nella rovina dell’edificio di
scaricatore a paraporti che era stato poco dianzi costrutto all’incontro della
Roggia Caronna presso Campeggi. Questa seconda notabile sventura del nuovo
Canale di Pavia venne a guastarne l’alveo appena ultimato in quella località ed
a privarlo del l’innocuo sfogo, ch’era pur necessario per poter inoltrare la
navigazione da Milano fin sotto le mura della città di Pavia e per secondare
così le viste del Governo di Milano che vi aveva ordinate le opportune
escavazioni. Riparato successivamente al guasto del letto navigabile in quella
località e provveduto alla meglio al pericolo di nuove sorprese per parte delle
piene del Navigliaccio, verso la metà dello stesso anno 1816 fu deciso di usare
tutte le necessarie diligenze nel regolamento del corpo d’acqua del canale
residuo dopo l’incontro del Lambro. Venne così formato uno scaricatore a
paraporti provvisorio nella fossa di Pavia in mancanza dello stabile
scaricatore di Campeggi, la cui ricostruzione era convenuto di sospendere per
le controversie insorte cogli appaltatori sui danni della rotta. Appena poi la
notizia di questa risoluzione si potè traspirare dai privati che usavano del
Naviglio di Bereguardo per il commercio del Po col Milanese, questi si
prepararono subito ad abbandonare l’antica via per servirsi della nuova del
Canale di Pavia, che da Milano arrivando anche soltanto fino al sostegno di Cassinino,
situato ad alcune miglia di distanza da Pavia, riusciva già meno costosa e più
conveniente. Mancava bensì a quest’effetto una strada carreggiabile da Porta S.
Vito al Ticino sotto le mura di Pavia; ma gli stessi commercianti hanno dirette
immediatamente le proprie istanze alla Direzione generale d’acque e strade onde
venisse aperta fin d’allora la strada desiderata, offrendosi di corrispondere
una parte delle spese di quest’opera anticipata. Formato in poco tempo anche il
letto della nuova strada, nel giorno 17 luglio di quell’anno 1816 ogni cosa si
trovò disposta per inoltrare l’acqua nel Canale di Pavia dal villaggio di Torre
del Mangano a Porta S. Vito di quella città. Recatosi poi nel successivo giorno
18 il Direttore generale d’acque e strade alla visita di tutti i preparativi,
nell’altro susseguente giorno 19 dello stesso mese ed anno la libera, comoda,
facile e continuata navigazione fra le due città di Milano e di Pavia venne
felicemente aperta sì al piccolo che al grande commercio.
Tali
progressi si facevano fare nel Milanese all’opera, del Canale di Pavia prima
che fosse decisa la sua ultimazione; ma intanto l’Aulica Commissione delle
finanze di Vienna ne aveva spedito il proprio rapporto favorevole, ed ebbe
anche l’incumbenza di notificare con dispaccio 24 giugno 1816 al Governo di
Milano la sovrana determinazione 8 maggio di detto anno, colla quale restava
approvata la continuazione e la perfezione del Canale di Pavia, a spese del
Tesoro dello Stato, nell’intervallo dei tre anni immediatamente successivi.
Allora la Direzione generale d’acque e strade è passata subito ad approvare il
progetto dianzi preparato per la tratta di canale fra le Porte di Pavia dette
di S. Vito e Stoppa. Sopra la stessa tratta si è fatta cadere definitivamente
anche l’opera di uno stabile scaricatore a paraporti con successivo apposito
canale nella fossa di Pavia avviato fino allo sbocco in Ticino, invece di
ricostruire quello rovinato a Campeggi per lo sfogo inferiore del naviglio.
Allestito e presentato di seguito il progetto di dettaglio per la costruzione
del tronco di canale successivo fra il sostegno di Porta Stoppa e quello
fissato nel piano generale da situarsi di contro al bastione della botanica, anch’esso venne regolarmente
approvato e posto in corso per l’appalto e per la successiva esecuzione.
E qui
faremo osservare che in quel tronco del canale sotto Pavia potendosi verificare
per la prima volta sui canali milanesi il caso di aver a sostenere una comoda e
perenne navigazione senza poter contare su grandiosi corpi d’acqua escrescenti
o da dispensarsi inferiormente in sponda ai medesimi per uso di irrigazioni e
simili, non si è mancato di ritenere definitivamente orizzontale il fondo
affinchè tale riescisse anche la disposizione del pelo d’acqua. Anzi questa precauzione
è poi stata parimenti osservata in tutti i progetti dei tronchi di canale
inferiori sino al letto del Ticino; giacchè per essi militava la stessa ragione
e di più quella della brevità dei tronchi medesimi, che comportavano un volume
d’acqua stagnante assai più minore.
Rimessi
per tal modo verso il principio del 1817 ad un corso regolare e sicuro i lavori
del Canale di Pavia che erano stati rallentati od interrotti nei tre anni
precedenti, gli studi di chi stava alla loro direzione si rivolsero più
particolarmente alla parte che in tutti i tempi è sempre stata considerata una
delle meno facili del progetto della grand’opera, vale a dire alla scelta
definitiva dei luogo dello sbocco del canale in Ticino. Questo punto era già
stato riservato da discutersi più maturamente un’altra volta nel Consiglio
della Direzione generale d’acque e strade fin dall’epoca in cui si voleva
chiuso il solo ramo di Ticino che metteva in Gravellone sotto il nome di ramo
Predamasco. Dachè poi era nata l’idea di incanalare Ticino sotto il Ponte di
Pavia nel ramo Maestro in un sol alveo, richiudendo, oltre il ramo Predamasco
sulla destra, il ramo Canarolo sulla sinistra, si rendevano maggiormente
necessari degli studi ulteriori e delle nuove considerazioni sull’oggetto
medesimo. Ad una tale discussione si aveva campo di prepararsi con una serie di
osservazioni sullo stato e sull’indole di quel fiume nelle vicinanze di Pavia.
La foce del naviglio, per riuscire la più vantaggiosa ad una comoda
navigazione, si voleva segnata nello spazio compreso fra la sezione del Ponte
di Pavia e l’altra sezione inferiore in cui il fiume Ticino si divideva in più
rami. Il punto preciso doveva però lasciarsi indeterminato per dar tempo al
fiume stesso di palesare meglio la tendenza del suo corso dopo il chiudimento
dei due rami succennati. Tutt’al più nel disegnare l’andamento del Canale di
Pavia senza toccare le mura di questa città per portarsi al fiume Ticino
attraverso di esse in molta vicinanza del Ponte antico, si veniva a ristringere
maggiormente lo spazio in cui poteva cadere il punto dello sbocco, cioè restava
questo compreso nei limiti della sezione corrispondente all’angolo del bastione
inferiore della città, e dell’altra sezione succennata dei tre rami di Ticino.
Ora il
Ticino in quella sezione dei tre rami, dopo la prima chiusura del ramo
Predamasco sulla destra, si era dilatato notabilmente nel ramo Maestro,
corrodendo l’isola che lo divideva dall’altro ramo Canarolo sulla sinistra fino
al segno che il fiume vi aveva ricuperata una parte di sezione bastante a
renderlo stabilito di letto nelle sue nuove circostanze. La dilatazione
essendosi operava unicamente dalla sponda sinistra, anche il filone aveva
inclinato similmente verso la medesima sponda, mantenendosi vicino all’isola
del Canarolo per tutta la sua lunghezza in modo che al piede di essa anche in
tempo delle maggiori magre non avrebbe potuto mancarvi un’altezza d’acqua
proporzionata al carico delle barche del Ticino e del canale. Non verificandosi
poi egualmente una tale condizione all’insù di quell’isola fin dirimpetto alla
punta del bastione inferiore della città, parve alla Direzione dei lavori di
dover proporre il vertice della stessa isola per la più felice e più
conveniente situazione dello sbocco del canale.
Alla
scelta del punto dello sbocco trovatasi pure strettamente unito l’oggetto del
nuovo piano di massima della tratta di canale che lo precede, fino al punto
fissato pel collocamento dei sostegni accollati
di contro al bastione della botanica.
Per
congiungere lo sbocco coll’estremità superiore del canale, condotto coi lavori
sin davanti al bastione della botanica,
si è agevolmente stabilito che la linea più conveniente fosse quella di un sol
rettifilo, percorrendosi con questo andamento il terreno più regolare dei
dintorni ed intersecandosi ad angoli retti la strada postale da Pavia a
Cremona. Per un motivo di più di dare la preferenza a quest’andamento si è
aggiunto in quell’occasione che per esso sarebbe riuscita la direzione del
canale allo sbocco ancora qualche poco convergente col filone del fiume, e che
nel caso concreto del Canale di Pavia e del fiume Ticino sotto il Ponte di
Pavia si credeva che fosse realmente se non necessaria almeno opportuna più
d’ogni altra pel complesso delle circostanze quell’obbliqua direzione dello
sbocco, che nel piano generale dei lavori aveva sofferto le rimarche in
contrario da noi di sopra riferite. Rilevato quindi sopra il prescelto
andamento un esatto profilo del terreno coll’indicazione accurata dei diversi
stati d’acqua di magra e piena del fiume, si trattava, a norma delle massime
precedentemente stabilite, di consumarvi interamente coll’artifizio dei
sostegni la risultante considerabile pendenza totale del terreno. Ciò si poteva
conseguire, secondo la Direzione dei lavori, in due diversi modi egualmente
sicuri e preferibili a tutti gli altri. Il primo consisteva nel dividere
l’intera caduta del profilo in quattro sostegni accollati a due a due, situando i primi due di contro al bastione
della botanica, e gli altri due
all’incontro sulla linea della strada postale da Pavia a Cremona. Il secondo
invece di quei due modi si riduceva a dividere la stessa caduta sopra cinque
sostegni, quattro dei quali accollati
a due a due con salti di minore altezza nei luoghi medesimi del bastione della botanica e di Porta Cremona, ed il
quinto in un sol salto da situarsi presso allo sbocco. A riguardo di queste due
diverse idee di profilo i sani principi dell’arte indicavano che la prima
portando un sostegno di meno partecipava maggiormente di tutti i vantaggi
inerenti alla massima dei sostegni grandiosi e pochi di numero, anzichè piccoli
e moltiplicati sopra i canali navigabili. Nella seconda idea di profilo
riservandosi un sostegno per lo sbocco poteva giovare questo a mantenere
spurgato dai depositi entro certi limiti l’ingresso del canale in Ticino. Un
altro riflesso era che lo stesso sostegno non doveva servire in tutti i tempi,
ma bensì restare inoperoso per la navigazione nelle escrescenze anche ordinarie
del Ticino. Gli accidenti poi del terreno nella tratta di Naviglio dal sostegno
di Porta Cremona allo sbocco venivano a portare nel secondo caso minor bisogno
di arginature e di escavazioni per la formazione del letto del canale.
Aggiungasi che essendo il fiume Ticino navigabile sino all’altezza in piena di
ben quattro metri sopra la magra ordinaria, e cessando ogni navigazione negli
stati d’acque superiori a questo livello, doveva in ogni caso il letto del
Naviglio per una tratta considerabile anteriormente allo sbocco presentare
un’agevole navigazione e comunicazione colle strade laterali in tutti gli stati
d’acqua intermedi che si verificano nelle diverse stagioni dell’anno. Ora
volendo conseguire questo scopo nel partito dei quattro soli sostegni,
conveniva avervi su di una lunga tratta diverse strade laterali per l’alzaia
disposte a differenti piani, le prime delle quali servissero nei limiti della
maggior magra sino ad un livello intermedio, le seconde più alte, e così di
seguito sino al sommo livello in cui cessa la navigazione. Ma invece nel partito
dei cinque sostegni si rendeva necessario un minor numero di questi ordini di
strade, poichè le variazioni di pelo del fiume non si sarebbero fatte sentire
nel tronco di canale superiore al sostegno prossimo allo sbocco se non quando
la navigazione del fiume stesso fosse vicina ad essere sospesa. Circa
finalmente alla costruzione ed alla manutenzione delle opere nei due casi, si
giudicava pel primo maggiore la spesa e più estesa la tratta dei lavori in
acqua; ma d’altra parte il secondo partito richiedeva un maggior impegno nella
fabbrica del quinto sostegno più prossimo al basso letto del fiume. Del resto
si riservava in quell’occasione la Direzione dei lavori a determinare
successivamente le opere di presidio allo sbocco per il motivo che la loro qualità
ed estensione dipendeva dall’effetto che avrebbero sortito col tempo le
intestature dei rami del Ticino Predamasco e Canarolo.
Rassegnato
il piano di massima per quell’ultima gran tratta del Canale di Pavia
all’approvazione della Direzione generale d’acque e strade, furono assentate
pienamente nel Consiglio degli Ispettori generali tutte le riferite
osservazioni. Demandata poscia alla decisione del Governo di Milano la scelta
fra i due profili esibiti, con dispaccio 3 marzo 1817 esso ha convenuto che si
dovesse adottare definitivamente quello che importava i cinque sostegni, ed ha
ordinato a norma del medesimo profilo la più sollecita compilazione dei
progetti d’esecuzione per opere parziali col metodo dell’appalto sino allora
seguito, affine di ottenere al più presto possibile la desiderata apertura
della completa navigazione del canale e di provvedere alla sua stabile
conservazione.
A tale
scopo non si è tardato allora a disporre, approvare e mettere in corso il
progetto d’appalto sì dei due sostegni accollati
al bastione della botanica, che degli
altri lavori necessari per poter estendere la navigazione del canale fino a
poca distanza dell’incontro colla strada postale da Pavia a Cremona.
Un’aggiunta rimarcabile che si ebbe occasione di introdurre nel progetto di
quei sostegni, e che venne poi adottata anche per gli inferiori sostegni di
Porta Cremona, consiste in un secondo canale scaricatore sotterraneo laterale
ai bacini dei medesimi sostegni, il quale è destinato precipuamente ad aprire
una comunicazione all’acqua da un tronco all’altro indipendentemente da quella
operata dai sostegni intermedi cogli altri artifizi succennati. Con tale
aggiunta si potè conservare una larghezza non eccessiva, benchè maggiore
dell’ordinaria, a quei tronchi del Canale di Pavia che riuscivano di breve
luughezza e disposti orizzontalmente e che non erano destinati a portare sempre
un grosso corpo d’acqua al di là del bisogno della navigazione. Tutto il
maneggio e l’economia di quel canale scaricatore sussidiario si ridusse al
semplice regolamento di una paratoia applicata stabilmente ad una sua sezione
per modo che nel tempo impiegato da una barca a passare sotto Pavia pei
sostegni accollati intermedi ai
tronchi più brevi del canale, avesse da introdursi in questi tronchi nuova
acqua presa nei tronchi superiori di maggior lunghezza in quantità per lo meno
eguale a quella consunta pel passaggio della barca stessa.
Arrivata
poi la metà dell’anno 1817, è stato comunicato al sig. Parea il desiderio della
Corte di Vienna che venissero sollecitati i lavori al Canale di Pavia, onde
alla fine dell’anno 1818 si avesse a vedere in qualche modo aperta la sua
navigazione continuata da Milano al Ticino ed al Po. Inoltre l’Aulica
Commissione Centrale d’Organizzazione in Vienna, per accertarsi della
possibilità di raggiungere questo scopo, volle anche essere informata
minutamente e del grado d’avanzamento a cui si trovavano i lavori del canale e
della parte che rimaneva ad eseguirsi per portarli all’altro grado compatibile
colla desiderata apertura. In quella circostanza dalla Direzione dei lavori si
è fatto osservare che anche non prendendo di vista il pieno perfezionamento
della grand’opera, ma soltanto l’oggetto del libero passaggio colla navigazione
dal canale nel fiume e viceversa, era una cosa di molto impegno il venirne a
capo nel breve spazio di tempo indicato superiormente. Tuttavia il ripiego, che
per lo meno parve l’unico per ottenere la massima economia del tempo nella
condotta dei lavori da eseguirsi, fu di riunire in un solo appalto le varie
opere più necessarie e specialmente la fabbrica dei sostegni di Porta Cremona e
di quello dello sbocco, che dovevano riuscire i tre ultimi di tutta la linea
del canale. Difatti avendovi l’unico intraprenditore da mantenere un numero
costantemente abbondante di operaj sopra una lunga linea di lavori, si rendeva
a lui possibile il rivolgerli anche tutti in una volta alla fabbrica più
difficile, che era quella dell’ultimo sostegno fissato presso lo sbocco del
canale, negli intervalli di tempi in cui Ticino abbassandosi di pelo lo avrebbe
permesso con sicurezza e con modica spesa.
Redigendo
quindi dietro tale ipotesi il piano d’esecuzione dei lavori ordinati per
estendere la navigazione del Canale di Pavia sino al Ticino, dentro qualche
mese esso è stato presentato all’approvazione della Direzione generale d’acque
e strade. In questo progetto niuna variazione di rimarco fu recata alle massime
precedentemente stabilite per riguardo alla fabbrica dei due sostegni del
canale da erigersi sulla linea davanti Porta Cremona di Pavia. Approfittando
della vicinanza del canale di scolo Roggione
che sbocca in Ticino separatamente dal canal navigabile si è munita la sponda
di questo di un particolare scaricatore a paraporti che immette in quello e
riesce l’ultimo di tutta la linea ma superiore all’ultimo sostegno. La
situazione di quest’altra fabbrica di sostegno dal punto preciso dello sbocco
fu trasportata in progetto alquanto di sopra per diminuire l’impegno della sua
costruzione sotto il pelo d’acqua del Ticino, ed altresì per lasciare fra i
suoi portoni e la sezione dello sbocco uno spazio capace su cui costruire la
darsena del canale riservata per quella località. La soglia inferiore
dell’ultimo sostegno si è marcata a un livello met. 2 all’incirca depresso sotto
la magra ordinaria del Ticino. La struttura dello stesso sostegno si procurò di
renderla adattata al caso e riuscì la più semplice di tutti i sostegni del
canale, mancandovi il solito ponte di pietra alla sboccatura del bacino ed ogni
scaricatore laterale. Specialmente però ai quattro angoli del suo bacino si
disegnarono quattro corpi di fabbrica culminanti ed assai rilevati colla loro
cima sopra la cresta dei muri dell’edifizio, onde indicassero ai barcaiuoli la
via della navigazione all’ingresso od alla sorbita pel canale in tempo di piene
dei fiume.
Approvato
successivamente tale progetto nel Consiglio della Direzione generale d’acque e
strade, verso il settembre di quell’anno 1817 si era arrivato a stipulare per
esso un primo contratto d’appalto. Ma gli intraprenditori che se n’erano
addossata l’esecuzione, invece di soddisfare ai loro doveri col dar mano
immediatamente ai lavori, misero in campo diverse pretese che non ebbero altro
oggetto fuori di quello di aspettare tempo per distogliersi dall’impresa.
All’epoca poi della loro scomparsa dallo Stato, essendosi verificata una piena
di Ticino, non sarebbe stato nè conveniente nè possibile coi mezzi
d’asciugamento disponibili l’incominciare alcun travaglio presso l’ultimo
sostegno del canale. Ordinato quindi dal Governo di Milano verso la fine dello
stesso anno 1817 un nuovo appalto dell’accennato progetto, furono rinnovate le
pratiche per trovare una compagnia d’intraprenditori che assumesse ancora
l’impresa interamente a suo carico per un sol prezzo determinato. Ciò per altro
non si è potuto allora ottenere alla vista dello stato incerto e variabilissimo
di Ticino; sicchè le cure della Direzione dei lavori si rivolsero ad
abbracciare il partito di cambiare il contratto d’appalto ordinario in un altro
cottimo speciale. Tale cottimo fu poi deliberato in febbraio dell’anno 1818 ad
un’abile intraprenditore, e verso il principio del successivo aprile erano già
attivati i lavori da Porta Cremona al Ticino; ma a quest’epoca la perdita di
un’invernata aveva deciso della protrazione di un anno intero del loro termine,
dovendosi attendere per le costruzioni in acqua alla fabbrica dell’ultimo
sostegno le magre di Ticino che avvengono e durano maggiormente in quella
stagione.
Deposto
così il pensiero di aprire la completa navigazione del Canale di Pavia per il
primo giorno dell’anno 1819, si cercò se non altro di ritardarne il momento
meno che fosse possibile. A quest’effetto ultimati appena i lavori del canale
da Porta S. Vito fin presso ai sostegni accollati del bastione della botanica, vi venne inoltrata l’acqua ed
estesa la navigazione anche prima che incominciasse l’anno 1819. Inoltre quando
i lavori attivati sulla linea inferiormente a quel punto, e fino al letto del
Ticino, ebbero ottenuto un certo grado di avanzamento, venne superiormente
ordinata ed eseguita a tutta la linea del canale una visita preparatoria dagli
Ingegneri del canale ed altri Magistrati, presieduta per la Direzione generale
d’acque e strade dal Segretario generale sig. Gaetano Negri. Questa visita ha
avuto per oggetto di assicurarsi della possibilità di estendere e praticare la
libera navigazione del canale da Milano al Ticino alla presenza dei Sovrani
dell’Austria che si attendevano nei Milanese per il giugno di detto anno 1819.
Chiamati però allora gli stessi Sovrani per altre cure dall’Italia a Vienna
senza che entrassero nel Milanese, i lavori appaltati al Canale di Pavia verso
il Ticino furono rimessi all’attività appena ordinaria, e compatibile colla
maggior sicurezza delle opere e col minor dispendio di spese. Avvicinandosi poi
col tempo tali lavori al loro compimento, fu destinato invece il giorno 16
agosto 1819 per la cerimonia dell’apertura della nuova navigazione.
A questa
funzione ha assistito in persona, con seguito di autorità e degli ingegneri del
canale, l’Arciduca Raineri, Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. Entrato questo
Principe colla sua comitiva nella barca appostata sul canale, alla vista di
numerosa popolazione ed al rimbombo delle artiglierie di Pavia, sono state
felicemente eseguite per la prima volta la discesa a l’ascesa sugli ultimi
tronchi del canale medesimo. Di seguito a tale esperimento aperta al commercio
la libera, diretta e continuata navigazione da Milano al Ticino ed al Po anche
prima dell’assicurazione dello sbocco del nuovo canale, restò fissata un’epoca
da secoli sospirata nel Milanese che non è meno distinta dell’altra segnatavi
sul cadere del passato secolo colla costruzione del Canale di Paderno e
coll’apertura della navigazione dell’Adda. Ma per rendere l’opera del Canale di
Pavia perfezionata in tutte le sue parti bisognava poscia pensare a molti altri
residui lavori ritenuti da eseguirsi in tutti i progetti anteriori.
Così, per
nominarne alcuni di quelli che risguardano lo sbocco del canale aperto, restavano
da riproporsi i necessari lavori per sistemarvi invariabilmente la sezione del
fiume Ticino in modo da provvedervi costantemente a tutti i bisogni della nuova
navigazione e di più allo sfogo delle piene del fiume medesimo. Ora, studiando
intorno alla sistemazione della sponda destra del fiume Ticino, venne fissato
di stabilirla in direzione tale che si mantenesse quasi in una sol linea retta
dal Ponte di Pavia fin di sotto alla sezione dello sbocco del canale. La
completa intestatura del ramo Predamasco da quella parte non fu risparmiata per
portare il ciglio dell’argine al di sopra delle maggiori piene del fiume. La
sistemazione poi della sponda sinistra di Ticino in cui si apre lo sbocco del
canale fu ideata per modo da internarsi nell’alveo del fiume ad erigervi le
opportune opere di presidio al canale e di arginatura al fiume medesimo. La
direzione di questa sponda si progettò dolcemente convessa e sulla
continuazione della linea esterna dei bastioni di Pavia. L’intero chiudimento
del ramo Canarolo sopra detta sponda sinistra venne pure ritenuto da eseguirsi
per farlo collimare alla buona disposizione di restringere la sezione fluviale
nel luogo dello sbocco del canale se non alla minima larghezza che offre Ticino
nella superior tratta stabile sino al Ponte di Pavia, almeno ad una media fra
tutte le sezioni della stessa tratta, onde riesca più opportuna di quella che
il fiume da se stesso tende a conservare nella località prescelta per lo
sbocco. Determinata la posizione e la forma da darsi alle sponde stabili di
Ticino presso lo sbocco del nuovo canale, dal punto dello stesso sbocco
all’insù sulla linea del canale si è passato a disegnare un grande bacino per
uso della darsena summentovata, in figura di ferro da cavallo e capace di contenere 60 barche delle maggiori
dimensioni.
Inoltre
per un mezzo di avvivare la nuova navigazione e di estendere maggiormente i
suoi vantaggi a tutto il Milanese si è riconosciuto quello di ridonare una
parte della primiera importanza al Naviglio di Bereguardo, che si stende sul
promontorio di Ticino nella più breve direzione per andare dal Lago Maggiore a
Pavia e viceversa. Si penserebbe a quest’effetto di aggiungere a quel naviglio
opportunamente ristaurato un altro tronco di canale di poche miglia di
lunghezza, distaccandolo dal punto più comodo e più conveniente della sua
linea, e facendolo terminare similmente nel nuovo Canale di Pavia; ed è certo
che l’esecuzione di questa sola idea nel Milanese col rendere più attiva la
navigazione di una tratta del Canale di Pavia varrebbe specialmente a
migliorarvi la condizione del commercio particolare fra il Po ed il Lago
Maggiore.
Ma tutte
le cure per il perfezionamento della grand’opera non si riducono poi soltanto
ad estendere possibilmente l’utile che si può ricavare dal Canale di Pavia,
considerato semplicemente come canale di navigazione. Una ragguardevole
quantità d’acqua vi è già diramata da molti anni su differenti punti della sua
linea per uso di irrigazione, movimento d’opifici e simili. Altri corpi
d’acqua, disponibili per dispensarsi da esso fin d’ora, si vanno tutto giorno
concedendo ai privati, e ciò si farà ancor più quando il Naviglio di Pavia sarà
dotato dell’intera sua competenza d’acqua fissata in origine di once magistrali
150, ritenute equivalenti a un dipresso a metri cub. 360 per ogni minuto primo.
A
quest’ultimo riguardo abbiamo soltanto accennato superiormente che di mano in
mano che si andavano ultimando i lavori del Canale di Pavia ne’ suoi distinti
tronchi, veniva in esso inoltrata l’acqua diramata dal Naviglio Grande a Milano
in quantità sufficiente a sostenervi la navigazione successivamente estesa da
tronco in tronco sino allo sbocco in Ticino. Ciò supponeva adunque che si
facesse un proporzionato aumento del corpo d’acqua disponibile sul Naviglio Grande,
ed ora noi passiamo appunto a dichiarare il modo con cui si è realmente
effettuata nel suo letto la condotta a Milano di un discreto volume d’acqua per
il Canale di Pavia.
I lavori
progettati fin dall’anno 1805 da eseguirsi sul Naviglio Grande per abilitare
questo canale a condurre a Milano un maggior corpo d’acqua in proporzione dei
bisogni del nuovo canale di Pavia, furono intrapresi soltanto in questi ultimi
anni sotto la direzione del sig. Giussani originariamente delegato a una tale
incumbenza, e del sig. Fumagalli suo collaboratore, che venne poi destinato
anche a supplirlo durante una sua lunga malattia. Più precisamente i lavori
principali eseguiti all’accennato oggetto consistono in diversi alzamenti
d’argini su molte tratte della linea del Naviglio Grande, nel perfetto
chiudimento della vecchia succennata rottura o bocca del corpo della sua grande
chiusa di derivazione conosciuta sotto il nome di bocca dalle canne dell’organo, nella costruzione di un nuovo ampio
scaricatore a paraporti che riesce prossimo all’incile e superiore a tutti gli
altri fabbricati ne’ precedenti secoli sulla stessa sponda del canale, e per
ultimo nell’adattamento dell’intero sistema degli scaricatori, travacatori e
diversivi sparsi al lungo della sua linea.
Nell’anno
1814 erano già inoltrati questi lavori al Naviglio Grande, allorchè nella notte
del giorno 10 venendo l’11 di agosto un notabile sfavorevole accidente è
sopravvenuto a quel canale che da molto tempo ne andava immune. Si intende qui
di parlare della rotta avvenuta al suo argine destro nel luogo di Rubbone,
situato a circa un terzo della linea partendo dall’incile. La cagione di tale
rovina fu ripetuta dalle sotterranee filtrazioni che sono di frequente
pericolose attraverso detto argine del canale verso quel punto e dalle
dirottissime pioggie che erano durate l’intera giornata del 10. La conseguenza
poi ne fu di lasciare in asciutto il letto inferiore del Naviglio Grande ne’
momenti del maggior bisogno per le irrigazioni e di portare invece le sue acque
a sfogare attraverso i boschi della Vallata di Ticino nel letto di questo
fiume. In tale occasione però il Governo, la Direzione generale d’acque e
strade, gli ingegneri e gli appaltatori hanno spiegata la necessaria energia
col far eseguire il più pronto ristauro dell’argine di Rubbone che fu in pochi
giorni rimesso come prima a contenere le acque del Naviglio Grande nel proprio
letto.
Avanzandosi
poscia que’ lavori, ed assicurata la maggiore capacità del Naviglio Grande e
de’ suoi proporzionati sfoghi, non solo si è potuto aumentare la sua portata e
condurre fino a Milano un discreto corpo residuo di acqua per i bisogni del
Canale di Pavia; ma inoltre vi si è anche venuto ad accrescere la quantità di
ciascuna dispensa o diramazione tutt’al lungo della linea dei canali Naviglio
Grande e Naviglio di Bereguardo, in corrispondenza dell’alzamento di pelo nel
canal dispensatore. Si può ritenere pertanto che, anche abbandonando del tutto
l’idea nata nel 1805 di una bocca d’introduzione sussidiaria ed ogni altro
ripiego possibile per accrescere all’uopo la portata del Naviglio Grande fin
verso Milano, la sola operazione di riforma che resta a farsi alle bocche
d’estrazione, per rimetterle soltanto nei limiti dei propri diritti dopo le
nuove sopravvenute circostanze che le hanno alterate, basterebbe a porre a
disposizione del Governo tutto quel corpo di acqua che si può ulteriormente
desiderare per gli usi del Canale di Pavia estranei a quello della navigazione.
Intanto a
compimento dei dettagli storici sin qui esposti noi crediamo prezzo dell’opera
l’aggiungere un cenno delle riflessioni che siuora si presentarono presso la
Direzione dei lavori tanto sul Naviglio Grande, che sul Naviglio di Pavia.
Queste riflessioni risguardano specialmente alcune di quelle ulteriori provvidenze
che si apprendono soltanto coll’uso delle fabbriche e col maneggio degli
artifizi di un canale, o in generale dall’osservazione delle acque in corso e
dalla più facile contemplazione di un oggetto quand’esso si trova sottoposto al
dominio dell’esperienza. Esse possono inoltre servire per una più ampia
dichiarazione di diverse massime seguite nella costruzione del nuovo Canale di
Pavia e nella direzione dei nuovi lavori al Naviglio Grande.
E
primieramente parlando di questi ultimi lavori eseguiti a’ nostri giorni sulla
linea del Naviglio Grande, dobbiamo dire del buon effetto che vi ha prodotto il
summentovato otturamento della bocca
dalle canne dell’organo all’estremità sinistra della sua gran chiusa di
derivazione. Venendo serrata per l’addietro quell’apertura soltanto in tempo di
magre del Ticino con opere posticcie, e servendo essa liberamente in tempo di
acque ordinarie e di piena per isfogo dell’acqua diretta al naviglio in copia
eccessiva, vi rendeva alquanto più pericoloso che non sia di presente il
passaggio delle barche in ordine all’esservi attirate verso la chiusa. Il bello
scaricatore a paraporti fabbricato all’incile del canale istesso, oltre a fare
in certo modo le veci di quella apertura otturata nel corpo di chiusa, provvede
al maggiore sfogo delle acque di piena del canale accresciute in proporzione
dei successivi aumenti della sua portata ordinaria pei bisogni del nuovo Canale
di Pavia. Da questi aumenti di portata procurati al Naviglio Grande ne è però
derivata qualche sensibile alterazione del suo sistema, tanto per riguardo al livello del suo pelo d’acqua e della
velocità di quest’acqua, come per riguardo allo stabilimento del fondo del suo letto. Tale alterazione fu ineguale
da un punto all’altro della linea del canale, dove per le diverse dimensioni
del suo letto, dove per la qualità delle materie più o meno amovibili di cui
questo è formato, e dove finalmente per i differentissimi corpi d’acqua che per
entro vi scorrono. Tuttavia un certo ordine ed una certa modificazione di
effetti dall’incile al termine del Naviglio Grande si sono pure osservati anche
in questa alterazione del suo sistema.
Così verso l’incile, dove il naviglio colla sua ampiezza, colla copia delle sue
acque e colla pendenza di fondo rassembra più ad un fiume reale che ad un
canale artefatto, quell’alterazione di sistema
si ridusse all’innalzamento di pochi decimetri del pelo d’acqua sopra il
primiero livello con un corrispondente aumento di velocità, ed a qualche
escavazione del letto per pochi altri decimetri al di sotto del piano in cui si
trovava dianzi stabilito. Verso la metà del corso del canale, dove forti
estrazioni d’acqua cominciano sopra l’una e l’altra ripa a diminuirvi la
portata, e dove il canale discorrendo più e più ristretto in larghezza conserva
ancora una generosa declività di fondo e convoglia tuttavia un volume d’acqua
assai grosso per gli usi della tratta inferiore, quell’alterazione si è
mostrata maggiore per ognuno degli elementi sopraddetti. Finalmente verso il
termine del canale decrescendo in maggior ragione il corpo d’acqua e
simultaneamente la pendenza del fondo, è andata scemando a poco a poco
l’escavazione del letto mentre vi è riuscito più sensibile l’aumento di
velocità e l’innalzamento del pelo d’acqua.
Circa
all’utile od allo svantaggio di questa alterazione del sistema del Naviglio Grande, l’elevazione del pelo d’acqua e
l’accrescimento corrispondente di velocità ben presto non vi produrranno
generalmente inconvenienti di sorta, dacchè nella ricostruzione dei ponti che
attraversano il canale verso Milano si ha l’avvertenza di tenere la loro luce
più alta ed adattata ancora al maggior carico delle barche usate. Le variazioni
in più degli stessi due elementi lasceranno invece il comodo alla navigazione
del canale di poter farvi pescare maggiormente le barche cariche, non che
l’altro vantaggio della vieppiù spedita discesa per il canale medesimo che è
rilevante atteso le circostanze particolari del suo commercio attivissimo in
tal senso e poco attivo nell’altro contrario. Per riguardo poi all’aumento
della forza escavatrice del letto del canale, questa variazione non ha prodotto
sinora che un utile spurgo naturale verso l’incile e verso il termine del
canale istesso; ma verso il mezzo della sua linea col corrodere e protrarre
maggiormente le materie amovibili, essa ha importato la spesa di qualche opera
per arrestarne da questo lato ogni nocevole effetto. Tale provvidenza è quella
che si va appunto eseguendo di presente colla distribuzione di opportune soglie
fisse, le quali essendo fabbricate sul letto del canale nelle più esposte
località, devono renderlo inamovibile oltre un certo limite, e stabilito di
nuovo nelle sue alterate circostanze dipendentemente dall’aumento di portata.
Inoltrandosi
a parlare più propriamente del nuovo Naviglio di Pavia, i cui lavori furono
condotti a termine sotto la direzione dei Sunnominati Ingegneri d’acque e
strade, ed i cui progetti delle opere dal 1814 in poi vennero di mano in mano
rimessi per l’opportuno esame all’Ispettore generale sig. Agostino Masetti,[7]
faremo osservare prima di tutto che in diversi tempi si è tentato di risolvere
colla precisione sufficiente per la pratica il problema della misura dell’acqua
per formare la presa del nuovo canale, come a suo luogo si è già detto di
sopra.
A tale
riguardo se si fosse trattato di un canale da disporsi a tronchi orizzontali,
il consumo d’acqua per il semplice oggetto della sua navigazione sarebbe stato
facilmente valutabile, riducendosi in questo caso alla porzione da impiegarsi
nel fare le sostegnature o, come
diconsi comunemente fra noi, le concate,
che sono di numero presumibili in un giorno. Difatti l’altra porzione che va
perduta in evaporazione, assorbimento e filtrazione viene sovente nel Milanese
più che compensata e dalle pioggie e dalle naturali sorgive degli alvei e dagli scoli dei laterali terreni. E
generalmente la misura precisa di quell’acqua avrebbe potuto aversi con un
semplice conteggio e con qualche accurato esperimento sugli effetti locali
delle anzidette cagioni di consumo. Ma nella realtà gli oggetti della
irrigazione, del movimento d’opifici e di simili usi che si combinano al Canale
di Pavia cominciarono ad introdurre in calcolo l’elemento della velocità per
portare anche sopra tronchi di canale orizzontali un corpo d’acqua di gran
lunga maggiore di quello puramente necessario per sostenervi un utile ed estesa
navigazione. Inoltre nel Milanese era divenuto comune da secoli il disporre con
una certa pendenza tutti i canali navigabili, per risparmiarvi possibilmente le
fabbriche di sostegno e procurarvi varie altre particolarità. Una simile
pratica era stata seguita in tutti i progetti del Canale di Pavia. Col nascere
quindi e col crescere in Italia della scienzia delle acque correnti, la
determinazione a priori della
velocità, della curva del pelo e degli altri elementi del moto dell’acqua per
ogni tronco del medesimo canale ha dovuto esercitarvi l’ingegno degli idraulici
nazionali.
Fino a
tanto però che la difficoltà di tale problema era legata, oltre alla mancanza
d’alcuni dati fisici, principalmente all’imperfezione di un’analisi che non
sapeva condurci a formole bastantemente esatte sul movimento del l’acqua ne’
grandi canali, non era altrimenti sperabile, per il caso di quello di Pavia, di
arrivare ad una soluzione che godesse di qualche rigore geometrico e che fosse
utilmente applicabile alla pratica costruzione di tutti i suoi consimili. Così
non servirono all’uopo le succennate soluzioni del Frisi, del Brunacci e degli
altri valenti matematici che ebbero influenza nella redazione del progetto del
Canale di Pavia prima d’intraprenderne la costruzione. All’attivazione poi de’
suoi lavori ed all’atto pratico di questi si è saggiamente preferito dagli
Ingegneri d’acque e strade, come abbiam veduto, di ricorrere a processi e
metodi unicamente fondati sull’esperienza e sull’osservazione di casi consimili
per risolvere il problema almeno, come si dice, a posteriori, ond’è che per questo capo al Canale di Pavia si sono
essi ridotti necessariamente ancora all’arte di far precedere delle apposite
ben accertate esperienze sulla pendenza assunta dal pelo d’acqua nei primi
tronchi di canale già costrutti per cavarne lumi e canoni sicuri da applicarsi
alla sistemazione degli altri tronchi che rimanevano da costruirsi.
Egli era
pertanto un oggetto della più alta importanza per il progresso dell’arte dei
canali navigabili ogni passo verso l’esatta soluzione di quel problema; e noi
abbiamo la compiacenza di poter qui accennare che non pochi di questi passi
sono realmente stati fatti in questi ultimi anni, che a quest’ora l’analisi può
condurci a formole bastantemente precise pel movimento dell’acqua e per la
determinazione della pendenza di pelo ne’ grandi canali, e che tutto ciò si
deve agli studi ed al talento di alcuni dotti Italiani. In conferma di queste
nostre asserzioni, oltrechè si possono da ognuno consultare fin d’ora le opere
recentemente stampate dai celebri idraulici Tadini e Venturoli,[8]
verrà presto alla luce anche una Memoria del sig. Ottaviano Fabrizio Mossotti
contenente la nuova e completa analisi sul moto dell’acqua ne’ canali. E nel
mentre che questo distinto autore si occupa di perfezionare tale suo lavoro,
che ci ha graziosamente comunicato, noi daremo in una nota separata alla fine
della presente storia le formole con alcune applicazioni che lo stesso sig.
Mossotti ha dedotte dalla teoria generale pei casi consimili a quello del Canale
di Pavia.
Dall’essere
il Canale di Pavia come l’anello di unione fra il Po ed il centro principale
della rete dei canali navigabili preesistenti sul Milanese, e dall’avervi per
esso disponibile un volume d’acqua eccedente la competenza assegnatagli,
possono sembrare non del tutto irragionevoli le lagnanze dei commercianti che
vorrebbero il Canale di Pavia fatto non solo per le barche usate sugli altri
canali milanesi, ma anche per la portata delle più grosse barche del Po. Di più
per otteuere la sperata floridezza della nuova navigazione del Canale di Pavia
è osservabile che prima dell’istituzione del diritto di finanza detto dazio della catena, percepito dietro la
tariffa vigente fin dall’anno 1817 sulla linea del canale medesimo, vi erano
già avviate a fare il giornaliero viaggio da Pavia a Milano e viceversa, oltre
le barche corriere per il trasporto delle persone e delle piccole merci, anche
quelle per il trasporto delle frutta, dei colli di Genova e di altre grosse
mercanzie. L’avere tali barche cessato da ogni viaggio dopo l’istituzione di
quel diritto di finanza, colla tariffa in corso, deve dar luogo a serie
riflessioni per chi si trova in circostanze di far produrre il massimo utile ai
canali navigabili del Milanese col saggio regolamento delle tariffe daziarie.
Circa
alla scelta della linea tracciata precisamente allato o in poca distanza dalla
strada postale da Milano a Pavia sino alle mura di quest’ultima città, essa
sembrerà abbastanza giustificata dai dettagli economici e dai calcoli di stima
che si possono istituire sulla relativa utilità dei diversi possibili progetti
di andamento da Milano al Po, In questa disamina si presenterà facilmente la
circostanza del trovarsi lungo quella strada già generalmente radunati in minor
numero che altrove i fossi traversali che sottopassano la linea e le strade che
la intersecano; il che portò il risparmio di un certo numero di ponti,
ponti-canali e botti d’ogni maniera. Parimenti non si potrà dimenticare l’altra
circostanza che in quella località venivano a prestarsi una sicurezza
vicendevole la strada postale, il canal navigabile ed i paesi disposti al lungo
della linea; e che un profilo di terreni il quale non offre varietà molto
risentite di piani e di inclinazioni vi risparmiava i maggiori movimenti di
terra, gli incomodi di un canale troppo profondamente incassato sotto il pian
di campagne ed i pericoli di troppo rilevanti arginature. Gettando finalmente
un’occhiata sulla carta idrografica, sul
profilo generale di livellazione del Milanese, sull’andamento del Po e
degli altri fiumi che vi mettono foce, l’Adda, il Lambro, l’Olona ed il Ticino,
si sarà portati a credere che quella direzione meritasse veramente una decisa
preferenza per essere la idea più decorosa, più brillante e più economica a un
tempo, segnatamente per passare colla linea della navigazione nel più grosso
influente del Po, presso alla città più cospicua del Milanese dopo la Capitale,
e in vicinanza alla strada postale più commerciale di tutto lo Stato. Parimenti
lo sbocco sotto Pavia, che deve assicurarsi colle opere di presidio sì
progettate al Governo dalla Direzione dei lavori, che riservate per gli anni
successivi, sembra fin d’ora uno de’ più felici che si potevano scegliere fra
tutti quelli proposti in vari tempi sulla tratta di fiume Ticino che si stende
dal piede della costa di Bereguardo alla sua confluenza nel Po.
Relativamente
alle pendenze assegnale ad alcuni tronchi del canale, colle quali si venne a
consumare circa met. 2 di pendenza del terreno, l’uso del canale non ha fatto
che maggiormente comprovare la possibilità di non disporre orizzontalmente gli
stessi suoi tronchi. Circa però al buon effetto della sua sistemazione a
tronchi più pendenti, la quale ha dato luogo alle maggiori discussioni per
successive vicende del progetto e della Direzione dei lavori e per ulteriori
determinazioni del caso, si potrà consultare la succennata nota del sig.
Mossotti contenuta nel presente volume; onde noi aggiungeremo soltanto che
l’esperienza di qualche anno ha specialmente posto in chiaro la grande
influenza delle erbe palustri, e di altri simili ostacoli di frequente generati
sul fondo del canale, nel disturbarvi il movimento regolare dell’acqua. Questa
perturbazione del sistema del canale
è tanto sensibile che arriva ad interrompere la linea del pelo d’acqua di
ciascun tronco, tenendolo in collo nelle parti superiori sino a portarvi senza
alcun’altra variazione una differenza di più di qualche mezzo metro nella sua
elevazione.
Per
riguardo alla pendenza del terreno consunta coll’artifizio de’ sostegni al
Canale di Pavia, essendovi queste fabbriche state disegnate di salto variabile
fra i limiti di due e cinque metri all’incirca, la disparità e la rilevanza di
tali misure formano due delle principali discordanze fra le norme seguite dalla
Direzione dei lavori e quelle che avrebbe dovuto seguire nell’ipotesi che si
avesse dovuto cavare il canale in un paese scarseggiante d’acqua per il bisogno
della navigazione, ed in mezzo a campagne uniformemente pendenti da
un’estremità all’altra della linea e non intersecate da un numero
strabocchevole di fossi e scoli trasversali alla linea sono livelli
differentissimi. Se poi nell’infanzia dell’arte il non ardire di fare sostegni
alti oltre il limite di un metro o due poteva credersi abbastanza giustificato,
non lo è più al lume dei progressi fatti nella medesima arte da tre o quattro
secoli, e specialmente dopo gli esempi dei Canali di Paderno e di Pavia. Sembra
adunque che o si debba estendere alquanto quel limite, o che in generale non si
debba più riguardare come utile e conveniente la moltiplicazione di quelle
fabbriche sui canali navigabili consimili dacchè si possono ottenere gli stessi
effetti da un minor numero delle medesime. Circa ai sostegni accollati, avendo anch’essi per oggetto
precipuo di smaltire con poche fabbriche di questo genere una caduta eccessiva
su piccolo spazio di terreno, si è conseguito veramente lo scopo coll’adottare
almeno il loro uso sull’ultima gran tratta del Canale di Pavia. Inoltre con
quei sostegni si è procurato al canale il pregio particolare di combinare
all’occasione una certa economia dell’acqua sul punto della linea dove essa
rientrava nei fini dell’architetto, giacchè, com’è noto, nei sostegni accollati il raddoppiamento dei bacini
discreti porta che la stessa discreta quantità d’acqua può successivamente
passar dall’uno all’altro per operare il passaggio delle barche discendenti.
Finalmente la situazione dei sostegni ai punti succitati della linea non sembra
che offra alcun motivo di ulteriori desiderj agli intelligenti edotti di tutte
le circostanze del caso, quando pei riflessi su riferiti si voglia condonare la
scelta del paese di Rozzano invece dell’altro superiore di Cassino per erigervi
il 5.° sostegno del canale; il che portò di tenere alquanto arginata e sollevata
sopra i terreni laterali la tratta intermedia del suo alveo.
La
struttura dei sostegni del Canale di Pavia si è pure riscontrata coll’uso
generalmente bene scelta ed adattata al caso; ma da taluni si è giudicato che
questo pregio si avrebbe conseguito in maggior grado col prescriver la
lunghezza dei bacini nella sola misura richiesta dal passaggio di una barca
alla volta anzichè di due. A questo riguardo mostra da una parte il fatto
giornaliero che sono più le volte che le barche vanno isolate a fare i loro
viaggi del Canale di Pavia, di quello che vi vadino accoppiate. Si poteva forse
dall’altra parte farvi provvedere all’uopo tutte le barche al loro ingresso in
canale di una piccola ventola per timone invece di permettervi l’uso della pala
a grande albero che è soltanto necessaria sopra altri canali e fiumi del
Milanese. Per la verità poi il tempo impiegato dalle barche nel passaggio de’
sostegni al Canale di Pavia viene da ciò sensibilmente accresciuto sulla
totalità d’un viaggio, ed il maggior consumo di questo tempo riesce interamente
perduto per la navigazione a barche isolate, se non si procura di rendere più
spediti quei passaggi coll’uso del rilevante corpo d’acqua del canale e dei
numerosi paraporti che si hanno a disposizione per eseguirli più o meno
celeremente.
L’accidente
più notabile che ha presentato sinora l’uso dei sostegni del Canale di Pavia è
occorso di osservarlo per la prima volta allorchè ultimata la costruzione del
sostegno di Casarile fu tradotta questa fabbrica al servizio della navigazione,
e si è verificato poscia su tutti i consimili sostegni del Milanese. Il
fenomeno consiste in ciò che il muro di
mezzo, o massiccio eretto verticalmente fra il bacino che si riempie ed il
canale scaricatore parallelo che resta vuoto, manifesta un piccolo movimento
verso lo scaricatore; movimento che al vuotarsi dello stesso bacino comincia in
senso contrario, e finisce col rimettere il muro sensibilmente nella sua
primiera posizione senza che succeda alcuno scompaginamento della fabbrica. Quest’ultima
circostanza è così vera, che se qualche piccolo pelo di fenditura si arriva a
scorgere a bacino carico ne’ corpi di fabbrica situati alle estremità del muro di mezzo soggetto al movimento
immediato, e in qualche modo al medesimo connessi, si trova esso affatto
richiuso quando il bacino è vuoto. A maggiore precauzione venne però adottato
un ripiego che previene qualunque pericolo da ciò dipendente al succennato
sostegno di Casarile, che è quello fra tutti i suoi consimili del Milanese in
cui tal fenomeno riuscì sinora più sensibile. Consiste il ripiego nell’avere
applicata una controspinta di grosse lastre di granito disposte come si dice in
coltello ed esattamente incassate a
guisa di forti saette sulla facciata verso lo scaricatore nel muro di mezzo al
punto che resta più isolato e probabilmente più esposto ad essere smosso. In
qualunque tempo poi, e per qualunque maggior salto di sostegni che si avessero
a costruire di nuovo, si volesse pensare ad evitare un simile movimento
comunque innocente, ben si vede che non farà nemmen bisogno di immaginare nuovi
espedienti più efficaci, avendocelo già insegnato quel grand’uomo dell’ingegner
Meda nel disegno de’ suoi sostegni di forma tale da non soffrire il movimento
del muro di mezzo altrimenti da lui
detto il massizzo. Del resto sopra
l’ultima gran tratta del nuovo Canale di Pavia i sostegni che non hanno nè
canale scaricatore scoperto nè muro di
mezzo isolato, non hanno nemmeno manifestato il fenomeno del succitato
movimento. In essi si è però osservata da principio del loro uso un’altra
particolarità che noi crediamo meritevole di essere riferita.
Al
chiudersi rapidamente de’ paraporti annessi ai sostegni quando non era compiuto
il riempimento de’ bacini e l’acqua correva da essi con forte velocità, trovandosi
arrestata nel suo efflusso a un tratto, laddove manifesta subito un semplice
rigonfiamento alla superficie nei canali scaricatori scoperti, tentava di pur
trovare uno sfogo sforzando le pareli dello scaricatore coperto. Perciò il suo
coperchio, che erane la parte meno forte, veniva anche rimosso dalla sua
posizione d’equilibrio e persino sbalzato in aria a qualche altezza per lasciar
libera l’ascesa all’acqua. Tale effetto, che è precisamente quello che forma il
principio della macchina conosciuta sotto il nome di ariete idraulico, si è
però facilmente evitato a quei sostegni col lasciarvi appena socchiuso una
parte del coperchio dello scaricatore per modo che il più leggiero suo
aprimento nel cedere allo sforzo dell’acqua bastasse ad ammorzare a poco a poco
la sua velocità e ad impedire così ogni sensibile scossa ed alcun notabile
inconveniente. Intorno allo stesso articolo della struttura dei sostegni al
Canale di Pavia si è potuto anche osservare che l’angolo ottuso di gradi 106
sotto cui si insteccano le loro porte, a un di presso come si è fatto
generalmente sugli altri canali milanesi dei secoli passati, lascia il comodo
di aprirle senza il bisogno di alcuna macchina anche ne’ casi de’ maggiori
salti usati. Un uomo solo col mezzo di un’asta armata d’uncino basta al loro
movimento quando siano bene impernate. A questo fine se si fosse prescelto un
angolo più ottuso sarebbe scemato bensì il peso delle porte, e da questo lato
si avrebbe ottenuto un vantaggio; ma in tal caso la forza dell’uomo non sarebbe
stata bastante all’uopo, giacchè non potendo egli più agire in direzione
perpendicolare alle porte da aprirsi si sarebbe avuta una diminuzione del suo
braccio di leva. In complesso poi si giudicò che nel caso concreto la perdita
del momento della forza avrebbe avuto scarso compenso nel vantaggio della
diminuzione di resistenza al moto facendo le porte meno larghe. D’altronde
potendosi alle porte del sostegno talvolta rendere necessario qualche argano
sulla sponda del canale per facilitare in ogni caso il loro aprimento, questo
semplice ordigno non vi fu risparmiato per alcune di quelle fabbriche da
sostegno, e vi ha dato luogo al problema di determinare la superficie curva del
torno di essi argani sì che per tutte le posizioni delle porte si mantenesse perpendicolare
la direzione della forza onde poter esercitare utilmente tutto il suo conato
nel loro aprimento.[9]
Finalmente
dell’esaminare il sistema di costruzione de’ sostegni appena posti in uso sui
primi tronchi del Canale di Pavia, e specialmente il meccanismo con cui si
operava per esse il passaggio delle barche, si è giunto ad accorgersi che il
riempimento ed il vuotamento dei bacini, comunque si eseguisse in origine con
facilità di movimento e rapidità di effetto, poteva accelerarsi di più per ottenere
maggior risparmio di tempo nella navigazione e dar luogo in questa parte a
qualche miglioramento ne’ metodi più usitati. Ordinariamente i paraporti e le
chiaviche che servono a riempire e vuotare i bacini dei sostegni vengono
formate o da semplici paratoie che si abbassano e si innalzano davanti ad una
data luce, o da ventole mobili orizzontalmente e composte di un tornello e due
palmette laterali le quali soglionsi tenere disugualmente larghe perchè la
diversità della pressione dell’acqua sulle medesime concorra a tenerle chiuse.
Ora è ben vero che le ventole a palmette hanno già sopra le paratoie un deciso
vantaggio, che consiste principalmente nella minor difficoltà del loro
movimento. Tuttavia dalla costituzione delle ventole a palmette nascono due inconvenienti
che tendono ambidue ad accrescere il tempo che si consuma nel passaggio de’
sostegni. Il primo è la difficoltà che si prova nell’aprirle onde permettere
l’efflusso dell’acqua, e ciò per avervi a vincere la differenza della pressione
delle due colonne d’acqua che si appoggiano alle due palmette d’ineguale
superficie. Questa difficoltà viene inoltre accresciuta dal dovere per mezzo
delle stesse palmette imprimere un movimento all’acqua circostante che nel loro
aprirsi viene scacciata dal suo posto. Per giunta succede anche spesse volte
che la pressione dell’acqua unita all’effetto dei vortici sulla minore
palmetta, prevalendo alla resistenza della maggiore, richiuda le ventole
precipitosamente appunto quando devono stare aperte, e ciò con sensibile urto
di chi per avventura si trovasse vicino al manubrio del tornello sporgente
sopra terra. Il secondo inconveniente è l’ostacolo che oppone all’efflusso
dell’acqua il tornello stesso della ventola, il quale divide in due parti la
luce. Volendo quindi andare al riparo di questi inconvenienti, si è immaginato
di sostituire alla ordinaria ventola a palmette ima ventola a cilindro composta
di due dischi orizzontali tenuti fermi a certa distanza da due sponde verticali
che, adattandosi esattamente alla curvatura de’ dischi ed occupando soltanto
due porzioni eguali della circonferenza, lasciassero aperta nel resto di questa
una via per cui passare l’acqua nell’uso delle ventole. Rivestendo tale
cilindro mobile di altro simile cilindro concentrico, e assicurato alla
muratura delle luci a guisa di telaio, tutto il giuoco del congegno, com’è
facile a comprendersi, si riduceva al movimento del cilindro interno sopra i
poli del proprio asse. I suoi vantaggi in confronto della ventola a palmette
consistevano in quello della maggior facilità di tale movimento, nell’altro
della mancanza del tornello che fa ostacolo all’efflusso dell’acqua per la
luce, e nel terzo di potersi sempre dare al condotto interno della ventola a
cilindro una figura tendente a quella che prende l’acqua naturalmente negli
efflussi per il noto effetto della contrazione della vena, o che sia la più
favorevole allo stesso efflusso. Adottata poi ed eseguita presso la Direzione
dei lavori del Canale di Pavia tale forma di ventole per i sostegni, coll’esperimento
si sono potuti confermare i vantaggi da essa sperati. Dopo qualche tempo che vi
si trovarono in uso le anzidette ventole si è osservato bensì che per esse non
era ancora totalmente schivato l’altro succennato inconveniente del richiudersi
i paraporti per effetto dei vortici dell’acqua quando si vogliono aperti,
mentre gli stessi moti vorticosi ed irregolari dell’acqua davanti alle luci e
coll’insinuarsi nelle fessure fra i due cilindri concentrici e coll’agire
immediatamente sopra le pareti del condotto arrivavano ancora a spostare la
ventola senza l’intervento di forza esterna. Ma colla semplice modificazione di
aver reso stabile e fisso alla muratura il cilindro interno della ventola e
lasciato mobile l’esterno si tolse di mezzo affatto anche questo difetto degli
ordinari paraporti a palmette, per cui la ventola a cilindro restò per i
sostegni del Milanese un deciso miglioramento dell’arte. La sua idea poi ne è
tale che facilmente si potrebbe estendere, e probabilmente con buon successo,
anche all’ulterior perfezionamento de’ paraporti degli ordinari scaricatori in
sponda ai canali navigabili, della forma e movimento delle porte stesse da
sostegno e di ogni altro arnese usato sui canali navigabili per arrestare e
restituire a piacimento il corso all’acqua con facilità di manovra, abbondanza
di efflusso e sicurezza di effetto.
Sul punto
delle botti sotterranee il piano de’ lavori del nuovo Canale di Pavia ha
portato di costruire un numero rilevante di tali fabbriche d’ogni maniera, e
fra queste alcune più ardite di quelle richieste dai progetti più antichi, i
quali adottando, come abbiam veduto, pel Canale di Pavia la costruzione di vari
grandiosi ponti-canali oltre quello al Lambro o l’introduzione delle acque di
piene dei principali fossi trasversali, venivano a schivare le botti del
maggior impegno. Il salto delle botti a sifone vi era bensì determinato colla
prescelta distribuzione di pendenza del terreno; ma il rialzamento del pelo
d’acqua davanti le luci d’ingresso di ciascuna botte restava indeterminato fra
certi limiti per ciascun canale trasversale finchè lo era l’ampiezza delle luci
medesime. Di qui ne venne la necessità delle norme da seguirsi nella
determinazione delle luci delle botti per il Canale di Pavia che vi si trovano
in numero strabocchevole coll’inoltrarsi sulla linea dei lavori da Milano verso
Pavia. Per riguardo alle botti che non convogliano acque di piene
considerabili, le prime di questo genere costrutte verso Milano hanno mostrato
che l’aumento di battente o differenza di livello fra l’acqua anteriore e
posteriore dell’edificio, cagionato dalla perdita di moto entro le botti, si
riduce a pochi decimetri anche ne’ casi dove la botte abbia una luce più e più
minore di quella che non porta la minima alterazione di pelo d’acqua al canale
per cui serve. Ma in ciascun caso concreto non essendo tanto facile il
conoscere fin a che punto tale diminuzione di luce delle botti potesse essere
compensata e ristorata da un innocuo corrispondente aumento di battente, il
metodo praticamente seguito presso la Direzione dei lavori al Canale di Pavia
in caso di dubbio fu quello di andare sempre con una liberale misura per tutti
i riguardi dovuti ai privati diritti dei proprietari de’ canali trasversali. Relativamente
alle botti da prepararsi per il sottopassaggio delle principali acque
trasversali alle linea, come sono quelle della Roggia Colombana, del Rozzolone
e del Ticinello che vanno soggette a piene considerabili in diverse stagioni
dell’anno, si era desiderato presso la stessa Direzione dei lavori di limitare
molto anche per esse le loro ampie luci affine di diminuire un importante
articolo di spesa dei Canale di Pavia. D’altra parte era palese la difficoltà
di procurarsi con qualche precisione, e di concerto coi privati, il dato del
corpo d’acqua da convogliarsi in ogni stagione dell’anno nelle botti senza
perdere l’occasione favorevole all’esecuzione di un’opera utile per lo Stato e
da secoli sospirata. E questo dato essendo pur necessario per mettere in
pratica sul Canale di Pavia nella sua pienezza la massima della più grande
possibile restrizione di misure nelle luci delle botti, si è finito col battere
la via di mezzo, assegnando loro delle misure ancora liberali anzi che no. In
compenso poi una tale scelta ha assicurato al Canale di Pavia una particolarità
che in parte manca ad altri canali milanesi, ed è di non aver cagionato alle
campagne laterali alla sua linea il sortume
che soffrono in diversi luoghi quelle che restano, per esempio, lungo il
Naviglio Grande ed il Naviglio della Martesana. E notisi che questa
particolarità merita tanto più di essere rimarcata in quanto che il Canale di
Pavia situato nel mezzo dei terreni irrigatorj della provincia si trova più
esposto a produrre quel sortume, e
ciò per il numero delle botti necessarie, e perchè le acque di queste arrivano
alla linea del canale dopo essere passate in poca distanza per varie altre
botti successive, di cui ciascuna da se ne ritarda qualche poco il moto sino a
rendere cumulativamente sensibile il loro innalzamento sopra il piano delle
campagne laterali.
Circa
alla forma delle botti delle determinate dimensioni, si è usato al Canale di
Pavia sino a un certo punto della linea quella più comune nel Milanese di un
condotto sotterraneo a due bracci di ascesa e di discesa incurvati a foggia di
gole dritte e col coperchio di lastre di vivo o di una vôlta di cotto in un sol
pezzo orizzontale corrispondente alla sola larghezza del canale navigabile
presa sul fondo. E poscia suggerito che si poteva accrescere l’avvenenza e
regolarità delle sponde del canale e servire al tempo stesso al comodo della
navigazione ed all’economia delle spese col dare alle botti la figura più
semplice di un vero sifone rettilineo composto di un pezzo orizzontale e
rettilineo e di due bracci laterali ed inclinati pure rettilinei. Con questa
particolare forma di botti al Canale di Pavia si ridusse tutta la fabbrica di
ciascuna di esse sotterra ed invisibile dall’interna parte del canale
navigabile; non si aggiunse meno al comodo della navigazione che restò liberata
da una cagione di frequenti urti delle barche contro le fronti rientranti dei
corpi di fabbrica all’imboccatura e sboccatura delle botti costrutte di sopra
nella forma ordinaria; e si ottenne di tal maniera l’abbellimento di un’estesa
linea di canale navigabile che risultò non interrotta minimamente ne’ suoi
tronchi coll’avervi soppresse le stesse fronti delle botti.
Per la
forma del letto del canale navigabile, da principio ogni armatura delle sponde
era stata generalmente risparmiata coll’assegnare alle ripe od agli argini una
scarpa di semplice terra più o meno generosa. Da una parte sembrava questo il
mezzo di diminuire possibilmente le spese del canale e di impedire che avesse a
restringersi alquanto la sezione del canale alla superficie dell’acqua,
accrescersi le resistenze al corso della navigazione e rendersi men bella la
veduta del canale stesso. Dall’altra parte le armature in muro comportando una
scarpa minore della semplice terra, pareva che presentassero un più facile e
comodo accesso alle barche del canale in tutti i punti della linea ed un
vantaggio deciso sull’effetto utile della forza d’attiraglio delle barche
medesime; inoltre era stato osservato che mantenendo quelle armature per più
lungo tempo regolari prima di sfasciarsi le sponde del canale, questo doveva
per esse risultare più bello allo sguardo. Nel progresso dei lavori è però
prevalsa la massima di astenersi generalmente da ogni sorta di armatura alle
sponde dei Canale di Pavia sul riflesso che si era sempre a tempo a praticarvi una
difesa qualora la sperienza la mostrasse necessaria. Qualche provvedimento
essendo poi sembrato realmente indispensabile per la sussistenza delle sponde
del canale in diverse tratte, fu prescritto di esperimentare se in luogo delle
armature in muro potesse meglio convenire un semplice rivestimento di opere in
legno e specialmente di lavori detti viminate
alla romagnola. A quest’effetto è anche stato richiamato dai paesi della
Romagna qualche pratico di simili lavori perchè istruisse gli operaj del
Milanese nella loro esecuzione. Ma fatto che fu l’esperimento di una tal sorta
di presidio sulle sponde del Canale di Pavia, non restò fondata speranza che
simili ripieghi vi potessero supplire con vantaggio alle armature in muro nel
caso concreto di quel canale, mentre costruendosi nella sabbia i vimini non
potevano radicarsi, ed il continuo ondeggiamento dell’acqua del canale nel
corso della navigazione corrodendo il terreno dietro di essi li lasciava in
breve tempo isolati. Finalmente nell’urgenza di riproporre qualche tratta di
armature in muro alle sponde del Canale di Pavia si è voluto almeno esaminare
se, variando opportunamente le inclinazioni delle facce dei muri, si potesse
ottenere un qualche risparmio nella loro costruzione senza punto scemare la
loro resistenza alla spinta dei terrapieni. Di qui ne venne la buona pratica di
applicare ai muri di rivestimento delle sponde del Canale di Pavia una forma
alquanto assottigliata dal basso all’alto e talmente inclinata nelle facce, che
il centro di gravità, invece di cadere sulla metà della base, avesse a battere
vicino allo spigolo interno della base medesima per diminuire così la grossezza
e la spinta del terrapieno e nel tempo stesso aumentare il braccio di leva dei
muri. Nell’assegnare poi le dimensioni più opportune per l’equilibrio tra la
spinta de’ terrapieni e la resistenza dei muri si è avuto riguardo che nel
calcolo fosse trascurato l’elemento della coesione delle terre e qualche altra
circostanza tendente a diminuire la grossezza dei muri per l’espresso motivo
che in occasione di pioggie i terrapieni inzuppandosi d’acqua esercitano una
spinta maggiore dell’ordinario, come anche perchè è sempre necessario un
eccesso di solidità nella resistenza per far fronte agli accidenti impensati.
All’atto dell’esecuzione di quei muri si è inoltre creduto opportuno di
prescrivere loro alcuni speroni a date distanze per maggior rinforzo; e in fine
l’esperienza di qualche anno delle dette armature al Canale di Pavia avendo
dimostrato che anche i semplici muri che le costituiscono si trovano troppo
esposti all’urto delle barche cariche se non sono munite delle colonnate o
passonate di legno più cedevoli all’urto senza frattura e con profitto già
comunemente usate a questo fine sugli altri canali milanesi, anche questo ripiego,
che impedisce alle navi di venire in contatto dei muri a danneggiarli, e che
nel tempo stesso accresce la loro resistenza, non vi fu finora generalmente
risparmiato.
Dichiarate
per tal modo le massime principali seguite nella direzione dei lavori del
Canale di Pavia, e riferiti gli accidenti più notabili della loro condotta, non
crediamo di entrare qui a sviluppare storicamente le particolarità sulla forma
e sull’architettonica di tutte le fabbriche del nuovo Canale di Pavia che sono
di un interesse minore.
In
generale però, seguendo le dichiarazioni della stessa Direzione de’ lavori di
questo nuovo canale, faremo osservare che nello stabilire le dimensioni delle
parti di ogni sua fabbrica, poste in calcolo le forze derivanti dalla spinta
de’ terrapieni, dalla pressione o dall’urto dell’acqua, e dalle altre cause
particolari, le grossezze dei muri si sono prescritte ordinariamente di un
quarto o poco più maggiori di quelle richieste per la semplice condizione
dell’equilibrio. Tale precauzione si è giudicata indispensabile alla durata
delle fabbriche e delle loro parti, poichè mentre le forze cospiranti alla
rovina delle medesime si mantengono sempre eguali, o si accrescono, la
resistenza dei muri per la naturale decomposizione delle materie va continuamente
scemando. Per lo stesso riguardo della maggiore solidità delle opere si sono
credute economicamente usate dove le pietre cotte in luogo del legno, dove le
pietre vive in luogo delle pietre cotte, e massime per le fronti ed i
rivestimenti degli edifici esposti all’azione dell’umido, all’urto ed alla
pressione delle barche e dell’acqua o ad altre cagioni, l’attività delle quali
si fa sentire facilmente e in poco tempo degrada i muri formati di soli
mattoni. La spesa di costruzione non si è per questo capo accresciuta di molto,
essendosi potuto usare quelle pietre vive che per la vicinanza delle cave, per
la comodità dei trasporti per acqua sui canali milanesi e per la facilità ad
essere lavorate, divenivano meno dispendiose. Col loro uso non si è fatto che
seguire l’aulico metodo adattato alla natura particolare del paese, come lo
mostrano i muri rivestiti di pietre da taglio negli edifizi dei canali Naviglio
Grande, Naviglio di Bereguardo, Naviglio di Paderno e Naviglio della Martesana
che termina nell’antica fossa della città di Milano. Lo stesso metodo nel
Milanese si è anche introdotto da secoli nelle opere de’ privati speculatori,
come lo prova una quantità di edifizi costrutti sopra gl’innumerevoli canali di
irrigazione della provincia. Dachè poi le fabbriche del Canale di Pavia siano
in grado di resistere alle ingiurie di molti secoli senza essere ridotti ad un
estremo deperimento, quest’abbondanza di solidità, ben lungi dall’essere
ragionevolmente tacciata di lusso inutile, si crede da un canto che offra un
largo compenso della spesa prima di costruzione nella minorazione della spesa
di mantenimento dell’opera. Dall’altro canto si ritiene che la sodezza dei
fabbricati garantisca un più sicuro e continuato servizio del canale in mezzo a
tutte le vicende di Stato ed a tutte le guerre in paese, cui possa
nell’avvenire andar soggetta la provincia che deve sostenerne le spese di
riparazione.
Dietro lo
stesso metodo di costruzione appena saranno eseguiti i progetti in corso per un
primo stabilimento del suo sbocco in Ticino, non si tralascerà certamente di
rimettere in campo l’idea del molo proposto fin dal 1805 sì per favorire
maggiormente la naturale escavazione di quello sbocco, come per proteggere le
barche al loro passaggio dal fiume nel canale e viceversa dal canale nel fiume.
Verrà pure coltivata all’uopo l’altra idea di munire lo stesso sbocco di
qualche particolare ordine di porte che anch’esso giovi a mantenerlo spurgato
da depositi delle piene del fiume, essendovi riuscito troppo distante superiormente
l’ultimo sostegno del canale che, come si disse a suo luogo, doveva fare
quest’ufficio. Ogni altro oggetto consimile giova pur credere che non verrà di
seguito trascurato, mentre la gloria del Governo di Lombardia vi è abbastanza
interessata perchè abbia a sperarsi dalla superiore giustizia e provvidenza di
vedere presto appagato ogni desiderio che si fonda negli ulteriori
perfezionamenti dei lavori eseguiti nel nostro secolo sulla linea del Naviglio
Grande e intorno alla grande fattura del Naviglio di Pavia, che nel Milanese ha
da restare per i secoli futuri un’onorata memoria delle cure, diligenze e studi
degli Italiani nostri contemporanei, i quali in qualche modo vi hanno avuto
parte.[10]
[1] Ora Ingegnere in Capo
della Provincia di Milano.
[2] V. Mémoire sur les jaugeau des eaux courantes. Paris, 1802. Recherches
physico-mathématiques sur la théorie des eaux courantes. Paris, 1804.
[3] In quei primi anni di
lavori furono principali collaboratori del Giudici i signori Ambrogio Canevari,
Giacomo Fumagalli, Carlo Caimi, Carlo Cattaneo e Natale Ratti.
[4] V. la nota del §. 96
a pag. 51, nella Memoria di Vincenzo Brunacci sulle pratiche usate in Italia
per la dispensa delle acque. Verona, 1814.
[5] Fra questi
collaboratori il servizio venne fin d’allora scompartito per modo, che il sig.
Fumagalli sussidiato dal sig. Ratti attese alla redazione dei progetti di
dettaglio delle opere parziali, mentre il sig. Caimi ed il sig. Cattaneo si
occuparono della sorveglianza all’esecuzione dei lavori, della corrispondenza
cogli appaltatori e dell’amministrazione del canale.
[6] V. fra gli altri il
Belidor nel cap. 3.° del lib. iv
della sua Architecture-hydraulique.
[7] Ora Direttore generale
delle pubbliche costruzioni presso il Governo di Lombardia.
[8] V. La Memoria di
Antonio Tadini intitolata: Del movimento e della misura delle acque correnti.
Milano 1816.
Gli
Elementi di meccanica ed idraulica di Giuseppe Venturoli. Terza edizione.
Milano, 1819.
[9] V. la Memoria del sig.
professore Antonio Bordoni fra quelle della Società Italiana delle Scienze,
Tom. xviii. Sul nuovo torno immaginato dal sig. Carlo Parea.
[10] V. per documento di
tutto questo capitolo iii le carte
del Naviglio di Pavia, del Naviglio di Paderno, del Naviglio Grande ec. fra
quelle dell’archivio della Direzione generale d’acque e strade, e fra quelle
esistenti presso il sig. ingegnere Giussani in Milano, oltre i decreti n. x e xi
da noi riferiti in fine della presente Storia.
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